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Autore: platinum_rail    05/06/2020    1 recensioni
Sono passati quattro mesi dalla fine della Guerra dei Titani.
Percy ed Annabeth salvano Piper, Leo e Jason al Grand Canyon, senza sapere che avrebbe significato l'inizio di una nuova guerra.
Percy scompare la notte successiva, ma quando mesi dopo arriva al Campo Giove non ha perso la memoria. Ha un passato diverso da quello che conosciamo, e dei poteri incredibilmente pericolosi.
(IN FASE DI RISCRITTURA)
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sussurri nel Buio

Percy cercò di trattenere una piccola risata.
Quella sera aveva aspettato che Hedge si addormentasse, prima di sgusciare fuori dalla sua stanza e raggiungere quella di Annabeth.
Pensava di trovarla dentro camera sua, ma invece la vide aspettarlo davanti alla porta con un sorrisino.
-Finalmente Testa d’Alghe, pensavo ti fossi addormentato. – bisbigliò la ragazza, prima di prenderlo per mano e condurlo attraverso il corridoio.
-Dove mi stai portando? – le chiese il ragazzo ridacchiando.
-Ti piacerà. – lo rassicurò lei.
Camminarono silenziosamente fino alle scale che conducevano al secondo ponte, e lo attraversarono fino alla poppa della nave. Annabeth si fermò davanti ad una porta di legno a due battenti, e la aprì rivelando un’ampia scuderia immacolata.
L’aria era tiepida, le luci soffuse, la stanza profumava di legno e fieno.
Un’immagine gli balenò davanti al viso, il ricordo di una notte fredda come il ghiaccio e del calore di una piccola stalla nel bel mezzo della campagna.
Percy guardò curioso gli stalli vuoti sul lato sinistro della stanza, e il suo sguardo si fermò sul centro del pavimento dove svettava un grande pannello trasparente. Si avvicinò ad esso, guardando lo scuro paesaggio della notte che scorreva sotto di loro, con le sue campagne buie e le strade illuminate che serpeggiavano tra le colline morbide.
Annabeth prese una coperta e la stese su parte del vetro.
-Vieni, splendore. – lo invitò la ragazza con un sorrisino, sedendosi sulla coperta.
Percy la imitò, e le diede un piccolo bacio ghignando contro le sue labbra.
La ragazza si strinse a lui, avvolgendogli la vita col braccio e accoccolandosi contro la sua spalla, e Percy le circondò le spalle con un braccio.
-Sai, queste porte si aprono. – lo informò la ragazza, ridendo della sua espressione improvvisamente preoccupata. -Per permettere ai pegasi di entrare facilmente. –
Percy deglutì: -Non credi che siamo sopravvissuti a troppe disgrazie per morire cadendo dal fondo di una nave? Non suona né eroico né dignitoso. –
Annabeth gli rivolse un’occhiata giocosa: -Non succederà, promesso. –
Rimasero in silenzio per pochi istanti, a godersi il calore l’uno dell’altra. Finché Annabeth non sollevò lo sguardo su di lui.
-Sai cosa mi ricorda questo posto? – chiese lei.
Percy non dovette nemmeno pensarci.
-Quella fattoria fuori città dove ti ho trovata. Quando ti ho conosciuta. – mormorò con un sorriso. -Eri così piccola e infreddolita, tutta nascosta dal giaccone. -
Annabeth sorrise dolcemente: -Esatto. È per questo che è il mio posto preferito sulla nave. –
-Sono passati quasi dieci anni. Avevamo sette anni Annabeth, riesci a crederci? – commentò il ragazzo.
-No. E guarda fin dove siamo arrivati. – rispose Annabeth con un sorriso, e Percy la guardò incantato.
A volte ripensava alla bambina che aveva incontrato quella notte, con i capelli ricci malamente tagliati all’altezza del mento e i grandi occhi grigi impauriti che scintillavano però di determinazione, e coraggio. Ripensava al suo viso morbido e infantile, alle lentiggini che le costellano il naso e alla sua parlantina sorprendente per una bambina di quell’età.
E dopo tutti quegli anni, era cresciuta diventando una splendida ragazza.
Bella e forte come una vera regina, dallo sguardo che esprimeva regalità ed intelligenza e che era persino seducente nella sua intensità. I suoi occhi dal taglio affilato davano eleganza al suo volto già mozzafiato, i capelli le scendevano biondi come oro lungo le spalle in ricci stretti e definiti. Il suo corpo era stato modellato dagli anni di allenamento, riuscendo a conservare delle forme generose e femminili.
Era intelligente, ambiziosa e ammaliante. Una ragazza che avrebbe potuto ottenere tutto ciò che voleva.
-Sei incredibile Annabeth. – mormorò il ragazzo. -Non so cosa farei senza di te. –
La ragazza gli sorrise, baciandolo.
