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Autore: benedetta_02    08/06/2020    0 recensioni
Agata Giordano è una giovanissima ragazza che ha avuto l'onore di partecipare alla resistenza italiana che ora però ha solo bisogno di tornare nella sua città, Torino, per ricongiungersi con la sua famiglia e le sue vecchie conoscenze. Ma quello che troverà sarà solo morte, fame, terrore e così decide di ripercorrere passo passo la sua esperienza da partigiana attraverso i ricordi. Amori impossibili, segreti inconfessabili e un ruolo della donna sempre più di maggiore spicco, una donna stanca del passato e che ha un solo sogno: andare via.
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bologna, 7 giugno 1944
Era da qualche giorno che riflettevo sulle grandi conquiste che vittoriosamente stavamo portando a casa. Anche se non noi in prima persona, tutta la barricata comune contro il nemico stava vincendo in qualche modo, ma non potevamo illuderci da quelle poche briciole che avevamo ottenuto, serviva l’azione. Il primo giugno gli alleati conquistarono Sora e Frosinone, il tre conquistarono Velletri e Valmontone, il 4, finalmente presero Roma.
 
Tentare di descrivere l’emozione di Lila in quel preciso istante in cui ricevemmo la notizia, è al quanto difficile. Aveva un’espressione mista alla felicità e alla commozione. Era sicuramente senza parole, visto che continuava a fissarci inerme, simile ad una statua del periodo ellenico, ma nella sua staticità esprime sensazioni dinamiche singolari. Avrei potuto comprendere quella sensazione di stupore e serenità, solo quando anche la mia Torino sarebbe stata veramente libera, quando la mia famiglia e i miei amici non avrebbero più sofferto. Quando avrei potuto riabbracciare Ginevra. Ma contemporaneamente a queste sensazioni di angoscia, condividevo la felicità con Lila. Se lo meritava.
 
Era passato un mese dal mio primo incidente sul campo e dal mio primo vero bacio con Sandokan. Non avevamo ancora avuto il coraggio di dirlo agli altri dato l’imbarazzo generale e il timore di come gli altri avessero potuto prendere la notizia, come se improvvisamente il nostro battaglione fosse diventato un centro di incontri per giovani ragazzi senza moglie o marito, data la nostra età. Ci eravamo limitati a dei furtivi e casti baci, non osavo provocarlo, non era giusto, sapevo che non ero ancora pronta per dargli quello che avrei dovuto dargli.
 
Era troppo snervante il mio pentimento per quello che era successo con Rocco, mi ero ripromessa che non avrei più ceduto la mia ormai svanita purezza a chiunque. Ma avrei vissuto la prima volta con Sandokan come se fosse stata la mia prima volta in assoluto, quella che veramente avrà delle ripercussioni positive nel mio essere donna e nel mio futuro soprattutto.
 
Ovviamente non avevo mai avuto il coraggio per poter confessare tutti i miei pensieri più intimi a Sandokan, ma ogni tanto, di notte, ne parlavo con Anna e Lila. Loro mi dicevano che era assolutamente normale fantasticare un po’, però l’importante è che non mi illudessi di alcune sciocchezze che mi diceva Sandokan. In fondo gli uomini sono tutti uguali, dicevano.
 
“A cosa pensi?” Sandokan si avvicinò a me che ero seduta sul balcone, cingendomi le spalle.
 
‘Avrà captato i miei pensieri?’ Pensai.
 
“Penso un po’ a tutto. A tutti.” Risposi io senza voltare lo sguardo verso di lui, continuando ad ammirare uno splendido panorama notturno di una Bologna silenziosa e stanca.
 
Ogni tanto venivamo svegliati da qualche bombardamento in piena notte, dai rumori di aerei che volavano vicinissimi o da sirene che suonavano ripetutamente, anche a vuoto a volta e che ci costringevano a correre nel buio nel seminterrato protetto del palazzo. Ma da qualche notte questo non stava più accadendo e un po’ mi lasciava perplessa.
 
“Ti manca la tua famiglia?” Sandokan lanciò quella domanda come si lancia una pietra in mare tentando di farla rimbalzare e facendo emergere tante altre domande che non avresti voluto porti.
 
“In realtà no.” Risposi io di getto, senza pensarci due volte. “Mi manca mia sorella, Giovanni, il mio amico di infanzia e Ginevra, la mia migliore amica.”
 
