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Autore: Digihuman    14/06/2020    5 recensioni
[IN CORSO]
Mi chiamo Brent Smith, ho trent'anni e voglio raccontarvi la mia storia. […]
A dirla tutta il mio certificato di nascita indica Tokyo come mia città natale, ma la città in cui ho vissuto per la maggior parte della mia infanzia e adolescenza è Exeter. […] E niente, la maggior parte dei miei ricordi sono proprio legati a questa città. Ricordi, che tra le tante cose, mi riportano a lei, alla mia dolce Yoshiko. […]
Spesso mi ritrovo a pensare a quando, temporaneamente parlando, potrei collocare il momento esatto in cui mi sono innamorato di lei. Avevo sentito le farfalle allo stomaco già la prima volta che la vidi. […] L'unica certezza che ho è che il mio amore è nato con lei e che morirà ciecamente con lei.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Buongiorno,
questa storia originale si intreccia con una mia storia già scritta precedentemente, ovvero Choices. Per chi l'avesse letta, riconoscerà subito il personaggio di Bee. Per chi non l'avesse ancora letta, ALT! Consiglio la lettura SOLO dei primi tre capitoli e non del quarto poiché contiene spoiler per questa originale.

INFO: finalmente TBE inizia ad intrecciarsi con Choices, perciò da questo capitolo in avanti – almeno per chi ha avuto modo di leggere la mia precedente minilong – ritroverete un volto noto, Taichi Yagami, e alcune citazioni e scene prese proprio da Choices.

Ringrazio con il cuore LadyMoon89 per aver intrapreso con me questo percorso in veste di Beta Reader!

Rating capitolo: verde
Personaggi capitolo: Brent e Taichi

Capitolo 8



Se per quasi vent'anni della mia vita avevo vissuto in Inghilterra, secondo regole specifiche, parlando una lingua conosciuta sin dalla nascita, ora mi ritrovavo dall'oggi al domani a dover intraprendere un viaggio verso tutto ciò che mi era estraneo, ma che per metà mi apparteneva, alla ricerca della felicità. Perché sì, per me diventare un pilota era un po' come raggiungere l'apice della felicità.
Lasciai alle spalle poche cose a me care, tra cui la casa che per un'intera vita era stata testimone della mia maturazione, che aveva abbracciato la morte di mio padre e che aveva condiviso i suoi ampi spazi con me; Sam che il giorno in cui partii venne a trovarmi in aeroporto regalandomi un bacio di addio, insieme alla sua maglietta preferita dei Pantera; l'Inghilterra e le sue usanze, sicuramente meno ferree di quelle che avrei dovuto adottare in Giappone.
I miei sogni, però, erano più grandi di qualsiasi altra cosa e non avrei concesso nemmeno a me stesso di ostacolarli.