-Vorrei dirti che mi sei mancato. Ma non credo che basti. –
Percy annuì, poggiando la fronte su quella di lei e chiudendo gli occhi per qualche secondo.
Annabeth era parte di lui. Per dieci anni aveva sempre avuto lei accanto, e lei era rimasta con lui anche quando nessun’altro lo aveva fatto. Erano cresciuti insieme, compagni e complici in tutto. Erano stati migliori amici per anni, finché non si erano innamorati.
Percy le aveva goffamente chiesto di mettersi con lui il giorno del suo quattordicesimo compleanno, sulle rive del lago del campo. Annabeth gli aveva timidamente risposto di sì, prima che Thalia, Beckendorf, Clarisse e i fratelli Stoll li trascinassero al molo e li gettassero nel lago.
Percy ancora sorrideva al ricordo.
Ma bastò un battito di ciglia, per vedere lo sguardo di Annabeth farsi scuro e addolorato.
Il ghigno sul viso del ragazzo scomparve.
-Ehi, che c’è? – chiese dolcemente.
Annabeth avevo gli occhi puntati sul pannello di vetro, e Percy aspettò con pazienza che incominciasse a parlare, accarezzandole la spalla con la punta delle dita.
La figlia di Atena sospirò: -Abbiamo solo sedici anni. E non abbiamo mai smesso di combattere. Mi sento così stanca.  –
Percy appoggiò la guancia contro la testa della ragazza. Sapeva esattamente di cosa stesse parlando.
-Avevo accettato l’idea di rinunciare agli anni migliori della mia vita pur di vincere nella Guerra dei Titani, perché credevo che ci avrebbe garantito la pace. E invece siamo qui, di nuovo in guerra. – disse ancora la ragazza, e Percy la abbracciò con più forza. -A volte ho paura che non smetteremo mai di combattere, che il nostro destino sia quello di sopravvivere finché non troveremo un nemico che non saremo in grado di sconfiggere. –
-Oh Annabeth, lo capisco, davvero… -
La ragazza si strinse a lui seppellendo il viso nell’incavo della sua spalla, e Percy le accarezzò con dolcezza la nuca.
-Ma ti ho fatto una promessa. Non dovrai temere nulla, finché saremo insieme. – sussurrò.
Annabeth sembrò calmarsi.
Parlarono ancora, Annabeth raccontò di sua madre e della moneta che le aveva dato insieme al compito di trovare e seguire il Marchio di Atena.
Percy le raccontò del suo sogno, dei due giganti gemelli che avevano parlato di una statua perduta.
-Quindi è a quello che conduce il Marchio di Atena. – mormorò Annabeth sorpresa. -Ad una statua. -
-Questa storia non mi piace. – borbottò il ragazzo. -Tua madre ti sta chiedendo di seguire una strada che ha portato alla morte di centinaia di tuoi fratelli. Dove porta quel marchio, Annabeth? Cosa c’è laggiù, oltre a quella statua? –
La ragazza sospirò: -Non lo so ancora. Ma lo scopriremo. –
Percy la guardò per un istante, prima di abbassare lo sguardo sulle loro mani unite.
-Va bene Sapientona. – disse, sorridendo. -Ti amo. –
Annabeth lo guardò adorante: -Ti amo anche io Testa d’Alghe. –
 
La mattina dopo Percy venne svegliato da Frank.
-Oh, voi due siete in un mare di guai... -
Il figlio di Poseidone sobbalzò, e il suo sguardo assonnato saettò verso l’entrata.
Frank era sulla soglia delle scuderie, e sembrava terrorizzato più di quanto Percy non l’avesse mai visto.
-Ehi Frank. – lo salutò stiracchiandosi.
Il figlio di Marte però non riusciva a guardarlo in faccia. Era arrossito, e si guardava nervosamente le scarpe.
Solo in quel momento Percy si rese conto di essere completamente nudo, con solo la coperta a coprirgli il corpo dal fianco in giù. Imprecò tra i denti, e spinse la coperta a coprire la schiena di Annabeth che sembrava ancora dormire.
-Scusa Frank. – mormorò imbarazzato, sorridendogli timidamente.
Il ragazzo non li guardò nemmeno: -Vi stiamo cercando da mezz’ora. Credevamo vi avessero rapiti… -
Annabeth al suo fianco si svegliò, ma lei non reagì bene quanto Percy. Quando realizzò di avere Frank davanti, si bloccò come impietrita.
-Frank?! – squittì, rossa fino alle orecchie.
Frank deglutì, e indietreggiò.
-Appena siete pronti venite in mensa, io dico agli altri che state bene. – disse gentilmente il ragazzo, prima di andarsene girando sui tacchi.
