Capitolo 4
Shinsou
rimboccò le coperte a Ojiro, pienamente soddisfatto. Finalmente era riuscito a
togliersi di mezzo Bakugou, che era andato a dormire con Deku,
per l’infelicità di Todoroki.
In
realtà un po’ gli dispiaceva.
Quando
Bakugou aveva tirato un calcio sugli stinchi del povero Midoriya
e gli aveva detto che aveva sonno e che dovevano andare a letto, lo aveva
guardato. Non aveva potuto fare a meno di notare l’aria malinconica.
L’idea
iniziale di Aizawa, di punirli chiedendo loro di occuparsi dei bambini, era andata
in fumo. Lui non trovava affatto una punizione occuparsi di Ojiro e Todoroki
non ne aveva mai occasione, visto che Bakugou aveva affermato di non fidarsi di
lui e si era appioppato a Midoriya.
Ma
dopotutto era ovvio fosse così: lo conosceva e si fidava.
Solo
che, essendo il Bakugou adulto il suo fidanzato, Todoroki non doveva prenderla
molto bene, seppur stoicamente. Non se l’era mai presa con Midoriya
e non aveva neanche fatto troppe storie.
Ma
ogni tanto lanciava occhiate sospette.
Anche
lui sarebbe stato di cattivo umore al posto suo. Per sua fortuna Ojiro non era
come Bakugou. Stava un po’ con tutti ma, avendo sentito con le sue orecchie la
strigliata di Aizawa, alla fine era a lui che chiedeva di accompagnarlo a
letto, quando aveva sonno.
Come
quella sera, prima del solito, prima ancora del piccolo Bakugou, ma se lo
aspettava. Dopo la paura del terremoto si era dato da fare per giocare a tutto
spiano, saltellando e correndo dietro al coniglio che Koda
aveva lasciato libero in giardino, sempre con lui fuori a controllarli.
Bakugou
invece aveva giocato poco, poi era tornato dentro e si era scolato tutta la
spremuta che gli aveva preparato Satou, seduto
accanto a Midoriya.
Shinsou
aveva avuto la netta sensazione che bramasse di giocare e sfogarsi come stava
facendo Ojiro, ma si tratteneva perché Midoriya non
lo faceva. Evidentemente quella cosa di non sentirsi inferiore a lui ce l’aveva
fin da bambino.
Ritornò
al piano di sotto dopo essersi chiuso il più silenziosamente possibile la porta
alle spalle, ma nella sala comunque adesso c’erano solo Midoriya
e Todoroki.
Gli altri evidentemente erano tutti presi a sistemare la propria stanza dopo il
terremoto. Anche lui ci aveva messo un po’ a ritirare su tutti i libri e i dvd
caduti a terra, ma si era sbrigato per evitare che, tornato in stanza, Ojiro
trovasse il disastro.
Per
un attimo, Shinsou rimase sulla soglia delle scale. Quei due stavano parlando
così fittamente che non voleva disturbarli.
E
di solito non farebbe neanche la spia ma...era curioso.
“Non
devi scusarti, Midoriya. Sta facendo tutto Bakugou.”
“Sì,
è vero. Però...mi dispiace comunque.”
“E’
un bambino adesso, non è la stessa cosa che se fosse adulto. Questo riesco a
capirlo anche io.”
“Però
immagino che sia frustrante...”
“A
volte. Posso farti una domanda, Midoriya?”
“Sì,
certo. Dimmi pure.”
“Bakugou
sembra molto legato a te. Io credevo che il vostro rapporto fin da bambini
fosse stato poco idilliaco, invece ti cerca sempre, ti chiama per nome.
E’...strano. Che cos’è successo tra voi che ha rotto così il rapporto?”
Midoriya per un attimo
irrigidì le spalle, da dietro dov’era nascosto Shinsou lo notò perfettamente.
Si era teso come una corda di violino.
Come
se la domanda posta fosse scomoda e indesiderata.
Eppure
non c’era niente di strano nel volerlo sapere. Avevano notato tutti che
era...diverso da come se lo erano immaginato, il comportamento di quel Bakugou
bambino nei confronti di Midoriya.
Molto
più affettuoso, per quanto burbero. Protettivo, avrebbe detto.
“Ecco...”
Midoriya deglutì, cercando nella mente una risposta
utile da dare.
