Da
quando per la prima volta, ormai tre mesi prima, avevo messo piede in
quella
casa, c'era solo una domanda che mi ronzava continuamente in testa. Non
riuscivo proprio a liberarmene, né a trovare una risposta
adeguata.
Era una
domanda anche piuttosto semplice rispetto a quelle che -riflettendoci
un po'-
potevano essere molto più legittime vivendo a casa
Tendo-Saotome. Nonostante
questo, però, la domanda in questione fu la costante della
mia estate
giapponese.
In
questo giorno, di cui sto per raccontarvi, finalmente ottenni la
risposta che
cercavo.
***
Tornate
fra i boschi, quella stessa notte, dovemmo affrontare i nostri compagni
di
viaggio: l’apprensione di Ryoga, imbestialito con Ranko per
aver trascinato
Akane e me in quella follia, e con Ranma, per non averlo portato con
sé quando aveva
deciso di venirci a prendere. Le “velate”
frecciatine di Shan-Pu “così
felice di vederci sane e
salve” a cui di certo sarebbe dispiaciuto davvero
tanto se per
caso ci fosse capitato qualcosa.
E poi gli abbracci soffocanti di Ukyo che si era preoccupata per
davvero, e
quelli ancor più asfissianti di Kuno, che non si faceva il
minimo scrupolo a
esternare platealmente tutto il suo “tremendo
penare” di quella notte.
Una
volta a casa invece, dovemmo affrontare la ben peggiore preoccupazione
di quei
componenti della famiglia rimasti a Nerima: Kasumi e il dottor Tofu,
divisi fra
il rimproverarci per il comportamento irresponsabile e il sollievo per
il
pericolo scampato; Genma, che non la smetteva più di gridare
dietro alla povera
Ranko -esattamente come faceva con Ranma- per non aver vegliato
abbastanza su
di noi; e Soun, letteralmente sprofondato in una valle di lacrime
nemmeno a
metà del racconto.
In
ogni
caso, a una settimana esatta da quegli eventi, mi trovavo nella mia
stanza e
guardavo fuori dalla finestra.
Anche la
mia partenza, così come il giorno del sì, si
stava avvicinando e un velo di
tristezza già adombrava i miei pensieri. I matrimoni shintoisti vengono generalmente officiati
in
primavera o in autunno e, dato che il mio ritorno a casa era
inesorabilmente
fissato per il nove di settembre, i due fidanzati avevano deciso che
quella
sarebbe stata la settimana giusta: un mese quasi autunnale e un giorno
che
garantiva ancora la mia presenza.
Era fine agosto, l'aria era ancora tiepida, e i preparativi
infervoravano. C'era sempre qualcosa da fare o da andare a comprare:
innanzitutto
gli addobbi per il giardino, perché si era deciso che il
matrimonio si sarebbe tenuto
a casa della sposa invece che dello sposo -come era tradizione-, e
stavano
allestendo un grande altare e dei gazebo proprio di fronte al bel
laghetto
turchese. E poi l'immancabile riso, il sakè migliore del
Giappone e del pesce
fresco. C'erano da ritoccare i vestiti, bisognava trovare qualcuno che
sapesse
ancora fare, nel ventunesimo secolo, le acconciature tradizionali,
chiamare gli
addetti alla musica e il fotografo, scegliere fiori e nastri,
organizzare il
ricevimento, le portate del pranzo... mancavano ancora così
tante cose da fare!
Tutti
correvano sempre da una parte o dall'altra, insieme o divisi, ma sempre
di
fretta e con qualche imprevisto che, puntualmente, faceva loro
dimenticare il
perché erano usciti e li faceva tornare a casa con un pugno
di mosche.
Ad
ognuno
di noi era stato affidato un incarico: Genma era stato scelto per
comprare il
tradizionale barile di sakè, lui che ne era un grande
intenditore, mentre
invece la sposa si era rifiutata di assumere uno chef : avrebbe
cucinato lei
tutte le pietanze del suo matrimonio. A Nabiki era toccato l'arduo
compito di
scegliere il fotografo e trattare con i fornitori, Akane andava e
veniva da
ogni sartoria della città, Ranma aiutava nelle decorazioni
mentre Soun presiedeva
ai lavori che si svolgevano nel suo giardino.
Persino
il vecchio Happosai pareva essere diventato una persona seria in quei
giorni, e
girava instancabilmente alla ricerca del regalo perfetto per
“la sua dolce
Kasumi”.
Io avevo
un compito speciale: le fedi.
Eravamo
tutti elettrizzati e pieni di energia.
L'unico
che invece sembrava meno frizzante degli altri era il signor Tendo, ed
era
proprio lui che stavo osservando dalla finestra della mia stanza quel
giorno.
Quando
avevo ricevuto la foto della famiglia che mi avrebbe ospitata,
corredata da una
bella lettera con i loro nomi, le loro descrizioni e un dolcissimo
“non vediamo
l'ora di conoscerti” alla fine, quello che mi aveva
impressionato più di tutti
era stato proprio lui: Soun, il capofamiglia.
Akane mi
aveva poi raccontato di come era morta sua madre, tanti anni prima, di
come
Soun aveva cresciuto lei e le sue sorelle, senza mai fargli mancare
nulla
nonostante le difficoltà, e di come aveva mandato avanti il
dojo di famiglia
lavorando instancabilmente senza battere ciglio. Fino a quando poi, un
giorno
che la mia amica ricordava benissimo, Genma e Ranma erano arrivati a
casa loro,
portando una dose incalcolabile di guai ma anche tanta, tanta allegria.
L'arrivo
del suo migliore amico, mi raccontò Akane, aveva ridato a
Soun un po' di speranza,
aveva riacceso la sua vita, ormai stanca e malinconica, segnata solo
dalla
fatica e dal dolore per la perdita della moglie, e gli aveva donato
quella
serenità che solo la consapevolezza di non invecchiare da
solo poteva dare.
Le
figlie erano state molto preoccupate per lui in passato, ma da quando
c'era
Genma sentivano che il loro papà aveva finalmente
riacquistato la gioia di
vivere, ed era quello uno dei motivi per cui Kasumi aveva deciso che
sì, poteva
sposarsi.
Guardandolo
in giardino, concentrato a cercare di accendere una vecchia pipa,
riconobbi sul
suo volto i segni della stanchezza. In pochi giorni si era fatto
visibilmente
più vecchio, e probabilmente il motivo era proprio questo
matrimonio. Era sì
felice per la maggiore delle sue bambine -e come avrebbe potuto non
esserlo?-
ma sentiva anche che una fogliolina del suo albero si stava staccando
dal ramo
e che nulla sarebbe stato più come prima.
Soun era
l'emblema dell'ospitalità: non si era fatto problemi ad
aprire la sua casa al suo
amico di gioventù e a suo figlio, e aveva donato loro,
soprattutto a Ranma, il
calore di una famiglia e la sicurezza che solo quattro mura sanno dare.
E non
aveva avuto difficoltà nemmeno ad accettare me, una
sconosciuta, per di più
straniera, in casa sua. Una che delle sue tradizioni non sapeva nulla,
che non
parlava la sua lingua, che probabilmente non avrebbe nemmeno apprezzato
e
capito quello che lui faceva per lei. Ma non importava, lui si era
preso in
casa quella biondina timida e silenziosa, le aveva messo un tetto sopra
la
testa, le dava da mangiare con il proprio sudore e per di
più la faceva anche
sentire bene.
“Io sono
Soun ma puoi chiamarmi papà” erano
state le sue prime parole e, da allora, non
le ho mai dimenticate.
Così,
quel giorno, dopo tutto quello che aveva fatto per me, decisi di fare
io
qualcosa per lui e scesi in fretta le scale per raggiungerlo.
<<
Vuoi una mano, papà Soun? >> gli chiesi
prendendogli di mano i
fiammiferi.
“Papà
Soun” era il modo in cui avevo deciso di chiamarlo.
<<
Oh grazie bambina, questa pipa mi sta facendo diventare matto!
>>
Accesi
io la pipa per lui e fu semplice. Poi mi porse il braccio e cominciammo
a fare
una passeggiata su e giù per il giardino, sorvegliando ora
questo, ora quello e
chiacchierando del più e del meno.
<<
Allora bambina mia, stai per andare via, non è
così? >>
<<
Ehm... sì... >> risposi con un filo di voce.
<<
Suvvia, non essere triste. Non è mica la fine. Sai, la mia
vita è stata
costellata di partenze, viaggi, amici che andavano via. In un modo o
nell'altro
ce l'ho sempre fatta. Chi parte poi torna, ricordatelo >>
<<
Sei molto saggio, papà Soun! >>
<<
Sono molto vecchio, vorrai dire! >> disse lui scoppiando
in una risata
che trascinò anche me.
<<
Mi dispiacerà lasciarvi... >>
<<
Non ci lascerai bambina, non del tutto almeno. Quando qualcosa scava la
superficie e ti entra dentro, poi non va via tanto facilmente. Se ti
abbiamo
lasciato un ricordo, un insegnamento, qualunque cosa, la porterai con
te. Vai
bambina, vai nel paese degli yankee e porta un po'
di Giappone! >>
mi rispose facendomi ridere ancora. Sapevo però che non
stava scherzando, anche
se quel modo bonario e sorridente di affrontare le cose lo faceva
sembrare
sempre in bilico fra il serio e il faceto, mi stava solo insegnando
un'altra
cosa, come sempre.
