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Autore: Ai_1978    04/06/2020    0 recensioni
Dal testo:
La donna lo osservò incuriosita: «Sei cristiano, soldato?»
Lui la fissò, quasi con disprezzo: «Sì, credo nell'Unico e Vero Dio: Nostro Signore Gesù Cristo.»
«Amen.» ironizzò lei con un ghigno, cercando di ignorare la velata offesa alla sua Dea.
Il soldato aggiunse, quasi con aria di sfida: «E ho un nome, donna. Io sono Pádraig ap Breandán.»
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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CAPITOLO II

Erano passate due settimane da quando Olwen aveva incominciato a curare il soldato sconosciuto.
Gli aveva abbassato la febbre con un infuso di corteccia di salice e dopo aver pulito la ferita suppurata, l’aveva tenuta fasciata con impacchi di un’argilla speciale che si procurava nel bosco vicino, lungo il fiume. Aveva proprietà antisettiche.
L’uomo era stato in preda alla febbre e al delirio per tutto il tempo. Tra le parole sconnesse e senza senso aveva colto dei nomi: due femminili e uno maschile.
Moglie? Figli?
Sorrise tra sé: che cosa le importava?
Ad onor del vero non aveva nemmeno capito cosa l’avesse spinta a prendersi cura con tanta devozione di quello sconosciuto. Tutto ciò che sapeva era che qualcosa l’aveva “costretta” a farlo, quando l’aveva visto ferito e morente sorretto dai compagni nel cortile del castello.
Era stato un istinto molto forte, come se una voce misteriosa le ordinasse di guarire quel soldato.
Forse era uno degli ultimi barlumi della Vista.
Da anni non adoperava più e sue capacità divinatorie, tuttavia a volte le visioni tornavano a lei involontariamente.
Forse quell’uomo le era stato mandato dalla Dea stessa. Lei aveva il dovere di salvarlo.
E, a quanto sembrava, ci era riuscita.
Toccò la fronte del soldato: era fresca. La febbre era quasi del tutto scomparsa.
Immerse un panno di lino nell’acqua profumata di unguenti e, slacciando la camicia di rozzo cotone dell’uomo, iniziò con le spugnature giornaliere.
Si soffermò sulla ferita, che stava guarendo.
Per salvarlo aveva dovuto asportare molto tessuto necrotico: sarebbe rimasta una cicatrice piuttosto deturpante. Probabilmente a lui non sarebbe importato un granché: era un soldato, non una fanciulla in età da marito che teneva più al proprio aspetto che al resto.
Indugiò sul torace del soldato per accorgersi che altre cicatrici, più piccole e datate, lo costellavano.
Chissà quante ferite aveva subito quell’uomo in battaglia.
Quante primavere poteva avere?
Ad occhio non sembrava giovanissimo. Probabilmente superava la trentina.
Qualche capello bianco cominciava a comparire sulle tempie, tra i capelli scuri, e la barba, ormai lunga, non era più perfettamente nera.
Sollevò delicatamente le braccia del convalescente e iniziò a pulire le sue mani. Non aveva mani grandi, anzi. Sembravano insolitamente delicate per essere quelle di un guerriero.
Eppure erano indiscutibilmente virili.
Mentre era assorta nei propri pensieri, non si accorse che l’uomo si mosse.
Dapprima impercettibilmente, poi emesse un suono gutturale. Le sue dita si strinsero intorno alle mani di Olwen, facendola sussultare.
Poi, senza aprire gli occhi, cercò di articolare qualche sillaba: «R… R… Ro… Róisín…»
Róisín.
Ancora quel nome.
Chissà chi era questa donna che era stata invocata per tutta l’agonia.
Istintivamente lei sottrasse la propria mano dalla presa di lui, richiuse la camicia e si scostò dal letto.
Si tirò in piedi, sistemando la lunga treccia e disse, con tono pacato: «No, soldato. Non sono Róisín.»
In quello stesso istante lui spalancò gli occhi e per la prima volta Olwen poté vederne il colore: erano verdi. Un verde freddo, come quello del mare.
Identici ai suoi.
La cosa, inspiegabilmente, la turbò parecchio.
Il soldato la fissò smarrito per qualche minuto, poi con voce impastata, parlò: «D- dove sono? E tu chi sei, Signora?»
Signora?
Olwen trattenne a stento una risata. Chiaramente le sue vesti eleganti e il suo aspetto curato dovevano averlo tratto in inganno.
L’aveva scambiata per una nobildonna. Meglio chiarire subito l’equivoco.
«Sei al castello di Lord Cerdic, soldato E qui non c’è nessuna “signora”.»
L’uomo strinse gli occhi, per mettere meglio a fuoco l’immagine della donna che aveva di fronte.
Era alta, molto bella. Snella, con dei lunghissimi capelli neri raccolti in una treccia laterale. Indossava una ricca veste di broccato rosso e profumava di unguenti preziosi. Indossava un cerchio argentato che fermava i capelli in fronte e dei gioielli, sempre in argento. Chi altri poteva essere se non una nobildonna?
Poi notò un dettaglio: quelli che inizialmente aveva scambiato per bracciali, in realtà non lo erano.
Erano… manette. Manette ornamentali, legate tra loro da una lunga e sottile catena d’argento che non intralciava i movimenti.
Ma erano un simbolo inequivocabile di schiavitù. Quella non era una donna libera.
Una sola categoria di schiave indossava quel tipo di manette ornamentali: le cortigiane.
Una puttana.
Si trovava al cospetto di una puttana.
Ora ci vedeva bene, i suoi occhi mettevano a fuoco perfettamente. Scorse tutta la figura della donna, per esaminarne i dettagli.
Era affascinante, sebbene non giovanissima: doveva aver superato abbondantemente le venti primavere.
Aveva un bel viso, dai tratti non perfetti ma estremamente piacevoli. Bellissime labbra piene, naso dritto, grandi occhi verdi coronati da ciglia seriche, fronte…
E proprio su quella fronte un particolare gli raggelò il sangue: al centro si intravedeva un tatuaggio, sbiadito dal tempo. Una mezza luna.
Il simbolo delle streghe pagane.
La mano destra dell’uomo scattò inconsciamente verso il proprio collo, alla ricerca di un qualcosa… un qualcosa che però non trovò. Il panico lo assalì.
Olwen lo osservava divertita, con aria di scherno.
Tuttavia si intenerì. Infilò una mano nella scollatura del proprio abito e ne estrasse un oggetto: un ciondolo di rame, a forma di croce, legato ad un laccio di cuoio.
«Cerchi questo, soldato?» lo beffeggiò porgendogli l’ornamento.
L’uomo, con malagrazia, glielo strappò dalle mani.
Come rientrò in possesso del ciondolo sembrò rasserenarsi. Lo portò alle labbra e vi depose un bacio carico di devozione, sussurrando qualche parola.
La donna lo osservò incuriosita: «Sei cristiano, soldato?»
Lui la fissò, quasi con disprezzo: «Sì, credo nell’ Unico e Vero Dio: Nostro Signore Gesù Cristo.»
«Amen.» ironizzò lei con un ghigno, cercando di ignorare la velata offesa alla sua Dea.
Il soldato aggiunse, quasi con aria di sfida: «E ho un nome, donna. Io sono Pádraig ap Breandán.»

 
   
 
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