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Autore: MonicaX1974    11/06/2020    0 recensioni
Raccolta di storie brevi che parlano d'amore ispirate ad una canzone.
Potete trovare la raccolta completa su Wattpad, intitolata Decibel
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Voglio restare a guardare le gocce di pioggia che scivolano sul vetro. Dovrebbero correre giù verso il basso, dritte, senza ostacoli, invece corrono da una parte all'altra, proprio come i miei pensieri.

Una. Due. Tre. Quattro. No, ancora tre, perché la terza e quarta si sono unite. Non devo pensare, solo contare. Cinque, no, quattro, cinque. 

Aveva una maglietta bianca, l'ho intravista sotto la giacca di pelle. 

Sei. Sette. 

Non mi ha degnata di uno sguardo. Non so se non mi abbia vista o era preso da altro. È corso sotto al portico, poi è sparito all'interno del locale. 

Insieme a lei.

Aspetta, no. Lei era già lì, ma sono comunque entrati insieme. Lui le ha messo una mano in fondo alla schiena e l'ha fatta entrare per prima.

A che numero ero arrivata? Cavolo, ho perso il conto e devo ricominciare da capo. Ed è colpa sua. 

Ancora. 

Una. Due. Tre. 

Le gocce scivolano verso il basso, sparendo una nell'altra. 

Forse dovrei farlo anche io, forse dovrei uniformarmi alle persone che frequenta, forse le cose sarebbero andate diversamente. 

Quattro. Cinque. Sette, no sei. 

Mi sono distratta di nuovo. 

È ancora colpa sua, dei suoi occhi azzurri e del sorriso che gli illumina il volto. 

Non avrei dovuto andare al locale, stasera. Mi aveva detto di aspettarlo qui, ma io non ho voluto dargli retta. Il temporale mi ha sorpreso mentre tornavo a casa. Mentre tornavo da sola. 

Devo concentrarmi, devo ricominciare. 

Una. Due. Tre. E se le unissi io? Se le accompagnassi lungo il percorso verso il basso? No, non hanno bisogno di essere accompagnate, non loro. 

Io sì. Avevo bisogno di lui, di averlo qui.

Quattro. Cinque. Sei.

Sembrano lacrime, quelle che non riesco a piangere, e forse è per questo che piove così intensamente, perché non riesco a farlo e, in fondo, non ne vale nemmeno la pena. Lui, non ne vale la pena. O forse eravamo noi a non valerne la pena, per questo non è qui.

Ma in fondo non è mai cominciata. Io, invece, devo riprendere il conto da capo.

Una. Due.

Che poi ci credevo. Ho creduto a ogni parola, a ogni bacio, a ogni sguardo, e Dio... mi ci perdevo sempre nel suo sguardo. Un azzurro così intenso da restarne abbagliata. 

Tre. Quattro. Cinque.

Mi sono stancata di contare.

Apro la portiera dell'auto. Riesco a vedere casa mia dall'altra parte della strada, dove avrei dovuto essere con lui. Allungo una mano verso l'esterno. La pioggia fredda scivola veloce lungo le dita, arriva fin dentro le maniche del maglioncino che indosso, poi scendo, richiudo lo sportello e appoggio il palmo contro il finestrino, cercando di cancellare ogni percorso seguito da quelle stupide gocce. 

Mi volto e cammino verso casa. Mi fermo in mezzo alla strada. La pioggia cade ancora copiosa. Guardo verso l'alto. L'acqua mi bagna il viso, scorre lungo il collo, si infila sotto la maglia. Sento freddo, ma non è a causa della pioggia. Il freddo è nel mio cuore.

È tornato da lei e non ha avuto il coraggio di dirmelo. Perché? Non era quello che mi ha detto ieri sera. 

Sono stata travolta da un fiume di belle parole, a tratti ripetute come un disco rotto, parole su cui ho basato gli ultimi mesi. Parole che mi hanno portato a credere che fosse sincero. Il mio mondo ha iniziato a girare intorno a lui. Ero carica di speranza, disposta ad aspettare tutto il tempo di cui mi ha detto di aver bisogno, ma quell'attesa è diventata così ingombrante da rischiare di schiacciarmi. 

