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Autore: Moonfire2394    14/06/2020    0 recensioni
I genitori di Leona e Gabriel vengono uccisi brutalmente da un trio misterioso di vampiri in cerca delle mitiche "reliquie". Dopo il tragico evento, verranno accolti al campo Betelgeuse, un luogo dove quelli come loro, i protettori, vengono addestrati per diventare cacciatori di creature soprannaturali. In realtà loro non sono dei semplici protettori, in loro alberga l'antico potere dei dominatori degli elementi naturali: imedjai. Un mistero pero' avvolge quell'idilliaco posto e il subdolo sire che lo governa: le strane sparizioni dei giovani protettori. Guidata dalla sete di vendetta per quelli che l'avevano privata dei suoi cari, Leona crescerà con la convinzione che tutti i vampiri siano crudeli e assetati di sangue. Fino a quando l'incontro con uno di loro, il vampiro Edward Cullen, metterà sottosopra tutto quello in cui ha sempre creduto facendo vacillare l'odio che aveva covato da quando era bambina. Questo incontro la porrà di fronte a una scelta. Quale sarà il suo destino?
Una storia di avventura, amicizia e giovani amori che spero catturi la vostra attenzione:)
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Precedente alla saga
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Capitolo 30 - La festa dello Scao Leadh pt. II

 Per quanto avrebbe voluto farsene una ragione, Ethan non riusciva ancora ad accettarlo. Con Leona sembrava andare tutto per il meglio, nonostante gli eventi tragici  che li avevano travolti in quel grande gioco di intrighi e misteri che pareva più grande di loro. E poi lei lo aveva scaricato, così, senza alcun rimorso, davanti a tutti. Il fatto che lei fosse una medjai non le dava il diritto di comportarsi con quell’aria di sufficienza e di falso buonismo.
Lei e il suo dannato cuore di pietra!, pensò il ragazzo in preda ad una furia senza precedenti. Una nixies dai lunghi capelli turchesi guardava in tralice verso di lui da dietro il tavolo del buffet. La bella ninfa dell’acqua, con quei seni sodi e prosperosi, gli stava lanciando un messaggio ben chiaro…Ethan si ritrovò a considerare l’idea che una buona scopata avrebbe risolto tutti i suoi problemi, che lo avrebbe aiutato a dimenticare, ma non era decisamente nel suo stile. Se proprio doveva portarsi una ragazza a letto non lo avrebbe fatto per ripicca, ma per puro divertimento. Di solito erano le ragazze a morirgli dietro e mai viceversa. Ethan non conosceva la delusione, il rifiuto e la sconfitta, per lui erano concetti astratti, lontani dal suo modo di pensare. Conoscere Leona lo aveva portato per la prima volta a riflettere su se stesso e sulle conseguenze delle sue azioni, aveva fatto sbocciare in lui emozioni che non credeva di possedere, lo aveva reso un Ethan ben diverso da quello che era prima. Forse era stato il karma a ribellarsi contro di lui, per punirlo della lunga scia di cuori spezzati che si era lasciato alle spalle.
Da qualunque angolazione vedesse la faccenda, non poteva non soffrirne. Leona era stata una punizione fin troppo severa persino per uno sciupafemmine come lui.
Poco male, si disse. Se non l’avrebbe avuta lui, allora nemmeno il suo nuovo fratello avrebbe potuto vantare chissà quale possesso su di lei. Fabiano era un idiota, questo era poco ma sicuro. Il ragazzo aveva giocato male le sue carte e aveva rovinato con le sue stesse mani qualsiasi possibilità di fare evolvere in loro rapporto ad un livello superiore. La parte migliore di tutta quella pagliacciata, fu quando si rese finalmente conto di non essere più padrone dei suoi sentimenti e di come la stesse lentamente perdendo. Non provava alcuna empatia per lui, lo odiava tanto quanto il loro presunto padre. Come poteva un citrullo come lui essere un suo parente? Non si somigliavano nemmeno!
Lui e sua madre si erano sempre bastati a vicenda. La sua coraggiosa, autoritaria, integerrima mamma lo aveva tirato su da sola mentre portava sulle spalle il peso di un intero campo di protettori e tutta quella noiosissima burocrazia che il suo ruolo di Sire implicava. Non gli aveva mai fatto mancare nulla, perché avrebbe dovuto desiderare un padre e un fratello al suo fianco, se si sentiva già completo? Ethan era disgustato. Non poteva descrivere la vergogna che aveva provato nello scoprire che quel dannato schiavista, dispotico e infedele di Tiziano fosse il suo padre biologico. Non gliene faceva una colpa per aver abbandonato lui e sua madre quando lei lo portava ancora in grembo, anzi gliene era grato, visto e considerato come aveva cresciuto quello smidollato di Fabiano. In fondo provava un po’ di pena per il fratello, nessuno, nemmeno lui, meritava un padre del genere. Ma i suoi sentimenti non sarebbero mutati, non sarebbero mai andati oltre la profonda pena che provava nei suoi confronti. Così come non aveva bisogno di un padre, tanto meno la compagnia di un fratello lo avrebbe allietato. Soltanto una cosa invidiava al ragazzo ed era proprio l’amore di Leona. Lui ne aveva avuto solo un assaggio, e anche se lei lo aveva pugnalato al cuore, non avrebbe mai rinnegato quei momenti, a costo di perdere la sua credibilità da inguaribile casanova.
