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Autore: _Il colore del vento_    10/06/2020    16 recensioni
Se restavano lì, seduti vicini su un fondale di sabbia, l'uno di fronte all'altro, non ci sarebbe stato nessun bivio all’orizzonte, nessun incrocio dinanzi al quale perdersi e voltarsi le spalle.
Sott'acqua non c'erano strade, non c'erano colori - né verde, né rosso -; solo la purezza incontaminata e neutrale dell'azzurro e il grigio di uno sguardo ancora noto, ancora rassicurante.
[Questa storia, edita, partecipa al contest “Back to Black” indetto da parsefeni sul forum di EFP, classificandosi terza a parimerito.]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Sai trattenere il respiro?



È strana la luce che raggiunge quella Sala nascosta sotto il Lago, è una luce malsana.
Quando fuori brilla il sole, lì giungono solo pochi raggi superstiti: solo alcuni di essi riescono a fendere le acque – quasi stracciandole – e ad approdare incolumi nelle viscere del Lago.
E la luce, poi, sembra consumarsi lungo la traversata; l'acqua la filtra, la opacizza e ne trattiene tutto lo splendore in superficie. Lì, nella sua Sala Comune, Regulus si ritrova solo le briciole di un sole lontano, rimasugli di una brillantezza consunta. Ma non gli importa poi tanto, no.

I suoi occhi si perdono nei verdi abissi che si intravedono oltre la vetrata e si sorprende a pensare alla luce piena e accecante del sole di Marsiglia.
Non ricorda di aver mai visto cieli tanto azzurri – un azzurro che feriva gli occhi e li faceva lacrimare – e di sicuro non ne ha visti di altri, dopo quell'estate trascorsa sulle coste della Francia.

Lui e Sirius erano ancora bambini, all'epoca, e non era poi così difficile (per entrambi) riscoprirsi dalla stessa parte. Non era ancora così difficile definirsi soltanto fratelli.
In acqua, Sirius lo sfidava sempre: del resto, per lui, la vita è – è sempre stata – solo una sfida da affrontare di petto.
Lo sfidava per vedere chi dei due riuscisse a trattenere il fiato più a lungo.
«Lo sai trattenere il respiro, Reg? Vogliamo vedere chi resta più tempo sott'acqua?».

Se chiude gli occhi, nella luce smorta della sua Sala Comune, Regulus riesce ancora a vederlo, il viso di suo fratello cotto dal sole.
Allora, lui non aveva ancora i lineamenti affilati e duri che gli intravede adesso sul viso, quando lo incrocia nei corridoi. Dietro le sue palpebre, sul volto di Sirius le mani del tempo ancora non sono intervenute, ancora non gli hanno scolpito quelle fattezze adulte e sconosciute che ostenta ora.
Dietro le palpebre, Regulus conserva l'immagine di suo fratello bambino: c'è Sirius, lì, che lo guarda con gli occhi grigi vispi e luminosi, le ginocchia sbucciate e la piccola cicatrice sulla guancia – quella che si era fatto cadendo dalle scale, a Grimmauld Place.

«Allora ci stai, Reg? Vediamo chi resiste più a lungo?» gli diceva.
Alle sue parole, Regulus annuiva; accettava sempre la sfida dell'altro, ma solo perché, in fondo, sapeva già di avere la vittoria in tasca.
«Al mio tre!» si sentiva esclamare in risposta, mentre il fratello assumeva un'espressione seria e concentrata e lo scrutava negli occhi – grigio nel grigio –, quasi a voler sincerarsi della sua determinazione.
«Uno...» contava Regulus, cercando di imitare l'espressione del fratello, di non mostrarsi esitante.
«Due...».
Sirius gonfiava le guance, incamerando tutta l'aria circostante nei polmoni – quell'aria limpida e azzurra, l’aria brillante della Francia – e Regulus lo seguiva; gonfiava il petto e le guance, mentre sollevava la mano.
Segnava il tre con le dita, tre dita sottili tese davanti al viso, ma Sirius serrava sempre le palpebre prima di immergersi e non coglieva il suo gesto.
Regulus a quel punto si affrettava a tuffarsi di rimando e quando l'acqua scivolava su di lui, sopra la sua testa, stendendosi a ricoprire il cielo, lui si sentiva finalmente in pace.