Percy guardò Annabeth con un ghigno: -E dobbiamo ancora sentire il Coach. –
La ragazza gli colpì la testa col cuscino, prima di ricominciare a vestirsi.
-Ehi! Tanto da del pervertito solo a me. –
 
Il loro viaggio continuò.
Arrivarono ad Atlanta, dove Percy, Frank e il Coach Hedge trovarono Forco. Riuscirono a racimolare qualche informazione, e fuggendo dall’aquario dove lo avevano trovato raggiunsero la nave con una destinazione: Charleston.
Erano a meno di mezz’ora dalla città, ed erano tutti riuniti sul ponte.
Percy sapeva che Annabeth non era felice di parlarne, ma dovette riferire ai compagni di quello che Forco gli aveva rivelato.
-Non sono sicuro a che cosa si riferisca. – mentì il figlio di Poseidone. -Ma Forco ha detto che per trovarlo esiste una mappa, che è stata nascosta a Charleston. –
Annabeth era al suo fianco, e sembrava tesa. Teneva la mano nella tasca dell’enorme felpa rossa che aveva addosso sopra i pantaloncini di jeans, e Percy sapeva che stava stringendo la moneta maledetta che Atena le aveva dato.
La ragazza sospirò: -Si riferiva al Marchio di Atena. –
Piper la guardò curiosa: -Cos’è di preciso questo Marchio? -
-E coma una guida, una strada che conduce a quello che ha segnato la guerra eterna tra Greci e Romani. – rispose Annabeth.
Hazel annuì pensierosa: -La rovina dei giganti. –
Annabeth ricordava bene quello che Percy le aveva detto la sera prima, nelle scuderie. Nel suo sogno i giganti gemelli parlavano di una statua, e questo non faceva altro che inquietarla ancora di più. Ma Percy non parlò del suo sogno, e nemmeno della statua.
Gliene fu grata.
Annabeth fece scorrere lo sguardo sui suoi compagni: -Quindi facciamo rotta per Charleston. Troviamo questa mappa, e poi salpiamo per Roma. –
Jason annuì, ma sembrava turbato: -Io… ci sono già stato a Charleston. Ero con Reyna, stavamo cercando delle armi d’oro nascoste nel museo della Guerra Civile in città. –
Percy lo guardò attentamente: -Quindi hai qualche idea dove cercare questa mappa? –
-Non esattamente. Ma le guerre civili sono state combattute tra semidei Greci e Romani, e quel museo è pieno di reperti. Una mappa simile potrebbe essere stata nascosta lì. E poi… -
Jason sembrò esitare, e Piper lo incalzò: -C’è un altro posto? –
Il figlio di Giove la guardò incerto: -Reyna vide un fantasma nel Battery, il giardino che costeggia il porto, una ragazza. Ebbe un presentimento, e disse che sarebbe andata a parlarci, da sola. E parlarono, ma Reyna non mi disse mai cosa le avesse detto il fantasma. Non si è più comportata allo stesso modo con me da allora. –
Annabeth lo guardò pensierosa.
-Va bene. Allora ci dividiamo in due gruppi. –
Il figlio di Giove annuì: -Io posso andare al museo. Me lo ricordo bene. –
-Io vengo con te! – esclamò Leo. -Quel posto deve essere incredibile, è una vita che vorrei visitarlo. –
Jason gli sorrise, prima di voltarsi verso Frank: -Anche tu dovresti venire. Ci farebbe comodo un figlio di Marte laggiù. –
Frank annuì, a disagio. Incominciò a giocherellare con la trappola cinese che aveva recuperato all’acquario.
Dopo qualche secondo, non riusciva ancora a liberarsi.
Leo non perse l’occasione: -Ma come Frank, è facilissimo. Se però proprio non ci riesci,  possiamo tagliarti le dita, sono sicuro che il Coach non vedrebbe l’ora. –
Gli altri ridacchiarono, ma Frank non gliela diede vinta. Con una smorfia di concentrazione, scomparve. La trappola cinese cadde a terra, accanto ad un pitone reale che sibilava mostrando i denti.
Leo impallidì e rise nervosamente: -Complimenti amico. Una soluzione geniale per liberarsi dalle trappole cinesi. –
I ragazzi intorno a loro risero, e le risate aumentarono quando il serpente si sporse minaccioso verso il figlio di Efesto sibilando e facendo scattare la testa in avanti.
-Frank, l’aspetto da pitone non ti si addice. Ti prego, stammi lontano. –
Il ragazzo si ritrasformò, e si sedette guardando Leo con espressione soddisfatta nonostante fosse arrossito un po’.
Hazel cercò di smettere di ridere: -Noi ragazze possiamo andare dal fantasma. Se Reyna si è avvicinata senza di te, magari è perché lo spirito non voleva aver a che fare con un uomo. –
Annabeth annuì con ancora il sorriso sulle labbra, ma prima che potesse dire qualcosa Piper spalancò gli occhi.
