Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Moonfire2394    26/06/2020    0 recensioni
I genitori di Leona e Gabriel vengono uccisi brutalmente da un trio misterioso di vampiri in cerca delle mitiche "reliquie". Dopo il tragico evento, verranno accolti al campo Betelgeuse, un luogo dove quelli come loro, i protettori, vengono addestrati per diventare cacciatori di creature soprannaturali. In realtà loro non sono dei semplici protettori, in loro alberga l'antico potere dei dominatori degli elementi naturali: imedjai. Un mistero pero' avvolge quell'idilliaco posto e il subdolo sire che lo governa: le strane sparizioni dei giovani protettori. Guidata dalla sete di vendetta per quelli che l'avevano privata dei suoi cari, Leona crescerà con la convinzione che tutti i vampiri siano crudeli e assetati di sangue. Fino a quando l'incontro con uno di loro, il vampiro Edward Cullen, metterà sottosopra tutto quello in cui ha sempre creduto facendo vacillare l'odio che aveva covato da quando era bambina. Questo incontro la porrà di fronte a una scelta. Quale sarà il suo destino?
Una storia di avventura, amicizia e giovani amori che spero catturi la vostra attenzione:)
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 31 – La polvere del bugiardo

 
Marlena voleva tornarsene a casa sua, se pur cosciente di non avere più un posto in cui tornare. Un rivolo di sudore le colò dalla tempia, il tremolio alle mani nascosto con insuccesso. Quella zuppa argentata e luccicante che rimescolava sul fondo del piatto con un cucchiaio poteva smascherare i bugiardi…Lei di bugie ne aveva dette, anche se a fin di bene, ma non era per lei che temeva. Marlena sistemò il cucchiaio accanto al piatto e sbirciò alla sua destra. Carlotta sembrava un reperto archeologico, fossilizzata nella sua posa ricurva sul ciglio della sedia. La sua pelle era traslucida, di un pallore malsano, la mascella perennemente immortalata in una smorfia di sorpresa ma priva di alcun entusiasmo.
Perché mai quell’idiota sapientone non ci aveva menzionato un particolare così importante?, pensò adirata la ragazza. Non c’era più tempo per dargli una lezione, non le restava che tenere duro fino a quando quella cerimonia, che la protettrice trovava tremendamente noiosa, sarebbe finita.
Ma l’avrebbero fatta franca? Marlena sapeva che non avrebbe ceduto facilmente, doveva proteggerla. Carlotta poteva anche essere una sempliciotta che viveva della sua luce riflessa, ma le era sempre stata accanto, soprattutto quando Lilia se ne era andata, quando i suoi genitori l’avevano portata via dal campo…
«Mio Principe» esordì Leona «state forse dubitando delle nostre intenzioni? Credo siate stato accuratamente messo al corrente degli ultimi eventi che si sono consumati nelle nostre terre, non vedo la necessità di sottoporci a tale rituale. Se avessimo voluto attaccare Sirio, non pensate che l’avremmo già fatto? Ci conoscete, siamo protettori, non ci mancano né le risorse né il coraggio per farlo. E poi a che scopo? Perché dovremmo ordire qualcosa contro il vostro popolo considerata la nostra alleanza? A meno che voi non ci abbiate tradito…»
«Tradimento? Noi che siamo il baluardo della verità? Avete un bel ardire mia bella fanciulla, soprattutto durante una delle nostre celebrazioni più importanti. Adesso siete esuli in terra straniera, sarà mia madre a decidere che cosa farne di voi. La risoluzione della questione che sia o meno violenta dipenderà esclusivamente da voi».
«Voi avete un accordo con Betelgeuse, tutto quello che vi circonda in questo istante non esisterebbe se non vi fosse stato concesso dal nostro popolo. Come avete ben detto, noi qui siamo espatri in cerca di un rifugio, l’intera coorte ha messo sulle nostre tracce i migliori cacciatori che avevano a disposizione. Cosa ci garantisce che voi non ci vendiate ai nostri inseguitori?».