Gettò un occhio alla tavola imbandita, e notò che il posto dove prima era seduta Iris adesso era vuoto. Frequentandola a Londra, aveva imparato che, se eri in cerca di divertimento, la Kiendjar era la persona adatta con cui trascorre una seratina particolarmente movimentata con tutti i guai che poi ne conseguivano. E il tanfo di guai era intenso e li attendeva proprio dietro l’angolo. Invece di irrigidirsi, a Ethan gli parve eccitante. La trovò finalmente aggirarsi circospetta al tavolo delle bevande. Il protettore era sicuro che stesse armeggiando con qualcosa di piccolo, l’ampolla di vetro fu tutto quello che riuscì a vedere da quella distanza. L’attenzione degli invitati era stata monopolizzata dai balli e dalla musica, nessuno prestava interesse in ciò che stava facendo. Iris sapeva perfettamente che Ethan la stesse osservando, e questo non fece che rinfocolare i suoi turpi propositi. Accennò un ghigno sotto le sue vibrisse da volpe e, senza perdere il contatto visivo con il protettore, versò il contenuto dell’ampolletta dentro la brocca di vino che quella sera avrebbero servito a cena. La mistura che colò giù, non appena si mescolò con il nettare degli dei, esplose in una piccola nuvola rosa che il ragazzo riconobbe come eros liquido, la pozione con cui quella sera Iris e Ethan avevano drogato Leona e lui era riuscito ad ottenere il suo primo bacio dalla bella cacciatrice, ancora vivido nei suoi ricordi.
La parte di lui che avrebbe voluto gettare nel caos il gruppetto inesperto di protettori italiani invischiati in quell’impresa assurda, stava godendo in vista di quello che stava per accadere. Ethan avrebbe dovuto avvertire gli altri, o almeno questo gli urlava quel briciolo di coscienza che gli era rimasto. Ma non voleva darle retta, il suo orgoglio ferito glielo impediva categoricamente.
Così, invece di dare l’allarme, sguazzò briosamente nella sua tacita omertà, e ricambiando il sorriso della Kiendjar, si augurò di ricevere presto in regalo la sua bramata vendetta.
*******
Ascanio non si era ancora dato una spiegazione. Cosa l’aveva spinto a partecipare a quella missione suicida? Più si soffermava sui dettagli della sala o sulla pelle dagli insoliti colori degli invitati, più si rendeva conto che Leona li aveva trascinati in un gran casino. Lui l’aveva seguita comunque, persuaso dalla personalità carismatica della ragazza e dalla sua inspiegabile attrazione verso fonti potenziali di pericolo.
I gemelli Braveheart sono i medjai, gli suggerirono i suoi pensieri aggrovigliati. Le leggende dell’antica storia di Hijir avevano preso vita, scacciando le ombre del terribile passato in cui li aveva gettati la maledizione. Non era certo che il loro ritorno significasse necessariamente qualcosa di buono. Ciò presagiva che una grande forza malefica era alle porte. L’unico modo per sconfiggerla risiedeva nel potere di quella ragazza che caracollava sulla pista da ballo col principe delle fate, e di quel dongiovanni di suo fratello che quella sera sembrava avere occhi soltanto per Morgana.
Conosceva bene quello sguardo. Non poteva fare a meno di guardare Marlena allo stesso modo. Lui l’aveva sempre amata, nonostante i suoi numerosi rifiuti, nonostante il suo amore non corrisposto per Fabiano.
Fabiano. Ascanio avrebbe tanto voluto odiare l’amico benedetto dalle attenzioni delle due ragazze più belle del campo. Come non poteva rendersi conto di quanto fosse fortunato ad essere la contesa del loro amore? Nonostante tutto, lui continuava a volergli bene perché conosceva i crucci profondi del ragazzo meglio di chiunque altro e non avrebbe mai potuto portargli rancore.
Lui sapeva delle percosse violente del padre e dei suoi malati giochetti psicologici che  torturavano la mente del suo povero amico. Ricordava come se fosse ieri, quanto la morte della sorella lo avesse straziato, spezzato in due. Ciò comunque non giustificava il suo atteggiamento nei confronti di Marlena.
