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Autore: Happy_Pumpkin    12/08/2009    1 recensioni
Un giovane amante si troverà a scegliere tra i due amori della sua vita: l'Egitto e Meritaten, vedova senza corona. Un Egitto che tenta di risollevarsi dopo la riforma amarniana, mentre chi crede in Aton lotta per salvarsi dall'oblio.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità
Capitoli:
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Secondo capitolo
Tramonto



Zannanza viaggiava sul proprio cavallo, rifiutando la portantina che pure avrebbe meritato in virtù della carica che rivestiva. D'altronde era il figlio primogenito di Suppiluliuma – sovrano degli Hittiti – nonché il principe che avrebbe sposato la dahamunzu, divenendo così faraone dell'Egitto.
Era un ragazzo ambizioso, nei suoi ventun anni d'età, e godeva del privilegio di avere la fiducia incondizionata del proprio padre che lo aveva mandato in quella spedizione gloriosa; Zannanza già si concedeva il lusso di immaginare le sale che avrebbe attraversato da dominatore, il trono su cui avrebbe appoggiato le braccia, la doppia corona dell'Alto e Basso Egitto che simboleggiava il proprio potere.
Simile a un innamorato curioso si domandò anche quale fosse l'aspetto della propria sposa, le grazie che forse gli avrebbe ceduto la notte in cui si fossero uniti nel letto che ormai gli sarebbe appartenuto: sapeva di essere un bell'uomo e tutto sommato non se ne dispiaceva – unica concessione vanitosa alla rigorosa disciplina militare che contraddistingueva la propria formazione sin dall'infanzia.
Improvvisamente i suoi pensieri vennero interrotti dall'annuncio di uno degli esploratori del convoglio, tornato sui suoi passi per comunicare aggiornamenti sul percorso.
“Principe, è stato avvistato un gruppo di uomini che avanza nella nostra direzione!”
Il giovane uomo arrestò il proprio cavallo e, alzando il braccio, ordinò ai soldati al seguito di fermarsi. Il destriero scalpitò per quell'ordine improvviso, ma egli lo tenne sotto controllo senza alcuna difficoltà.
“E' possibile identificarli?”
“Sono cinque contadini egiziani, a giudicare dall'aspetto e dall'abbigliamento. Mostrano segni di pace e non sembrano armati.”
Zannanza rifletté qualche istante mentre scorgeva rapidamente il territorio: desertico, con rade macchie di vegetazione; un luogo nel quale era difficile se non impossibile nascondersi per portare a termine eventuali agguati. Infine disse, stringendo con più forza le redini:
“Andiamo loro incontro.”
Khumarbi, la guardia del corpo che affiancava il futuro sovrano, mostrò la propria preoccupazione:
“Mio signore, è pericoloso. Questi egiziani sono inaffidabili.”
“Non temo per la mia vita: gli egizi saranno anche stupidi ma non così tanto da uccidermi. Muoviamoci, uomini!”
Spronò il proprio cavallo, così che il drappello che seguiva l'impaziente principe accelerò il passo in modo da mantenere il piccolo gruppo compatto.
Sesh, il corpo coperto da un'ampia tunica di lino grezzo, con il cuore che batteva impazzito per l'agitazione scorse il convoglio Hittita avanzare: credette che passo dopo passo la sua morte si avvicinasse, implacabile quanto quegli orrendi animali a quattro zampe che proseguivano sollevando nugoli di sabbia. Sentì il proprio kopesh(*) lungo il fianco – sufficientemente nascosto da passare inosservato ma non troppo coperto, facile quindi da impugnare una volta che fosse giunto il momento.
Lanciò un'occhiata al proprio vicino che, pallido come un cadavere, attendeva silenzioso, guardando con occhi sgranati i propri nemici venirgli incontro: gli tremavano le gambe e la fronte spaziosa per la calvizie incipiente era imperlata di sudore. Sesh si umettò le labbra secche e gli dette una gomitata, intimandogli in un sussurro roco:
“Calmati o ci scopriranno.”
L'uomo, evidentemente dimentico del significato della battaglia dopo anni di inattività ad Akhetaton, si affrettò ad annuire e a bloccare il tremito alla gamba, con la rapidità di un bambino che – colto sul fatto – si sbrigava a nascondere le prove del reato. Poco distante da lui Hemeb attendeva immobile e stranamente silenzioso, puntando gli occhi fissi sull'avversario.
Finalmente, dopo un tempo che parve interminabile, la spedizione Hittita raggiunse lo sparuto gruppetto di egiziani, i quali apparivano indifesi e sottomessi alla stregua di una qualsiasi popolazione pronta ad essere conquistata. Quanto contrastavano i loro abiti cenciosi con l'armatura scintillante del principe Zannanza, il cui pettorale era intarsiato d'argento(*), mentre alla cintura era rinfoderata un'arma dalla lama forgiata con il Metallo degli Dei, risplendente nella sua luce divina.
Era bello, quel principe solitario dalla barba curata e l'aspetto fiero, trionfante nella sua aria vittoriosa e nella giovane età che lo destinava ad ampi successi. Per un solo istante Sesh, sbarbato e dal volto più incavato rispetto al quasi coetaneo, provò pena per quel ragazzo.
Si dette dello stupido: doveva provare compassione solo per se stesso, mandato consapevolmente incontro a un destino che profumava di morte.
“Chi siete? Parlate, prima che i miei uomini vi giustizino.”
Sesh fece un inchino sapientemente dosato e rispose:
“Siamo guide incaricate di condurvi oltre la frontiera. Vi omaggiamo di questo latte di palma, che possa rinfrescarvi e rendere più piacevole il viaggio finale.”
Dicendo questo si chinò e porse, con la testa piegata verso il basso, un otre in pelle che custodiva il prezioso quanto fresco liquido.
Il primogenito di Suppiluliuma scoppiò a ridere: “Ecco gli orgogliosi egiziani umili al pari delle pecorelle di fronte al pastore – si rivolse alla sua guardia del corpo con tono imperioso – assaggia la bevanda.”
Il soldato obbedì e scese da cavallo. Dopo un istante di incertezza bevve dall'otre: non appena ebbe inghiottito la bevanda si pulì col dorso della mano le gocce fuggitive.
“Non ha un gusto strano, sua maestà. Sembra non sia avvelenato.”
Il giovane non lo considerò e spostò il suo sguardo verso Sesh, ancora chino:
“Ora bevilo tu. Oggi mi sento molto generoso.”
L'interpellato alzò la testa e per un impercettibile attimo i suoi occhi sfidarono con provocazione il potente principe; senza esitare prese tra le mani l'otre e bevve una modesta quantità di latte di palma, anche se fece fatica ad apprezzarne il gusto amarognolo per via della tensione.
A quel punto, visto il gesto, Zannanza si dimostrò soddisfatto e batté più volte le mani, in un cadenzato quanto snervante applauso:
“Mi complimento con voi, egiziani. Siete meno stupidi di quello che pensavo.”
I suoi uomini scoppiarono a ridere mentre le insegne, trionfanti, ondeggiavano al vento, ricordando divinità che proteggevano un popolo guerriero, maestro nel cavalcare.
L'esploratore tornò dopo un ulteriore giro di ricognizione e confermò:
“Il territorio è pulito, mio signore. Poco distante da qui c'è solo uno sparuto gruppetto di beduini accampati, niente di pericoloso.”
Il principe annuì e osservò:
“Vi dimostrate dei servi fedeli, egiziani. Meglio per voi e per noi. Ora posso bere questo sospirato latte di palma, visto che tanto è stato fatto affinché lo avessi.”
Il giovane scese da cavallo con una mossa veloce, dovuta ad anni di addestramento indispensabili in una popolazione che faceva degli equini la propria arma vincente.
Sesh guardò negli occhi il principe mentre prendeva l'otre porto dalla propria guardia personale e vi lesse un'aria di vittoria, di certezza, che per un attimo gli fece credere che sarebbe vissuto in eterno; però sentì il peso del khopesh schiacciargli il fianco e allora realizzò che doveva agire, nel bene o nel male, altrimenti ciò che sarebbe rimasto della sua vita non avrebbe avuto alcun senso.