La figlia di Atena la guardò stranita: -Piper… stai bene? –
L’amica si voltò a guardare Percy, e sembrava spaventata. Lo guardava con una intensità disturbante.
-Deve venire anche Percy. – disse.
Percy la guardò incredulo: -Piper ti senti bene? –
Annabeth non sembrava meno turbata di lui: -Perché dici così? –
Piper continuava a guardare il figlio di Poseidone, che però la guardò con altrettanta seppur mite intensità. Piper presto sembrò riscuotersi, e distolse gli occhi arrossendo.
-Ho… una sensazione. Credo davvero che Percy debba venire con noi. –
Percy la guardò incerto per un secondo, prima di annuire. Non potevano permettersi diffidenze tra di loro.
-D’accordo. Allora è deciso. – rispose il ragazzo ostentando calma e sicurezza.
Era preoccupato, ovviamente. Sapeva bene che i semidei avevano intuizioni e delle percezioni spesso azzeccate, ma questo non significava che avrebbero portato a nulla di buono.
La mattina dopo atterrarono a Charleston sotto ad un bel cielo sereno, e lasciarono il Coach Hedge sulla nave prima di dividersi.
Percy ed Annabeth camminavano mano nella mano accanto a Piper ed Hazel. Charleston era incredibilmente graziosa, e raggiungere il Battery fu piacevole.
-Quindi noi stiamo cercando uno spirito qualunque? – chiese Piper, guardandosi intorno.
Annabeth sospirò: -Jason avrebbe potuto essere più specifico. Noi sappiamo solo che è una... -
-Ragazze. – le richiamò Percy, lo sguardo puntato dall’altra parte della strada. -Credo che sia laggiù. –
Annabeth si voltò, e vide appoggiata al parapetto che dava sul mare una donna. La sua immagine era sfuggente, impalpabile, ma sembrava splendere.
-Quello non è un fantasma. – disse Hazel. -Gli spiriti… -
Percy la precedette: -Gli spiriti non splendono così tanto. –
La figlia di Plutone lo guardò incredula: -Come… -
Ma si interruppe, quando vide Piper guardare la donna con aria stralunata e incamminarsi verso di lei senza aggiungere una parola.
Annabeth se ne rese conto solo quando una delle carrozze rischiò di investire la ragazza.
-Piper?! – sibilò la figlia di Atena cercando di richiamarla.
Hazel sospirò: -Andiamo a prenderla. – disse, e con più attenzione di Piper attraversò la strada seguita da Percy ed Annabeth.
I tre si accostarono a Piper, che si era fermata come incantata a pochi metri dallo spirito della donna.
Annabeth concordò che quello non fosse un fantasma nell’esatto momento in cui la vide voltarsi.
Era bellissima, nonostante la sua immagine continuasse a mutare sotto alla luce del sole.
I suoi capelli continuavano a cambiare sfumatura, il suo viso sembrava, se possibile, affilato eppure morbido allo stesso tempo, e i suoi occhi erano prima azzurri, poi verdi e persino neri.
Annabeth osservò rapita il suo grande abito di seta azzurro, che le stringeva il busto e si allargava in un’ampia gonna in stile ottocentesco, e per un secondo provò un profondo senso di invidia. Quella donna era perfetta come lei non avrebbe mai potuto essere, nel suo volubile aspetto e nella sua postura sensuale ed elegante.
Quando la donna la guardò, Annabeth vide i suoi occhi smettere di mutare e invece riflettere lo stesso colore del mare alle sue spalle. Erano verdi, profondi e screziati di blu, un colore che lei conosceva bene. Capì immediatamente chi avessero davvero davanti.
Ma Percy la precedette:
-Afrodite? – mormorò stupito.
La donna sorrise splendidamente, rilassando le spalle e stringendosi le mani quasi a contenere il suo entusiasmo.
-Percy! Ragazze! Vi stavo aspettando. – esclamò lei. 
Hazel indietreggiò appena, ma nessun’altro si mosse. Piper osservava sua madre con rassegnazione, mentre Percy la guardava con diffidenza.
Il ragazzo si sporse verso Annabeth e senza distogliere lo sguardo dalla dea le bisbigliò all’orecchio: -Ti assomiglia ogni volta di più, è quasi inquietante. -
Afrodite non smise di sorridere: -Sono così felice di vedervi sani e salvi. –
-Che onore. – borbottò Percy, ma la dea non perse il sorriso, anzi, guardò il ragazzo con una luce di divertimento e malizia negli occhi.
-Ho sempre adorato il tuo caratterino, figlio di Poseidone. – lo adulò con giulivo entusiasmo. -Ad ogni modo, vi invito a prendere un tè con me. Seguitemi. - concluse prima di sporgersi con eleganza per prendere Percy a braccetto.