L’aveva ferita a morte. Si rattristò per la sua incapacità di mitigare il dolore della ferita sanguinante della bellissima ragazza bionda dei suoi sogni. Non godeva certamente delle sue afflizioni, ma allo stesso tempo non poteva non sfruttare l’opportunità a suo vantaggio, non adesso che Fabiano pareva essersi risvegliato dal suo lungo sonno, sguinzagliando l’amore sopito per la protettrice dai capelli neri come il carbone.
Perciò Ascanio si fece coraggio e si avvicinò a lei, i passi ammutoliti dal suono della musica che si avvitava verso il cielo. Lo sentì comunque arrivare, i suoi istinti da cacciatrice di vampiri erano attivi e in allerta.
«Sapevo che prima o poi sarebbe successo» disse lei in tono sconfitto «ha vinto lei».
Ascanio la osservò di sottecchi «Non sapevo che voi due foste in competizione». La bionda si esibì in un verso gracchiante «In realtà non ho avuto mai speranze contro di lei. Era una partita persa in partenza. Sai per un momento ho creduto davvero che…» si interruppe e scosse la testa. «Adesso non ha più importanza» sibilò schiettamente puntando lo sguardo vorace sulla sua preda con le pupille dilatate. Proprio in quel momento, un folletto con la lanugine bianca a macchiettargli il mento pronunciato, sfilò davanti ai due nel suo bel completino verde foglia. Reggeva un vassoio di calici di cristallo sulla sua manina grassoccia tendendolo più in alto che gli era possibile per sopperire alla sua deficitaria statura. La trasparenza dei bicchieri lasciava intravedere un liquido dalle sfumature bluastre, tendenti al viola, che ad Ascanio ricordò del succo di more. Senza lasciargli nemmeno il tempo di replicare, Marlena rimestava già quella mistura color cobalto facendo oscillare il collo del calice fra le dita. Prima che la ragazza lo potesse portare alle labbra per degustarne il sapore, Ascanio le aveva arpionato il braccio. Il folletto si allontanò da loro saltellando mentre un sorrisetto lugubre gli scavò il viso compiaciuto.
«Vuoi davvero affogare il tuo dolore in questo modo? Rimanere schiava del popolo del fate per l’eternità ti sembra una buona soluzione?».
«Lasciami, tanto ormai non ho più nulla da perdere. È solo questione di tempo e poi quella sgualdrina ipnotizzerà anche te come ha fatto con il resto della squadra. Guardali come le sbavano dietro, è disgustoso. Si è persino accalappiata quel principe viziato…».
«Ti sbagli Marlena» le disse lui sommessamente, sottraendo il calice dalla sua presa.
«Lei non esercita quell’effetto su di me…l’ammiro, certamente per la sua forza e il suo coraggio. Insomma è davvero una tosta! Ma non sono mai stato legato a lei da alcun sentimento romantico. Come avrebbe potuto? La mia testa è totalmente da un’altra parte. Il mio cuore appartiene già a un'altra ragazza che a dire la verità è un po’ sciocca». Marlena a quel punto si voltò verso di lui rabbuiandosi. L’intimidazione che trapelava dal suo cipiglio lo fece sorridere.
«E perché questa ragazza sarebbe sciocca?» gli domandò lei altera e sprezzante.
«Be’ perché la sua ingiustificata invidia non le permette di vedere quanto sia fantastica e meravigliosa agli occhi di un certo ragazzo, anche lui un po’ tontolone. Lui non ha avuto mai il coraggio di andarsi a prendere ciò che voleva. Adesso però non è più così…quel ragazzo è cambiato ed è…pronto» spiegò lui scrutando il fondo delle sue pupille carbonizzate. Colto il chiaro riferimento, il viso di Marlena si arrossò e cominciò a soppesare la chiassosa festa della fate e l’atrio attorno a sé. Ogni elemento architettonico della tenuta pareva scintillare dei metalli più pregiati.
Il principe dai lunghi capelli sericei si congedò dalla sua dama con un mezzo inchino e salì lungo una piccola scala a chiocciola che portava su un pulpito semicircolare di bronzo. Scrutandoli dall’alto del suo piedistallo bronzeo, la fata li abbagliò col suo sorriso. Quando fece il suo pomposo discorso di apertura, Ascanio avrebbe voluto un coltello per staccarsi di netto le orecchie. Non gliene importava nulla delle loro futili usanze, lui come gli altri protettori suoi compagni avevano ben poco da festeggiare quella sera. A Betelgeuse infuriava la guerra civile, l’unità di un popolo dilaniata, dopo secoli di pace, da un infausto incantesimo che li trasformava in mostruosità ancor più feroci delle creature che cacciavano. Alcuni di loro avevano perso i loro cari, altri schiacciati dal mal d’amore, non potevano sottrarsi alle conseguenze che l’adolescenza comportava. Eppure nessuno di loro dava sfogo ai propri tormenti. Le loro maschere impassibili, frutto di un irreprensibile allenamento, li rendeva macchine da guerre indecifrabili. Ognuno di loro sapeva che mostrare le proprie debolezze al nemico gli avrebbe fornito un appiglio per farsi strada dentro il loro inconscio, instillando così paura e confusione nelle loro menti.