Fu un movimento rapido, quasi invisibile.
Sesh estrasse la spada dalle pieghe della tunica e senza esitazioni, senza pensare a cosa sarebbe accaduto, colpì Zannanza che – distratto da quella bevuta priva di veleno – non aveva fatto in tempo a schivare l'attacco; allo stesso modo il seguito di uomini non aveva realizzato quanto stava accadendo e i primi che si mossero per intervenire vennero uccisi dagli altri egiziani che, nel frattempo, avevano a loro volta estratto le armi.
Sesh sentì spezzarsi qualcosa nel petto del proprio nemico non appena vi affondò la lama: quando il sangue macchiò il metallo, l'argento dell'armatura, le mani di entrambi, realizzò che l'avversario – invincibile principe Hittita – stava morendo per colpa sua.
Il giovane guerriero non fiatò: si limitò a spalancare gli occhi scuri mentre il volto dal pallore cadaverico aveva già l'espressione della morte – un'espressione triste, di chi non voleva rassegnarsi a cedere quei pochi anni di vita in un modo ingiusto. Lontano da casa, dai propri affetti, dai compagni d'infanzia. Il principe senza futuro si accasciò sulla polvere del deserto, mentre il latte di palma rovesciato dall'otre caduto a terra andò a mischiarsi con il suo sangue – uguale al sangue dei nemici egiziani, uguale a quello di qualsiasi uomo.
Sesh fece per ritrarre il khopesh ma quando appoggiò la mano sulla corta impugnatura vide che la guardia del corpo del principe, furente, nonostante una ferita al fianco si stava avventando su di lui. Aveva già la spada tesa verso l'alto, il cui fendente avrebbe sicuramente ucciso l'egiziano giunto dal nulla che aveva assassinato il primogenito di Suppiluliuma.
Fu in quel preciso momento che Sesh credette di dover morire.
Ma, improvvisamente, una freccia trapassò il petto di Khumarbi, il quale gorgogliò qualcosa di incomprensibile rigettando solo sangue; cadde a terra, con ancora in mano l'arma che affondò nella sabbia lambita dal sangue.
Il giovane soldato indietreggiò stordito ma non si concesse il lusso di voltarsi: già sapeva che i beduini trovati dall'esploratore Hittita altro non erano che arcieri egiziani camuffati, riusciti ad intervenire al momento giusto. Gli avevano salvato la vita.
Poté solo trarre un profondo respiro mentre attaccava ancora i nemici superstiti, grondando sudore e aspettando le ferite che gli avrebbero lacerato la pelle di guerriero.
L'odore del sangue impregnava già quel sofferto campo di battaglia, che vedeva gli Hittiti – pochi e colti alla sprovvista – piegarsi all'attacco pianificato degli egizi che disperatamente combattevano, forse con una strategia vigliacca, per conservare la propria dignità.
Quando tramontò il sole il drappello mandato dal re Suppiluliuma aveva cessato di esistere; non c'erano superstiti né risparmiati e nessuno doveva sapere quanto era accaduto tra quelle sabbie al confine con l'Egitto: ufficialmente Zannanza e il suo seguito erano stati uccisi da un gruppo di predoni ben organizzati, i quali avevano fatto strage e depredato il convoglio.
Sesh si medicò alla buona un polpaccio ferito nel combattimento con un lembo del proprio sbrindellato vestito, ringraziando di non perdere copiosamente sangue: era stato colpito solo superficialmente, dunque poteva ritenersi fortunato di zoppicare appena.
Esausto, coperto di sangue, di sudore e sabbia, si sedette a terra, con la gola riarsa e la pelle più sporca di quanto non credesse; non osò nemmeno passare una mano tra i bei capelli neri, sapendo di trovarvi solo altrettanta sporcizia. Ogni cosa odorava di morte.