Annabeth la guardò trascinarle via il ragazzo con indignazione, ma cercò di frenare la lingua quando Percy le rivolse un’occhiata divertita. La figlia di Atena seguì la donna insieme ad Hazel e Piper fino ad un piccolo gazebo, sotto il quale un tavolino di legno bianco era imbandito di panini, pasticcini e torte, tazzine e piattini di porcellana.
La dea si accomodò con stupefacente grazia, e con postura impeccabile incominciò a servire tè e cibo senza versare una goccia o lasciarsi sfuggire una briciola.
Annabeth si sedette accanto a Percy con la schiena dritta e le braccia incrociate sul tavolo. Aveva lo sguardo apparentemente rilassato, ma in realtà stava osservando con attenzione ogni movimento della dea.
Dal canto suo, Afrodite sembrava al settimo cielo:
-È fantastico che siate venute a farmi visita. Charleston è splendida, il luogo perfetto per una chiacchierata tra donne insieme al loro accompagnatore. –
Percy, dalla sua posizione rilassata con le braccia incrociate, si voltò improvvisamente a guardarla.
-Io sarei qui come accompagnatore? –
Afrodite si lasciò sfuggire un’elegante ma seducente risata guardandolo da sotto le lunghe ciglia.
-Ma certo! Ho detto io a Piper ti farti venire con loro. E poi, volevo parlare con te di una questione che solo la dea dell’amore può affrontare con la dovuta serietà. – rispose la dea sorseggiando il suo tè.
-Ah, quindi eri tu… - mormorò Piper, ma non aggiunse altro.
Annabeth invece si scambiò con Percy uno sguardo preoccupato.
-Di cosa… -
-Oh Annabeth, sei diventata splendida! Bella e intelligente, una combinazione irresistibile – la interruppe la dea adulandola.
Annabeth tacque per un istante, incerta su come continuare.
Piper si schiarì la voce: -Mamma, pensavamo avessi qualcosa di importante da dirci. –
Afrodite però non sembrava preoccupata.
-Piper cara, quanta fretta. Dopo tutte le disgrazie degli ultimi giorni vi farebbe bene un momento di svago, non credete? Hazel avanti, assaggia questi pasticcini, sono i migliori d’America. –
Annabeth e Piper si scambiarono uno sguardo avvilito, mentre Percy, dal canto suo, si rilassò sullo schienale della sua sedia incrociando le braccia muscolose.
Il ragazzo si intromise: -Scusi Afrodite, sono sicuro che le sue paste meritino tutte le attenzioni possibili, ma credo che Piper abbia ragione. -
La dea sospirò, senza perdere il sorriso:
-Come desiderate allora. – asserì quindi educatamente Afrodite, portandosi con impeccabile grazia un acino d’uva alle labbra.  -Il successo della vostra missione è l’unica speranza che abbiamo contro Gea, ma temo che la parte facile finirà presto. –
-Come se potesse andare peggio. – commentò Piper.
Afrodite le rivolse uno sguardo compassionevole:
-Oh Piper, eppure è così. Percy ed Annabeth sanno bene quanto non ci sia limite al peggio in guerra. –
In un istante, l’espressione di Percy si fece dura come pietra, e lui ed Annabeth rivolsero ad Afrodite un’occhiata di ammonimento che non ammetteva repliche, ma senza aprire bocca.
La dea dal canto suo sembrava divertirsi un mondo.
-Ad ogni modo, per ora dovreste preoccuparvi di Roma e dei due giganti che minacciano di distruggerla. Oh, ovviamente tu Annabeth hai ben altro a cui pensare, come il problema con tua madre. –
La figlia di Atena per poco non spezzò il manico della tazza tra le sue stesse mani. Percy le poggiò con delicatezza una mano sulla spalla in un gesto di conforto.
Piper ed Hazel invece si voltarono verso Annabeth con curiosa sorpresa.
-Che cos’è successo con tua madre Annabeth? – chiese Piper.
La figlia di Atena non si scompose, lo sguardo altero che scintillava.
-Atena soffre della scissione tra greci e romani più di qualunque altro dio. Odia Roma e i suoi figli, perché l’hanno indegnamente spogliata di gran parte dei suoi titoli e poteri. Il mio collaborare con il Campo Giove non le è piaciuto. –
Afrodite la guardò profondamente divertita:
-Ma è molto più di un disaccordo tra madre e figlia. Vedete, Annabeth ha preferito non parlarne, ma la aspetta un compito terribile. Tutti i figli di Atena più potenti della storia hanno intrapreso il suo stesso viaggio, ma nessuno è mai tornato. –
Hazel guardava Afrodite incredula, prima di voltarsi verso Annabeth: -Annabeth di cosa parla? –
-Del Marchio di Atena. È un mio compito, devo seguirlo e trovare quello a cui conduce. – rispose la ragazza. -Alla statua di Atena che i romani rubarono e nascosero secoli fa. –
Piper guardò Annabeth incredula: -Tu sapevi esattamente cosa fosse quel marchio di cui tutti si preoccupavano e non ce l’hai detto?  –
Percy era rimasto in silenzio fino ad allora, ma quando vide Afrodite sorridere soddisfatta nel vedere lo stupore della sua stessa figlia si intromise.