E
ce n’erano tante, ovvie e realistiche, senza neanche doverci stare troppo a
pensare.
Eppure,
l’unica cosa che gli veniva in mente adesso era di lui e Bakugou, bambini, che
giocavano insieme al parco.
Prima
che Bakugou clonasse per lui il soprannome di Deku.
Inutile, nullità.
Perché
non aveva un quirk e lui sì. Lo ricordava bene quel
giorno.
Fin
troppo.
“Izuku, che stai facendo?!”
Il piccolo Midoriya alzò sul suo amico uno sguardo carico di lacrime,
gli occhi verdi lucidissimi e le guance lentigginose ancora rigate.
Bakugou gli si
sedette accanto, schiena al tronco dell’albero dietro cui si era nascosto Izuku e gambe allungate sull’erba umida della pioggia di
quella mattina.
“Ho sentito la
mamma parlare con la tua,” gli rivelò.
Izuku incassò la testa ancora di più nelle spalle.
Aveva avuto così
paura quando aveva sentito le parole del medico. Non avrebbe mai più potuto
diventare un eroe, senza un quirk. E aveva anche
paura di come l’avrebbe presa Bakugou.
Lui ci teneva
tanto. Ogni volta si vantava del suo e veniva poi a chiedergli se aveva capito
quale avesse lui.
Non aveva mai
saputo come rispondergli, e adesso sapeva perché.
“La tua mamma
dice che non hai un quirk, tu. E’ vero?”
“Io...il dottore
ha detto così. Mi...mi dispiace, Kacchan...”
“Magari si è
sbagliato. Il fratello di uno in classe con noi ha mostrato il quirk a cinque anni e mezzo, sai, invece che a quattro.
Anche i dottori sbagliano.”
“S-sì, però...”
Bakugou si alzò,
costringendo anche Midoriya a fare altrettanto, “Dai
muoviti. Torniamo a casa altrimenti tua mamma rompe!”
“Kacchan...posso chiederti una cosa?”
“Che vuoi, Izuku?”
“Ecco...se non ce l’avessi davvero, tu mi vorresti bene comunque?”
“Che scemo sei!
Certo che ce l’hai. Muoviti dai!”
Ma
al secondo anno delle elementari, Izuku Midoriya era ancora un quirkless.
Bakugou
aveva iniziato ad avvicinarsi a chi poteva contrastare il suo quirk, chi ne aveva uno, con cui poteva giocare senza
doversi preoccupare più di tanto.
Si
era allontanato lentamente, poco per volta. Con scuse stupide per non andare da
lui a giocare, anche quando sua mamma veniva a trovare la signora Midoriya.
Ignorandolo
a scuola, a mensa, al parco.
Fino
al giorno in cui aveva davvero coniato quel soprannome.
“Kacchan! Kacchan...avevi detto
che anche se non avevo un quirk saremmo rimasti
amici!”
“Io non l’ho mai
detto! Figurati se sono amico di uno che non ha neanche un quirk!”
“Ma, Kacchan, non è colpa mia se non ne ho uno. Io lo volevo
tanto, qualcosa che mi permettesse di non sfigurare accanto al tuo...”
“Impossibile!
Quelli come te sono destinati sempre a sfigurare con me! Sei solo un inutile mammoletta, un piantagrane piagnone! Sei...un Deku! Sì, Deku! Da oggi ti
chiamerò così!”
“Beh,
credo sia normale, no, Todoroki-kun?” ridacchiò alla
fine, scuotendo appena il capo per ritornare alla realtà. “Voglio dire, si
cresce. Si cambia un po’. Kacchan ha sempre avuto me
intorno perché le nostre mamme erano amiche. Alla fine deve aver deciso che ero
troppo noioso, e mi ha messo da parte,” sorrise, “Ma io sono sempre stato
parecchio confuso. Ammiro ancora tantissimo Kacchan e
quando ero bambino era...quasi un idolo al pari di All
Might, per me. Volevo fare di tutto per non essere
lasciato indietro, e a lui questo dopo un po’ ha iniziato a non stare troppo
bene. Ero...appiccicoso, capisci?”
Todoroki
annuì, “Capisco, certo. Anche se secondo me non è così.”
“In...in
che senso, Todoroki-kun?”