Lanciò un'occhiata al corpo del principe che già veniva lambito dagli insetti: era lì, solo, con la sua inutile armatura fragile che nulla aveva potuto contro un poderoso attacco diretto. Aveva ancora gli occhi vitrei aperti che ben presto sarebbero stati banchettati da animali, affamati persino della sua bellezza nel fiore degli anni: cosa era servito a quel ragazzo avere il potere, la giovinezza, la convinzione di vivere benedetto dagli dei?
Nessuna sepoltura per lui: sarebbe stato dimenticato, avvolto dalle sabbie del tempo, morto senza gloria né onore al pari di un qualsiasi fuggiasco. Non aveva nemmeno avuto la possibilità di difendersi, peccando di impulsività e una fiducia ingenua.
Il soldato sospirò, scuotendo la testa. Andava bene anche così: fino a che Suppiluliuma non fosse entrato a conoscenza della morte del figlio, l'Egitto poteva respirare ancora e forse sperare in un miracolo che lo avrebbe risparmiato dalla vendetta Hittita. Ma almeno non si sarebbe venduto, spalancando le porte come una meretrice qualsiasi all'amante lussurioso.
E lui, soldato amante di una regina senza trono, era sopravvissuto: poteva rientrare nel proprio paese, bagnarsi nel Nilo, pescare sulla feluca fatta di canne e respirare l'aria della Terra Nera. Non avrebbe voluto altro: sapeva che Meritaten non sarebbe più esistita, se non nei suoi sogni di innamorato.
Guardò il sole che si nascondeva tra le dune: il viaggio nella barca solare di Amon stava cominciando per poi risorgere, giorno dopo giorno. Ma fu nella contemplazione della luce che, all'improvviso, Sesh smise di respirare; scoprì, con amarezza, di non riuscirci più.
Si portò una mano al petto e pianse quando vide il sangue macchiargli le mani: il suo sangue.
Boccheggiò, annaspando in cerca di aria, al pari di un ubriaco seduto presso la taverna improvvisamente privo di vino; si sentiva così, in cerca di qualcosa che non avrebbe più trovato, senza nemmeno avere la possibilità di chiedere quel servigio che era la vita.
Cadde con la schiena sulla sabbia, le mani appoggiate sul torace e vide lui guardarlo con una certa commiserazione dall'alto. Lo guardò a sua volta e realizzò di essere stato ingenuo.
Eppure chiese:
“Hemeb... perché?”
Il suo migliore amico, il compagno di addestramento, di lotte, di scherzi infantili e di povertà, si piegò sulle ginocchia in modo da sussurrargli ad un orecchio:
“Mi dispiace, Sesh. Era previsto che tu non dovessi tornare.”
Il giovane ripensò alla spada affilata che per la prima volta aveva visto tra le sue mani, troppo costosa per un normale soldato addetto alla guardia del Palazzo, e si chiese quali altre ricompense custodisse nella casa che lo attendeva una volta tornato ad Akhetaton. Avrebbe voluto parlare ma quando aprì le labbra aride uscì solo del sangue, così scuro e vivido da ricordargli la terra fertile del Nilo che non avrebbe più rivisto.
Infine si sforzò e biascicò a fatica: “Non ho nemmeno una sepoltura. Tu mi hai ucciso due volte, Hemeb.”
Quest'ultimo rifiutò di ascoltare ancora. Si rialzò bruscamente in piedi e corse via, fuggendo per unirsi al gruppo di superstiti che, di comune accordo, avevano finto di non sapere quanto stesse accadendo, consapevoli che sarebbe potuto toccare anche a loro.
Il soldato chiuse gli occhi, privo della forza di piangere e di vedere; aveva esclusivamente il sole a fargli compagnia, i cadaveri e gli insetti. Quel sole che era stato tanto amato, ora era il compagno della sua morte: sentendo i suoi raggi sperò con tutto il cuore di trovare una casa da morto, toccare le spighe alte cubiti e cubiti, ricongiungersi con quanti se ne erano andati per sempre.
Così, per un solo istante, si dimenticò di non avere respiro: ripensò all'Egitto e a Meritaten, le uniche donne che avesse mai realmente amato. Non aveva nessuna delle due accanto ma paradossalmente sentì di non essere mai stato così vicino a entrambe.