Il silenzio del mare ingoiava i rumori e c'era solo lo sciabordio dell'acqua contro il corpo (contro i timpani), solo il battito del cuore nel petto.
Sott'acqua, Regulus strizzava gli occhi, incurante del sale che pungeva, e di nuovo lui e Sirius si ritrovavano a guardarsi – di nuovo, grigio nel grigio e, attorno, azzurro purissimo.
Era ancora più facile guardarsi, lì sotto, lì dove tutto perdeva consistenza e si scuoteva di dosso il proprio peso. Nonostante i polmoni in fiamme e gli occhi che pizzicavano, anche Regulus si sentiva infinitamente leggero.
La superficie del mare era una barriera e lasciava passare solo l'essenziale: non permetteva che il mondo li seguisse sul fondo.

Fosse stato per lui, per Regulus, sarebbe stato un sogno restare per sempre immerso in quell'azzurro a fissare un bambino così simile a lui, quel bambino che era ancora solo un fratello – grigio nel grigio e nient’altro, nient’altro a parte l’azzurro, colore di nessuno.
Se la superficie del mare era una barriera, pensava, il tempo non avrebbe potuto ripescare Sirius, portarlo via e scavargli il volto, rendendolo irriconoscibile – così diverso .
Se restavano lì, seduti vicini su un fondale di sabbia, l'uno di fronte all'altro, non ci sarebbe stato nessun bivio all’orizzonte, nessun incrocio dinanzi al quale perdersi e voltarsi le spalle.
Sott'acqua non c'erano strade, non c'erano colori – né verde, né rosso; solo la purezza incontaminata e neutrale dell'azzurro e il grigio di uno sguardo ancora noto, ancora rassicurante.

Ma, evidentemente, Sirius non condivideva i suoi pensieri. Lo vedeva dibattersi e poi, sopraffatto, ritornare a galla in cerca d'aria.
Allora una fitta di tristezza ancorava Regulus al fondale per qualche secondo in più, ma ora che Sirius non c'era – nessun grigio in cui specchiarsi –, si sentiva solo e già più pesante.
Il silenzio del mare non era più benevolo e l'azzurro diventava d'un tratto più tetro, inaspettatamente triste.

Quando riemergeva dall'acqua, il sole lo accecava per un po'.
Poi il mondo rientrava nei suoi confini, i rumori tornavano ad assalirgli l'udito e i colori gli esplodevano attorno; c'era anche il broncio di suo fratello ad attenderlo.
È sempre stato orgoglioso, Sirius, e le sconfitte gli bruciano.

«È che a me non piace, lì sotto» sbottava, mentre i lunghi capelli scuri gli gocciolavano lungo il collo, poi sulle spalle esili e spigolose e, infine, sul petto.
«C'è troppo silenzio e a me non piace» diceva Sirius e poi nuotava via veloce, lontano.
Regulus pensava che l'altro si offendesse perché lui lo batteva ogni volta, ma – in fondo – lo sapeva che c'era un po' di verità, nelle sue parole.
Suo fratello ha sempre detestato il silenzio (Grimmauld Place è il regno incontrastato del silenzio e del non detto).
In effetti, è stato proprio per scrollarsi di dosso quel silenzio opprimente della loro infanzia – un silenzio tanto pervasivo che, a casa, persisteva misteriosamente intatto in sottofondo anche quando le urla della madre laceravano l'aria – che Sirius ha imparato a fare tanto rumore: preferisce ridere, lui, gridare e strepitare e fare rumore. Sempre, di continuo.
Se resta in silenzio troppo a lungo, suo fratello si sente a disagio e Regulus lo sa.