“Ormai
credo di conoscere abbastanza Bakugou. E non credo che lui ti abbia mai trovato
appiccicoso o noioso. Adesso che l’ho visto bambino, così protettivo nei tuoi
confronti, ne sono ancora più convinto: ti proteggeva. Anche se non capisco da
cosa.”
Da se stesso.
E’
l’unica cosa che riusciva a pensare, Midoriya.
Lo
proteggeva dal suo stesso quirk, Bakugou, perché la
prima volta che aveva mostrato i suoi poteri, per sbaglio, era insieme a lui. E
Izuku si era fatto male, quella volta.
La
ricordava bene, Midoriya, la paura negli occhi di
Bakugou quando lui aveva urlato, iniziando a piangere. Ricordava che l’aveva
portato Katsuki dalle loro mamme, ferme più in là,
che la sua si era messa a piangere, ed era stata la signora Bakugou a prendere
in mano la situazione, portando entrambi i bambini in ospedale.
La
lieve ustione di Izuku era sparita in pochi giorni.
Bakugou portava ancora le sue cicatrici, sui palmi delle mani.
“Ti prometto che
diventerò forte, Kacchan! Sono sicuro che col mio quirk, anche se non so ancora qual è, potrò resistere alle
tue esplosioni!”
Bakugou annuì,
“Sì, però datti una mossa!”
Era
stata una promessa che non aveva potuto mantenere.
Pochi
mesi dopo aveva scoperto di essere un quirkless, e
mai sarebbe riuscito a resistere alle esplosioni di Bakugou, che si facevano
sempre più forti.
E
lui aveva così iniziato ad ignorarlo, a ritenerlo noioso e patetico.
Chissà
se era vero che voleva proteggerlo, per impedirgli di farsi male giocando
ancora insieme.
“E
poi c’è un’altra cosa, Midoriya.”
“C-cosa?”
“Credo
che Bakugou abbia sempre avuto una certa ammirazione nei tuoi confronti. Che si
è portato avanti per anni. Per questo è così fissato con te. E’ lui che non
vuole rimanere indietro, rispetto a te, che non vuole perderti di vista. E non
solo adesso. Credo anche prima. Ma è solo...una sensazione.”
Midoriya sbatté le
palpebre una, due volte.
Kacchan che
provava...ammirazione, per lui? Che non voleva essere lasciato indietro? E come
poteva mai essere possibile, considerando che era lui quello col quirk forte?
Todoroki
doveva essersi per forza sbagliato. Su questo, si era sbagliato.
“Beh,
adesso vado a dormire, Midoriya. Buonanotte e....non
ti preoccupare, per Bakugou. Anzi, grazie. Se non ci fossi tu, sarebbe un
disastro tenerlo a bada.”
“Ma
figurati, Todoroki-kun. Buonanotte.”
Shinsou
sgusciò via prima che potessero beccarlo ad origliare, di nuovo verso la sua
stanza.
Non
poteva però dire di non essere d’accordo con Todoroki.
Aveva
avuto anche lui quella stessa sensazione.
--
La
prima cosa che vide una volta rientrato in stanza, in punta di piedi, e che lo sorprese,
è la figura di Ojiro seduta sul letto, i piedini penzoloni e la codina dritta
sul letto che si muoveva leggermente a destra e sinistra.
“Hey,” mormorò entrando e chiudendo la porta, “Non ti avevo
messo a letto?”
Ojiro
sobbalzò, spostando l’attenzione dalla finestra a lui, “Sì, ma mi sono
svegliato.”
“Ho
visto. Hai anche aperto la finestra?”
Ojiro
annuì, “Da qui non si vedono le stelle,” pigolò, “Peccato.”
Shinsou
sorride, sedendosi accanto a lui sul letto, “E’ perché ci sono troppe luci
artificiali, sai. Dove abiti tu si vedono bene?”
“No,
perché io abito in centro!”, spiegò il bambino, tutto serio, dondolando i piedi
dal bordo del letto, “Però quando vado dalla nonna in montagna ogni volta se ne
vedono tantissime!” Per un po’ rimasero in silenzio, Shinsou guardava il nasino
a punta di Ojiro illuminato dalla luna, che non staccava gli occhi dalla
finestra.
Si
accorse solo in un secondo momento di quanto gli tremassero le labbra, come se
fosse sul punto di piangere.