I tuoi raggi nutrono tutte le piante:
quando sorgi, vivono e crescono per te.
Tu fai le stagioni per far crescere tutto ciò che hai creato,
l'inverno per rinfrescarlo,
la calura perché ti gustino.
Hai fatto il cielo lontano per splendere in esso,
per vedere tutto ciò che hai creato,
tu solo,
splendente nella tua forma di Aton vivente,
che ti levi e splendi, allontanandoti e avvicinandoti.
Tu fai milioni di forme da te solo,
città, villaggi, campi, strade e fiumi...
[...]
La terra esiste per tua mano, come l'hai creata.


Meritaten guardò il disco solare senza rimanerne accecata: se anche le fosse accaduto non avrebbe avuto importanza. Ogni cosa stava crollando, l'opera amorevole di Aton era destinata a disfarsi inesorabilmente per colpa di uomini ingrati; uomini che non avevano capito nulla delle volontà di Akhenaton, del suo pensiero e delle sue speranze di fondare un regno diverso.
Si sedette per terra, incurante di sporcarsi il vestito, incurante persino di far scurire la propria pelle già olivastra; instancabilmente nelle sue preghiere si chiedeva perché, nonostante tutto, Aton continuasse a risplendere. Sarebbe stato così facile farli piombare nell'oscurità, lei stessa si sentiva circondata da tanto buio.
E poi, improvvisamente, la collana di lapislazzuli che aveva al collo si slacciò e cadde sul lastricato del cortile. Cadde, così che gli ornamenti azzurri si sparpagliarono sul terreno: una miriade di riflessi dal colore del cielo inondarono la terra, simili a un'inondazione improvvisa che non si sarebbe mai potuta ritirare.
Meritaten non poté fare nulla: assistette impotente al disperdersi di quelle gocce d'amore e seppe istintivamente che da qualche parte anche lui aveva subito lo stesso destino. Allora sofferente si portò una mano al cuore, scoprendo che nemmeno una pietra si era salvata: neanche un frammento era riuscito ad appigliarsi all'intricato vestito che copriva il petto.
Si guardò il proprio palmo che ancora odorava di unguento e con quelle stesse dita sottili raccolse con pazienza infinita i numerosi lapislazzuli, custodendoli tra le pieghe della veste. Sperava così di salvarlo, anche se sapeva che era già morto.
Quando si rialzò era il tramonto: non si era accorta minimamente del tempo che passava. Il tempo... scorreva via veloce quanto acqua sulla pelle, implacabile come una tempesta e insensibile al pari di un marito privo d'amore. In piedi, con tra le mani i miserevoli resti della collana tolta dal momentaneo rifugio del tessuto, la principessa spostò lo sguardo verso l'uscita del cortile.
Vide Ai appoggiato ad un bastone.
Si guardarono per un interminabile istante, durante il quale nessuno dei due parlò. Eppure compresero che non sarebbero servite parole.
L'anziano vizir cedette e abbassò la testa, scomparendo oltre il colonnato accompagnato dal fruscio del proprio passo strascicato; fu allora che Meritaten comprese: tutto era perduto, ella stessa era persa, annegata nell'oceano primordiale del nulla.
Per lei come per Sesh non ci sarebbe stata più nessuna alba, soltanto un tramonto meraviglioso dai colori dorati che andava a dipingere il cielo, rendendolo simile alle gote di una giovane pudica. Assistette al volo degli ibis che sfioravano le acque artificiali dei giardini, sentì gli odori del pesce messo ad arrostire, l'aria resa zuccherina dai datteri imbevuti di miele e per la prima volta, seduta tra la polvere, avvertì la vita tra le sue mani, le quali avvolgevano le ormai calde pietre luminose. Provò amore per quell'amante scomparso, sapendo che non avrebbe più sentito il suo abbraccio al risveglio, eppure non poté essere triste perché ben presto anche lei avrebbe smesso di attendere l'alba.
La sua luce ormai era altrove.
Non nel mondo terreno, bensì tra le braccia di Sesh, che aveva già scoperto cosa volesse dire viaggiare sulla barca solare per vedere la vita.

