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Autore: sunonthesea    02/06/2020    1 recensioni
una raccolta di songfics dove si uniscono due delle mie cose preferite: la musica italiana e Good Omens.
Non è detto che le tematiche delle canzoni vadano a pari passo con quelle della one shot, ma posso assicurare che ci sarà tanta tristezza.
Scusate in anticipo.
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non ci siamo mai dedicati
dedicati le, le canzoni giuste
forse perché di noi
non ne parla mai nessuno

 

Erano dalla loro parte.

Che bella parola, “loro”. Significava che apparteneva solo a loro due, e a nessun altro. Solo loro. La loro parte.

Che bello far parte di un “loro”. Crowley non l’avrebbe mai immaginato.

 

Nascondersi per lui era sempre stato facile. Era un serpente, era la sua specialità scomparire prima tra le fronde dell’Eden, poi tra le strade brulicanti di persone anche in forma umana, con braccia, gambe e tutto il resto.

Anche nascondere i suoi sentimenti era una sua specialità.

Non ne parlava spesso. Li teneva bloccati dentro di sé, dentro il suo corpo vuoto, inutile. Li trasformava. Li negava. Li bruciava come bruciava il legno nel camino, per non lasciare traccia.

Perché era un demone.

Non era fatto per avere sentimenti.

Lui odiava essere un demone, in realtà. Voleva tornare ad essere un angelo, sentire il sole sulla sua pelle e l’amore di Dio sulle sue labbra.

Ma lui sapeva che non era l’amore di Dio che cercava.

 

Non ci siamo mai detti le parole
non ci siamo mai detti le parole giuste
neanche per sbaglio
neanche per sbaglio in silenzio

 

Eden...Mesopotamia...Londra...Roma...Parigi…

In quanti luoghi era stato? In quanti luoghi erano stati, loro due? Dove? Perché? Perché si erano sempre incontrati? Sempre vicini, sempre così vicini.

Erano sempre stati vicini. Sempre stati distanti.

Due mondi di distanza, in realtà.

E lui lo sapeva, lui l’aveva sempre saputo.

E aveva risposto con il suo solito sarcasmo, le risate grezze e le sue occhiate coperte dalle lenti perennemente presenti.

Il silenzio era diventato il suo scudo, in un certo senso. Se non parli non sei incriminato, se non parli nessuno può usare le tue parole contro di te.

Il silenzio era presente, in mezzo a loro due mentre aspettavano il bus.

L’apocalisse era finita.

Anzi.

Non era mai iniziata.

Crowley e Aziraphale erano lì, nella notte. Aspettando un bus che doveva mettere una pezza sopra tutto quello che era successo.

 

La città è piena di negozi
ma poi chiudono sempre
e rimango solo io
a dare il resto al mondo

 

Avevano vinto. Avevano perso.

Non lo sapevano nemmeno loro.

Aziraphale aveva perso la sua libreria. Il suo lavoro. La sua casa. Aveva perso tutto, ma non aveva perso Crowley.

Crowley, dall’altra parte, aveva perso la sua macchina. La sua bellissima macchina.

E Aziraphale.

Aveva perso Aziraphale, per un breve attimo.

Sentiva ancora i getti d’acqua contro la pelle.

Il calore del fuoco negli occhi.

All’improvviso il bus arrivò, un Caronte pronto a caricare le anime sulla sua scaletta cigolante che si apriva con uno sbuffo assieme alle porte.

-Andiamo a casa mia?- la domanda del demone suonò trepidante nella notte, arrivando assente all’angelo.

Era una domanda stupida: Aziraphale non aveva altro posto dove andare.

 

Se in mezzo alle strade
o nella confusione
piovesse il tuo nome
io una lettera per volta vorrei bere
in mezzo a mille persone
stazione dopo stazione
e se non scendo a quella giusta è colpa tua

 

Si erano seduti. Vicini. Si erano seduti vicini, spalla a spalla.

Crowley riusciva a sentire il profumo di cacao che l’angelo emanava. I capelli bianchi come le nuvole attraverso il riflesso del vetro.

Sentiva, sentiva, sentiva.

I suoi pensieri correvano selvaggi esattamente come i suoi ricordi.

Aziraphale c’era sempre stato. Aziraphale c’era sempre stato. Aziraphale c’era sempre stato.

Non gli aveva mai voltato le spalle.

C’era sempre stato per lui.

Era stato suo amico? Sì.

Si era degnato di essere suo amico, si era degnato anche per un solo istante di fargli sentire di nuovo l’amore nel suo cuore.

E lui non l’aveva mai ringraziato.

Ed era tutta colpa sua.

Era immerso nei pensieri, di nuovo. Gareggiavano a chi fosse il più disgustoso, il più stupido e il più inutile e il più disprezzabile e il più ignorante.

Quando sentì delle dita attorno alle sue.

Una mano salda.

Non tremolante come la sua.

Una mano calda.

Non fredda come la sua.

Alzò gli occhi: Aziraphale gli sorrideva con tenerezza nei suoi occhi.

Seimila anni di sguardi e sorrisi e parole e azioni riassunte in pochi secondi.

Pochi secondi e una stretta, per essere precisi.

 

Erano dalla loro parte.

Che bella parola, “loro”. Significava che apparteneva solo a loro due, e a nessun altro. Solo loro. La loro parte.

Che bello far parte di un “loro”. Crowley non l’avrebbe mai immaginato.

 

 

la città incontra il tuo deserto
che io innaffio da sempre
sarà la mia missione
sarà, sarà, sarà
che ora ho un fiore nella bocca

 

Aziraphale non andava matto per l’appartamento del demone.

E lui ovviamente lo sapeva.

Aveva visto il paradiso, all’alba dei tempi.

Era freddo, troppo ordinato.