“Hey...”
“Voglio
andare a casa! Dalla mia mamma! Perché non posso ancora?!”
Shinsou
trattenne il fiato. Già, perché? Come lo spiegava ad un bambino?
Non sei davvero
un bambino, in realtà hai diciassette anni e non puoi tornare a casa perché i
tuoi genitori non ci sono più.
No,
decisamente non era il caso.
Però
se non diceva subito qualcosa si sarebbe messo a piangere, sicuro.
Lui
non era bravo con i bambini. Nemmeno gli piacevano.
Preferiva
mille volte i gatti.
E
anche se questa volta le due cose quasi coincidevano, non era facile trattare
con quel piccolo Ojiro come lo sarebbe stato con un gattino.
Anche
se la piccolezza e il modo in cui muoveva la coda ricordavano un micio più che
mai.
Di
certo più di quando era adulto.
“Sono
sicuro che presto la tua mamma arriverà a prenderti,” gli disse alla fine,
inginocchiandosi davanti a lui per poterlo guardare negli occhi, “Forse è un
po’ in ritardo, ma di sicuro sta arrivando. L’aveva detto il professor Aizawa,
ricordi? Che forse ci volevano uno o due giorni.”
“Sicuro?”
“Ma
certo,” sorrise ancora Shinsou, scarmigliandogli i capelli, “E poi qui ti stai
divertendo, no?”
Ojiro
annuì, “Sì!” esclamò “Sono tutti gentili! Però voglio comunque tornare a
casa...”
“Presto,
vedrai,” assicurò, “Ma adesso, da bravo, si dorme. E’ tardi!”
Mashirao
tornò ad arrampicarsi sul letto, e mentre Shinsou si alzava per chiudere di
nuovo le tende e far calare la stanza nell’oscurità necessaria a dormire si
tirò le coperte fin sotto al naso. Nonostante fosse ben coperto, Shinsou andò
comunque a sistemargliele per bene sopra, poi spense la luce e tornò a
sdraiarsi sul futon che si era fatto prestare da Todoroki, per poter lasciare
il letto al bambino e farlo dormire con comodità.
Ma
Ojiro quella sera non sembrava di quella stessa idea.
“Posso
chiederti una cosa?” mormorò quindi, con una vocina sottile che faceva
tenerezza almeno quanto quegli occhietti neri che sbucavano dal bordo del letto
e che lui, con la poca luce della stanza, vedeva appena.
“Certo.”
“Secondo
te anche io posso davvero diventare un eroe? Davvero?”
Shinsou
rimase perplesso qualche istante, considerando che quel dubbio non c’entrava
nulla con il discorso fatto fino a quel momento, ma alla fine sorrise, “Ma
certo. Perché pensi che non sia così?”
Ojiro
mise il broncio, “Beh, il mio quirk è brutto. A volte
mi fanno i dispetti perché sono strano rispetto agli altri.”
“Sei
strano?”
“Di
aspetto.”
“Ancora
fanno queste cose?”
“Boh.
Con altri bambini non lo fanno, quindi forse è perché sono io...”
“Non
è assolutamente così. Non devi dare retta a quei bambini, sono solo dei bulli.”
Gli
risultava difficile credere che oramai ci fossero ancora bambini che prendevano
in giro chi possedeva dei quirk di mutazione come
quello di Ojiro, era quasi sicuro che lo facessero solo perché lo vedevano
fondamentalmente insicuro sulle proprie capacità. E anche quello era colpa
loro.
Forse
era per quello che adesso, da adulto, quando otteneva un risultato Ojiro ne era
orgogliosissimo e non permetteva a nessuno di farsi mettere i piedi in testa.
In primis a lui, com’era accaduto al festival sportivo del primo anno.
“Non
so. Però, senti. Hai detto che anche il tuo quirk è
strano. Anche a te trattavano male?”
Shinsou
sospirò, “Un po’. A volte. Ma adesso non più,” e poi con lui era diverso. Non
avevano tutti i torti a trattarlo male, un po’ per via del suo potere e un po’
per via del suo comportamento, per quanto fosse solo un modo per difendersi, il
suo.
“Non parlate con
lui,” sentì sussurrare, “Ignoratelo!”