 
Sandokan scivolò velocemente al mio fianco ritirando le gambe e portandosi le ginocchia all’altezza del petto per poggiare il suo mento. Poi voltò la testa nella mia direzione e mi guardò per un po’ come se avessi qualcosa di particolare in faccia che dovesse essere guardata necessariamente.
 
“Parlami di lei.”domandò Sandokan continuando a non distogliere lo sguardo da me.
 
“Di Ginevra?”chiesi io insospettita.
 
“Si, parlami di lei. È la prima volta che ti sento nominarla.”
 
“Ginevra è magica. È come poche. Anzi, nessuno è come lei. Ginevra ha un ingegno innato, è capace di cose che non puoi neanche immaginare. Io credo che lei abbia una marcia in più, penso che sia fantastica. Ecco com’è, fantastica.”
 
“Fantastica?” rispose Sandokan continuando a non smettere di guardarmi.
 
 
“Si, fantastica. è semplicemente la parte migliore di me, non saprei come fare senza di lei, anzi, ti dirò di più. Io senza di lei non sono nulla.”
 
“Secondo me, invece ti sottovaluti troppo. Guardati adesso. Sei senza questa Ginevra, e mi pare che tu te la stia cavando alla grande. Stai facendo cose che nemmeno nell’anticamera del tuo cervello pensavi potessi essere capace di fare. Si cresce, ci si distacca dagli affetti e si comprende che l’unica forza che può guidare la tua vita, devi essere tu.”
 
Sandokan aveva sempre la frase giusta per ogni occasione, sapeva sempre cosa dire, anche quando non conosceva o aveva poche conoscenze riguardo un argomento. Era la prima persona che probabilmente credeva in me, era sicuro che sarei stata capace di grandi cose, che avrei potuto contare solo ed esclusivamente sulle mie forze.
 
Mi abbracciò e mi diede un bacio all’angolo della bocca, poi gli misi una mano intorno alla nuca e gli diedi un bacio vero e passionale. Lui continuò a baciarmi, e poggiò le mani sui miei fianchi e sentii le sue mani scendere verso il mio sedere ed istintivamente mi ritrassi indietro, abbandonando quel momento magico.
 
“Scusami.” Sandokan alzò le mani in segno di resa ed accennò una risata, e mi lasciò un altro bacio sulla guancia, alzandosi.
 
“Tranquillo. Purtroppo ancora non me la sento.”Dissi io cercando di giustificarmi e di non metterlo troppo in imbarazzo.
 
“Non devi darmi spiegazioni Agata, quando sarai pronta, lo faremo. Non c’è  fretta.”
 
Invece a me sembrava che tutto stesse accadendo con una fretta inarrestabile, mi sentivo come messa in mezzo a due fuochi. Non sapevo come poter uscire da quella posizione di stallo: continuare ad aspettare o cedermi a lui. Volevo che accadesse qualcosa con Sandokan, non sapevo se potesse essere un gesto di amore, o semplicemente pura curiosità. Ma d’altra parte, ero convinta che se le cose non fossero andate nel verso giusto, avrei soltanto sofferto come avevo fatto con Rocco, se non peggio. Ero pronta ad accettare tutte le conseguenze?
 
Mi alzai anche io, decidendo di prepararmi una buona tazza di latte caldo. La signora Margherita ci diceva sempre che era un buon rimedio contro l’insonnia, lei quando era incinta di Giovanni e non riusciva a prendere sonno, ne calava sempre a litri. Presi l’ultima bottiglia di latte a disposizione dal frigo e lo inserii nel pentolino. Posizionai il pentolino sulla fiamma e approfittai dell’attesa per accendere una sigaretta.
 
 Mentre fumavo e aspettavo che il latte si riscaldasse abbastanza, osservavo Lupo dormire nella brandina in cucina. Era ancora un bambino, ma aveva coraggio da vendere. Io non so cosa spingesse Lupo a continuare una battaglia fatta di morte e sangue, piuttosto che vivere la sua vita da adolescente. Avrei potuto fare la stessa domanda a me stessa, ma la verità è che la mia è stata una scelta di puro egoismo, mentre lui ci credeva veramente nelle cose che continuava a fare inesorabilmente.
 
