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Autore: sunonthesea    11/06/2020    1 recensioni
una raccolta di songfics dove si uniscono due delle mie cose preferite: la musica italiana e Good Omens.
Non è detto che le tematiche delle canzoni vadano a pari passo con quelle della one shot, ma posso assicurare che ci sarà tanta tristezza.
Scusate in anticipo.
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Amore mio
Da dove vengo io
Un bacio ed un addio
Sono la stessa cosa

L’Apocalisse non era arrivata. Non ancora, almeno.

Aziraphale e Crowley erano seduti sulla panchina al parco, guardando con gli occhi stanchi il laghetto davanti a loro. Le onde che si infrangevano sulla piccola spiaggetta seguivano il ritmo dei loro cuori vuoti, l’aria che trepidava attorno a loro.

-Siamo fottuti- Crowley aveva imparato tante formule appartenenti al gergo umano, in quei seimila anni. Le parole volgari, da scaricatore di porto gli erano sempre piaciute. Sempre trovate utili per esprimere i concetti per cui non riusciva a trovare altre parole.

-Già. Siamo davvero fottuti- ad Aziraphale non era mai piaciuto dire quelle parole, però doveva trovare una frase da dire con quel suo tono u po’ triste, un po’ sollevato.

Triste perché, be’…

La guerra era alle porte.

Sollevato perché almeno era arrivato, il momento. Come quando si fa un tuffo da uno scoglio troppo alto e si aspetta solo di arrivare nel freddo dell’acqua.

Non doveva più avere timori.

-Almeno ci abbiamo provato, dai- Crowley era conosciuto per il suo ottimismo, anche nelle situazioni peggiori -dovremmo esserne fieri-.

-Il mondo sta per finire, Anthony- gli occhi dell’angelo erano ghiacciati. Non avevano da essere fieri di nulla. Avevano fallito.

Ora si beccavano le conseguenze.

Il silenzio in mezzo a loro era interrotto soltanto dalle grida dei bambini che giocavano intorno a loro, ignari di tutto quello che stava succedendo.

-Lo so, ma adesso non possiamo farci più di molto-

-Quand’è che verranno a prenderti?-

-Cosa?- Crowley non era mai stato un campione di attenzione, impegnato com’era nel guardare le anatre arrivare alla spiaggia, la palla di un ragazzino arrivare ai suoi piedi e i fiori che sbucavano piccini dai cespugli vicini al laghetto.

-Ho detto- Aziraphale si schiarì la voce, il tono di chi non vorrebbe essere lì a parlare –quand’è che verranno a prenderti. I tuoi, intendo-.

Il demone scrollò le spalle, aggiustandosi gli occhiali sugli occhi con noncuranza. Non lo sapeva, a dirla tutta. I suoi non avevano orari precisi, non erano come quelli dell’altra parte. Arrivavano, gli ordinavano un paio di cose e bam, era già tra le fila infernali nella Grande Battaglia.

-Non lo so- si limitò a rispondere, per poi passarsi una mano tra i corti capelli rossi. Sapeva che sarebbero diventati lunghi, quando sarebbe dovuto arrivare il momento.

Non vedeva l’ora.

-La nostra fazione vincerà, lo sai?- non poteva dirlo, ma dire quelle parole gli faceva male. Crowley era suo amico, nel profondo. Avevano tante cose in comune (non era vero), si erano sempre piaciuti (no, non era per niente vero) e si erano sempre fidati l’uno dell’altro (ma quando mai).

Crowley non gli aveva mai voltato le spalle.

Crowley l’aveva salvato molte volte.

Era un peccato, non avere il tempo per ricambiare il favore.

-Già-

-E voi perderete, lo sai?-

-Oh, certo che lo so-

-Morirai. Ti uccideremo come tutti gli altri-

-Va bene-

Le risposte sbrigative di Crowley stavano iniziando a stargli sui nervi, in un certo senso. Come si permetteva di essere così leggero?

-Probabilmente ti ucciderò io- Aziraphale fece un sorrisetto furbo, come a voler sottolineare il suo star scherzando.

Non avrebbe mai ucciso Crowley. Non avrebbe mai ucciso il suo unico amico.

-Grazie dell’informazione- il demone sembrò aver preso lo scherzo, una smorfia tenera che si creava sul suo volto severo –così saprò che sarai gentile e non mi infilzerai come uno spiedino-

-Gabriel sono secoli che parla di cannoni di acqua santa nebulizzata, quindi non penso ci saranno spade. Mi dispiace-

-Meglio, così almeno Belzebù si farà una doccia-

I due risero. A denti stretti, ma risero.

 

Vieni con me
Ti porterò dove
La solitudine è un regalo
Più bello di una rosa

-Cosa ti mancherà di più di questo posto?- il tempo delle risate era terminato. Crowley era tornato ad essere malinconico, dietro i suoi occhialetti scuri.