Quando sei sorto, essi vivono,
ma quando tramonti essi muoiono.
Sei la durata della vita,
perché si vive di te.(*)

















*[Inno ad Aton; estratto da pgg 412-413 di “Letteratura e Poesia nell'antico Egitto” di E. Bresciani]



Terminologia


Unguento: le persone di alto rango usavano cospargersi il corpo di unguenti odorosi, oppure posare coni profumati in testa che, con il caldo, si scioglievano sulla parrucca. Tali unguenti venivano riposti in unguentari appositi, generalmente simili a fiasche di piccole dimensioni, adatte per far colare poco a poco il prezioso liquido.

Khol: nome arabo per definire il trucco, anche se non è quello utilizzato dagli antichi egizi. La spessa linea nera che ornava il contorno degli occhi serviva, più che per bellezza, per protezione dal sole ed eventuali abrasioni della pelle.

Terra Nera:
Gli egizi denominavano la loro patria Taui, ovvero le Due Terre. La terra nera è dove vivono, mentre quella rossa è il deserto, patria di Seth e di contatto con i defunti.

Hattusa: Capitale Hittita, situata tra le montagne anatoliche. Dell'immensa cinta muraria oggi rimangono alcuni resti, con annesse delle ricostruzioni complete di merlature, rese possibili grazie ai modellini votivi.

Res Gestae: I sovrani Hittiti usavano scrivere le loro imprese su tavolette che venivano conservate negli archivi reali. Ovviamente spesso e volentieri i resoconti erano piuttosto tendenziosi, volti ad ingigantire la figura mitica del re: nonostante questo si sono rivelate delle preziosi fonti storiche per la verifica di avvenimenti storici.

Cuneiforme: A quell'epoca la corrispondenza internazionale era scritta interamente in akkadico e si utilizzava l'alfabeto cuneiforme, il cui andamento generalmente procedeva su colonne verticali.

Dahamunzu: Parola Hittita per chiamare la Sposa Reale, moglie del Faraone.

Ishtar: Dea venerata dagli Hittiti come dai babilonesi. Conosciuta nelle leggende anche come maga ed incantatrice.

Hyksos: Popolo probabilmente di origini pastorali, di provenienza non chiara. Invase l'Egitto e vi regnò per duecento anni, approssimativamente dal 1730 al 1530: la loro capitale venne stabilita ad Avaris, nel delta del Nilo. La dominazione Hyksos verrà definita dagli storici Secondo Periodo Intermedio e avrà fine con la riconquista delle terre da parte di Ahmosis che darà inizio alla XVIII dinastia, dinastia della quale fanno parte anche sovrani come Akhenaton o Tutankhamon.

Api: Dio del fiume egizio. Veniva raffigurato con volto maschile ma aveva il seno da donna, così da rappresentare la completa idea di fertilità e rigenerazione che simboleggiavano il Nilo stesso.