Quando giunsi per la prima volta in Giappone mi accorsi subito di non essere altro che un giovane turista spaesato. Non vi era nulla che richiamasse alla mia Inghilterra, tutto mi era così estraneo e diverso. Seppur per metà potessi ritenermi giapponese, nella realtà dei fatti non lo ero per nulla. Non sapevo nulla di questo magico Paese, se non ciò che avevo potuto curiosare sulle guide turistiche riguardanti la sua tradizione solida e stimata in tutto il mondo, il cibo salutare e ormai commercializzato in tutto il mondo, l'architettura nota all'estero soprattutto per i suoi santuari scintoisti e dai templi buddhisti.
Il mio primo obiettivo era l'aeroporto di Shin Chitose, più correttamente definito, situato a sud-est della città di Chitose e Tomakomai, nell'isola di Hokkaido. Nonostante non ricopra un'area particolarmente vasta, o per lo meno sicuramente inferiore rispetto all'aeroporto di Londra, Shin Chitose gode di una notevole estensione in verticale. Questo aeroporto, infatti, è edificato su ben cinque piani, tra cui un piano interrato collegato alla linea ferroviaria principale di Sapporo tramite treni locali ed espressi.
Quando approdati finalmente sulla terra ferma, notai subito un'organizzazione quasi maniacale da parte dei giapponesi. Tant'è che non ebbi alcuna difficoltà a raggiungere uno dei quattro tour desks situati al primo piano dell'aeroporto. Avevo bisogno di mangiare. In volo mi ero limitato a prendere una bottiglietta di acqua e un sandwitch confezionato veramente terribile, dal sapore quasi plastificato e la consistenza simil cartone del latte. Tutto ciò aveva solo aiutato il mio stomaco ad aprirsi ulteriormente ed ora ero in completa balia del brontolio della mia pancia. La signorina al tour desk mi disse di dovermi recare all'ufficio informazioni per questo genere di domande, ma, prima ancora di lasciarmi andare, si guardò intorno e mi indicò in fretta e furia la strada da imboccare per poter raggiungere uno dei tanti ristoranti presenti all'interno dell'aeroporto. Quel suo gesto, quasi celato dalla paura, mi lasciò perplesso. Era come se il dover infrangere le regole lì fosse un reato perseguibile dalla legge.
Al secondo piano trovai moltissimi negozi in cui poter far shopping, ma, vista la motivazione che mi aveva spinto a raggiungere il Giappone, oltrepassai quei locali per giungere al terzo piano dedicato all’area ristoro. In Inghilterra non tutto il cibo take away era così prelibato come in Giappone. Mi ritrovai ad amare il pesce crudo, cosa che non avrei mai immaginato in vita mia. Mi sono sempre definito una persona fortemente carnivora. Tra una bella costata al sangue ed un trancio di salmone, ho sempre preferito la carne. Eppure, sarà stato il cambio di clima, il cambio di luogo, di cultura, ma avevo riscoperto un amore per determinate pietanze che non sapevo neanche di avere. Mi ritrovai a pranzare con un mucchietto di riso in bianco avvolto in un foglietto scuro di non so cosa. Scoprii solo successivamente che mi ero cibato con delle alghe.
Guardai il mio orologio e mi affrettai a raggiungere l'esterno di quel palazzo a mezza luna, per poi cercare un modo per raggiungere l'accademia.
Mi documentai nel frattempo in internet e scoprii che l'aeroporto di Shin Chitose aveva aperto nel 1991 in sostituzione dell'adiacente aeroporto di Chitose. Quest'ultimo divenne poi esclusivo per le forze di autodifesa giapponesi, nonostante tuttora fosse ancora collegato fisicamente allo scalo civile.
Ecco, Chitose era il mio obiettivo prossimo.
Dovetti chiamare un taxi per poter raggiungere la Chitose Air Base. Meno di dieci minuti di viaggio ed eccomi lì, innanzi a quello che speravo essere il mio futuro.