“Non c'è
modo migliore di insegnare che con il proprio esempio”
pensai, e mi strinsi un
po’ più forte al suo braccio.
Camminammo
tanto e a lungo, quasi fino al tramonto, quando il cielo si era
riannuvolato un
po' e sembrava bruciare di un arancio incandescente fra le crepe
lasciate dalle
nuvole grigio scuro.
Ogni
tanto Soun si fermava e gridava al malcapitato di turno frasi come
“mi
state distruggendo la casa”, “quell'albero
è più vecchio di me” o “non
ti
azzardare a dipingere le pareti del mio dojo”.
D'un
tratto l'uragano Nabiki rientrò in casa gridando:
<<
Vi voglio tutti attorno al tavolo fra un minuto! >> e
quando tutti la
raggiungemmo annunciò, dopo essersi enfaticamente schiarita
la voce: <<
Mia cara Kasumi, in qualità di tua testimone...
>>
<<
Ma... >> fece per interromperla la futura sposa.
<<
Sì, sì, lo so che tu non avrai testimoni
perché il tuo sarà un noiosissimo
matrimonio rispettoso delle tradizioni e bla bla bla…
>>
<<
Guarda che anche nei matrimoni tradizionali ci sono i testimoni
>> la
corresse un annoiatissimo Ranma.
<<
Ah davvero? Bravo Ranma, l'esperto
di marimoni! >> Per tutta risposta il ragazzo si
strozzò e cerco di controbbattere a quella strana -pensai
io- affermazione, ma Nabiki non gliene diede il tempo:
<< Be', meglio così. Insomma, in
qualità di tua testimone ti ho
organizzato l'addio al nubilato!! >>
<<
Che cosa!? >> gridarono praticamente all'unisono gli
altri componenti
della famiglia.
<<
Sorpresa! >> li schernì Nabiki.
<<
Iena, cosa hai combinato? >> fu Ranma il primo a parlare.
<<
Certo Nabiki che sei proprio incorreggibile!! >> gli fece
eco Akane.
<<
Che cos'è un addio al nubilato? >> chiese
innocentemente Kasumi e, se
fossimo stati in un cartone animato, sarebbe spuntata la tanto
proverbiale
“goccia di disappunto” dietro le teste di ognuno di
noi.
<<
Ma come Kasumi? In che razza di secolo vivi? >>
tuonò Nabiki enfatizzando
con la mimica facciale le parole cariche di stupore.
<<
Sto scherzando sciocchina, so cos'è. Ti volevo appunto
chiedere di organizzare
qualcosa. Ho visto in una pubblicità una “beauty
farm”, tu ci sei mai stata,
Jude? >>
<<
Sì, certo. È un posto dove si va per rilassarsi.
Ti fanno dei massaggi speciali
e delle maschere con le alghe o con il fango. A volte anche manicure e
pedicure! >> risposi.
<<
Oh no, non voglio niente di tutto questo! >>
<<
Ma veramente io ho già organizzato tutto... >>
tentò Nabiki.
<<
Trovato! Sapete dove vorrei tornare? In quel villaggio dove la mamma ci
portava
sempre da bambine. Quello in cui Akane è stata qualche anno
fa, ricordate?
>>
<<
Ryugenzawa? >> chiese quasi con timidezza la
più piccola delle sorelle.
<<
Sì! Proprio Ryugenzawa! Come vorrei tornarci! Che dici
Nabiki, potremmo andare
lì per il mio addio al nubilato? O avevi altri piani?
>>
<<
Oh no, figurati... E tanti saluti gran casinò!
>>
***
E
così
mi ritrovai ancora una volta su un treno, diretta verso la stazione di
una
città dal nome impronunciabile.
Il dottor
Tofu aveva accettato di buon grado la richiesta della futura sposa di
festeggiare il suo addio al celibato nello stesso posto, e aveva
chiesto ai
suoi testimoni, Ryoga e Ranma, di andare con lui. Il primo aveva detto
subito
di sì, eccitato per l'ennesimo viaggio, mentre il secondo
aveva acconsentito
quasi ringhiando e adesso se ne stava seduto da solo, lontano da noi.
Era
strano per un ragazzo vivace come Ranma starsene in disparte, senza
proferire
una parola, con le cuffie alle orecchie e un'espressione davvero
corrucciata
dipinta sul volto. Quella mattina era stato talmente nervoso che non si
era
nemmeno fatto la barba, come invece faceva sempre, e non aveva toccato
cibo,
cosa che definire “strana” sarebbe riduttivo.
Nemmeno
Akane aveva parlato molto, li avevo sentiti litigare, ma questa era una
cosa
che facevano talmente spesso che non mi era parso ci fosse niente di
anormale.
Lo
osservai per un momento: gli occhi sbarrati ma affatto rilassati, si
vedeva
palesemente che non dormiva, le braccia incrociate come se volesse
allontanarsi
-o ripararsi- dal resto mondo e un'aurea scura che lo circondava. Non
ero il
massimo nell'avvertire il ki delle persone, ma persino una principiante
come me
poteva percepire perfettamente la negatività che l'energia
interna del corpo
di Ranma sprigionava.
Mi dispiaceva
moltissimo vederlo in quello stato, così mi armai di
coraggio e decisi di fare
un tentativo.
<<
Ranma...? >> lo chiamai avvicinandomi, dopo aver scostato
dal suo
orecchio una cuffietta.
<<
Uhm? Ah, sei tu, Jude. Dimmi >>
Mi misi
accanto a lui in uno slancio di audacia di cui non capivo la
provenienza:
<< Perché te ne stai qui seduto tutto solo?
>>
<<
Sono nervoso >> mi rispose, come se i pugni stretti tanto
da far
diventare bianche le nocche non fossero un indizio sufficiente.
<<
Sì, questo lo avevo capito >> ironizzai.
<< Non ti piacciono le
feste? >>
<<
Non è quello il problema. >>
Un'altra
risposta secca del genere e me ne sarei andata. Cominciavo a capire
Akane
quando lo definiva “insopportabile”.
<<
Allora il problema è Ryug, Ryuiiu, Rug... oh, non
riuscirò mai a dirlo!
>>
<<
Ryugenzawa? >>
<<
Quella roba lì. >>
Ranma
non rispose ed io decisi di cambiare approccio.
<<
Cosa ascolti? >> chiesi fingendomi interessata ad altro.
<<
November Rain
>>
Alzai
gli occhi al cielo. Il più delle volte era un ragazzo
adorabile, davvero, ma
quando si chiudeva in se stesso e diventava un vero e proprio cuore di
legno
-massello per giunta-, avrebbe fatto perdere la pazienza perfino a un
santo.
<<
Posso? >> domandai prendendo la cuffietta che avevo
lasciato cadere poco prima.
<<
Certo >>
Mi
avvicinai un po' di più, fino a sfiorare i lembi della sua
felpa grigia e mi
misi a guardare fuori dal finestrino. Il paesaggio scorreva velocemente
e, man
mano che ci allontanavamo dalla città, diventava meno grigio
e più verde, il
sole appariva più brillante e le case erano sempre
più rade. Ce ne stemmo così
per un po', ad ascoltare la musica senza parlare. Ogni tanto notavo che
gli
altri, soprattutto Akane, ci guardavano, ma non facevano nemmeno un
passo nella
nostra direzione.
Non ero abituata
a rimanere sola con Ranma e davvero non sapevo come comportarmi. Era un
ragazzo
strano, mi piaceva, ma mi spaventava terribilmente. Era una di quelle
persone
su cui si desidera fare colpo, perché sono belle e
interessanti, ma quando ci
si sta insieme poi, si finisce sempre per dire qualcosa di stupido.
<<
Perché detesti il posto in cui stiamo andando?
>> lo incalzai di nuovo
quando notai che aveva sciolto le braccia e riaperto gli occhi.
<<
Non detesto Ryugenzawa, non c'è niente da detestare
lì. La cittadina è
minuscola, siamo fortunati che esista addirittura un albergo. La
foresta è...
una foresta, come tutte le altre, con una stupida sorgente e uno
stupido lago
>>
Mi
sporsi in avanti per guardarlo: aveva lo sguardo rivolto fuori dal
finestrino,
l'espressione corrucciata e una mano a reggergli la testa. Si accorse
del mio
movimento e scostò il viso per guardarmi a sua volta.
<<
Cosa c'è? >> mi chiese fingendo un'aria
innocente.
<<
“La cittadina è minuscola”,
“stupida sorgente”, “stupido
lago”... sei sicuro di
non detestare nulla? >> Adesso la finta innocente ero io.
<<
Beh... forse non è uno dei miei posti preferiti ecco ma...
addirittura
detestarlo... >>
<<
Ah, ok. Allora ti sei venuto a sedere qui da solo per dimostrare in
maniera
alternativa la tua felicità? >> chiesi,
appositamente sarcastica.
<<
Jude, stai con Akane da troppo tempo sai? Vi somigliate sempre di
più! Mi eri
simpatica! >>
Sorrisi.
<<
Non cambiare argomento! >> scherzai, prendendo coraggio
dal suo fare
sempre più amichevole e dall'impressione che la sua aurea
nera stesse man mano
scemando.
<<
Scherzavo, sei peggio di Akane!