Birra: La bevanda tipica. Si consumava durante i pasti molto fresca e nelle taverne era regolarmente servita; solitamente la si teneva in refrigerio in giare interrate ed era utilizzata da una vasta fascia della popolazione, al pari dell'acqua. Il vino invece era privilegio delle alte fasce e venne commerciato grazie ai contatti con Creta.
A testimonianza dell'ampio consumo popolare della bevanda vi sono, oltre ai corredi funebri, anche le iscrizioni funerarie che prevedevano ampi quantitativi da trasportare per la vita nell'aldilà.

Senet: gioco da tavola tipicamente egizio. Composto da una scacchiera rettangolare, possedeva pedine che i giocatori dovevano muovere lungo un percorso fatto a scacchiera: lo scopo è quello di riuscire a raggiungere l'aldilà.

Khopesh: Arma da guerra con una sola lama, simile ad una spada solo che curvilinea come una falce.

Argento: Gli egizi non conoscevano l'argento, a differenza di quanto accadeva con l'oro; gli Hittiti ne avevano invece in abbondanza e lo utilizzavano per ornare e spesso forgiare gli armamenti: la superficie lucida incuteva timore nei nemici e per la lucentezza venne ritenuto un materiale divino.

Inno ad Aton: venne composto dal faraone Akhenaton, in onore appunto di Aton, dio rappresentato sotto forma di disco solare che, con i suoi raggi, raggiungeva e dava vita a tutte le creature. Non è ancora una vera e propria forma di monoteismo anche se l'accentramento sulla divinità, a discapito delle altre che vennero dimenticate, ne rivela una sorta di anticipazione.
La maggiore contrapposizione fu ad Amon, fino ad allora dio centrale dell'Egitto, il cui clero deteneva un potere immenso, anche grazie all'ingente reddito; probabilmente la riforma amarniana non è data inizialmente da fervore religioso, quanto dalla volontà di Akhenaton a porre un freno allo strapotere sacerdotale.
Il testo presentato è una traduzione presente nella raccolta di Edda Bresciani, come già accennato precedentemente.



Sproloqui di una zucca

Ed ecco a voi il secondo e ultimo capitolo ^^
Spero che nel complesso la storia possa essere gradita e di non aver annoiato troppo con l'elenco di termini e vari; consultandomi con la cara Hiko_Chan ho capito che effettivamente è meglio abbondare piuttosto che rischiare eventuali incomprensioni degli argomenti trattati.
Un giorno vorrei parlare più nello specifico di Akhenaton; penso che non sia solo un folle visionario come descritto in molti romanzi ma qualcosa di più, rivoluzionario, forse molto più pragmatico di quanto non si creda. Chissà, nel frattempo ci penso su XD
Alla prossima *_______*

Ora l'angolino dei commenti; la risposta alle recensioni di questo capitolo la troverete sul mio livejournal, grazie per qualsiasi recensione lascerete ^^

Raxilia_running: Grazie a te per aver letto la mia storia *______* Mi sento onorata nel vedere che il mio stile non solo piaccia ma coinvolga, sapere oltretutto che ti ha mosso la curiosità verso il periodo storico trattato e fonte di grande giuoia, visto che adoro tutto ciò che riguarda l'antico Egitto *O* Sono due capitoli in tutto: altroché rompiscatole,  il fatto che ti interessi  proseguire la lettura mi rende davvero soddisfatta di quello che ho scritto. Concludo complimentandomi per la vittoria: hai scelto un periodo storico davvero affascinante e meno conosciuto rispetto alla media *______*


WaterAlch:  Grazie mille ^^ Sono proprio contenta di aver trovato una persona che, come me, ama questo periodo storico *____* Spero che anche questo secondo e ultimo capitolo sia all'altezza del precedente; grazie oltretutto per aver apprezzato lo stile di scrittura così come il personaggio di Sesh, anche se ha subito un destino un po' ingrato *____*

   
 
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