Oltre la porta spalancata che divideva le due stanze della casa, potevo vedere Rocco e Lila dormire abbracciati su una brandina che sarebbe stata scomoda anche per una persona. A terra c’erano Sandokan, Crusca, Harlem e Terùn che dormivano come dei cuccioli. Era la prima volta che li vedevo così. Invece sul mio letto c’era Anna, infatti lo condividevamo ormai da un sacco di tempo.
 
Mi girai di scatto verso la cucina, ritornando ad occuparmi del mio latte che ormai era arrivato alla temperatura giusta.
 
“Mettici dei pezzi del pane raffermo se hai fame, vedrai che è buono.”Sentii Lila toccarmi le spalle e mettersi accanto a me.
 
“No è solo per l’insonnia.” Risposi io sorridendole.
 
“Ma è una leggenda che il latte caldo funzioni per l’insonnia. Se sono i pensieri a non farti dormire, non funzionerà niente. Fidati.”
 
“E tu quali pensieri hai ?”Dissi io, iniziando a bere il mio latte dalla tazza.
 
“Nessun pensiero. Molotov russa.”
 
All’improvviso sentimmo dei rumori piacevoli, come della musica, provenire dalla strada. Ci affacciamo dal balcone sedendoci sulle sedie che erano sul terrazzo, visto che avevamo capito che sarebbe stata una lunga nottata. La canzone era “Mille lire al mese”, ma ancora non avevamo ben capito da dove provenisse quella musica.
 
 
“Ti ricordi quando Sandokan mise questa canzone al grammofono?” Disse Lila, osservando il parchetto sotto casa.
 
“Certo. Mi aveva presa a ballare e mi canticchiava questa canzone nelle orecchie, come se volesse raccontarmi un segreto. Penso che da quel momento sia scattato qualcosa.”
 
“Io ricordo che le cose con Molotov andavano malissimo e io non volevo parlargli. Lupo mi prese a ballare e per un attimo, ripresi a vivere, ripresi a conoscere la felicità tanto ambita.  Ma poi feci pace con Molotov e stavo ancora meglio.” Lila aveva gli occhi che le brillavano, parlava di questi eventi come se fossero frammenti di un libro.
 
“Siamo cambiate tanto da quando siamo arrivate qui.” Dissi io senza smettere di sorseggiare il mio latte bollente.
 
“Ah tu sicuramente. Finalmente hai smesso di comportarti come la regina d’Inghilterra.”
 
Mi fece ridere, ero riuscita a sostituire, almeno in parte la figura amichevole di Ginevra con quella di Lila.
 
“Ma tu non hai mai paura?”Chiesi io, anche un po’ ingenuamente.
 
Lila iniziò a ridere fra se e se, poi estrasse una sigaretta dal portasigarette in alluminio e se la posizionò accuratamente alla bocca, iniziando a fumarla. “Io ho sempre paura Alba. Soprattutto in queste serate così tranquille. Quando tutto sembra andare nel verso giusto, quando non sento il rumore delle bombe, quando non percepisco il pericolo e quando sento della musica in strada, io ho paura. Sono terrorizzata. Sento che può succedere qualcosa da un momento all’altro.”
 
“E come riesci a gestire con tanta tranquillità questa angoscia?”
 
“Sangue freddo Alba. Io credo che sia l’unico modo per poter sopravvivere. Siamo come neve al sole, dobbiamo solo essere capaci di far durare l’inverno un po’ più a lungo.”
 
“Io non penso di esserne capace. Penso che da un momento all’altro potrei crollare e lasciarvi da soli.”
 
“Alba, sei stata trafitta da un proiettile. Sei stata quasi violentata da un bastardo nazista. Tu sei quella che forse ne ha passate di più. Eppure sei ancora qui viva. Qui con noi. Siamo in una notte di venerdì qui, a non dormire come tutti e a parlare. Questa non la reputi fortuna?”
 
“Sì. Ma secondo torneremo a sognare?”
 
“Certo che torneremo a sognare Alba, dobbiamo solo fare di più. Per noi, ma soprattutto per i nostri figli e per chi verrà dopo.”
 
“La guerra, la carestia, non sono scene che vorrei far vedere a mio figlio, non vorrei che dovesse soffrire per colpa di gente scellerata.”
 