Perso nei meandri delle sue considerazioni, Ascanio si era accorto a malapena che il principe era stato rimpiazzato da una cantastorie. La macilenta creatura fatata aveva preso a raccontare la leggenda dello Scao Leadh accompagnata dall’arpeggio del suo ukulele. Il racconto narrato dalle note incalzanti della Silifide, sobillò le emozioni del ragazzo evocando scenari immaginari dai colori vividi. Non poté non paragonare gli orrori di quella battaglia a quella che lui stesso aveva visto con i suoi occhi pochi giorni prima alla cittadella, rasa al suolo dal terremoto scatenato da Leona. Far scorrere il sangue della propria gente doveva pur richiedere un conto salato. Faide e discordia fra famiglie e razze era stato il prezzo da pagare. Ora che la leadership aveva mostrato il vero volto della corruzione, cosa ne sarebbe stato dei protettori? Chi avrebbe protetto gli umani adesso che chi avrebbe dovuto difenderli aveva disperso le proprie forze? Ascanio si augurò vivamente che la storia del ciondolo blu fosse vera.
Terminata la canzone, esplosero gli applausi in tutta la sala. Kahel raggiunse il centro, ponendosi sopra l’intricato disegno runico sul pavimento, e diede il via alle danze.
Ascanio rimase sbigottito dalla fluidità con cui si agitavano i corpi leggiadri delle fate. Graziose fanciulle dalla pelle linfatica, facevano fluttuare le loro braccia come anguille che si districano fra le alghe di un fondale marino, esibendosi in una sorta di danza tribale; altre fate dai capelli fiammanti, oscillavano e piroettavano con movimenti circolari del bacino, formando un cerchio di fuoco il cui calore riverberava attorno a loro in un tremolio ondeggiante. I loro passi snodati, i loro respiri affannati, le loro movenze frenetiche, i loro veli che vibravano nell’aria come un schiocco fra le dita, il tamburellio dei loro talloni nudi che battevano sul freddo selciato di marmo, mandarono in estasi la razionalità di Ascanio.
Una potente scarica elettrica gli percosse la spina dorsale e lo costrinse ad imitare le movenze di quei balli bizzarri. Ormai attratto fatalmente dalla musica, poteva sentirsi scivolare verso di loro, doveva parteciparvi a qualunque costo. Aveva cominciato a sudare, la camicia gli si era incollata sul torso, i suoi muscoli improvvisamente indolenziti nel tentativo di resistergli, necessitavano di flettersi e contrarsi a ritmo della canzone irradiata dai flauti fatti d’ossa di animali boschivi.
«Dove credi di andare? Non hai mai ballato in vita tua, finiresti col ricoprirti di ridicolo».
Il palmo di Marlena era fresco contro la sua pelle febbricitante. Ascanio abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate e trasse un respiro, ignorando i tonfi che gli rimbalzavano contro lo sterno.
«Credo che tu mi abbia appena salvato da una morte atroce» gli concesse il protettore.
«Mi ringrazierai più tardi, tontolone.» disse lei trafiggendolo col suo sorriso «dobbiamo unirci al banchetto del principe, non essere scortese». C’era dell’intesa fra i due o Ascanio stava fantasticando troppo?
«Lena…» la chiamò una vocina timida, quasi afona. Ascanio dovette placare la collera suscitata da quell’interruzione quando si ritrovò a fissare una Carlotta terrorizzata che stringeva fra le dita la stoffa color porpora del vestito della sua amica. Scambiò facilmente la rabbia con la preoccupazione alla vista di quegli occhi marroni offuscati da una lieve patina lucida. La ragazza tremava di paura.
Marlena con una rapida occhiata intuì che qualcosa non andava nella protettrice e, prendendola per il gomito, la trascinò lontano dagli altri. Ascanio si precipitò all’inseguimento delle due ragazze, mischiandosi fra la folla.
******
«Lena, io…» iniziò a frignare la bruna «io non so cosa mi è preso, mi dispiace non volevo farlo…me lo ha suggerito una voce». Carlotta affondò la faccia fra le mani e pianse calde lacrime singhiozzanti.
«Una voce…ma di che cosa stai parlando Carlotta! Che cosa hai combinato? Mi stai spaventando» la incalzò una Marlena fuori di sé.