Appena varcai le porte della base aerospaziale, venni accolto molto calorosamente dal medesimo personaggio con il quale avevo parlato la settimana precedente al telefono. Uno dei tanti, visto il giro di chiamate che dovetti fare.
Il colonnello Itou si presentò molto cordialmente, con il tipico saluto giapponese, chinando lievemente corpo e capo in avanti. Io rimasi per un istante confuso sul da farsi, ma poi realizzai di essere un semplice ospite in uno dei paesi più tradizionalisti del mondo. Perciò imitai il mio futuro superiore per poi fronteggiarlo.
-È un piacere averti qui, Brent Smith- mi disse il colonnello allungando la mano verso di me e stringendola forte nella sua.
Sorrisi per quel gesto. Fu proprio in quella movenza che ritrovai una certa familiarità e un tocco di ospitalità internazionale.
-Smith, ho controllato le tue carte prima di convocarti qui per l'ammissione e non ho potuto fare a meno di notare, con piacere, che sei nato a Tokyo. Dico bene?- mi domandò l'uomo mentre mi invitava a seguirlo all'interno dell'edificio.
La struttura era in cemento grezzo, completamente priva di ogni possibile decorazione o rifinitura. Adiacente ad essa vi erano diversi capannoni piuttosto grandi che si reggevano in altezza per poter accogliere al loro interno velivoli militari di svariate forme e dimensioni.
-Sì, purtroppo non so molto altro sulle mie origini asiatiche- risposi vago guardandomi attorno e ammirando la struttura internamente.
-Hai mai vissuto in Giappone?- mi domandò proseguendo il suo cammino verso un corridoio che appariva infinito.
-Che io sappia solo per pochi mesi, ma giusto quand'ero ancora in fasce- risposi cercando di captare eventuali note negative sul suo volto.
Ma quell'uomo appariva così risoluto e inespressivo, che non mi diede modo di interpretare la sua espressione.
-Eccoci- disse ad un tratto dopo aver raggiunto un portone piuttosto pesante ed invitandomi ad entrare -il generale ti sta aspettando-.
Presi un respiro ed oltrepassai l'uscio del suo ufficio, per poi ritrovarmi faccia a faccia con un uomo distinto, vestito solo della sua migliore uniforme.
Mi salutò anch'egli inchinando il capo in avanti ed io dovetti fare altrettanto.
-Accomodati- mi disse con scarso entusiasmo -colonnello, lei invece può congedarsi-.
Doveva sicuramente trattarsi di un suo superiore visto il tono utilizzato per invitarlo ad uscire dalla stanza.
-Sono Kobayashi, generale di brigata aerea dell'aeronautica giapponese- disse afferrando alcuni documenti posti sulla sua scrivania ed iniziando a sfogliarli proprio davanti a me.
Mi ritrovavo davanti al primo, in ordine gerarchico crescente, tra i gradi degli ufficiali generali. Incredibile, in quel momento mi sentii minuscolo ed insulso quanto un moscerino.
-Brent Smith, nato a Tokyo da donna ignota. Tuo padre è un medico ing...- iniziò leggendo la mia storia personale prima di venir interrotto da me.
-Era- lo corressi.
-Mi scusi?- domandò non capendo la mia correzione.
-Mio padre era un medico- mi spiegai meglio.
Il generale non accennò neanche per un istante ad una reazione empatica nei miei confronti. Si schiarì la voce e proseguì la mia introduzione -vedo che hai sempre vissuto in Inghilterra, che non parli giapponese e non hai mai vissuto qui in Giappone-.
Il modo con cui lesse la mia scheda personale mi fece quasi venire i brividi.
-Non mi pare tu abbia tratti asiatici- mi disse alludendo alla forma dei miei occhi, decisamente più occidentale della sua.
-Ecco, io...- avrei voluto rispondere a quell'accusa, ma la verità era che non sapevo nulla circa il mio concepimento e la mia madre biologica.
-In ogni caso il certificato non lascia dubbi, sei giapponese, seppure per metà- dichiarò infine rimarcando questa frase quasi con tono accusatorio, per poi proseguire di getto -noto con piacere che, rispetto a molti nostri cadetti della tua età, hai già avuto esperienze in mimetica. Sei stato in una scuola a stampo militare ed hai frequentato per un breve periodo un'accademia di aviazione-.
-Sissignore- dissi sentendomi quasi in dovere di impettirmi innanzi ad un personaggio del suo calibro.
L'uomo si alzò dalla scrivania per poi soffermarsi davanti alla finestra del suo studio e guardare esternamente -devi sapere Brent, che al contrario di quanto si possa percepire dai film esteri, non siamo un popolo particolarmente chiuso nelle proprie mura-.
Alzai un sopracciglio non capendo perfettamente il discorso da lui iniziato.
-Noi non abbiamo come obiettivo quello di arruolare soldati da macello, noi non puntiamo a fare la guerra. Il nostro esercito è stato redatto solo per poter difendere il nostro paese e per poter aiutare i nostri alleati in missioni di salvataggio, recupero o umanitarie. Per questo non arruoliamo uomini basandoci solo sul loro curriculum o sul loro aspetto- nonostante il suo discorso potesse apparire piuttosto glorioso, continuavo a non capire dove volesse andare a parare.
-Voglio conoscere il vero Brent Smith, quello che ha fatto miglia e miglia pur di poter diventare un pilota, quello che ha abbandonato la sua patria per poter inseguire un sogno- si voltò verso di me sorridendomi -voglio conoscere la persona che si cela dietro queste carte, perché il mio sesto senso non si smentisce mai e in questo momento mi sta invitando a prendere seriamente in considerazione l'idea di arruolarti nel mio esercito. Un esercito che io stesso ho scelto di persona, soldato per soldato, senza eccezioni-.
Sentii il cuore salirmi fino in gola e pulsare talmente forte da farmi credere per un istante di sentire il terremoto sotto i miei piedi.
-Sei pronto Brent Smith a raccontarmi tutto di te?- mi domandò allungano una mano in mia direzione ed invitandomi a stringerla nella mia.
-Prontissimo!- risposi senza alcun indugio alzandomi dalla mia sedia e raccogliendo la sua sfida.