>>
<<
R-a-n-m-a! >>
Rise,
finalmente.
<<
Ok, ok! Faccio il serio. Non detesto Ryugenzawa, detesto il ricordo di
Ryugenzawa. C'è... c'è una persona che non mi
piace lì, non la vedo da molto
tempo e vorrei continuare a non rivederla per... tipo tutta
l'eternità! Mi sono
spiegato? >>
<<
Benissimo >> risposi senza smettere di fissarlo.
Chissà chi era questa
persona. Un'altra delle ragazze innamorate di lui? O forse un acerrimo
nemico?
Sua madre? (Effettivamente in tre mesi non l'avevo mai vista e nessuno
aveva
accennato alla sua morte, per cui avevo cominciato a credere che non
scorressero buoni rapporti fra loro). Di sicuro quel posto rievocava in
lui
ricordi malinconici perché il blu dei suoi occhi non era
bello e tempestoso
come sempre, ma spento, quasi opaco.
Sorrideva,
amaramente, aveva preso a ridere e scherzare con me, ma io vedevo che
la sua
ritrovata serenità non era completa.
<<
Torni di là con noi? >> chiesi poi, cercando
di risultare più dolce che
speranzosa. Lui rimase in silenzio. << Dai, tanto ormai
siamo in ballo,
balliamo! >>
<<
Eh? Vuoi ballare? >>
<<
È un modo di dire, Ranma. Insomma, cosa puoi farci? Nulla.
Allora ti conviene
cercare di stare bene, altrimenti ti rovini tutto, anche quello che
potresti
evitare... >> mi stupii da sola di tutta quella saggezza.
Il Giappone
stava evidentemente facendo bene al mio animo da yankee. O forse
erano i
viaggi. O, più probabilmente, entrambe le cose.
Mi alzai
e gli porsi la mano: << Coraggio! Scommetto che sentono
la tua mancanza!
>> dissi indicando con un cenno del capo il gruppetto
qualche sedile più in là. Akane ci stava
guardando di nuovo.
<<
Questa canzone è bellissima >> disse Ranma per
tutta risposta, quindi afferrò
la mia mano per riportarmi accanto a lui << Ascoltala
>>
La voce
di Axl Rose intonò “Paradise
city” e mentre lui cantava, Ranma
mimava le parole senza emettere suoni:
“Take
me down to the paradise city
Where
the grass is green and the girls are pretty,
oh, won't
you please...”
<<
Take me home!! >> cantò poi
ad alta voce, guardandomi negli occhi
come se quelle parole fossero un messaggio, e io capii che no, non
avrebbe
“ballato” questa volta.
***
<<
Come sarebbe a dire che non ci sono più stanze disponibili?
>> sbraitò
Nabiki (ovviamente in giapponese) nella hall del piccolo hotel.
Avevamo
lasciato la stazione e ci eravamo avviati, sotto il sole cocente di
mezzogiorno, verso l'albergo che Nabiki aveva prenotato in fretta e in
furia la
sera prima.
Arrivati
al centro di quella che era davvero una cittadina minuscola, ci
attendeva però
un'amara sorpresa. Evidentemente il check-in online non era andato a
buon fine,
il fatto che non avesse chiesto i dati della carta di credito avrebbe
potuto essere
preso come indizio, ma Nabiki aveva scelto di interpretarlo come un
colpo di
fortuna. Solo che adesso ce ne stavamo impalati, zaini in spalla, con
le facce
attonite di chi non sa se credere se sia uno scherzo o la
realtà.
La
receptionist si profuse in una marea di scuse, quasi in ginocchio,
mentre
Nabiki era ormai fuori controllo: << Come diamine
è possibile? Avevo
prenotato, pre-no-ta-to! Una quadrupla e una tripla. Controlli!
Ricontrolli!
Controlli ancora! >>
L'impiegata,
con un tailleur blu notte e i capelli tenuti saldi da un tiratissimo
chignon,
continuava a fare segno di “no” con la testa.
<<
Tendo? Tofu? PROVI ANCORA! Non è possibile! Nabiki, provi
con Nabiki.
Accidenti! Saotome? Hibiki? Jude qual è il tuo cognome?
>>
<<
Cosa sta dicendo? >> chiesi ad Akane << Ho
sentito il mio nome
>>
<<
Niente, >> rispose lei staccando la sorella dalla
scrivania della
reception << c'è stato un errore e a quanto
pare non abbiamo dove dormire
adesso. >>
<<
Errore? Ma quale errore? Io li faccio chiudere per sempre!
>> continuava
a gridare Nabiki con i pugni all'aria, rivolta all'hotel da cui la
stavano
letteralmente trascinando via.
<<
Mi dispiace tremendamente, >> disse Kasumi una volta
fuori, << è
colpa mia. Nabiki, per favore, non arrabbiarti così, sei
tutta rossa. >>
La
sorella si rimise in ordine il caschetto: << Hai ragione,
troppo sforzo
per quegli inutili imbecilli! >> alzò
appositamente la voce sull'ultima
parola, sempre in direzione dell'hotel << Adesso devo
solo trovare una
soluzione... >>
<<
Per tua fortuna, Nabiki Tendo, esisto io! >> disse una
voce conosciuta
che ci fece girare tutti contemporaneamente.
Appena
dietro di noi, con lo sguardo furbo e soddisfatto, Kuno se ne stava a
braccia
conserte.
<<
Tu? E cosa ci fai tu qui? >> esclamò Nabiki
strabuzzando gli occhi.
<<
Anche io sono felice di vederti, dolcezza >> fece il
ragazzo,
avvicinandosi << Ho deciso di venire con voi, ovvio! Per
qualche assurdo
motivo decidete sempre di escludermi dalle cose più
divertenti! E poi io e il
caro vecchio dottor Tofu siamo amici, non è vero ONU?
>> finì, dando dei
colpetti sulla spalla del suo interlocutore.
<<
Ma veramente sarebbe Ono... >>
rispose quello poco convinto.
<<
Onu, Ono, fa lo stesso! Ora su, andiamo! Il vostro beniamino ha
già prenotato
una bellissima pensione in mezzo alla foresta! >>
<<
Ma che diavolo... >> stava dicendo Ranma quando
all’improvviso, alle
spalle Kuno, sbucò anche il resto della strampalata
combriccola: Ukyo, Shan-Pu,
Mousse, Alexander e Ranko.
<<
Siamo venuti anche noi! >>
<<
Così imparate a non chiamarci mai! Antipatici!
>>
<<
Ailen, da te non me lo sarei mai aspettata! >>
<<
Shan- Pu, amore della mia vita, dove vai? >>
<<
Io non sono Shan-Pu stupido idiota! >>
“Ci
risiamo”, mi ritrovai a pensare e, per la prima volta, non mi
stupii affatto di tale
pensiero: era tutto normale.
<<
Uh che bello, ci siete tutti! >> squittì con
voce angelica Kasumi
<< Come sono felice! Guarda Ono, abbiamo tanti amici che
vogliono
festeggiare con noi! >>
<<
Sì, guarda ONU, quanti amici hai che
sono venuti solo ed esclusivamente
per festeggiare con te! >> le fece eco Nabiki mettendo
ironicamente un
braccio intorno alle spalle del futuro sposo. Il suo pungente sarcasmo
cozzava
terribilmente con la tenera ingenuità della sorella maggiore.
Le tre
sorelle Tendo erano come i frutti di bosco: Kasumi era ovviamente una
fragola,
il frutto più grande e dal sapore più dolce;
Nabiki era senza ombra di dubbio
un mirtillo, piccolo, aspro e terribilmente difficile da acchiappare; e
Akane
era come un lampone: all'apparenza morbida e invitante, ma sapeva
nascondere un
carattere deciso e vivace.
Forse
Ranma poteva essere una mora, il frutto dal sapore decisamente
più forte, e
Ranko un piccolo ma letale ribes rosso.
Shan-Pu
era melensa e acidognola come l'amarena, Mousse era senz'altro un gelso
bianco.
Ryoga era potente come le bacche di sambuco, mentre Ukyo era
leggermente aspra
e intensa come una ciliegia. Kuno era pregiato come l'uva spina, invece
il
dottor Tofu non poteva essere un frutto di bosco, bensì una
rassicurante mela,
che sapeva di casa e di serenità. Alexander era una
castagna, dura all’esterno ma
dal cuore d'oro e io, beh io ero il pomodoro. Molti lo credono una
verdura ma
in realtà è un frutto. Un frutto un po' strano,
certo, un outsider della
frutta! Il pomodoro era proprio la metafora perfetta della mia
situazione in
Giappone: apparentemente non si può mettere nella macedonia
ma in realtà, anche
se è un po' diverso, basta cambiare la concezione della
gente ed eccolo lì, in
bella mostra a far capolino con su il cartellino
“frutta”. I pensieri comuni
non riguardano il pomodoro, tuttavia lui ha attraversato continenti
interi ed
alla fine è riuscito a farsi voler bene in ogni parte del
mondo. Chi lo beve
come succo, chi lo mette nell'insalata, chi lo usa come condimento
della pasta.
Il pomodoro si adatta e, con la sua dolcezza, sta bene in ogni
situazione. Il
pomodoro è il frutto dell'integrazione, proprio come me:
americana fino al
midollo, che, pur avendo abitudini e visioni del mondo totalmente
differenti, mi
ero ritrovata a sguazzare felice e con naturalezza in mezzo a dei
frutti di
bosco. Ero un pomodoro che aveva scoperto un mondo diverso e ci si
trovava
benissimo.