«Io non ho potuto fermarmi. Era insistente, persuasiva, dolce…mi ha convinta che ne avessi bisogno e così l’ho presa» le confidò asciugandosi il volto lucido di lacrime.
«Carlotta, che cosa hai…» la protettrice s’interruppe quando l’amica cominciò ad estrarre dalla scollatura sul corpetto, al centro fra i suoi seni, una catenella d’oro. Carlotta notò che lo sguardo imbarazzato di Ascanio saettò da tutt’altra parte, ma per lei non c’era alcun problema. Marlena poteva permettersi qualsiasi cosa con lei. Scorgendo quello scintillio dorato, l’amica scattò subito verso la collana e la rinfilò con urgenza dentro il suo nascondiglio. Prese in rassegna i presenti che avrebbero potuto assistere alla scena, ma una volta resasi conto che nessuno li stava osservando, si rivolse nuovamente a Carlotta fulminandola con un’occhiataccia.
«Ma che diamine ti salta in mente? Siamo venuti per prenderci il ciondolo della luna di Frieda, non per rubare gioielli a caso! Dove lo hai trovato?» le disse soffocando gli strilli.
«Sai quando ti ho detto che mi serviva il bagno? Be’ in realtà non ci sono mai andata. Il corridoio dava sulla stanza della Kiendjar, la voce mi aveva indicato la strada. Sapevo perfettamente dove si trovasse così ho aperto il portagioie sul suo comò e l’ho preso…Adesso, però, non ricordo più perché l’ho fatto» disse tornando a nascondersi il viso.
«Dannate Pixies!» imprecò la bionda roteando gli occhi.
«Cosa c’entrano le Pixies in tutto questo?» domandò Ascanio.
«Oh, non farti ingannare dalle apparenze. Ti sorprenderesti di quanto siano infide quelle creaturine malefiche. Cazzo, perché sei così stupida! Se ci scoprono siamo fregati. Nelle terre delle fate il furto è considerato un crimine appena meno grave di mentire apertamente a membro della coorte di sua maestà Delilah. Ci taglieranno la testa» Marlena andò in iperventilazione.
Carlotta si guardò attorno «Potremmo gettarlo dietro qualche cespuglio!» propose lei.
«Ormai è troppo tardi, ci scoprirebbero e sarebbe ancora peggio…»la smontò Ascanio.
 Marlena allora le cinse le spalle e le disse «Tu non dirai nulla, intesi. Se la storia non salta fuori non abbiamo motivo di preoccuparci, giusto?».
«Amici miei!» li richiamò la voce tenorile del principe Kahel. «Perché state tardando, il banchetto non potrà cominciare senza che ognuno di voi abbia partecipato al rituale di iniziazione. Su non siate timidi, unitevi a noi!».
Carlotta non sapeva perché, ma alla parola rituale ebbe un fremito agghiacciante che le fece accapponare la pelle. Cercò gli occhi della sua amica Marlena e vi scorse delusione. Questo era il peggior incubo di Carlotta. Avrebbe accettato persino la decapitazione ma non quello sguardo carico di risentimento nei suoi confronti…non dalla persona che lei amava così disperatamente. L’avrebbe perdonata, no? Non sapeva cosa avrebbe fatto senza di lei, ne aveva bisogno…Ma Marlena non la degnò più di alcuna attenzione, girò su se stessa e si fiondò a passo spedito verso il banchetto insieme ad Ascanio, dove i suoi compagni avevano già preso posto senza di loro.
Prima di seguirli, con la morte nel cuore, gli occhi castani di Carlotta, offuscati da un velo opaco, s’incrociarono con i gorgheggi ondulati e vorticanti della foschia fatata che avvolgeva la sala da ballo come una cappa di nuvole argentate. La protettrice notò dei guizzi costellati da mille colori nei punti dove i raggi lunari penetravano quella nuvolaglia densa di polvere di diamanti. Aguzzò la vista e intravide quelle laboriose fatine in miniatura mietere a flotta i granelli luccicanti che si trovavano in mezzo alle nebbie opalescenti.
Allora la protettrice si chiese: perché le Pixies avrebbero dovuto raccogliere la polvere di fata?
********
La cera fusa e bollente, non appena s’incontrò col freddo ottone del candelabro, si solidificò in una lacrima madreperlacea sul viso metallico di una fata scolpita nelle volute ricciolute dei bracci del porta candele. La calura delle fiammelle tremolava in balia delle correnti d’aria. Qualche seduta più avanti, una ragazza con i baffi e le orecchie a punta brucava senz’enfasi la sua insalata come una capra di montagna, i suoi occhi giallognoli fissi su Leona che conversava allegramente col principe Kahel. Nel suo pugno stritolava il manico argentato di un coltello con la lama rivolta verso l’alto.