-Piper, credo sia meglio parlarne dopo. – disse il ragazzo con gentilezza.
Piper però sgranò ancora di più gli occhi: -Tu lo sapevi? – trasalì rivolta al figlio di Poseidone. -Vuoi dirmi che nessuno dei due si è disturbato a dirci una cosa così importante? –
Percy aprì la bocca per parlare, ma la dea al suo fianco lo precedette.
-Oh Piper, certo che lo sapeva. Non esiste nulla che loro non sappiano l’uno dell’altra. –
Annabeth guardò Piper mortificata, mentre Percy si voltò verso Afrodite con un sopracciglio alzato:
-Ma lei da che parte sta? -
-Percy, io sono la dea dell’amore, dovresti conoscermi. Ma non preoccuparti, io vi adoro. Siete tutti delle storie così belle! –
Piper scosse la testa, massaggiandosi con due dita il ponte del naso:
-Dunque, parlavamo di questa missione sul Marchio di Atena perché…? –
Afrodite voltò lo sguardo verso l’orizzonte, dove il mare sembrava fondersi col cielo.
-Perché io posso dirvi dove trovare una mappa, che potrà aiutare Annabeth nel suo viaggio. La lasciarono qui dei figli di Atena, e quantomeno ti metterà sulla giusta strada. –
Annabeth si accigliò: -Lei ce l’ha? –
La dea ridacchiò: -Oh no, sarebbe troppo semplice. Si trova a Fort Sumter, anche se forse avrete dei problemi ad entrare… -
Tutti guardarono la donna interrogativi, ma Hazel colse qualcosa che la fece trasalire.
-Ragazzi… - mormorò, il dito puntato verso il cielo ad ovest di loro.
Tutti i semidei al tavolo si voltarono nella direzione indicata dalla ragazza, e con orrore Percy vide delle aquile romane volare verso di loro a seguito di una biga trainata da due pegasi.
-I Romani! - mormorò Annabeth. -Dobbiamo andarcene. –
Afrodite sorrise con furbizia: -Direi proprio di sì. È stato un piacere ragazzi, vi consiglio di sbrigarvi. –
Le ragazze si alzarono di scatto, pronte a correre verso la nave. Ma quando Percy si alzò, la dea lo bloccò stringendoli con delicatezza il braccio.
-Non tu, figlio di Poseidone. – disse, guadagnandosi delle occhiate basite da parte del ragazzo e delle semidee al suo fianco. -Io e te dobbiamo ancora parlare. –
Percy la guardò incredulo. Ma dopotutto, qualunque cosa avesse da dirgli la dea dell'amore, avrebbe voluto saperlo.
Si voltò verso Annabeth, che guardava la dea con preoccupazione, forse persino fastidio.
-Voi andate alla nave, veloci. Vi raggiungo appena posso. – disse guardando le sue amiche.
Annabeth sospirò, sguainando il pugnale: -Stai attento Testa d’Alghe. –
Percy le sorrise: -Lo farò. –
Il ragazzo rimase a guardare le ragazze correre veloci per la strada dirette verso la nave, prima di voltarsi verso la dea dell’amore.
-Di cosa vuole parlarmi? –
Afrodite sospirò, accarezzando il manico della teiera: -Per quanto possa sembrarti incredibile, mi dispiace che un ragazzo con un’anima bella come la tua debba vivere una realtà così terrificante. –
Percy lasciò che continuasse, senza dire nulla. Il suo sguardo era mite come il mare oltre il parapetto.
-Ma non posso cambiare il tuo destino. Posso solo avvertirti. – disse guardandolo dritto negli occhi. -Io comprendo la bellezza e la forza dell’amore che ti lega ad Annabeth più di chiunque altro. Eppure, so anche quanto pericoloso possa essere. –
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia: -Cosa intende con… -
Afrodite lo fermò alzando una mano: -So che per lei faresti qualunque cosa. E anche Gea lo sa. –
Percy si bloccò, lo sguardo improvvisamente duro e illeggibile.   
-Lei ti teme più di chiunque altro, perfino più di noi Olimpi. Sa che tu hai il potere di salvare il mondo intero, ma sa anche come potresti essere in grado di distruggerlo. –
Afrodite lo guardava con grave serietà. Sembrava impietosita da lui.