È come se ci fosse un vetro tra noi, un vetro che lui stesso ha tirato su, a cui sembra non volersi  nemmeno avvicinare, un vetro spesso che mi permette di guardarlo, ma di non toccarlo. 

Ho avuto solo briciole, avanzi, ritagli del suo tempo, tempo che non ha mai tolto a lei per dare a me, a noi. Sono stata la seconda scelta, un'opzione che si può omettere quando non fa comodo. Tempo che mi ha dedicato solo quando non aveva il fiato di lei sul collo, solo che ero accecata da ciò che provo per lui, e quelle briciole mi sembravano passi avanti, invece è rimasto fermo.

D'un tratto smetto di pensare, quando sento il rumore di un'auto. Porto lo sguardo al centro della strada, per vedere un paio di fari venire nella mia direzione. Resto al centro delle corsie, non mi sposto, perché ho riconosciuto la sua macchina. Rallenta e si ferma a un paio di metri da me. Scende senza spegnere il motore e mi raggiunge.

«Che stai facendo?» mi osserva preoccupato, ma resta a distanza.

«Io...» Dio, quando lo guardo non capisco più niente e ogni mia certezza viene rimessa in discussione. Continua a farmi lo stesso effetto, sempre.

«Dai, ti accompagno dentro» fa un passo verso casa mia, ma resta a distanza, solo che non ne posso più di questa maledetta distanza.

«Hai paura di lei?» le parole mi escono di getto, senza che possa controllarle.

«Cosa?» si volta a guardarmi, con un'espressione confusa.

«O hai paura di me?» più volte mi sono posta queste domande.

«Possiamo parlarne dentro?»

«Oppure hai paura della solitudine?» Ho trattenuto troppo a lungo queste riflessioni. Adesso sento esplodere ogni pensiero, sento scivolare fuori dalla bocca ogni ipotesi, e non posso fermarmi. «O magari sei un narcisista che professa grandi sentimenti, sentimenti che non sei in grado di provare?»

«Si può sapere cosa diavolo ti è preso?» La sua voce si alza, sovrasta appena il rumore della pioggia incessante.

Ha indossato una felpa sotto la giacca e il cappuccio che gli copre la testa è completamente bagnato, come anche il resto dei suoi indumenti. Resta fermo, lo fa sempre.

«Chi sei tu? Cosa vuoi davvero?» ignoro la sua domanda e lascio che vengano fuori i dubbi che mi stanno tormentando.

«Che razza di domanda è?»

Continuo a esternare ogni cosa che mi sono tenuta dentro da quando abbiamo iniziato a frequentarci, incurante della sua espressione spaesata.

«Ho messo le cose in chiaro da subito, ti ho aperto il mio cuore senza riserve, ti ho sostenuto in ogni momento. Ci sono sempre stata per te, anche a discapito di me stessa, e non importava se prima veniva lei. Ti ho dato tutto il tempo di cui dicevi di aver bisogno per mettere ordine nella tua vita, ma adesso basta». La gola mi brucia, non sento più freddo, nonostante sia certa di non aver più alcun indumento asciutto.

«Non so di cosa stai parlando, ma non voglio più restare qui fuori». Allunga una mano verso di me. Guardo le sue dita protese in avanti e vorrei riuscire ad afferrarle, ma non posso.

«Che cosa vuoi fare?» continuo.

«Voglio entrare in casa e togliermi questa roba bagnata di dosso» ribatte serio, evitando di rispondere alla mia domanda.

«Perché sei qui?»

«Dio, perché continui a fare queste domande del cazzo? Non possiamo entrare, prima di prenderci una polmonite?»

«Perché voglio delle risposte e le voglio adesso». Non posso aspettare e non m'importa della pioggia, del freddo, della sua fretta di entrare in casa. Mi osserva confuso, come se davvero non capisse a cosa mi stia riferendo. «Ti ho visto con lei» spiego. Chiude gli occhi e inspira a fondo. Resta in silenzio. «Se vuoi restare con lei, dillo, ma se vuoi me, dimostralo».