Caterina la giudicò patetica.
Non aveva mai invidiato la sua cazzutissima amica Leona, nemmeno adesso che sapeva la verità su lei e Gabriel. Magari all’inizio era stata un po’ gelosa di lei e Ethan, ma le era passata in fretta, non era certo il tipo di ragazza che si trastullava nei suoi insuccessi. E poi adesso il ragazzo in questione le stava proprio accanto con il suo bel musetto imbronciato che lei trovava così sexy.
 Quella sera la temperatura era insolitamente alta, ma Caterina non era certa che si trattasse di un dato di fatto o se semplicemente la sua pelle avesse preso a bruciare, rinfocolandosi nei suoi vasi sanguigni come se avesse il solleone all’interno delle sue membra. Ammosciò il mento sul braccio, torcendo in pieghe rugose la guancia spalmata sul palmo della mano, e rifletté sul tempo trascorso lì. Era sopravvissuta a malapena alle angherie di quei demoni alati dal faccino angelico, le avrebbe volute strangolare con le sue stesse mani se il suo codice non glielo avesse espressamente vietato. In effetti le sembrava che da un paio di giorni qualcuno stesse attizzando un braciere dentro il suo stomaco e che quel calore s’irradiasse in tutto il corpo come una nana bianca che sta per implodere. Si deterse la fronte con il fazzoletto ricamato che aveva trovato sotto la posateria d’argento disposta in ordine di grandezza, e suddivisa per portata, sentendosi segretamente in colpa per aver utilizzato un oggetto così delicato per assorbire i suoi liquidi corporei. Indugiò nuovamente sulle punte arrotondate di una forchetta.
Non ricordava esattamente se avesse dovuto cominciare dall’interno all’esterno o viceversa. Si accigliò, sforzandosi di ripescare quel particolare nella sua memoria. Il galateo non faceva per lei, si arrese sospirando. Preferiva di gran lunga le scazzottate ignoranti e i pomeriggi passati ad appuntire la sua lancia, attualmente nascosta in mezzo a un cespuglio di rose insieme al resto dell’armamento della sua squadra.
Al diavolo le buone maniere!, pensò in un moto illogico di rabbia, che da un po’ di tempo a quella parte la seguiva come un’ombra, pescando uno dei cucchiai di fianco alla forchetta che prima aveva esaminato scrupolosamente.
Ebbe un sussulto. Il contatto con l’utensile d’argento le provocò una fitta acuta di dolore che la costrinse a gettare la posata lontana da sé, catapultandola dentro il piatto dell’ospite seduto davanti a lei. Scottava maledettamente. Chiuse gli occhi come per resistere alla sofferenza che quel brevissimo tocco le aveva trasmesso. Non poteva essere stata un illusione. Guatò i suoi polpastrelli ritrovandoseli arrossati come se avesse teso le dita sulle spire di una fiamma. Una morsa di terrore istintivo montò dentro di lei, le ossa scricchiolanti come se fossero in procinto di spezzarsi, i muscoli e i tendini informicoliti come se li avesse messi sotto sforzo.
«Le posate» latrò «sono avvelenate!».
Norman, dall’altro capo del tavolo, squadrò, fra le folte ciglia di grano turco, il cucchiaio che lei gli aveva inavvertitamente lanciato nel piatto, con il turbamento a tingergli gli occhi azzurri. Lo raccolse con aria critica esaminandolo alla luce tremolante del candelabro senza battere ciglio. «Non c’è nulla che non va nelle posate, e poi ammesso che fossero avvelenate avresti subito sentito l’odore. Cosa te lo ha fatto pensare?» chiese Norman piuttosto incuriosito.
«Mi sono bruciata» ribatté sotto voce «guardate le mie…»la voce si affievolì come quando abbassi il volume di una radio. No, lei non era pazza, ma non sapeva spiegarsi il perché le sue mani fossero tornate esattamente come prima. Non vi era uno solo segno di una possibile scottatura.
Non è possibile, si ripeté. In preda alla frenesia, prese a tastare con le dita tutte le posate che aveva di fronte. Una goccia di sudore le si impigliò in un sopracciglio. Le posate erano fresche e dure come avrebbero dovuto essere degli oggetti di metallo.                             
Ethan le posò una mano sulla sua schiena nuda e disse «Caterina, sicura di stare bene? Sei molto accaldata». La cicatrice sul petto le bruciò così tanto da toglierle il respiro.
Gli rivolse un gran sorriso canzonatorio «Certo che sì tesorino, non c’è bisogno che ti preoccupi così per me. Ho la pellaccia dura» disse dissimulando la tensione che la stava mandando fuori dai gangheri.