Trascorsi quasi tre ore intere raccontando ogni singolo dettaglio della mia vita, mettendo da parte l'imbarazzo e cercando di non tralasciare nessun particolare. Gli raccontai dell'incontro piuttosto bizzarro dei miei genitori, del mio rapporto con mio padre e di quanto io abbia patito la mancanza di una figura materna. Decisi di aprirmi completamente a quello sconosciuto perché, mal che sarebbe andato, mi avrebbe negato l'accesso in accademia e sarei tornato dall'altra parte del mondo senza doverlo più rivedere. Perciò tanto valeva fare un tentativo.
Gli raccontai persino del sergente Gamble, della seconda possibilità che mi era stata concessa e dell'influenza positiva che quell'uomo aveva avuto nei miei confronti. Parlai persino di Sam, tralasciando ovviamente qualsiasi scampagnata avvenuta sotto coperta. Comprendetemi.
Quando mi domandò perché proprio l'aviazione, io intrapresi un lungo discorso sulla mia passione infantile, raccontandogli della favola di Peter Pan e della farfalla monarca. Gli mostrai persino il mio tatuaggio e lì intravidi un'espressione che probabilmente non avrei mai potuto dimenticare. Mi aspettavo di venir preso per pazzo, strano o comunque che il mio discorso lo avrebbe fatto desistere dall'ammettermi in accademia. Ed invece, con mia grande sorpresa, si tolse la giacca, per poi sfoderare un tatuaggio molto simile al mio.
-Chou- mi disse ricomponendosi subito e non dandomi eccessivo tempo di ammirare il suo tatuaggio -mia figlia-.
Sospirò poggiandosi una mano sul petto e socchiudendo gli occhi quasi a voler ricrearsi la figura della figlia nella mente.
-Sai che cosa sono i bambini farfalla, Brent?- mi domandò allora il comandante tornando a sedersi dietro alla sua scrivania.
Scossi il capo non comprendendo la serietà di quel discorso.
-Chou è nata con una grave malattia della pelle. La sua epidermide era talmente delicata da avere continue bolle e lesioni, sangue ed infezioni. Bambini farfalla proprio per questo motivo, perché la loro pelle è delicata proprio come le ali delle farfalle-.
-Chou significa farfalla- disse indicandosi il petto, esattamente dove giaceva il tatuaggio di una splendida farfalla monarca -Chou è morta poche ore dopo il parto-.
Mi sentii la gola arida, incapace di proferire parola innanzi ad una rivelazione simile. Il mio sguardo confuso fece intendere tutto e il comandante tornò a sorridermi per poi aggiungere -abbiamo entrambi perso una persona a noi cara, siamo legati da una farfalla monarca e ci piace volare. Tu credi nelle coincidenze, Brent?-.
Alzai lo sguardo verso la sua imponente figura. Solo in quel frangente notai con mio grandissimo stupore che quell'uomo era persino più alto di me. Eppure avevo sentito dire che gli asiatici erano tutti bassi. Dicerie, come sempre.
Lo guardai dritto negli occhi e, prima ancora di formulare una qualsiasi risposta a senso compiuto, intravidi nei suoi occhi quelli del sergente Gamble. E fu allora che sorrisi di cuore.
-Non credo nelle coincidenze, signore- risposi schiettamente.
-Neanche io, figliolo- rispose lui alzandosi dalla scrivania e battendo le mani tra di loro -benvenuto in accademia, Brent Smith-.
Lo guardai con stupore e con lo sguardo di chi davvero non si sarebbe mai aspettato un inserimento tanto immediato.


Ecco, quella fu la svolta di cui avevo bisogno. La svolta che mi portò sin qui.
Quel giorno il comandante in carica si mise una mano sul cuore e mi introdusse in accademia, facendomi saltare persino al gradino successivo, evitandomi così ogni incombenza noiosa e umiliante tipica del novellino.