“Appunto. L’importante è non smettere mai di crederci, impegnandoci ogni giorno un po di più e pensare che tutti questi pezzi di merda devono restituirci tutti i minuti che ci hanno portato via. Per riuscirci, dobbiamo ragionare come se te fossi anche io, e viceversa.”
 
“Tu un sogno lo hai?”
 
“Certo. Fare l’attrice, andare via da qui. Andare in America.”
 
“In America?”
 
“Sì, voglio andare via. Voglio vivere anche io il mio sogno americano.”
 
“Il sogno americano...sciocchezze.”
 
“Si va beh, non dirmi che tu un sogno non lo hai.”
 
“Beh, in realtà il mio unico sogno è essere libera. Ma dopo che sarà finito tutto, dopo che sarò libera, non saprò più cosa fare.”
 
“Acquisita la libertà, puoi fare tutto quello che vuoi Alba. Vedi, è questo il bello. Tu puoi essere libera, ovunque sceglierai di andare, qualunque scelta farai. All’università,  a ballare in un caffè, in America. Tu puoi camminare a testa alta, a priori da chi sceglierai di amare. Una donna, come un uomo, deve solo essere se stessa. Puoi essere spensierata nei tuoi pieni 20 anni e devi essere matura per i 30, perché sono fasi che ti aiuteranno a comprendere tantissime cose. Puoi piangere per amore, ma solo per capire quello che non vuoi. Ti auguro di trovare un’amica che ti stia sempre accanto e che tu possa ritrovare una famiglia presente, e se non la troverai devi essere talmente forte da capire che puoi farcela benissimo da sola. Puoi sentirti sempre bella, in gonna, in sottana o anche in un paio di pantaloni, l’importante è che tu ti senta a tuo agio. Puoi decidere che fare una volta finito tutto: sposarti con Sandokan o con qualunque altro uomo, puoi continuare a studiare, puoi lavorare, puoi avere figli o non averne affatto. Puoi scegliere chi amare e puoi fare l’amore senza sentirti una puttana o sbagliata. Puoi scegliere che tutte queste ferite che stai accumulando possano distruggerti o possano darti la forza di ricominciare. Puoi rinascere dal male. Devi essere libera come l’aria Alba, devi essere sempre fedele a te stessa e a tutte le donne, devi fregartene dei giudizi, devi essere coraggiosa ed impavida. Non devi mai tradire te stessa o accontentarti o arrenderti. Devi essere più forte della violenza, solo così si vive.”
 
Guardavo Lila che pronunciava quelle parole una dietro l’altra come se si trattasse di una poesia o di un pezzo estrapolato da un libro. Adesso avevo capito. Tutte le sofferenze che avevo subito e che avrei continuato a patire nel corso della mia vita, per quanto potessero essere radicate nella mia mente e per sempre posizionate come cicatrici sul mio corpo, prima o poi si impara a convincervi e a farle diventare i nostri maggiori punti di forza. Rinascere dalle ceneri, come la fenice. Quella rappresentava la libertà. Scegliere ciò che secondo noi potrebbe farci stare bene, anche a costo di andare contro tutto e tutti. In quel momento, capii che volevo il movimento e non un vivere quieto e ordinario, volevo emozionarmi, mettermi in pericolo. Non volevo diventare come mia madre, destinata ad una mera esistenza, destinata ad essere l’ombra un po’ più sciatta ed aggobbita di mio padre. Non volevo essere la professoressa Dalmasso, servitrice di uno stato che non le prometteva nulla e non le garantiva nessuna libertà se non il poter insegnare cose insignificanti a degli studenti che una volta usciti da quelle 4 mure, non avranno capito niente di quello che si è imparato a scuola.
 
Non volevo essere come tutte le realtà femminili che mi circondavano, non volevo essere una madre, una moglie ma volevo essere una donna fiera, volevo essere una donna che poteva contare sulle proprie forze e poteva essere partecipe della vita sociale.
 
Abbracciai Lila che continuava a guardarmi mentre le prime lacrime si accingevano a scendere dalle mie pupille. Aveva un profumo buono, un profumo di una persona che sapeva voler bene alla gente. Lila sapeva cosa fosse il vero dolore ed era capace di trasmettere questo dolore alle altre persone per poterlo trasformare in coraggio. Questa metamorfosi Lila la aveva attuata grazie a sua madre , le aveva fatto comprendere che la libertà era una cosa utile alle donne ma all’intera umanità.
   
 
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