«…non ho potuto fermarmi, era insistente, persuasiva…e così l’ho presa» le disse quella voce amplificata nelle sue orecchie, sovrastante la musica.
«Cosa hai detto?» domandò Caterina, incerta su quello che aveva appena sentito.
Ethan si fece paonazzo in volto e le rivolse uno sguardo cupo «Caterina io non ho detto nulla…». Oh, perfetto!, pensò Caterina, ci mancavano solo le voci nella testa!
A conferma della sua apparente follia la voce proseguì «Carlotta che cos’hai…».Sta volta la riconobbe: era senza dubbio Marlena.
Caterina perlustrò velocemente la sala e, anche in mezzo a tutta quella confusione di corpi danzanti, la trovò a parlottare con Ascanio e Carlotta. Allora trasse un sospiro. Erano troppo lontani da lei, non poteva averli sentiti da quella distanza, non aveva un udito sovrannaturale. Dopotutto era nel regno della fate, doveva esser preda di qualche stravagante illusione, sì era così, si convinse. Wow, se già dava di matto senza aver ingurgitato nulla, non voleva pensare a cosa sarebbe accaduto se si fosse tracannata quel buon vino dall’aspetto allettante che pareva aspettare solo lei…Forse un solo sorsetto, stava per concedersi, allungando il braccio verso la brocca.
«Ma cosa ti salta in mente? Siamo venuti  a prenderci il ciondolo della luna di Frieda, non per rubare…». Caterina tornò a guardarli e provò a leggergli il labiale.
«…Be’ in realtà non ci sono mai andata…la voce mi ha indicato la strada». Ciò che sentiva e  ciò che vedeva combaciavano alla perfezione. Un’altra vampata di calore. Si mise a perlustrare il fondo del piatto, ancora immacolato e privo di briciole, con la mani a mo’ di paraorecchie per mettere fine a quell’assurdità.
«…Cazzo perché sei così stupida…se ci scoprono siamo fregati» disse ancora la voce ovattata di Marlena, come se l’avesse al suo fianco e glielo stesse urlando nell’orecchio. «…ormai è troppo tardi…».
«Basta» esalò esausta. Non si era nemmeno accorta di averlo detto ad alta voce. Riaprì gli occhi e qualcuno le teneva la mano sopra il tavolo. Bastò quel semplice gesto a zittire le voci. Norman la guardava dritta negli occhi con un affetto che le ricordò di non essere sola. Lui non disse nulla. Norman era sempre stato al suo fianco fin da quando aveva memoria. Lui le infondeva sicurezza, solidità, era tutto ciò che le potesse somigliare ad un famiglia. Erano così diversi l’una dall’altra, non solo per il colore della pelle, che per entrambi non aveva alcun valore discriminatorio, ma anche e soprattutto caratterialmente si trovavano agli antipodi: lui dolce e posato, lei sfacciata e aggressiva. Eppure non avrebbe voluto un amico diverso, era come se Dio avesse creato su misura il suo angelo custode intimandogli di vegliare su di lei per evitare che si cacciasse nei pasticci. Gli voleva molto bene, soprattutto il quel momento. Lo conosceva come le sue stesse tasche, e non aveva mai avuto quello sguardo così…limpido, dov’era finita la sua timidezza? Cosa gli era successo?
«Caterina hai una pessima cera. Vuoi che ti porti da qualche parte?» si offrì Ethan volenteroso. Se si fossero trovati in circostanze diverse, Caterina non avrebbe esitato di fronte a quell’improvvisa gentilezza. Per dire la verità, non aspettava altro: rimanere da sola con lui era quasi sempre l’incipit della scena madre di tutte le sue fantasie su di lui, alcune delle quali sarebbe stato meglio censurare. Ma si rese conto che in quel momento non aveva bisogno di quello. Il conforto del suo migliore amico era tutto quello che potesse desiderare.
I suoi respiri si regolarizzarono e quella sensazione di caldo soffocante sembrò abbandonarla. «No» gli disse maledicendosi «Posso farcela». Strinse ancora più forte la mano del suo amico Norman con un sorriso burlone stampato sulla sua faccia.
«Amici miei! Perché state tardando, il banchetto non potrà cominciare senza che ognuno di voi abbia partecipato al rituale di iniziazione. Su non siate timidi, unitevi a noi!» li rimproverò il principe, impaziente di dare inizio al banchetto. E poi di che rituale stava parlando? Lanciai un’occhiata a Leona per chiederle spiegazioni, ma lei fece spallucce, ne sapeva tanto quanto me. Non appena i tre ritardatari si furono accomodati ai loro posti attorno alla lunga tavolata ricca di prelibatezze, Kahel schioccò le dita chiamando a sé una schiera di servitori. I suoi maggiordomi accerchiarono la tavola e cominciarono a servire la prima portata.