Non voglio più accontentarmi di rientrare nei suoi ritagli di tempo, non voglio restare ad aspettare un suo messaggio, una chiamata, e non posso più continuare a chiedermi se sia con lei. Il nostro rapporto si è basato su promesse rimaste parole, baci rubati, sogni che non si avverano, e speranze che hanno bisogno di continuare a essere alimentate. Non voglio più l'incertezza, non mi bastano i suoi sguardi furtivi. Voglio lui, ma lo voglio senza condizioni, alla luce del sole, perché non sono la seconda scelta di nessuno.

«Ti avevo detto di aspettarmi a casa».

«Sono stanca di aspettarti».

È doloroso dirlo, ma preferisco perderlo per sempre, che accontentarmi delle briciole.

«Beh, dovrai abituarti. Lo sai che faccio spesso tardi al lavoro, che devo passare ad aiutare mia madre con la casa un paio di volte a settimana. Dovrai imparare a far combaciare i tuoi impegni con i miei e accettare che lasci un po' di roba a casa tua, perché non ho voglia di perdere tempo e passare da casa prima di venire da te». Parla in fretta, senza darmi modo di replicare. Tante informazioni, tutte insieme, e fatico a metabolizzare le sue parole.

«Cosa... cosa stai dicendo?» mormoro con un filo di voce, non so nemmeno se mi ha sentito, ma poi lo vedo avvicinarsi.

«Ho una borsa, in macchina. Ho portato qualcosa da cambiarmi e uno spazzolino» spiega, portando entrambe le mani sul mio viso. «L'ho lasciata, sono qui, se c'è qualche altro modo di dimostrarti che ti amo devi solo dirmelo».

Tutti i pezzi del mio cuore tornano a posto, riprendendo a battere forte. Sento le sue mani sulle mie guance, i suoi occhi mi fanno perdere la ragione, mentre la sua voce arriva in ogni parte del mio corpo.

«Ho fatto così tanti errori, ho fatto del male a entrambi, ma non succederà più. Mi dispiace averci messo tanto, ma ora sono qui e ho intenzione di restare. Se ancora mi vuoi...»

Sento le emozioni risalire lungo la gola, ma lì si fermano. Non riesco più a parlare, non riesco nemmeno a pensare. Ha detto che mi ama. Diceva che non l'avrebbe mai detto finché non fosse stato libero di amarmi e io credevo fosse solo una scusa.

«Non... io... non...» balbetto parole senza senso, perché non riesco ad articolare le frasi e nemmeno i pensieri.

Sorride più tranquillo, mentre io sono un turbine di emozioni che mi sconquassano il petto. 

«Adesso pensi di poter entrare in casa?»

«Solo se lo dici un'altra volta» sussurro guardandolo negli occhi.

«Cosa? Che voglio entrare in casa o che ti amo?»

All'improvviso il turbine nel mio petto implode, non sento più nulla, né la pioggia, né le sue mani sul mio viso, come se ogni cosa si fosse fermata, per poi tornare con più forza di prima: il cuore impazza, i brividi corrono veloci lungo il mio corpo, sto tremando, ma non sono sicura sia a causa del freddo. Lo guardo, forse in attesa di qualcosa, anche se non lo so con esattezza. Non so più niente. Con due parole ha cancellato ogni dubbio.

«Ti amo» ripeto con un filo di voce.

Sorride, o credo lo stia facendo, non ne sono certa, perché le sue labbra si sono appena posate sulle mie, sotto la pioggia battente. Provo un leggero senso di vertigine, come se fossi salita a una notevole altezza, mi sento leggera, poi lanciata con forza verso il vuoto e riportata in alto, con il cuore che batte a mille.

Ha scelto me. I sacrifici sembrano lontani, la sofferenza meno dolorosa, e l'attesa è terminata. Adesso c'è lui. Ci siamo noi.

   
 
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