Il principe rise, facendo esplodere l’ilarità nel resto nei commensali. Iris  sollevò la testa dalla sua insalata scondita e guardò con sospetto il fratello, con un guizzo di terrore reverenziale nei suoi occhi. «Sapete, io adoro la vostra spontaneità. Di solito non permetto a nessuno che mi si rivolga con tanta sfacciataggine, è bene che lo sappiate. Con uno schiocco delle dita potrei ordinare di farvi tagliare la testa e porla al centro di quel vassoio» disse indicando la testa del caprino adagiata su un letto di lattuga «Ma si da il caso che io non sia un tiranno e immagino che voi stiate parlando per ignoranza…».
«Ignoranza…sua eccellenza?» chiese furibonda Leona con un sopracciglio inarcato.
«Ve l’ha mai detto nessuno che l’ira sul vostro volto vi dona a tal punto dal rendervi irresistibile? Avete il temibile sguardo di una dea. Se solo esistesse un artista, uno scultore abbastanza bravo da…» scosse la testa «Perdonate le mie divagazioni» si scusò sospirando con le mani giunte sotto il mento.
L’aveva appena minacciata di ucciderla. Marlena desiderò intensamente che il principe mantenesse fede alle sue intimidazioni…Credeva che nessuno meritasse di morire quanto lei, che era scesa a patti col diavolo, con il loro nemico giurato. Non riusciva a capacitarsi di come gli altri potessero starle accanto con tanta indifferenza, come potevano non essere orripilati dalla sua sola vicinanza? Non aveva neppure provato a negarlo: Leona si era schierata dalla parte dei vampiri. A Marlena non importava molto di tutte quelle fandonie sugli abomini, in fondo che male c’era se comunque portavano a termine il loro compito? Piuttosto trovava imperdonabile il suo volta faccia, per quanto le riguardava non la considerava nemmeno più una protettrice, non dopo le parole che aveva predicato a favore dei vampiri. Ciò però che la faceva letteralmente impazzire, era la sua celata natura di medjai. Lei e il suo detestabile fratello!
Marlena era una purista, rappresentava la massima espressione del tradizionalismo Hijiriano. La sua famiglia le aveva insegnato a seguire fedelmente i precetti e la sua devozione alle autorità della coorte era incontaminata. Per lei, infatti, era stato un grande onore poter essere concessa in sposa al figlio del Sire…
Non sarebbe stata piuttosto lei stessa la perfetta candidata per ricevere l’antica magia dei medjai?  Perché ad una traditrice del suo calibro era stato fatto dono di quel grande potere? Come poteva esserne degna, proprio lei che aveva calpestato senza alcun rimorso la sacra fratellanza dei protettori. Non le doveva nulla. Aveva ottenuto il suo aiuto solo esclusivamente perché Fabiano l’aveva supplicata…Lei non gli avrebbe mai detto di no, lei lo amava come mai avrebbe creduto di amare qualcuno, e non solo per la sua appetibile discendenza. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui, si sarebbe annientata, si sarebbe buttata giù da un dirupo se solo glielo avesse chiesto. Si convinse che se solo fosse stata lei la medjai, forse allora tutto sarebbe stato diverso. Ma in lei non c’era nulla di speciale, niente che avrebbe potuto infervorare il suo amore per lei. Mai come prima di allora, la odiò, odiò Leona con tutta se stessa.