- Ti ha osservato. E ti assicuro che farà tutto ciò che è in suo potere per usare il tuo stesso amore contro di te. –
Percy nascose la sua paura dietro ad una maschera illeggibile: -Non capisco… -
Afrodite scosse la testa:
-Non puoi capire. Non ora. Ma devi sapere che lei tenterà di manipolarti, di portarti dalla sua parte, e se non ci riuscirà farà leva sulla tua vera debolezza. Le basterà usare Annabeth, e tu perderai il controllo. Raderai al suolo tutto ciò che ti circonda, e lei avrà vinto. –
-Non sono così potente. Non ho il potere di distruggere l’Olimpo. –
Afrodite sorrise tristemente: -Ed è qui che sbagli. –
Percy la guardò attento: -Allora perché non mi uccidete? Se sono così pericoloso perfino per voi immortali, perché sono ancora vivo? –
La dea dell’amore rise piano: -Siamo più umani di quello che credi. E rimani la nostra arma migliore. –
Percy avrebbe reagito con scherno fino a qualche mese prima, ma stavolta non rispose. Le sue parole gli scivolarono addosso.
-Cosa devo fare? Ora che mi ha detto questo, cosa posso fare? –
Percy aveva gli occhi puntati sulla dea, il suo sguardo era illeggibile tanto erano contrastanti le emozioni che esprimeva, e non riusciva a pensare lucidamente.
-Non posso dirti altro. Io raggiungerei le tue compagne, e in fretta, se fossi in te. – disse la donna.
Percy si sentiva confuso, spaventato, ma si costrinse a riprendersi.
Si alzò lentamente, e guardò Afrodite per l’ultima volta.
-Grazie. – disse solo, pronto ad andarsene.
-Buona fortuna Percy Jackson. È stato un onore. – lo salutò lei, prima di congedarlo con un lento cenno della mano.
Percy esitò per un secondo, ma poi si voltò, e corse più veloce che poteva verso la sua nave.
Non riuscì a dimenticarsi delle parole della dea, e della sensazione di terrore che gli avevano causato. In quel momento voleva solo trovare Annabeth, voleva solo vedere che stava bene.
Corse, veloce come nessun mortale avrebbe potuto, seguendo la riva del mare e senza mai fermarsi. Dopo poco, vide sulla strada davanti a sé una scena che gli fece ribollire il sangue nelle vene.
Di fronte a lui, ad una decina di metri di distanza, c’erano Hazel, Piper ed Annabeth, che erano state bloccate da quattro dei romani. Uno di loro era Ottaviano.
Non smise di correre.
Due dei soldati puntavano le armi contro Piper ed Hazel, ma Annabeth era trattenuta dall’augure stesso e da un ragazzo alto e robusto che le puntava un coltello alla gola.
Ottaviano le teneva le braccia dietro la schiena, aveva il viso accostato al suo collo e le stava mormorando qualcosa all’orecchio con un sorriso lascivo. Aveva una mano appoggiata sul suo fianco.
Percy non ci vide più dalla rabbia.
Il mare si mosse insieme alla sua ira rispondendo ai suoi comandi. Un’onda spaventosamente grande si sollevò improvvisamente dalla baia e si schiantò con violenta precisione sui legionari che trattenevano Hazel e Piper, e sul ragazzone che teneva il coltello alla gola di Annabeth.
L’acqua si ritrasse, trascinandoli spietatamente in mare.
Ottaviano alzò lo sguardo incredulo, ma non fece in tempo a realizzare cosa fosse successo.
Perché Percy lo raggiunse con velocità inumana, e gli fu addosso scaraventandolo lontano da Annabeth. Non sguainò nemmeno la spada.
Il ragazzo barcollò cercando di restare in piedi, ancora incredulo e incapace di capire cosa stesse succedendo, ma Percy non ebbe pietà di lui. Lo massacrò di botte, lo colpiva con tutta la forza che aveva mentre il ragazzo cercava invano di indietreggiare e difendersi.
Presto Ottaviano cadde a terra, e Percy gli assestò un calcio dritto nello stomaco che gli fece sputare sangue.
-Devi starle lontano. – gli ringhiò contro.
Avrebbe ccontinuato, se Annabeth, Piper ed Hazel non lo avessero fermato.
-Percy basta! – gli gridò Annabeth, che insieme alle altre cercava di tirarlo lontano da Ottaviano.
Percy lo lasciò andare, e lo guardò agonizzare a terra. L’augure aveva il viso pieno di sangue, gonfio e tumefatto tanto da non sembrare il suo.
-Jackson… - mormorò con spregio.
Percy avrebbe voluto prenderlo ancora a calci, ma Hazel gli posò una mano sul braccio.