-Gli uomini, penso- Aziraphale abbassò gli occhi, una smorfia quasi disperata sulle sue guance morbide. -Tutto quello che riescono ad inventarsi, nel bene e nel male, mi ha sempre affascinato- i suoi occhi erano andati a quel branco di marmocchi che continuavano a giocare felici.

Lui non era mai stato un marmocchio.

Gli sarebbe piaciuto, però.

-Sei sempre stato sentimentale, angioletto- i due non si erano mai guardati negli occhi, in quell’incontro. -A me penso che mancherà più quello che hanno creato, piuttosto che loro come esseri- si aggiustò ancora i capelli.

Le stelle stavano iniziando a cadere come foglie da un albero.

Stava iniziando.

-Io ti mancherò?- nel vedere le stelle crollare sul loro stesso peso, all’angelo venne un groppo alla gola. Crowley era suo amico. Il suo unico amico.

-Quando sarò un cadavere? Oh, certo che mi mancherai-

-Anthony- con un tocco delicato gli tolse gli occhiali da sole. Voleva vedere i suoi occhi. Voleva solo toccare le sue mani. -Io ti mancherò?-.

Crowley cercò di distogliere lo sguardo, si sentiva sempre così insicuro senza gli occhiali, sentendo poi i tocchi delle dita dell’angelo sulle sue, ben strette.

-Sì. Mi mancherai. Tanto, anche. Tanto. Non...faccio il cazzone ma non voglio...non voglio...-

-Va tutto bene. Va tutto bene- le stelle continuavano a cadere –io cercherò di proteggerti? Conosco il campo di battaglia, non permetterò che ti facciano del male-

-Sei sicuro?-

Aziraphale annuì di nuovo, sfiorando poi con le labbra il palmo della mano del demone.

Sarebbe stata una notte tempestosa.

 

 

Lui era figlio dei ritardi del treno
Che fecero conoscer mamma e papà

L’Apocalisse era arrivata.

La terra era una palla di fuoco sotto i loro sandali, le tuniche bianche come le loro ali piumate e candide.

La mano di Aziraphale era sudata attorno all’elsa della spada, niente cannoni, a quando pareva, e il rombo del fragore etereo nelle sue orecchie.

I suoi fratelli stavano gridando.

Il clangore delle spade contro gli scudi celesti lo stava facendo impazzire.

Niente cannoni. Forse Dio l’aveva considerato un metodo troppo gentile per uccidere i demoni.

Li vedeva attraverso le teste dei suoi fratelli davanti a lui: sporchi, rozzi nelle loro uniformi lacere tutte diverse tra di loro. Brandivano lance, mazze, scuri. Occhi verdi come il veleno o neri come la morte. Teste calve, spelacchiate, bruciacchiate.

Aziraphale cercava con gli occhi azzurri la chioma rossa di Crowley, non trovandola tra tutte quelle bestie. Non lo stava trovando, scandagliava tutti con lo sguardo preoccupato.

L’avevano ucciso. Probabilmente l’avevano ucciso. Per essere un traditore. Sì, per essere un traditore.

Gli angeli non erano stati programmati per provare timore, però la paura provata dall’angelo in quel momento andava oltre ogni possibile comprensione.

-Compagni- venne distolto dalla sua ricerca dalla voce grave di Michele, davanti alle fila angeliche con le sue ali dorate. Scintillanti sotto il sole brillante della gloria di Dio. -Oggi si consumerà la battaglia che sancirà la vittoria di Dio contro il Maligno-.

Aziraphale di maligno vedeva soltanto il suo sorriso.

-Siete coraggiosi- no, non lo siamo. Non siamo nulla senza gli umani –siete abili- siamo fatti per amare, non per combattere –siete dei vincenti- sulla Terra chiamavano quelli come noi dei bari, lo sapete?

Le mani sull’elsa della spada, Aziraphale venne spinto via dalla foga delle fila.

 

Lei era bella come il cielo più nero
Cercava il senso della vita nei bar

Crowley, Crawly, era schiacciato dai suoi colleghi. I capelli raccolti in una treccia e l’uniforme stretta sul suo corpo serpentino.

Nelle mani stringeva una mazza. Glie l’avevano lanciata in mano prima di allinearlo.

Le ali dei demoni non sono poi così diverse da quelle degli angeli: sono solo bruciacchiate.

-Tu sei il traditore- una voce cavernosa l’aveva distolto dall’osservare le fila angeliche davanti a loro, la tensione che continuava a crescere sempre di più fino a sentire le sue ossa schiacciate nella

cassa toracica.