***

Negli ultimi due anni ho imparato la lingua giapponese e ho affinato le mie conoscenze in ambito militare. Ho imparato a pilotare e, modestia a parte, sono un talento nato.
Ho chiesto di venir collocato nel gruppo adibito al soccorso estero, perciò trascorro mesi interi fuori dal Giappone per poter portare a termine alcune tra le più ardue missioni. Al di fuori di tutto ciò, vivo la vita come viene, senza ostacoli o limiti imposti da nessuno. Sono finalmente il pieno artefice del mio destino e questa sensazione di onnipotenza nei miei stessi confronti è indescrivibile.

Ho fatto un discreto salto di qualità nell'ultimo periodo. Con l'imminente aumento di grado, ho persino avuto il privilegio di poter pilotare uno dei pochi prototipi in circolazione di Lockheed Martin F-35 Lightning II, da noi definito anche JSF-F35. Si tratta di un caccia multiruolo monoposto di quinta generazione, a singolo propulsore, con ala trapezoidale a caratteristiche strealth, ovvero completamente invisibile ai radar o a qualsiasi dispositivo di localizzazione moderno. Insomma, un gioiellino niente male che l'aeronautica militare ha deciso di affidare proprio a me. Vi parlo di circa 14 miliardi di yen di velivolo, non so se mi spiego.
Inoltre, visto che nella vita non ho avuto eccessiva fortuna in quanto amicizie e buone compagnie da frequentare, vivo la maggior parte delle mie missioni in solitaria. Beh, vivevo a dirla tutta. Nell'ultimo mese mi è stato affiancato un nuovo cadetto, un certo Taichi Yagami. Non l'ho ancora ben inquadrato, ma ha un trascorso recente piuttosto doloroso con il quale fatica a convivere. Per ora ci limitiamo a parlare di aerei e di tutto ciò che concerne l'aviazione, senza mai sforare l'argomento.
Un mese effettivamente è troppo poco per poter dire di conoscere veramente una persona. Eppure mi sono legato a questo ragazzo sin da subito. È terrorizzato e spaventato da ciò che sta facendo. Si vede che la scelta fatta non è stata sua. In realtà non gli è neanche stata imposta. Diciamo che per una serie di motivi, ha optato per la carriera militare.
Sapete, circa un paio di anni prima ha perso il padre e vista la situazione economica familiare piuttosto precaria, ha ben pensato di arruolarsi così da poter sostituire l'introito del padre.
Ebbene sì, è una cosa che abbiamo in comune. Una delle tante, in realtà. Lui è un po' come me. È un ragazzo estremamente coraggio e impulsivo, vive ogni istante della sua vita dando tutto sé stesso e ragionando con il cuore e non troppo con la mente. Il che non sempre lo porta a prendere decisioni giuste. Ma chi meglio di me può capirlo.
Nonostante sia solo un mese che lavoriamo a stretto contatto, in lui ho trovato un fratello d'armi, una persona su cui contare e che possa guardarmi le spalle anche sul campo. Cosa che non potrei dire circa i miei commilitoni.
Anni prima ebbi alle spalle un uomo che diede sé stesso per me. E no, non mi riferisco a mio padre, bensì al sergente Gamble. Un uomo che è riuscito a guardare al di là di me come ragazzino, con gli ormoni a palla e con il malumore perenne. Lui ha riposto in me la fiducia di cui avevo bisogno, spronandomi a diventare una persona migliore. Ed è ciò che credo e spero di essere diventato. Ecco perché Taichi mi piace, perché in parte mi ricorda la transizione che ho subito. E lui, proprio come me, merita di essere spalleggiato da una persona che creda in lui e che possa aiutarlo a superare le difficoltà che sta vivendo, dandogli una seconda opportunità di riscattarsi.
Ed io vorrei proprio essere quella persona.