-Percy, andiamo. – disse guardandolo con gentilezza. -Ne arriveranno altri. –
Percy prese un profondo respiro, annuendo.
-State bene? – chiese, guardando con particolare intensità Annabeth.
Tutte annuirono, e la figlia di Atena gli sorrise dolcemente: -Grazie per essere arrivato. –
Percy le accarezzò una guancia cercando di sorridere, mentre le parole di Afrodite gli ronzavano in testa.
Ottaviano rantolò a terra: -Aiutatemi! – urlò con quanta più forza potesse.
Percy prese un profondo respiro. Gli si avvicinò in poche falcate, lo sollevò con facilità per il bavero della maglietta e senza sforzo lo trascinò per la strada prima di gettarlo in mare. Ottaviano cadde insieme ai suoi compagni che annaspavano nell’acqua.
Hazel sembrava preoccupata: -Non vorrei annegassero… - mormorò.
-Tranquilla, ho ordinato all’acqua di tenerli a galla ma senza lasciarli uscire. – rispose Percy avviandosi verso la nave insieme alle compagne. Annabteh gli strinse il braccio sinistro mentre camminava al suo fianco.
Piper sorrise: -Che carino. –
Raggiunsero velocemente l’Argo II, e Annabeth corse subito al timone.
Percy alzò lo sguardo, e vide delle aquile romane che volteggiavano in cerchio sopra di loro. Festus sputava fuoco ogni volta che cercavano di avvicinarsi, ma Percy sapeva che presto ne sarebbero arrivate altre.
Il figlio di Poseidone si voltò verso Piper: -Dobbiamo avvertire gli altri di tornare. –
La ragazza annuì: -Gli mando un messaggio Iride! – esclamò fiondandosi di sotto.
Annabeth stava armeggiando con i comandi, e sembrava in difficoltà.
-Percy, noi dobbiamo far partire la nave! – gli gridò.
Il ragazzo annuì, e chiuse semplicemente gli occhi aprendo le mani.
Il suo potere pervase il corpo della nave come pura energia, le cime si mossero da sole liberando la nave dal molo e le vele si spiegarono.
Annabeth riuscì a mettere in moto la nave, e grazie ad entrambi si staccò dal molo e si diresse verso il mare aperto. I remi si spiegarono facendo un gran rumore e spinsero la nave verso l’isola dove si trovava Fort Sumter. Viaggiavano a velocità incredibile, grazie alla potenza della nave e al mare che Percy controllava per aiutarli a solcare l’acqua sarebbero arrivati all’isola nel giro di una dozzina di minuti.
Piper emerse da sottocoperta: -Jason e gli altri stanno arrivando! – urlò.
Percy le sorrise grato, ma perse presto l’ottimismo quando puntò gli occhi verso l’orizzonte.
Diverse aquile romane stavano volando verso Fort Sumter, e su ognuna almeno un semidio romano armato fino ai denti urlava pronto allo scontro. Erano troppi.
Ma Hazel lo riscosse.
-Eccoli, sono laggiù! Frank! – chiamò la più giovane, indicando un’enorme aquila che volava dalla città verso di loro e che reggeva tra le zampe un Leo strepitante. Il figlio di Efesto stava gridando terrorizzato cercando di reggersi mentre alle sue spalle Jason li seguiva volando.
Percy non riuscì a trattenere una risata.
-È adorabile! – esclamò. -Sembra un Superman biondo. Perché non avevo ancora visto questo spettacolo? –
Annabeth gli arrivò da dietro dandogli uno scappellotto sulla nuca.
-Non è il momento Percy. – lo rimproverò.
Frank planò sulla nave buttando Leo sul ponte, e Jason calò a bordo subito dopo di loro.
-Andiamocene! – gridò il figlio di Giove. – Non possiamo affrontarli! –
Annabeth al fianco di Percy scosse la testa.
-Non possiamo andarcene senza quella mappa. Devo assolutamente raggiungere quel forte, è lì che si trova. –  disse con decisione la ragazza, prima di voltarsi verso il suo ragazzo. -Riuscite a coprirmi? –
Percy la guardò per un istante. -Vengo con te. Ti guardo le spalle. –
-D’accordo. – rispose subito la ragazza. -Qualcuno aiuti Percy, gli altri rimangano qui. Non lasciate che si impadroniscano della nave. -
Jason si fece avanti: -Vengo io. Frank, ti unisci a noi?  – suggerì il ragazzo, e il figlio di Marte annuì prontamente.
Percy guardò la riva dell’isola ormai a pochi metri da loro, e annuì:
-Va bene. Stai attenta Sapientona. Non vorrei scomodarmi e venirti a salvare. –
Annabeth alzò gli occhi al cielo sorridendo, prima di baciarlo.
-Per carità. –
   
 
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