***
Parlando
di boschi, la foresta, quella vera, circondava ogni lato della piccola
cittadina di Ryugenzawa. Abituata come sono sempre stata alle
città e ai
paesaggi mastodontici dell'America, le splendide vedute giapponesi mi
lasciavano sempre senza fiato. Eppure, quella volta, mi
sembrò di scorgervi
qualcosa di diverso. Non era solo un bel panorama, ma era la natura,
nel suo
stato più puro e maestoso, che, incontaminata, ti parlava.
Al suo interno, si
aveva la percezione che il resto del mondo fosse rimasto fuori, di
essere
sospesi in una bolla di sapone. Tutti i suoni erano amplificati, anche
la più
piccola delle formiche lavorava con l'aria per creare un'atmosfera
unica e
quasi mistica. Lì dentro non esisteva altro che la foresta
stessa, con il suo
fluire costante che si adattava tanto bene allo scorrere del sangue
nelle vene.
Sembrava di essere in una specie di connessione cosmica con la Terra.
Si poteva
percepire, nel senso più intrinseco del
termine.
Camminavamo
in fila, senza proferire parola, ciascuno incastrato fra i propri
pensieri,
come spesso succede di fronte alla magnificenza della natura.
<<
Eccoci, siamo arrivati! >> la voce di Kuno
spezzò il silenzio.
<<
Hotel-pensione Orochi… ma è uno scherzo?
>> gridò Ranma non appena ci
trovammo dinnanzi a una piccola casetta di legno chiaro. Akane
spalancò occhi e bocca, come paralizzata
da una forza estranea.
<<
Io me ne vado >> disse subito dopo Ranma, ruotando il
corpo di
trecentosessanta gradi e spiccando una lunga e rabbiosa
falcata in
direzione del bosco. Ryoga lo bloccò per un braccio ma lui,
con un gesto deciso,
se lo scrollò facilmente di dosso.
<<
Ma che razz… >> imprecò il ragazzo
e lo seguì correndo. Nel frattempo,
Akane era ancora attonita, come in trance.
<<
Che sta succedendo? >> chiesi timidamente a Nabiki ma,
prima che lei
potesse rispondermi, un gentile vecchietto con la voce graffiante
uscì dalla
porta principale camminando lentamente verso Akane, per poi
abbracciarla con
garbo.
Gli
eventi si susseguirono con un ritmo strano: il tempo sembrava scorrere
lento,
come se ogni secondo pesasse quanto un’ora, ma tutto si stava
svolgendo
rapidamente, i cambiamenti erano repentini e la confusione tanta,
tantissima.
Un attimo prima camminavamo tranquillamente attraverso la foresta, e
l’attimo
dopo Ranma se n’era andato più arrabbiato che mai,
Ryoga l’aveva seguito di
corsa, Akane era in stato di shock e nessuno, eccetto probabilmente
Nabiki, sembrava
capire cosa stesse accadendo.
Scambiai
un’occhiata nervosa con Alexander e rabbrividii,
improvvisamente sembrava facesse quasi
freddo.
Akane
non prestava ascolto alle parole del buon vecchietto e continuava a
guardare
dietro di sé, in direzione della foresta. In direzione di
Ranma.
Ukyo si
avvicinò con cautela: << È una mia
impressione o è tutto molto strano?
>> sussurrò appena.
Il tempo
pareva essersi cristallizzato, le cose accadevano, i minuti scorrevano,
ma tutti
noi sembravamo come fermi al momento del nostro arrivo. Ad eccezione
del
proprietario della pensione nessuno parlava, avevamo lo sguardo
allibito e ci
guardavamo intorno confusi.
All’improvviso
un altro estraneo si materializzò davanti ai nostri occhi:
un ragazzo alto, con
i capelli castani legati in una piccola coda, gli occhi a mandorla
color
ghiaccio e il sorriso gentile.
<<
Akane! >> gridò, e corse ad abbracciarla,
sollevandola in aria e
facendola roteare assieme a lui in uno slancio di felicità.
Lo
sconosciuto continuò a parlare ma Akane pareva non sentirlo:
sorrideva
mestamente eppure il suo sguardo non era a fuoco sul viso di lui, come
se fosse
lontano, da un’altra parte.
<<
Tutto questo è ridicolo! >> disse
all’improvviso Ranko, anche lei visibilmente
stranita.
<<
Be’ allora, entriamo? Nabiki Tendo cosa hai messo dentro a
questa valigia? Pesa
un accidente! >> concluse Kuno.
Un ultimo sguardo alla foresta, vicina ma
più lontana che mai, e la porta si richiuse alle nostre
spalle.
Ci
sedemmo tutti attorno a un classico tavolo giapponese, aspettando che
il nostro
ospite finisse di preparare il tè.
<<
Perché Ranma è scappato via così?
>> sussurrò Kasumi rivolgendo gli occhi
preoccupati in direzione delle sue due sorelle.
<<
Non badarci. >> rispose Nabiki <<
Allora… tu devi essere il famoso
Shinnosuke! >> disse poi rivolta al bel ragazzo seduto
accanto ad Akane.
<<
Sì, il mio nome è Shinnosuke. Perdonatemi se non
mi sono presentato prima ma
ero così felice di rivedere Akane! >> Nabiki
aveva chiesto di parlare in
inglese, data la presenza mia e di Alexander.
<<
Ah, vi conoscete? >> domandò innocentemente il
dottor Tofu.
<<
Da tempo ormai! Anche se non ci vediamo da un po’ in
effetti… vero Akane?
Ricordi l’ultima volta che… Akane?
>> ma la ragazza non lo guardava. Lo
sguardo fisso sulla porta, non parlava e non sbatteva le palpebre.
<<
Akane? >> ripeté lui scuotendola appena.
<<
Eh? Io… io… >>
<<
Akane stai bene? >>
<<
Io… >>
<<
Ma che le prende? >> chiese Shinnosuke rivolto a noi.
<<
Niente Shin, niente. Akane, torna fra noi! Gli
passerà… >> rispose
Nabiki.
<<
Ecco, è pronto il tè! >> disse
allegramente il vecchietto porgendo a
ognuno di noi una piccola tazza nera senza manico dal cui interno
proveniva un
buonissimo odore di menta.
<<
Insomma, cara Akane, come stai? Racconta qualcosa di nuovo a questo
povero
vecchio. >>
Akane
non proferì parola.
<<
E dove sono quei due bei giovanotti tuoi amici? Non li hai portati
questa
volta? >>
Ancora
silenzio.
<<
Akane, per tutti i Kami! >> gridò Nabiki
dandole uno scossone sulla
spalla.
<<
Oh, io, ecco… scusatemi… non mi sento molto bene
>> sussurrò infine. Non sembrava essere in
sé, non sembrava essere la stessa di sempre,
quella ragazza sorridente e un po’ irascibile ma con gli
occhi dolci e gentili.
I suoi occhi quel giorno parevano spenti, come se tutto il colore e la
gioia
che da sempre li distinguevano si fossero improvvisamente dissolti,
scomparsi.
O forse, più
semplicemente, anche loro avevano spiccato un rabbioso salto verso la
foresta e
non erano ancora tornati.
<<
Akane hai la febbre? >> le chiese Shinnosuke toccandole
la fronte con il
palmo della mano. La ragazza lo scansò in fretta, come se
quel tocco le
bruciasse e chiese solo di poter essere accompagnata alla sua camera.
<<
Ma certo, vieni.>>
Ed
entrambi uscirono dalla stanza lasciando a Nabiki, l’unica
che sembrava non
aver mai perso il filo degli eventi, l’arduo compito di
intrattenere il
pubblico. Senza fare una piega, come il suo perfetto caschetto liscio,
riportò
per filo e per segno gli avvenimenti che avevano condotto questo
variegato
gruppo di giovani in una pensione, nel mezzo della foresta di un
piccolo
paesino giapponese dimenticato da Dio e dagli uomini.
<<
Congratulazioni agli sposi! >> disse l’anziano
padrone al termine del
racconto.
<<
Chi si sposa? >> domandò Shinnosuke, appena
rientrato nella stanza
comune, con un velo -seppur appena accennato- di allarme nella voce.
<<
Tu che pensi? >> rispose secca Nabiki.
Il
ragazzo non rispose ma frugò con lo sguardo in mezzo a noi.
Cercò negli occhi
bassi di Shan-Pu, che non faceva altro che mandare freneticamente
messaggi dal
suo cellulare; cercò in quelli di Mousse, nascosti dagli
spessi occhiali ed
estremamente concentrati sulle rapide dita della sua innamorata;
cercò negli
occhi di Kuno, seduto a braccia conserte accanto a Nabiki; poi in
quelli dolci
e preoccupati di Ukyo, che guardavano continuamente fuori dalle
vetrate, e in
quelli di Ranko, altrettanto irrequieti. Pensò di ottenere
la risposta negli
occhi castani di Alexander, che cercavano i miei in domande mute, ma
quando
infine la trovò, non fu in due occhi, bensì in
due mani, intrecciate. Kasumi e
il dottor Tofu tenevano l’uno la mano dell’altra in
bella mostra sul tavolo di
legno, senza vergogna alcuna per quel gesto d’affetto tanto
naturale e innocuo
nel mio Paese, quanto estremamente significativo in quello in cui mi
trovavo.