Nonostante Taichi abbia paura di ciò che lo attende all'estero, è piuttosto elettrizzato all'idea di allontanarsi dal Giappone. Dice che spesso i ricordi lo divorano nel sonno.
-Sono convinto che una volta in Russia riuscirò a trovare la pace interiore- mi dice un giorno nell'interfono mentre sorvoliamo la punta più a Est della Cina diretti in Siberia.
-Non ci giurerei molto- gli rispondo guardando fuori dal mio finestrino -la Russia può essere un posto abbastanza inospitale-.
-Che ti è successo veramente, Taichi?- gli domando cercando di non perdere il controllo del mio velivolo -c'è un addensamento qui avanti, fa attenzione-.
Scorgo il suo velivolo fluttuare leggermente su e giù, ma senza mai deviare la propria rotta.
-Mio padre è morto, questo già lo sai- mi dice facendomi annuire -solo dopo la sua morte ho scoperto che la mia famiglia aveva dei debiti insoluti e io sono l'unico uomo di casa-.
Sorrido a quel pensiero così tradizionalista. Ancora una volta la mia mente fluttua a Yoshiko ricordandomi delle sue lettere e di quanto fosse costante in lei e nella sua cultura il dover dipendere da un uomo.
-Capisco...- gli rispondo senza voler entrare nel merito dell'argomento.
-Non è come pensi tu- mi rimprovera. Sento che il suo tono è cambiato, quasi mi rimprovera per i miei pensieri accusatori.
-E cosa penso?- gli domando fingendomi vago.
-Che è una mentalità arretrata la mia, che dovrei permettere a mia madre di lavorare e che non dovrei tarparmi le ali facendo un lavoro che non mi piace- mi risponde con fermezza.
Seppur io non stia condividendo il mio velivolo con lui, mi ritrovo a strabuzzare gli occhi, non immaginandomi davvero di poter essere anticipato in quel modo.
-Già, lo sapevo- aggiunge poi, quando non riceve alcuna mia risposta.
Sorrido.
Taichi Yagami, che personaggio.
-E allora com'è andata veramente?- gli domando in tono forse troppo saccente.
-Mia madre non ha mai lavorato in vita sua e sicuramente alla sua età non l'avrebbe assunta nessuno. Rischiavamo lo sfratto e mia sorella è ancora minorenne. Il che significa che gli assistenti sociali avrebbero potuto affidarla ad una famiglia temporanea. A meno che io non fossi stato in grado di trovare un buon lavoro- mi spiega lui iniziando a perdere quota.
Lo affianco con il mio aereo e gli faccio cenno di scendere meno precipitosamente -ti sei sacrificato per loro-.
- È una domanda?- mi chiede sghignazzando.
-Un'affermazione, piuttosto- gli rispondo.
-Credevo di sì. Il primo anno è stato uno schifo. Ci credi se ti dico che mi hanno persino fatto pulire i cessi con lo spazzolino?- mi dice ridacchiando.
-Scherzi? Ancora con queste usanze così barbare?- domando io ringraziando di aver saltato quel rito di passaggio.
-Ho seriamente creduto di dovermi sacrificare per loro, che questa era necessariamente la strada più giusta da intraprendere- mi spiega con quel tono di chi ha ancora qualcosa da dire.
Segue una lunga pausa nella quale io percepisco quasi il bisogno di una sua ulteriore confidenza. Quel chiacchierare con lui e quel brusio nelle orecchie, che aveva preso il posto del silenzio tombale a cui ero generalmente abituato, mi rendono felice.
Un amico, ecco di cosa avevo veramente bisogno.
-Mi piace volare, mi fa sentire libero- aggiunge ad un tratto.
-Capisco cosa intendi dire- gli rispondo sentendomi quasi invadere dalla gioia di poter condividere con lui una passione tanto grande e radicata in me.
-Ma ora portiamo i nostri culi a terra e andiamoci a bere una bella bottiglia di vodka- dico io in fase di atterraggio -ti ci vuole una bella bevuta per far scivolare via ogni pensiero-.
Dal finestrino lo vedo alzare un pollice in alto, vittorioso e pronto alla sua prima vera avventura.

Sapete quel detto che dice chi trova un amico, trova un tesoro? Ebbene sì, il bimbo sperduto che è in me, ha appena raggiunto il tanto e ambito traguardo di sempre: il tesoro dei pirati. Peccato che in questo caso nella mia cassa vi è un qualcosa che va ben oltre il tangibile. Il mio tesoro è proprio lui, Taichi Yagami.
Quel giorno abbiamo sancito un'amicizia importante mediante una sana bevuta alcoolica che, ahimè, non è propriamente finita bene. Solo più tardi ho scoperto che Taichi non aveva mai bevuto in vita sua. Ebbene sì, serata dalle prime esperienze, primo viaggio aereo in solitaria, primo volo all'estero, prima bottiglia di vodka e prima simpaticissima ed indimenticabile lavanda gastrica.
  
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