Forse era per quello che lì, sott'acqua, Sirius non riusciva a restarci mai per troppo tempo.
Quel silenzioso, abissale azzurro diventava troppo opprimente per lui, proprio come a casa; e poi i polmoni dolevano e gli occhi pizzicavano e, forse, a suo fratello, non importava nulla del grigio nel grigio; forse, già all'epoca la monotonia del grigio lo annoiava, magari desiderava già i colori (rosso di fiamma che divorasse il verde), magari immaginava già strade nuove che lo portassero lontano.
Forse Sirius non ci voleva restare lì fermo, vicino a lui, perché lui non li temeva nemmeno allora, i bivi. Lui non ha mai avuto paura di scegliere.

Quando Regulus apre gli occhi e si guarda attorno, nella sua Sala Comune, lì dove è tutto così verde, troppo verde – dove persino la luce si tinge di venature verdastre –, la prima sensazione che subentra all'azzurro di Marsiglia è una sorta di sollievo.
Forse è un bene che Sirius poi, le sue scelte, le abbia fatte davvero.
Perché, al bivio, i sentieri che ha scelto di percorrere lo hanno portato lontano.
È un bene, si dice Regulus, che ad assumersi le conseguenze delle scelte compiute da altri sia stato lui e non suo fratello.
Così Sirius, con tutte le sue scelte compiute da solo e il coraggio di tracciare sentieri inesplorati, può restarsene in alto, nella sua Torre –avvolto dal rosso che ha cancellato il verde e che, forse, ha seppellito l'azzurro di Marsiglia e persino il grigio –, può restarsene lì a fare tutto il rumore di cui ha bisogno e a scegliere ancora e ancora la sua libertà.
Così, non gli sono toccati né la luce malsana, né gli abissi fuori dalla finestra.
Non gli sono toccati sentieri tracciati con cura da altri.

È un bene, conviene Regulus, che un Cappello gli abbia spalancato la via del coraggio che ha sempre desiderato percorrere.
Non ce l’avrebbe fatta, Sirius, a restarsene rintanato in una Sala nascosta sotto il Lago, illuminata da una luce torbida e opaca.
Suo fratello – che, ormai, non è più solo suo fratello – non è fatto per i compromessi (né per l’ombra, né per il verde dell’indecisione o il silenzio).
Già, pensa, è molto meglio così.



Gli succede ancora, in seguito, di pensare all’azzurro di Marsiglia e di sentirsi sollevato per Sirius.
Una volta e basta, solo un’altra volta – ed è prima di morire.

Regulus, che ha sempre odiato i bivi e gli incroci e le strade troppo dritte tracciate da altri (ma solo perché non ha mai saputo come tracciarne di proprie), ci prova, alla fine.
Ci prova a muovere un passo dopo l’altro lungo una strada che nessuno ha mai percorso (nessuno tranne Lui) .
Si tratta di un sentiero scivoloso all’interno di una grotta buia e umida. È un luogo antico, impregnato di una magia ancora più antica, ma soprattutto oscura – è per questo che, lì, a parte Lui, Regulus è il primo che osa metterci piede.
Il sentiero inesplorato lo conduce alle rive di un lago.

Per la prima volta in vita sua, Regulus scruta le acque immobili e le teme (come quando, da bambini, Sirius andava via, lo lasciava solo, e l’azzurro benevolo del mare s’incupiva in un attimo).
Per la prima volta, guardando quella liquida distesa di tenebre, Regulus capisce di non avere più sentieri da esplorare: l’unico cammino che abbia mai deciso di seguire da sé, l’unico che non abbia intrapreso seguendo gli ordini di altri, è anche quello che, in cambio, pretende di azzerare tutte le possibilità.
E, sì, rimpiange di non aver seguito Sirius, di non aver avuto prima il coraggio di seguire strade diverse che lo conducessero lontano – lontano dal verde e dalle responsabilità di una vita in cui si è trovato incastrato.

Ma, ormai, è troppo tardi; suo fratello, che non si ritiene più suo fratello e non è che una bruciatura sull’arazzo di famiglia (non per Regulus, no), ha trovato il modo di tornare in superficie.
Sirius ha sempre saputo come mantenersi a galla, come nuotare rapido, lasciandosi alle spalle una vita troppo stretta per contenerne il coraggio.
Lui no, lui – col suo coraggio timido e tardivo – è rimasto indietro, ancorato al fondale da una malinconia che sa di rimpianti e di possibilità mancate e non può più tornare in superficie.