In Giappone, e lo avevo notato subito al mio arrivo accolto dal
“saluto
occidentale”, erano molto meno inclini alle
manifestazioni di
affetto. C’era un rispetto tutto particolare per lo spazio
personale altrui,
tanto che a me pareva che le persone si toccassero davvero solo quando
combattevano. Ad eccezione di Shan-pu, parecchio più
disinibita degli altri,
era facile notare quanto rare fossero le occasioni in cui due persone,
soprattutto
se di sesso opposto, si toccavano. Il corpo è un tempio,
cita la filosofia
orientale, e va rispettato al pari di un luogo sacro. Mi ero sempre
chiesta
perché, salvo qualche rara eccezione, Ranma facesse molta
attenzione a non
toccarmi, così come Ryoga e, a modo suo, anche Kuno. Tutte
le volte che Nabiki
voleva provocare una qualunque reazione, come alla festa di Kodachi, il
senso
del tatto faceva da apri fila. Non era timidezza o riservatezza, era
rispetto.
Come se il mio corpo, il mio tempio, e quello di chiunque altro, uomo o
donna
che fosse, potessero essere toccati solo da chi dimostrava di averne
il diritto. Un diritto che non era concesso a tutti, a un
amico o un compagno
dell’università. Tuttavia, a un maestro con i suoi
allievi, sì. E, difatti , né
Ranma, né Ryoga e nemmeno Soun o Genma
si erano mai fatti problemi mentre mi allenavo con loro; e
neppure in
situazioni di pericolo o di necessità, come quando rischiavo
di cadere dalla
recinzione verde che, tutte le mattine, Ranma percorreva in bilico sul
bordo, o
come tutte le occasioni in cui quest’ultimo ci aveva
salvate o tirate fuori
da una situazione scomoda. Ma non solo. Tale diritto era
concesso, ne presi
coscienza solo in quel momento, anche a chi si amava. Da
qualche tempo ormai, non era raro vedere Kasumi e il dottor Tofu
tenersi per
mano o vedere lui darle un dolce bacio sulla fronte quando rincasava la
sera.
Toccarsi
era per loro un gesto d’amore, o di dichiarato amore, come
tutte le volte in
cui Mousse cercava di avvicinare la sua bella connazionale; Shan-Pu o
Kodachi
si strusciavano addosso a Ranma e Yuka e Sayuri cercavano di
accaparrarsi le
braccia di Alexander. Per non parlare di Kuno
che, sempre meno velatamente, cingeva la vita di
Nabiki, e di Ukyo,
quando sfiorava le mani di Ryoga.
O di
Ranma, quando toccava Akane. Quando le punzecchiava la guancia con il
dito,
quando le lambiva i fianchi per poi dirle che erano enormi, quando le
toglieva
una ciglia caduta rimasta sul viso, quando le sfiorava una gamba con
una delle
sue mentre eravamo seduti attorno al tavolo da pranzo, quando la
prendeva in
braccio, quando, ogni volta che le era vicino, finiva sempre con il
toccarla.
Non li avevo mai visti baciarsi, ma in quel momento fui più
che
sicura che quelle che avevo visto fino ad ora non fossero altro che
dimostrazioni
d’amore.
Shinnosuke
che si inchinava ed esprimeva la propria felicità per
l’imminente matrimonio,
avendo notato il bell’anello di fidanzamento
sull’anulare sinistro della futura
sposa, mi ridestò dai miei pensieri.
<<
I miei migliori auguri! Come sono contento! >>
<<
E ci credo che è contento… >>
bisbigliò Ranko accanto a me.
Io la
guardai in modo -evidentemente- interrogativo, perché lei
sentì subito il
bisogno di aggiornarmi sulla situazione: << Questo
bellimbusto, questo cretino
>> enfatizzò << è
innamorato di Akane >>
<<
Strano! >> ironizzai.
Ranko
sorrise ma tornò subito seria << Per poco non
ha mandato tutto a monte!
>>
<<
Tutto cosa? >> chiesi incuriosita.
<<
Ma ovviamente… >>
<<
Be', volete vedere le vostre stanze? Vi accompagno, così poi
possiamo andare
alla sorgente a fare una gita, che ne dite? >> disse il
diretto
interessato interrompendoci e Ranko non riprese più il
discorso.
Shinnosuke mi lasciò sull’uscio, entrambi convinti
che all’interno
Akane stesse riposando. La stanza era piccola ma ben fornita, con un
minuscolo
bagnetto senza finestre e due bei letti in legno con materassi e
coperte rosa,
all’occidentale, un grande specchio posizionato sopra una
scrivania, anch’essa
di legno, tende bianche e una finestra che affacciava sulla foresta.
Tutto
sommato, non era male. Carina, confortevole…e soprattutto
vuota.
Sul
letto che Akane aveva scelto per sé, trovai un minuscolo
biglietto: “Sono
andata a cercarlo, scusami se non ti ho avvertito prima ma non volevo
che
qualcuno mi seguisse. Non farne parola con nessuno, ti prego. Tua,
Akane”.
“Lo
sapevo” pensai mentre mi affacciavo per guardare la placida
foresta che si
allargava all’orizzonte. “Chissà se li
ha trovati. Chissà cosa è successo”.
Proprio
in quel momento la porta si aprì senza preavviso e Ranko e
Nabiki fecero
irruzione nella mia stanza.
<<
Se sei nuda mi dispiace, ma niente che non abbia già visto
>> disse la
prima a mo’ di avvertimento, dopo essere già
entrata.
<<
È andata a cercarlo, vero? >> mi chiese Nabiki.
<<
No, è… è… uscita
per… prendere un po’… di aria!
>> risposi, cavandomela
-pensai- benino.
Ma se
c’era una cosa che ormai avevo imparato, era che a Nabiki
nulla si può tenere
nascosto a lungo. Alzò solamente un sopracciglio, per
mostrarmi la sua poca
convinzione e mi strappò delicatamente il biglietto che
tenevo ancora fra le
mani.
<<
Come pensavo >> sussurrò passandolo a Ranko
che si limitò ad annuire.
<<
Be', andiamo alle sorgenti? Voi avete messo il costume?
>> chiese poi la
ragazza dai capelli rossi.
<<
Ma come, non andiamo a cercarla? >>
Le due
si guardarono.
<<
Ma è pericoloso! Da sola, nella foresta! >>
<<
Suvvia Jude, come sei ingenua. Lui la troverà prima ancora
che lei abbia cominciato
a cercarlo >> rispose con disarmante
semplicità Nabiki.
<<
E Ryoga? >>
<<
Di lui non preoccuparti, non c’è nemmeno arrivato
alla foresta, probabilmente
si è già perso! >> rise Ranko e,
prendendomi sottobraccio, mi trascinò
fuori.
***
Le
sorgenti
erano una visione paradisiaca. Piccole rocce grigie incastonate a
semicerchio racchiudevano
le acque cristalline di un grazioso laghetto. Al suo interno, ci
raccontò
Shinnosuke da perfetta guida turistica, si trovano delle profonde
grotte,
dimora del leggendario Orochi, un drago dalle otto teste
particolarmente
attratto dalle belle ragazze.
<<
Che sciocchezze! >> sentenziò Shan-Pu alla
fine del racconto. <<
Dove sarà il mio Ranma piuttosto? >>
<<
A cosa ti serve Ranma quando hai me, gattina? >> le
sussurrò Mousse
dolcemente.
<<
Che me ne faccio di te, brutta talpa? Con Akane fuori dai piedi potevo
farmi un
bagno con il mio Ailen… >>
<<
Quindi è venuto anche lui… >>
mormorò Shinnosuke vagamente seccato.
<<
E non azzardarti ma più a chiamarmi gattina, che
schifo!>>
<<
Akane non è fuori dai piedi! È…
è… stanca! >>
<<
Non mi interessa come è Akane! Adesso non
c’è e io potrei stare un po’ da sola
con Ranma se non fosse andato via… >>
<<
È andato via? >>
<<
Non temere memoria corta, tornerà! >>
<<
Dove è andato? >>
<<
A fare un giro nei boschi. All’università ha letto
Walden(*) e si è
appassionato. Oh, insomma, adesso basta! >>
esclamò Nabiki << Quel
che fanno Ranma e Akane non è affar vostro! Questo
è un addio al nubilato! >>
Mentre
gli altri litigavano, Alexander mi sussurrò
all’orecchio: << Tu ci stai
capendo qualcosa? >>
<<
In realtà no… >>
<<
Io vado a vedere come sta Akane, voi godetevi le acque della sorgente
>>
<<
Ma dove vai, Shin… >> Nabiki lo prese per un
braccio << Sei la
nostra guida! Akane è grande e grossa, se la sa cavare
benissimo da sola.
Rimani qui con noi, dobbiamo festeggiare… >>
e, così dicendo, rivolse
un’occhiata allusiva a Ranko e me.
<<
Strip poker? >>
<<
Che cos’è? >> domandò
ingenuamente Kasumi e anche il riluttante
Shinnosuke si mise seduto sul prato umido.
***
“L’ingenua”
vinse tutte le mani, lasciando -non metaforicamente- Kuno in mutande,
mentre la
mia mente vagava verso una sola direzione.