Era il demone alle sue spalle: ghigno malefico sul volto in putrefazione e la testa spelacchiata. Tra le mani reggeva una potente scure.

-Non capisco- aveva capito benissimo, lo sprezzo nei suoi occhi dorati.

-Il traditore, quello che voleva scappare con l’angelo- un’altra voce si unì al coro: acuta, fastidiosa come una zanzara. Era un demone più piccolo, ma ugualmente disgustoso.

A volte, essere un tentatore poteva avere i suoi vantaggi.

Crowley sbuffò.

-Ci assicureremo di tagliarlo a pezzi, serpente- la minaccia gli arrivò muta alle orecchie.

Aveva altro a cui pensare.

Aveva un angelo su cui vegliare.

Poi, all’improvviso, un boato.

Nessun discorso.

Crowley si lancia in avanti.

 

Fingevano di essere in un cinepanettone
Perché lì la vita no non sembra mai dura
E invece qua in questa fottuta provincia
Ci vuole del coraggio anche per aver paura

Mentre correvano sentivano entrambi il cuore nelle gambe, le proprie armi strette tra le mani mentre la foga dei rispettivi eserciti li spingeva verso il centro del campo di battaglia.

Negli occhi pieni di lacrime di Aziraphale ritornavano le immagini della sua vita nel prima, sulla Terra. I bei momenti con tutti i cervelli che aveva conosciuto. Tutte le parole che aveva sentito. Tutte le idee che aveva ascoltato.

Le serate erano le cose che gli mancavano di più.

Alcool.

Parole.

Sesso, a volte. Con tutti gli amanti che aveva avuto. I tanti amanti che aveva avuto.

Ma le serate con Crowley erano quelle che preferiva di più.

Loro due nel retro della libreria. Alcool a fiumi, non poteva non ammetterlo.

Loro due che spesso finivano abbracciati sul divanetto. I capelli del demone tra le dita paffute dell’altro. Il suo respiro contro il suo collo.

I suoi occhiali che attorno a lui si toglieva con molta più voglia, per scoprire i suoi occhi così meravigliosamente particolari e unici.

Un ricordo in particolare era incastrato nella sua mente angelica.

Più che incastrato si era accomodato sul divanetto a leggere.

Era successo negli anni trenta. Anno più anno meno. Erano entrambi ubriachi, e avevano voglia di restare così.

Crowley acciambellato sul suo petto, le sue gote rosse come i suoi capelli.

-Angelo- aveva borbottato sul suo petto -dimmi che mi vuoi bene-

-Ti voglio bene-

-Dimmelo ancora-

-Ti voglio bene-

-Dimmelo ancora...-

Si promise che l’avrebbe detto, ancora una volta.

 

Amarmi sai
Non so se ti conviene
Mi manchi e sai perché?
Perché non miri bene
Si sentirà uno sparo in lontananza
Poi un rumore di ambulanza
E io non ci sarò più

Crowley era rosso di rabbia. Correva come un ossesso. Brandiva la sua mazza come se non ci fosse stato altro. Colpiva tutti: demoni o angeli non importava.

Lui aveva creato le stelle. Aveva snarnutito le nebuolose e aveva visto il Sole nascere. Non avrebbe temuto la morte.

Gli artigli. Gli occhi indemoniati. Le zanne mostrate e i capelli che parevano sangue libero nell’aria.

Doveva trovare Aziraphale.

Doveva trovare Aziraphale.

Doveva trovare Aziraphale.

Non pensava ad altro.

I suoi occhi.

La sua voce.

Il suo tutto.

E avrebbe combattuto per ritornare dal suo angelo. Aveva ucciso amici. Aveva ucciso nemici.

Aveva ucciso.

Il fremito della battaglia che lo circondava e che gli rombava nelle orecchie, mentre le sue urla animalesche facevano tremare ogni cosa.

Le sue parole.

La sua tenerezza.

Il suo tutto.

Il mondo attorno a lui sembrava vorticare assieme alla sua mente. La paura sempre costante di ferire l’oggetto del suo desiderio era forte, guardandosi intorno con il timore di trovare quel nido di capelli color del grano disfatto sul terreno morbido.

-Dove sei? Angelo? Dove sei?- deambulava come un fantasma, la foga che si era dispersa. Si osservava intorno, la stanchezza che iniziava a riempire il suo corpo come acqua in un vaso.

Non si accorse nemmeno della spada che l’aveva attraversato.