Mentre continuava a cullarsi nella sdegno che provava per la medjai, osservò Gabriel e Fabiano. Se c’era qualcosa in cui Marlena eccelleva, quella era la scrupolosa attenzione a ciò che al circondava. Nessuno avrebbe potuto negare il suo indiscusso talento di attenta osservatrice, difficilmente potevano sfuggirle particolari dal suo infallibile radar. Notò la loro tangibile tensione, manifesta nelle loro carotidi pulsanti sulla giugulare. Anche Ascanio si era irrigidito al suo fianco, la protettrice avvertì il nervosismo attraversarli come una scia di elettricità che li univa in un unico essere pensante. Così agivano i protettori: contavano sulla forza del gruppo appoggiandosi l’uno sull’altro. Ciò che era importante per uno lo era anche per l’altro. O almeno così avrebbe dovuto essere. Loro però, erano un gruppo davvero male assortito, non avrebbero mai funzionato insieme, avevano troppi conti in sospeso, aspri contenziosi non facilmente sormontabili da futili scuse o pacche sulla spalle. I loro livori avevano radici ben più profonde nonostante la loro giovane età.
«E’ abbastanza ovvio che voi non sappiate nulla riguardo al patto stretto con i protettori di Betelgeuse» li stuzzicò con una lazzo ghignante.
A quel punto intervenne Fabiano «Sua eccellenza a quale patto sta facendo riferimento? Più che un patto quello di sei anni fa si è trattato di uno scambio. La nostra barriera magica per uno dei nostri campi».
«Questo è quello che vi hanno fatto credere» disse il principe attorcigliandosi sul dito un ciuffo di capelli biondi, segretamente compiaciuto di averli in pugno.
«Vi ho incuriosito?» aggiunse sfidando Fabiano col suo cipiglio dorato. Il ragazzo restò flemmatico, appoggiato allo schienale della sedia senza svelare alcuna emozione. A volte non se ne rendeva conto, ma somigliava molto al padre.
«Sono disposto a raccontare ciò che so, ma alla mie condizioni» li informò puntando il dito verso il basso, sul piatto stracolmo di polvere di fata.
«Noi non abbiamo nulla da nascondere» disse Gabriel fieramente. Il protettore riccioluto cominciò a sbottonarsi i gemelli sui polsi della camicia, arrotolandosi le maniche a metà braccio, e affondò le mani dentro la polvere del bugiardo. Morgana non ebbe modo di fermarlo e restò a fissarlo paralizzata sulla sedia accanto alla sua.
La sorella chiuse gli occhi. Sembrò guardare dentro se stessa. Immersa dell’oscurità delle palpebre, borbottò un pastrocchio incomprensibile che aveva tutti i connotati di un vernacolo arcaico. Probabilmente nulla che valesse la pena tradurre.
Gabriel si lavò le mani, lasciandosi scivolare la polvere fra le dita, con l’attenzione di tutti i presenti rivolta su di lui.
«Dichiaro di non avere cattive intenzioni, di non tramare nulla contro il regno delle fate, di non avere alcun interesse a farvi del male almeno che non mi trovi costretto e di non voler sottrarre alcun bene in vostro possesso. Sono qui solo in cerca di informazioni» spiegò impastandosi ancora di pagliuzze argentate. Terminata la sua dichiarazione se la scotolò via, illeso e sorridente. Leona tornò a respirare, rilasciando un lembo della tovaglia dalla sua presa.
«Siete contento adesso?» gli domandò rimettendosi apposto i polsini. Morgana si affrettò a dargli una mano, sussurrandogli rimproveri in sordina, con ancora la paura a scuoterla da capo a piedi.
«Non potevo aspettarmi niente di meno dal campione della prova. Mia sorella è rimasta colpita dal vostro coraggio nell’affrontare quella bestia. E ditemi quali informazioni cercate, mio prode amico? Quali segreti possiamo offrirti noi, popolo fatato?».
«Prima voi» lo rimbeccò Gabriel con la sua solita inopportuna spavalderia.
«Guardie…» pronunciò annoiatamente Kahel. E nel lasso di tempo di un respiro, un guarnito gruppo di sentinelle si fece attorno a Gabriel. I soldati fatati gli puntarono delle lance affilate sul suo collo, pronti ad infilzarlo ad un solo cenno del loro sovrano.