Mi
trovavo bene con tutti, ad eccezione di chi avevo frequentato meno, ma
senza
Akane mi sentivo quasi persa. Ranko era un’ottima spalla e si
applicava per
essere una sostituta impeccabile ma io non potevo fare a meno di
tornare con la
mente agli eventi di qualche ora prima. Mentre Kasumi, con
“credo che questa
sia una scala reale” e “questo cosa
significa?”, spogliava i partecipanti di
vestiti e averi, io continuavo a ripensare alla strana reazione di
Ranma. Senza
una parola era andato via e io così arrabbiato non lo avevo
mai visto.
Preoccupato, infastidito o irritato -principalmente per via di qualche
pretendente,
sua o di Akane- ma mai arrabbiato, e mai senza un motivo evidente.
Avevo capito,
fin dal viaggio in treno, che non era contento della destinazione e lui
stesso
mi aveva spiegato di non voler rivedere qualcuno. Che quel qualcuno
fosse
proprio il ragazzo con gli occhi placidi e color del ghiaccio,
innamorato di
Akane -a detta di Ranko-, che ogni tre per due si alzava dicendo di
dover andare
a controllare come stesse la ragazza in questione?
Che avesse risvegliato in lui dei ricordi
sopiti? Mi chiesi pensando che probabilmente quello era un
altro dei
segreti che non avrei mai scoperto.
In ogni caso, non potevo più rimanere lì
seduta a fare finta di divertirmi mentre in realtà non
riuscivo a pensare ad
altro, così decisi di andare a cercarla. Anzi a cercarli,
tutti. Non era lo
stesso senza di loro.
Repentina,
come era stata la mia decisione, mi alzai.
<<
Dove pensi di andare? >> tuonò Ranko ad alta
voce.
<<
Torno in albergo >>
<<
Vai da Akane? >> chiese Nabiki.
<<
Appunto, in albergo >> chiusi il discorso.
I visi
di tutti, che sospettavano qualcosa fin dall’inizio, parvero
ancora più contrariati,
ma io decisi di non dare ascolto né a loro né
alla voce nella mia testa che mi
ripeteva di non cacciarmi nei guai.
Durante
il mio soggiorno nel Paese del Sol Levante non ero mai rimasta da sola,
se non
a qualche lezione che non avevo in comune con Akane o nella mia stanza,
accompagnata comunque dai rumori di casa Tendo-Saotome che mi erano
tanto cari.
Ma ora mi sentivo sola. Non è semplice
spiegare la differenza fra stare
da soli e sentirsi soli. Uno può scegliere di stare da solo
e prenotare un tavolo
per uno al ristorante. O fare una passeggiata al tramonto. O ancora,
svegliarsi
all’alba mentre tutta la casa dorme, e fumare una sigaretta
alla luce del
giorno che si sveglia. Ma nessuno sceglie di sentirsi solo. Partendo
per questa
avventura in Giappone, mi ero detta, sarei tornata a casa diversa e
più forte.
Dovevo partire. Dovevo partire perché avevo paura. Paura di
viaggiare da sola,
paura di non riuscire a fare amicizia, paura di rimanere da sola, di
sentirmi
sola, lontano dai miei affetti e dai miei amici. Dovevo partire proprio
perché
avevo paura, e tornare senza averne più. E invece avevo
trovato una nuova
famiglia. Un “papà Soun” saggio e
tenero; un Genma strampalato e divertente;
due sorelle che più diverse non si poteva, una dolce e
materna e l’altra furba
e spiritosa; una cugina un po’ matta e sempre su di giri. Un
amico poeta
mancato, che decantava il suo appassionato ardore a tutte, ma che
ultimamente
aveva occhi per una soltanto; un’amica cuoca, che mi aveva
insegnato tante
ricette da provare a casa; un amico che non sapevo se fosse proprio un
amico o
forse qualcosa in più, con gli occhi dolci e i canini
sporgenti… e poi loro,
Ranma e Akane. Un ragazzo, che mai avrei pensato di poter incontrare,
bello e
forte come uno dei personaggi della Marvel che tanto mi piacevano, e
anche
generoso ed eroico proprio come loro. E una ragazza, un’anima
affine che poteva
essere la sorella che non avevo mai avuto. Con Akane bastava uno
scambio di
sguardi, due occhi castani che si incontravano, per far scoccare quella
complicità tanto difficile -a detta di molti- da trovare, ma
che con lei era
semplicemente naturale.
A passi
incerti, ma non troppo, feci finta di dirigermi verso
l’albergo, imboccando il
sentiero sterrato che ci aveva condotti al lago, ma non appena fui
lontana da
qualsiasi sguardo indiscreto, mi diressi verso la foresta.
Akane
era la mia casa lontano da casa. Dovevo ritrovarla.
***
Che
idea
tremenda avevo avuto! Gli alberi sembravano tutti uguali e una leggera
nebbiolina densa e fitta accompagnava l’arrivo del
crepuscolo. Cosa avrei fatto
se fossi rimasta lì, sola e in mezzo al nulla, al calar
delle tenebre? Chi
sarebbe venuto a cercarmi? Di solito era Ranma a tirarmi fuori dai
guai, ma
questa volta ero io che dovevo fare qualcosa per lui. Mi sentivo sempre
più
sola.
Da
bambina avevo la passione per la lettura, un amore che è
rimasto anche in età
adulta. Leggevo tanto, tutto, e a volte vedevo i film ispirati ai
romanzi che
più mi erano piaciuti. Tra i miei libri preferiti, letti e
riletti fino a
consumarne le copertine, c’era stata la saga di Harry
Potter. Il piccolo
maghetto inglese mi aveva accompagnata nel passaggio
dall’infanzia all’adolescenza,
lasciandomi sulla soglia della maggiore età con la
consapevolezza di “essere
rimasta con Harry fin proprio alla fine”.
I film non mi erano mai piaciuti
più di tanto, ché si sa, i libri sono sempre
meglio, ma una frase in
particolare mi venne in mente, proprio mentre camminavo a tentoni nel
verde del
bosco:
“Un aiuto verrà sempre dato ad Hogwarts,
Harry, a chi lo richiederà!”.
E proprio in quel momento, una mano sulla spalla mi fece sussultare.
<<
Chi va là? >> Gridai spostandomi
più rapidamente possibile.
<<
Jude! Cosa ci fai qui da sola nella foresta? >> Era Ryoga.
Un
aiuto verrà sempre dato a Nerima, Jude, anche a chi non lo
richiederà!
Ok, non
eravamo proprio a Nerima, ma non potei fare a meno di pensarlo.
<<
Vi cercavo… >> risposi.
<<
Ma dico, sei matta? Poteva… potevi… Non farmi
più spaventare così tanto, per
favore! >> Aveva una mano sul petto e quasi il fiatone.
<<
Ryoga, scusami, non era mia intenzione, davvero. Ero in pensiero per
voi.
>> Il suo viso si intenerì << Tu
invece, hai trovato Ranma e Akane?
Dove sono? >>
<<
No, vedi, ecco…io… >>
<<
Sì? >>
<<
Mi sono…>>
<<
Sì? >>
<<
Perso! >>
Finalmente,
scaricando la tensione che trattenevo da quando avevo deciso di
lasciare il
lago per il bosco, risi. Risi a crepapelle.
<<
Non c’è niente da ridere! Questi alberi sono tutti
uguali! >>
<<
Ma come? Non sei un esperto viaggiatore? >>
<<
Lo sapevo che Ranma avrebbe avuto una cattiva influenza su di te,
appena lo
becco lo faccio secco! >>
<<
Se lo becchi. Dai, andiamo! >>
Presi lo
smartphone e mi affidai al flebile segnale del 3G: il navigatore
satellitare ci
avrebbe mostrato dove eravamo. Cominciammo a camminare, seguendo le
indicazioni, verso il centro della foresta, dove secondo la mappa sul
mio telefono
doveva esserci uno spazio aperto, forse una radura, con qualcosa di
grigio in
mezzo che noi interpretammo come delle grotte.
<<
Si può sapere cosa è successo? >>
chiesi mentre procedevamo cautamente
fra radici sporgenti e bassi rovi.
<<
Uhm, ti riferisci a Ranma? >>
Mi
limitai ad assentire con la testa mentre Ryoga mi teneva
l’avambraccio per non
farmi cadere dall’enorme masso che dovevamo scavalcare.
<<
È una storia lunga, Jude >> sospirò.
<<
Abbiamo tempo, penso… >>
<<
D’accordo allora… attenta! >>
gridò prendendomi al volo per il polso e
impedendo che cadessi rovinosamente. << Si scivola!
>>
<<
Grazie >> risposi mentre il cuore mi martellava nel
petto, forse per la
mancata caduta o forse per la vicinanza di Ryoga.
<<
Senti, facciamo così, non pensare male >> ed
enfatizzò quelle parole
muovendo le mani davanti a lui in segno di diniego <<
ma… dammi… dammi la
mano, per favore. Solo per non farti cadere. >>
<<
Per non farmi cadere… >> ripetei e gliela
porsi.
Ryoga era così, forte e gentile. Ricordavo ancora quando mi
aveva riportata a casa sulle spalle, durante l'alba che aveva seguito
la sera del
compleanno di Kodachi. Proprio come allora, anche in quel momento il
contatto
con lui mi faceva sentire bene. Non era imbarazzante, almeno per me,
ché dal
suo- seppur leggerissimo- rossore si evinceva altro. Sembrava quasi
giusto.