Il suo angelo cercava sempre di allontanarsi il più possibile dal paradiso, esattamente come lui faceva con il quattordicesimo secolo.

Il problema era che il suo appartamento era ordinato tale e quale al paradiso.

Solo in tinte più scure.

-Mi dispiace per la libreria, angelo- mormorò come a mettere una pezza su una ferita.

-Mi dispiace per la macchina, Crowley- “angelo” era un nomignolo che era proprio del demone, Crowley non aveva un nomignolo vero e proprio.

Aveva Anthony.

Ma era solo uno pseudonimo.

L’angelo si era seduto sul pavimento, non trovando altri posti dove sedersi, stringendo le braccia strette attorno alle ginocchia.

Sembrava a disagio.

Sembrava triste.

Crowley si sedette vicino a lui, mentre la luna continuava ad osservarli.

-Crowley. Anthony- il tono di Aziraphale era stanco, ma ancora vigile. Ancora sorridente, in un certo senso -penso che sia ora di parlare-

 

Ma senza te chi sono io
un mucchio di spese impilate
un libro in francese che poi non lo so neanche
neanche bene io
se devi andare pago io
scusa se penso a voce alta
scusa se penso a voce alta

 

Crowley sentiva il sangue nelle tempie come il rombo di un tamburo, l’ansia che si era liberata nel suo corpo come uccelli fuori dalla gabbia.

Di cosa dovevano parlare? Di nulla.

Non dovevano parlare di nulla perché non c’era niente di cui parlare.

Vero?

Sentì la mano di Aziraphale posarsi sulla sua spalla, il peso di quelle dita che poco prima aveva stretto con tutta la tenerezza di cui era capace.

-Di cosa, angelo?- lui sapeva benissimo di cosa, andiamo.

Secoli e secoli di vicinanza, di occhiate e di tutte quelle cose che erano accadute tra di loro non potevano essere solo uno sbaglio, qualcosa che era accaduto senza un motivo.

Niente accadeva per sbaglio, e questo loro due lo sapevano fin troppo bene.

Il nervoso era troppo.

Quel peso iniziava a fargli male fisicamente.

Un peso sul cuore che non riusciva ad abbandonare.

-Di cosa dovremmo mai parlare? Abbiamo fottuto tutti, abbiamo evitato l’apocalisse- non era vero, Gabriel e Belzebù erano certamente sulle loro tracce.

Sarebbero morti a breve? Probabile, ma non era tempo per pensarci.

-Abbiamo fottuto l’apocalisse, Aziraphale! Ce l’abbiamo fatta!- il suo cervello aveva aperto i boccaporti, il sorriso nevrotico perennemente presente e vibrante.

Aziraphale lo notava spesso: quando sorrideva gli tremava la punta del naso.

-Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo sconfitto il piano ineffabile, l’abbiamo sconfitto! L’abbiamo sconfitto! Abbiamo sbagliato, ma sbagliare è una cosa del tutto naturale. Quello che è importante è che abbiamo fatto quello che dovevamo fare. Ce l’abbiamo fatta. Ce l’abbiamo fatta-

Aveva ripetuto troppe volte quella frase. Le gambe che scalpitavano. Il pugno chiuso che batteva sul pavimento. Il rosso dei capelli che era sceso sulle sue guance, le sue lentiggini che parevano brillare sotto la luce led dell’appartamento.

Non era in grado di frenarsi.

Non era fatto per frenarsi.

Era stanco di rallentare.

Era stanco. Stanco. Stanco. Stanco. Stanco.

Era stanco.

I pensieri era come se gli stessero uscendo dalle orecchie, liquide fuori dalla sua bocca.

Non riusciva a fermare le parole prive di senso, le risate gracchiate ridotte a crepitii.

Quando Aziraphale lo baciò.

Così.

Di botto.

Senza un minimo senso.

Si era girato sorridendo. Gli aveva sfiorato la nuca, il retro dell’orecchio fino a toccare l’asticella degli occhiali.

Si era avvicinato.

Labbra contro labbra.

E il cuore di Crowley si sciolse.

 

Se in mezzo alle strade
o nella confusione
piovesse il tuo nome
io una lettera per volta vorrei bere
in mezzo a mille persone
stazione dopo stazione
e se non scendo a quella giusta è colpa

 

 

-Dovevamo parlare di questo- dopo che si erano separati, Aziraphale aveva potuto godere dell’espressione deliziosamente confusa dell’altro.

Rossa.

Rossa come un peperone con gli occhi gialli scoperti dagli occhiali caduti sul suo grembo.

-Seimila anni, e poi alla fine lo fai così- il balbettio che uscì dalle sue labbra ancora umide era totalmente esilarante agli occhi dell’angelo. Il cinguettio di un pulcino appena uscito dal guscio.

Aziraphale fece un sorrisetto divertito nell’osservare la sua reazione.

Era stato divertente.

-Sì, l’ho fatto- il suo tono era poco distante da un cinguettio –e pare che a te sia piaciuto, o sbaglio?-.

Crowley abbassò gli occhi, ragionando.

L’aveva baciato.

Si erano baciati.

Avevano salvato il mondo.

Quella mattina si era svegliato e si era vestito, ed era finito tutto così.

E poi rise.

Per la prima volta in secoli, rise di gusto.

Senza malizia.

Senza timore.

E si unì anche Aziraphale, a quelle risate.

Riuscirono ad illuminare la stanza per quel breve istante.

Vicini.

Amati l’uno dall’altro.

 

Erano dalla loro parte.

Che bella parola, “loro”. Significava che apparteneva solo a loro due, e a nessun altro. Solo loro. La loro parte.

Che bello far parte di un “loro”. Crowley non l’avrebbe mai immaginato.

 

   
 
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