Hitoshi mise il
broncio, incrociando le braccia sul banco. Non prestavano mai attenzione che
lui li potesse sentire o meno, non interessava a nessuno che anche lui potesse
restare male. Che potesse essere ferito da tutto quello.
“L’altro giorno,
quando Yasu gli ha chiesto una penna per scrivere,
gli ha fatto il lavaggio del cervello! L’ha costretto a fargli i compiti e ad
andargli a comprare il pranzo!”
Non era corretto,
ma tacque lo stesso. Perché era vero che gli aveva usato contro il quirk, ma solo per farlo tornare al suo posto e toglierselo
di torno, perché era stanco della sua insistenza.
Ma non gli
avrebbe creduto nessuno.
“Parola mia,
sicuro fra qualche anno lo vedremo al telegiornale per aver commesso qualche
crimine! Ci scommetto!”
Shinsou digrignò
i denti, alzando la mano. “Posso andare al bagno?” chiese all’insegnante.
Che rispose con
un cenno d’assenso.
Nemmeno loro
rispondevano, se non erano costretti.
Persino loro
avevano paura, e se non dovevano farlo a forza non gli rivolgevano parola.
Quanto odiava il
suo potere. Quanto avrebbe preferito non averne affatto uno, piuttosto.
“Hitoshi
Shinsou?”
“Sì?”
“Sei sicuro di
aver scritto bene la tua scelta per le scuole superiori?”
“Sì.”
“Ma...la Yuuei è una scuola per eroi molto prestigiosa.”
“Lo so.”
“Non è...”
l’uomo si bloccò, quando vide gli occhi di Shinsou ridursi a fessure. “Come
vuoi.” Concluse.
Qualcuno dei
suoi compagni rise, anche se sommessamente per non farsi sentire
dall’insegnante, ma senza temere lui che gli era seduto davanti.
“Tanto sicuro
non ci riuscirà. Se la Yuuei lo facesse entrare
sarebbero dei pazzi, mica sono così prestigiosi per niente! Figurati se uno
così può essere un eroe. Io non mi farei mai salvare da uno così!”
“Sì, sì
infatti!”
“E’ proprio
vero.”
Shinsou
li aveva odiati tanto, quella volta, ma sapeva che avevano ragione su una cosa:
non sarebbe mai riuscito ad entrare con il suo potere.
Per
questo aveva fatto domanda anche al corso Generale. Era stato previdente.
E
quando la notizia era uscita, del suo fallimento al test, aveva dovuto
sopportare le loro risate per nulla sommesse e le loro prese in giro.
Quanto avrebbe voluto vedere le loro facce adesso che ce l’aveva finalmente
fatta!
Ma
non si era mai informato su che scuola frequentassero ora e che fine avessero
fatto. Nemmeno gli interessava.
Era
ad un passo dal suo sogno, di loro non gli interessava più nulla.
“Come
li hai fatti smettere?” ritornò a guardare il piccolo Ojiro, che lo fissava con
gli occhi sgranati di stupore e ammirazione.
Shinsou
sorrise, alzandosi dal futon su cui era e infilandosi nel letto insieme al
bambino, che si fece piccolo piccolo contro il muro,
girato verso di lui ad aspettare che raccontasse la sua storia, probabilmente.
Non
sapeva perché aveva lasciato il futon per il letto, all’inizio aveva scelto il
contrario per paura di spaventarlo, ma adesso era così sereno che aveva voglia
di avvicinarsi.
Quindi
l’aveva semplicemente fatto.
“Sono
diventato più forte. E non mi sono arreso mai. Anche se significava non avere
amici,” spiegò. E avrebbe continuato così, se non si fosse innamorato.
Era stata un po’ la sua disgrazia, ma anche la sua fortuna.
“Mi
dispiace che non avevi amici.”
“Ma
adesso li ho. Quindi ne è valsa la pena.”
“E
sei quasi un eroe!”
“E
sono quasi un eroe, sì.”
“Nemmeno
io mi arrenderò!” esclamò Ojiro, gli occhi già a mezz’asta per il sonno “Diventerò
forte come te.”
“Molto
più di me.” Fece Shinsou, rimboccandogli per l’ennesima volta le coperte e
stendendosi a sua volta. “Non farti mai dire cosa puoi o non puoi fare.”
Ojiro sbadigliò, gli occhi già chiusi, “Prometto!”