Ma poi
mi ricordai di Akane e della tenerezza con cui la guardava, e di Ukyo e
delle
attenzioni che le riservava. Non lo capivo e probabilmente non ci sarei
mai
riuscita. Era un tipo incredibilmente galante, come nemmeno il migliore
fra i
miei connazionali. Di bell’aspetto, garbato e cortese.
Praticamente perfetto.
Ma era anche timido e silenzioso, tanto riservato e introverso che a
volte
pareva quasi chiuso e scostante. Era difficile capire i suoi pensieri e
ancor
più difficile capire se i suoi gesti fossero dettati
dall’educazione o piuttosto
dal desiderio. Nonostante questo, gli porsi la mia mano e lui la
afferrò senza
esitazione alcuna.
Iniziò a
camminare davanti a me, concentrato su dove farci mettere i piedi, con
una mano
teneva saldamente la mia mentre con l’altra spostava di tanto
in tanto fronde e
rami particolarmente sporgenti. Frenò qualche altra mia
scivolata e poi riprese
il racconto:
<<
Qualche tempo fa Akane decise di visitare nuovamente Ryugenzawa dopo
aver visto
uno spot televisivo. Ci era venuta spesso da bambina, con tutta la
famiglia,
quando la madre era ancora viva. >> Un’ombra
gli velò gli occhi verde bosco.
<< Così, dopo tanti anni e senza dire nulla a
nessuno, un giorno prese il
treno e venne qui dove rincontrò coso…
>>
<<
Shinnosuke? >>
<<
Quello. >>
<<
Ma perché ce l’avete tanto con lui?
>> Oltre a Ryoga, anche Ranma e Ranko
avevano dimostrato -apertamente- una certa ostilità verso
quel ragazzo il cui
unico difetto ai miei occhi stranieri poteva solo essere la troppa
gentilezza.
<<
No, ma figurati, è solo che non mi è molto
simpatico, tutto qui. >> Lo
guardai di sottecchi, per niente persuasa dalla vaghezza del suo tono.
Era
successo qualcosa in questo villaggio e, a quanto pareva, la colpa era
di
Shinnosuke. Cosa mai aveva potuto fare quel ragazzo così
carino? Sembrava che
tutti avessero una ragione per odiarlo. Ryoga riprese il discorso
lasciando
sospese tutte le mie domande: << Be’, insomma,
Akane rivide Shinnosuke
dopo tanti anni >>
<<
Quindi si conoscevano già? >>
<<
Sì, si erano conosciuti da piccoli. Vedi,
all’epoca
Shinnosuke viveva con il
nonno lì dove ora sorge la pensione in cui ci hanno
sistemati e Akane… Akane
era un guaio anche da bambina. Era vivace e si cacciava sempre in
qualche
pasticcio. Un giorno capitò qualcosa nella foresta, in
questa foresta, e fu proprio
Shinnosuke ad aiutarla >>
Non
dissi nulla ma immaginai un’Akane bambina che viene salvata
da un bambino con gli
occhi azzurro chiaro.
<<
Solo che, nell’aiutare lei, lui si fece male e quando, molti
anni dopo, Akane
lo venne a sapere, decise di rimanere qui. Lo sai
com’è Akane, deve salvare
sempre tutti! >>
Riflettei
bene su quelle parole mentre il mio cantastorie mi accompagnava in una
porzione
di foresta più ombrosa, dove la luce del sole era ancora
più lontana e il calar
della sera appariva sempre più vicino.
<<
Ma a me sembra che sia lei a essere sempre salvata…
>> pensai ad alta
voce.
Ryoga si
fermò: << Oh no, è qui che ti
sbagli, Jude! Akane ci ha salvati tutti! In
primo luogo, suo padre, è grazie a lei se il dojo
avrà un futuro. Ce la
vedi Nabiki a gestire una palestra di arti marziali? >>
ridemmo
all’unisono.
<<
E poi ha salvato anche Ranma, che prima di lei non aveva mai conosciuto
il
calore di una casa o di un’amicizia >>
Ricordai
di quando Akane mi aveva raccontato l’infanzia di Ranma,
passata in giro per il
Giappone e la Cina assieme a Genma e lontano dalla madre, per
apprendere tutte
le tecniche di combattimento possibili e ricevere un giorno la
qualifica di
Maestro di arti marziali. Giorno che non era così lontano,
avrei scoperto poco
dopo.
<<
Ranma era uno zoticone prima di conoscere Akane, non che sia migliorato
molto
in realtà, ma è meglio di prima, te lo posso
assicurare! >> rise, poi
aggiunse: << E infine, ha salvato anche me,
“l’eterno disperso” come mi
chiamano tutti. Grazie a lei ora sono un po’ meno
disperso… >>
Lo
guardai socchiudendo appena gli occhi, in una muta richiesta.
<<
Oh, andiamo, Jude! Non voglio annoiarti con la storia della mia vita!
>>
rise di nuovo, stavolta leggermente imbarazzato.
<<
Non mi annoi! >>
<<
No dai, ti prego, non farmi parlare di me, mi… mi vergogno
>>
<<
D’accordo >> gli strinsi un po’
più forte la mano e ripresi il discorso
da dove eravamo rimasti: << Insomma, Akane voleva salvare
Shinnosuke e
decise di rimanere a vivere con lui? >>
<<
Sì! Ovviamente Ranma partì per venirla a cercare
e… >> Ryoga esitò.
<<
E…? >> lo incalzai, curiosissima di conoscere
il finale.
<<
Oh Jude, credo che ci siamo persi! >>
Troppo
presa dalla storia infatti, non avevo più fatto caso al
telefono e mi ero
lasciata guidare dalle parole e dai passi del mio accompagnatore, senza
pensare
però che -e Ranma, fra il serio e il faceto, me lo aveva
detto più volte- Ryoga
aveva davvero il senso dell’orientamento
di una bussola che confonde il Nord
con il Sud.
Ci
fermammo fra gli alberi, lui pareva quasi mortificato mentre a me
veniva da
ridere.
<<
Non li troveremo mai di questo passo! >>
sibilò a denti stretti <<
Che palle! >>
<<
Dai, continuiamo a camminare! Tanto nemmeno prima sapevamo dove stavamo
andando
>> dissi ancora ridendo mentre lui mi guardava con gli
occhi da cane
bastonato.
<< Continua il
racconto, per favore
>> e ancora mano nella mano, riprendemmo quella che
pareva più una
passeggiata che una missione di ricerca.
<<
Non c’è molto altro da dire. Ranma era a pezzi,
pensava di averla persa per
sempre. Anche io ero qui, sai? In uno dei miei viaggi. Ranma lo ripete
sempre,
e per una volta ha ragione, non ho un buon senso
dell’orientamento, mi ero
perso anche quella volta >> sorrise impacciato
grattandosi la nuca con un
dito, poi tornò serio.
<< Ero qui e ricordo fin troppo bene come sono
andate le cose. Akane non voleva sentire ragioni, non voleva tornare a
casa,
per poco non successe davvero. Ricordo anche gli occhi di Ranma
così tristi e
delusi. In tutta la mia vita, l’ho visto così,
come spezzato in due, solo in
questa e in un’altra occasione. >>
L’immagine
di Ranma, per una volta privo di quella forza -fisica e morale- che era
la sua
caratteristica dominante, mi fece quasi mancare il fiato.
Ranma
disperato.
Ecco il
perché di tanto malumore quella mattina, ecco quali erano i
ricordi che questo
posto, e Shinnosuke con lui, gli scatenavano.
Pensava
di averla persa per sempre.
Lentamente
rifece capolino nei mei pensieri quella domanda che mi tormentava da
mesi: cosa
c’era veramente fra Ranma e Akane? Mai avrei potuto
immaginare come era
iniziato il loro strano rapporto ma una cosa la vedevo bene, non avevo
bisogno
di immaginarla.
Ero
convinta, più che mai, che quei due fossero innamorati
l’uno dell’altra.
E chissà
perché non se lo dicevano. Era una cosa tanto bella quanto
semplice.
Riflettendoci
ancora un po’ pensai che per tutti, non solo per i miei due
amici, era
difficile esprimere i propri sentimenti. Che fosse evitando di toccarsi
o
semplicemente non professandoli, erano tutti -o quasi- molto riservati
su ciò
che nascondeva il loro cuore. Persino il dottor Tofu, che era
innamorato perso
e la portata del suo amore si sarebbe potuta distinguere dallo spazio
come la grande
muraglia cinese, aveva avuto bisogno di un piccolo aiuto per chiedere a
Kasumi
di sposarlo. Ryoga non aveva mai confessato il suo amore ad Akane e
nemmeno a
Ukyo, ammesso che ne fosse davvero innamorato; Kuno sosteneva di amare
tutte ma
non lo diceva mai a Nabiki e Ranma e Akane… be’,
loro non dicevano mai niente.
Mi ero sempre chiesta come mai, in un posto dove tutti sembravano
interessati a
loro due, loro non sembrassero interessati a nessuno. E la ragione
-ormai ne
ero convinta- era che probabilmente dovevano essere interessati
l’uno all’altra.