A Caterina le si chiuse lo stomaco. Che diamine era quella roba luccicante? Tentò di affogare il cucchiaio in quella polverina diamantina per poi rovesciare il contenuto nuovamente nel piatto. Ma questa era…
«Signorina, io non la mangerei se fossi in lei. Non credo che il vostro organismo sia in grado di digerirla» la avvertì il principe in persona ridacchiando.
«E di grazia, potrei sapere di cosa si tratta, esattamente?» lo sfidò lei con un’occhiataccia irrispettosa.
«Questa è polvere di fata» parlò inaspettatamente Carlotta con lo sguardo spiritato fisso sul suo piatto cose se fosse pieno di ragni «E’ da tutta la sera che le pixies la raccolgono dalle nebbie…».
«Che abile osservatrice che siete, milady» si complimentò Kahel. Carlotta non lo degnò nemmeno di un cenno di assenso. «E sapete anche perché ve l’abbiamo servita questa sera?». Lei deglutì trattenendo un singhiozzo. Scosse la testa.
«La polvere del bugiardo» sussurrò Fabrizio «E’ il secondo nome con cui viene chiamata la polvere di fata per la sua capacità di smascherare i bugiardi e i traditori» chiarì poco dopo sollevandosi gli occhiali sopra la gobba del naso.
«Vedo che siete il più saggio del gruppo. Prego, stasera lascerò a te la spiegazione» lo invitò il principe.
Fabrizio annuì ossequiosamente. «E’ una tradizione risalente a molti anni fa, precisamente poco dopo lo scoppio della battaglia dello Scao Leadh. Si narra che la guerra abbia avuto inizio dai complotti che Frieda ordiva in segreto contro l’attuale reggente, sua maestà Delilah. Grazie alle sue infide doti di ingannatrice, Frieda era riuscita a fare infiltrare delle spie all’interno della coorte della luce, quando ancora all’epoca vigeva la pace fra le due fazioni fatate, così da poter raccogliere più informazioni possibili in vista della grande congiurationes che seguì dopo».
«E’ pur vero che le fate non possono mentire, ma ciò non toglie che possano nascondere le loro bugie anche a costo della propria vita. Una bugia non è tale se non viene rivelata alla luce del sole. Quando la regina scoprì il complotto e i tentavi di Frieda di sottrarle il trono, era troppo tardi. Gli scontri avevano già avuto inizio, ed ambo le parti subirono molte perdite. Alla fine i Curatores Noctis, con l’aiuto di sua maestà, ne uscirono vittoriosi, ma il prezzo da pagare per il suo popolo fu molto alto: molti avevano perso la vita e il raths originale andò distrutto a causa di quella guerra brutale».
«Da quel momento in poi la Regina, addolorata per il destino del suo stesso popolo e ricolma di rimorsi, giurò che non sarebbe mai più accaduto e ne trasse un amaro insegnamento: chiunque avesse varcato la soglia del suo regno, sarebbe stato sottoposto al giusto giudizio delle polvere che tutto rivela, senza nessuna esclusione, poiché anche chi ti è più vicino, come un sorella, è capace di tradirti».
«Superba spiegazione, amico mio. Non avrei saputo esporlo meglio!».
«Dunque, mio signore, cosa vorrebbe che facessimo adesso?» domandò una titubante Leona.
«Immergerete le mani nella polvere e lei farà tutto il resto. Se il vostro cuore é puro e libero dalle tenebre della menzogna, non vi accadrà nulla. In caso contrario…» il principe lasciò intendere il peggio. I dieci ragazzi cominciarono a scambiarsi occhiate ricolme di muto terrore.
Ma non Caterina.
Lei cercò irrazionalmente la gelida luce della luna, l’unico occhio del cielo notturno che quella sera era pallida e bellissima. Ogni volta che faceva capolino fra le nubi, qualcosa, un impulso quasi ferino, le ispirava di cantare per lei, anche se Caterina era sempre stata  stonata come una campana. Ma aveva già dato fin troppo spettacolo per quella sera, così stroncò quel canto prima che potesse dargli alito.
Di una cosa però era certa, anche se ne ignorava il motivo.
Avvolta in quell’alone di mistero biancastro, la luna piena la stava chiamando, la attraeva a sé, destinandole lo stesso trattamento che riservava all’alta marea.
 

ANGOLO DELL'AUTRICE: Ciao a tutti, mi scuso per il ritardo ma a quanto sembra non riusciro' a mantenere lo stesso ritmo di pubblicazione di prima. Cio' non toglie che la storia continuerà fino alla fine. Spero che questi tre nuovi POV vi siano piaciuti! A presto per un nuovo capitolo: "La polvere del bugiardo"
   
 
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