Ma, quando si avvicina al bacile e ci scruta dentro, la paura sembra ritrarsi; si sente assalire da un assurdo, irrazionale senso di sollievo.
Forse, osa pensare, è meglio così. Le loro intere esistenze, le loro scelte e i loro sbagli, tutto esattamente così come è andato.
Sì, forse, è stato meglio così.
Perché suo fratello potrà pure combattere a modo suo, come ha sempre fatto, orgogliosamente in prima fila; potrà continuare ad accogliere le sfide come ha sempre fatto, di petto, circondato da un rosso che si è scelto e dal rumore della libertà che si è guadagnato.

Ma, conviene Regulus, forse, neanche suo fratello – che, nonostante tutto, resterà sempre e soltanto suo fratello – dispone del coraggio giusto per quello che lo attende ora.
Regulus manda giù lunghi sorsi di pozione, quasi che andare più veloce possa risparmiargli il dolore, e si costringe a pensare all’azzurro di Marsiglia.
Nonostante la mente continui a riproporgli le scene peggiori della sua vita (un marchio impresso sul braccio, lampi di luce verde e vite stroncate, tutto il lercio di un’esistenza sbagliata – verde verde e ancora verde), nonostante il dolore atroce e la gola che brucia, si costringe a pensare che, sì, forse è meglio così.
Perché ci vuole un altro tipo di coraggio per accettare di morire in silenzio, nell’ombra; ci vuole un coraggio diverso per morire soli e dimenticati.


Regulus, quando non ne può più, crolla in ginocchio e le lacrime gli finiscono in bocca, lacrime salate che gli ricordano il mare (e i polmoni in fiamme e grigio nel grigio).
(«Lo sai trattenere il respiro, Reg?»).
Con la mente annebbiata e gli occhi offuscati da lacrime di dolore e rimorso, di rimpianto, Regulus si porta le mani alla gola: ha sete.

È proprio come trovarsi sotto il sole della Francia, col capo che scotta e la gola riarsa – e dolore, dolore, dolore.
C’è persino Sirius, al suo fianco.
Con gli occhi grigi luminosi, le ginocchia sbucciate e la cicatrice sulla guancia. È il viso giusto, di un bambino che lo guarda dritto negli occhi ‐– grigio nel grigio –, occhi limpidi e privi d’accusa; è un viso che, almeno stavolta, non diventerà quello di uno sconosciuto.
(«Allora ci stai, Reg?»).
Questo accanto a lui, ora, è solo suo fratello – che non vuole essere nulla di più, nulla di diverso.

Il piccolo Sirius gli indica le acque del lago, nere come la notte – nero che non è azzurro ma, per fortuna, non è neanche verde, lui ha concluso col verde – e Regulus arranca fino alla sponda.
Annuisce col capo e solleva tre dita della mano.
Guardami, Sirius, lo faccio lo stesso; anche se non penso di avere la vittoria in tasca, stavolta.
(«Al tre!»).

A pensarci bene, se non sentisse così tanto dolore, Regulus potrebbe anche sorridere. Gli sembra quasi di essere destinato a tutto questo.
(Uno).
Raccoglie le mani a coppa e si china sull’acqua nera e immobile (quanto è distante, ora, l’azzurro di Marsiglia).

(Due…).
A pensarci ora, Sirius non ha il coraggio necessario ad andare a fondo, fino in fondo.
Regulus immerge le mani tremanti, infrangendo l’immobilità del lago.

Non ha neanche il tempo di portarsi l’acqua alle labbra, però, perché mani bianche, putride, lo afferrano.
Si sente trascinare giù, giù negli abissi, eppure – inspiegabilmente – si sente sollevato.

A pensarci, Sirius non è mai stato bravo come lui a trattenere il respiro.
(Tre!).




Forza, Reg, questa volta basta trattenerlo solo un po’ di più.
  
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