Se persino i miei occhi estranei erano riusciti a cogliere le
più profonde e
vivaci sfumature dei loro sentimenti, chissà quanto doveva
essere semplice per
chi li conosceva bene! E chissà se era semplice per loro,
chissà se lo avevano
capito, se si erano capiti.
<<
Quindi Ranma e Akane… >> stavo per chiedere,
quando un rumore ci bloccò
all’istante.
Una mano
sulla spalla, Ryoga mi tirò dietro un massiccio tronco
assieme a lui, nascondendoci.
Non era
solo un rumore, erano delle voci. Due voci in particolare, che si
urlavano
addosso.
Eccoli
lì, i protagonisti dei miei pensieri.
Akane era
poggiata con la schiena contro un albero e Ranma le stava di fronte, un
braccio
teso sulla corteccia e l’altra mano che gesticolava furiosa.
Lo
sguardo di lei era basso, diretto verso un lato e l’erbetta
scura che ricopriva
il suolo. Lui continuava a urlare frasi in giapponese ed io non avevo
idea di
cosa stesse dicendo, ma non sembrava avercela con lei, più
con tutto il resto.
All’improvviso Akane si staccò dal tronco e
cominciò a urlare a sua volta,
sconvolta e paonazza in viso, contro il ragazzo che le stava di fronte.
Ranma
non indietreggiò di un passo ma le rispose a tono, facendola
rimanere
sorprendentemente in silenzio.
Un silenzio carico di attesa.
I due ragazzi si
guardavano negli occhi, non avrei saputo descrivere con quale
espressione, un
misto di rabbia, rammarico, tenerezza e mute richieste di comprensione
reciproca.
Ryoga ed
io ci scambiammo una furtiva occhiata silenziosa: “non
disturbiamoli” e
tornammo a guardare la scena.
Lo
spazio di un secondo e le incertezze si dissolsero.
Le mie,
che erano solo curiosità, quelle più profonde di
Ryoga e -sicuramente-
qualunque incertezza avessero i cuori di quelli che -ancora oggi- posso
definire due fra i miei più cari amici.
Ranma aveva urlato quella che sembrava una domanda la cui
risposta avrebbe potuto cambiare le sorti
dell’umanità. Akane era
indietreggiata, colpita dalle parole di lui, e lo guardava con i grandi
occhi
sgranati. Aveva una mano sulla gola, come se volesse rispondere
qualcosa e non
sapesse come fare.
E allora
non lo fece.
Inaspettata,
si alzò sulle punte e, senza quasi sfiorarlo, lo baciò.
Lei con entrambe le braccia lungo i fianchi e lui con uno poggiato
ancora contro l’albero.
Ryoga,
la mano sempre più stretta sulla mia spalla, chiuse gli
occhi.
E
io
seppi.
***
(*)
Henry David Thoreau, Walden ovvero vita nei boschi (Walden;
or Life
in the Woods), 1854
***
Ciao a tutti!
“Chi non muore si
rivede” non potrebbe essere più appropriato.
Vi do un indizio,
ricominciamo dall’inizio, mi presento: sono Aron_oele e sono
una ragazza. Anche
se siamo nel fandom di Ranma 1/2 e quindi ci sta, è sempre
molto divertente per
me quando mi chiedete se sono un ragazzo. So che quell’
“Aron” può confondere
ma il nickname è solo il mio nome al contrario. Per cui,
ciao a tutti, sono
Eleonora.
La genesi di questa
mia storia è un po’ strana e anche vecchia. Vi
dico solo che l’ultimo capitolo
porta la dedica “a Margherita, benvenuta fra noi” e
fra un po’ Margherita andrà
a scuola! Che vergogna!
Un giorno, per caso, sono capitata su questo sito e, dopo aver letto tante meravigliose fan fiction, ho provato anche io. Questa che, se siete arrivati fin qui, avete letto, è l’ultima. Questo capitolo, l’undicesimo, l’ho cominciato nel 2017, mentre ero in Erasmus. La prima parte, fino a quando non arrivano a Ryugenzawa, è stata scritta allora. Poi l’ho lasciata di nuovo, ché non avevo più voglia, e l’ho ripresa nel 2018, ho scritto un altro pezzetto, e l’ho abbandonata di nuovo lì, dimenticata. Qualche settimana fa, grazie a “qualcuno” che ha mandato un nuovo disegno stupendo, ho cominciato a pensare “daje su, finiscila!”. E ho finito il capitolo.
Voi direte, cinque anni per scrivere questa roba? Più o meno. Non ho grandi pretese, non voglio il Nobel per la migliore fan fiction del mondo, scrivo quando ho l’ispirazione e la voglia. Ed è tornata. Scrivo perché mi piacciono Ranma e le fan fiction, quello non è mai passato.
Promesso che non
farò come chi scrive un capitolo ogni anno, è
giusto che la finisca e sfrutterò
questa ondata di improvvisa ispirazione/voglia.
A proposito, per
finire il capitolo e cercare di mantenere lo stesso stile, me la sono
riletta
tutta e ho cambiato qui e lì qualcosa che non suonava,
qualche virgola,
incongruenza o refuso che ho notato. Non ho voluto cambiare
null’altro (perché
l’avrei stravolta potendo), ma ho preferito rispettare la me
di cinque anni fa,
alla quale quelle cose piacevano.
Se notate che la mia
scrittura sia tutto d’un tratto migliorata, non sono io,
è tutto merito della
mia fantastica Beta: Gretel85.
Grazie, ad occhio e
croce, per un milione e cinquecento mila cose, ma più di
tutto perché senza di
te non scriverei nemmeno la lista della spesa.
Volevo fare anche
una sorta di piccola introduzione, perché sono una vergogna
e ho fatto passare
cinque anni dall’ultimo capitolo, e non pretendo certo che vi
ricordiate le
elucubrazioni della mia mente, ma se rileggo un’altra volta
dall’inizio mi
viene la nausea, e addio sogni di gloria. Quindi, se vi fa piacere,
leggetela
dall’inizio, tanto è ‘na cosetta
leggera, senza pretese. A me ne farà
moltissimo.
Passiamo alla parte
strappa lacrime.
Quando mi iscrissi
su Efp mai, mai e dico mai e poi mai avrei pensato che si sarebbe
rivelato ciò
che poi è stato. Qui ho incontrato dieci di quelle che
ancora oggi considero le
mie persone preferite.
Le “Ladies”.
Ed è a loro che
dedico questo “nuovo inizio”.
Perché, se la voglia di scrivere fan fiction è passata, la loro amicizia invece è rimasta.
Per sei lunghissimi anni queste ragazze hanno letteralmente accompagnato la mia vita, ed io la loro. Le ho viste (non in senso metaforico, bensì letterale) crescere, trasferirsi, sposarsi, fare figli.
La Margherita dell’ultimo capitolo
proprio
oggi ha fatto un video per la “Zia Ele”.
E allora, in ordine
del tutto casuale:
Ad Antonella,
al suo
Lele amore della zia con gli occhi belli come la sua mamma.
A Karmy,
a Viola
(che una fan fiction dalla zia scema l’ha già
ricevuta, povera lei!) e alla
piccola Luna.
A Faith,
la mia
Sweetins, al suo Lucifero (non mi sono ancora arresa e ad oggi spero
tanto sia
Tom Ellis!), ai nostri stritoli, ai suoi capelli rossi che Ranko
spostate.
Ad Antonella,
la mia
Akane-San, una forza della natura, ai nostri soprannomi e ai suoi
bronci.
A Stella,
alle
letture condivise e ai marinai (non dimentico!).
A Chiara,
una
bellezza gira mondo, ai suoi traguardi e ai suoi successi, niente di
più
meritato.
A Vale,
il mio
“amor”, alla complicità che con lei
trovo solo a guardarci, a Milano e a Roma e
speriamo presto anche a Torino, alla voglia che torna e alle promesse
belle.
A Lally,
al suo
nuovo inizio, alle parolacce e agli audio, ai vestiti e alle maschere
di
bellezza.
A te,
brutta
stronza, il capitolo con Shinnosuke te lo avevo promesso.
Eccolo qui, è ancora
per te.
E, il meglio -si sa-
arriva alla fine, a Gretel,
la mia Carotina adorata. Alle infinte confessioni,
ai consigli, agli audio, alla principessa Elsa, a Geppo, ai fiorellini,
al
Brancamenta, alle fotografie, ai video, alle terrazze, a tutto. Per
tutto.
Grazie,
amiche.
A tutte le altre,
Giusy, Conny,
a chi si è perso, a chi è rimasto.
Spero che questo sia
un nuovo inizio anche per voi, perché non ci sarebbe niente
-o quasi- che mi
farebbe più felice di tornare a leggervi.
E anche un po’ a
voi, a chiunque passerà di qui, ai vecchi lettori che
diranno “toh guarda” e ai
nuovi, se ne avrete voglia.
Io sono qui, e mi sa
che ci rimango per un altro po’.
Nel mentre,
scusatemi per tutto, ma ve l’ho detto anche nel titolo che
sono
distratta.
A presto, questa
volta per davvero,
E.
Ps: Ho due fan art,
meglio definibili come capolavori,
della bravissima e talentuosissima Spirit99,
ma Tynipic ha deciso di smettere di esistere in questi cinque anni. Non
fosse
altro che per rendergli un minimo della giustizia che meritano, se
qualcuno sa
come fare please help! Grazie!