 

Amore mio
Da dove vengo io
Un bacio ed un addio
Sono la stessa cosa

Aziraphale aveva fallito.
Non era riuscito a proteggerlo.
Aveva visto un suo collega, un suo compagno, infilzarlo crudelmente con la spada, l’altro cadere a terra in una pozza di sangue che sembrava mischiarsi con i suoi capelli.
L’espressione ancora confusa sul volto.
Perse la spada, che cadde silenziosa sul campo di nuvole, gli occhi sgranati mentre correva verso di lui.
Non voleva toccare nessuno, ma nella foga era impossibile. Doveva correre.
Doveva salvarlo, in qualche modo.
Si buttò al suo fianco, e non gli importava di essere preda facile per i nemici. O per gli amici.
Voleva solo stare accanto a lui. Nient’altro.
-Angelo...- appena lo vide, il volto dolorante del demone si illuminò di speranza. Un pallido sorriso si fece largo sulle sue labbra. -Sei vivo...-
-Shh...shh...- l’angelo si guardava intorno disperato, cullandolo nervosamente. La battaglia era troppo violenta. Rischiavano di morire entrambi. -Ora risparmia il fiato-.
Fece uscire le sue ali, le piume bianche a fare loro da scudo in mezzo alla battaglia. Erano solo loro due, in quella bolla di pace.
-Aziraphale, non è...-
-Sì che è. Si può fare tutto- l’angelo continuava a girarsi nervoso, le piume bianche ben legate tra di loro in modo da schermare il più possibile le lame del fuori, che tuttavia mostravano la loro presenza attraverso aloni rossastri, che più di quanto aveva sperato erano presenti in quella minuscola atmosfera.
Non poteva mostrarlo, ma anche lui provava dolore.
Posò la mano sulla ferita del demone, solo per constatarne la gravità. La mano si stava ricoprendo rapidamente di quel sangue nero e caldo, il volto sempre più calmo del demone che gli stava facendo venire voglia di piangere.
Di urlare.
Di uccidere tutti quei bastardi uno ad uno.
-Angelo...-
-Taci- cercava di trovare un modo per risolvere tutto. Di guarire quella ferita. Di fare qualcosa. Qualsiasi cosa. Non poteva permettergli di morire.
Non prima di lui.
-Mi dispiace di non...di non averti trovato...- la risata di Crowley era spezzata. Sentiva la gola piena di sangue, la vista farsi sempre più appannata.
Stava morendo.
Mica male, aveva sempre immaginato una morte peggiore.
-Crowley...smettila per una volta...- Aziraphale lo stava pregando. La ferita era santa. La ferita era troppo profonda. Impossibile fare qualcosa.
-Va bene- il sorriso era l’unica cosa che lo faceva sembrare ancora vivo, le labbra sottili distorte e insanguinate.
-Ecco- l’angelo muoveva le dita con velocità sulla ferita, cercando di fare un miracolo per risolvere tutto quanto.
Era il suo dovere.
Aveva giurato di proteggerlo.
Non c’era nulla da fare. Il dato appurato era già nella sua mente, però non voleva ammetterlo a se stesso. Non voleva crederci. Non riusciva nemmeno ad immaginare di essere arrivato al punto di vedere il suo migliore amico. Il suo unico amico. Il suo Crowley morire proprio sotto ai suoi occhi.
-Angelo- mentre le lacrime iniziavano a scendere sulle guance dell’essere celestiale, le dita del demone si erano strette debolmente attorno al suo braccio.
Il pulsare del suo cuore nelle orecchie aveva fatto spazio a quello della battaglia. Era sempre più flebile.
Il dolore cupo che velocemente gli stava facendo dimenticare cosa significasse non provare dolore.
Doveva fare in fretta. -Angelo, potresti…-.
-Non voglio che tu te ne vada via- i singhiozzi di Aziraphale erano non poco dissimili da quelli di un gattino, quieti nella loro disperazione. -Non voglio-.
Gli angeli non erano nemmeno fatti per piangere. Ma lui era diverso dagli altri.
Aveva commesso l’errore di amare il nemico.
L’eternità poi, lo terrorizzava. E il pensiero di trascorrerla da solo ancora di più.
-Potresti...potesti dirmi che mi vuoi bene? Ancora una volta- il tono di Crowley era ridotto ad un filo di vento.
Aziraphale restò sorpreso da quella richiesta. Ma era anche contento, in un certo senso.
Si era ricordato.
-Sì. Certo che ti voglio bene-cercò di fare un sorriso. Uno dei suoi soliti sorrisi mentre i suoi occhi parevano pozzanghere.
Al suo sorriso si unì quello di Crowley. Un colpo di tosse. Altro sangue. La stretta che si era fatta sempre più debole, esattamente come il velo che teneva aperti gli occhi serpentini del debole.
Un miracolo c’era stato. Era riuscito a sentire quello che più aveva desiderato.
Il grido di dolore di Aziraphale risuonò potente, mentre stringeva il suo unico amore tra le braccia.



Vieni con me
Ti porterò dove
La solitudine è un regalo
Più bello di una rosa

   
 
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