Il principe rise ancora una volta «Ah, protettori! Così forti da poter sopraffare un vampiro, ma così umanamente stupidi da non capire le circostanze e la posizione di sfavore che ricoprono» disse indurendo l’espressione «Non sei tu a dettare legge medjai, non in casa mia, ricordalo bene».
«Mio signore la supplico…». Leona si era sporta sopra il tavolo e teneva la mano del principe fra le sue. Lui batté le palpebre, confuso dal suo tocco gentile ma deciso.
«Mio fratello» continuò lei «è solo un sciocco impudente, non dovreste dar peso a ciò che dice. Sono sicura che ci sia un altro modo per fare ammenda, ma non fategli del male». Kahel la guardò prima dritta in viso, intenerendo visibilmente lo sguardo, poi si fece strada in basso, lanciando occhiate sconvenienti sul decolté della ragazza. Con un gesto accomodante scacciò via le guardie reali, deliziandosi gli occhi con le curve tondeggianti dei suoi seni. Fabiano, apparentemente in uno stato letargico, era divenuto una statua di gesso, ma chiunque lo avesse conosciuto bene, avrebbe potuto cogliere il fremito impercettibile nel suo intimo.
«In realtà un modo ci sarebbe…» acconsentì lui. Il suo dito accusatorio puntò contro Carlotta. Schioccò di nuovo le dita e le guardie lasciarono Gabriel per assieparsi attorno alla povera ragazza. La punta di una lancia indirizzata sulla sua nuca. «Procedi col rito» le intimò. «Ripeti le stesse parole del medjai».
Marlena poté quasi sentire il freddo sussurro del dolore della ragazza, straziata alla vista delle sue guance umide rigate dalle lacrime. Un Curatores Noctis avvicinò ancor di più l’arma alla pelle della protettrice sfiorandola con la punta metallica della lancia per metterle pressione. Marlena si ritrovò a stringere con forza e rabbia il bastone che minacciava di ferire la sua amica «Non c’è alcun bisogno di essere così brutali» sibilò molto più che furiosa sfidando la fata bardata di corazze e armatura.
Gli occhi arrossati di Carlotta per un attimo le furono riconoscenti, traboccanti d’amore osò pensare la protettrice, stordita da quell’intensità. Poi si fece coraggio e imitò Gabriel. Le sue mani erano sommerse dalla polvere. Col fiato sospeso, Marlena e Ascanio aspettarono l’inevitabile.
«Dichiaro di non avere cattive intenzioni» iniziò singhiozzando «…di non tramare nulla contro il regno delle fate» disse con una disarmante convinzione a cui era difficile non credere. Che avesse rinunciato? - temette Marlena - «di non voler più combattere e…». La ragazza gemette come se qualcosa la opprimesse dall’interno. Non proseguire, la pregò Marlena sperando che quel pensiero la raggiungesse. Se avesse pronunciato quelle parole…
«E di non volervi sottrarre alcun bene in vostro possesso» finì un’altra voce strappandole la frase di bocca. Caterina, con le mani dentro il piatto, sorrise solidale a Carlotta. Marlena si accorse che la protettrice mulatta le aveva schiacciato l’occhiolino, come se fosse complice di qualcosa.
«Per le Moire! Quanto siete piagnucolosi voi protettori! Possiamo andare avanti adesso? Sto morendo di sete!» disse Iris sollevando la brocca di vino.
«Non ancora, sorella» la ammonì il principe. Lei roteò gli occhi sbuffando.
«Mio signore» lo chiamò Fabrizio alzandosi in piedi «col suo permesso, potrei farle una domanda?». Il protettore era rigido come un pezzo di legno nel suo bel tight elegante. La sua timidezza, acquattata dietro il fondo delle sue enormi lenti da vista, gli conferiva un’aria da adolescente immaturo. Il principe imbronciato, lo invitò a proseguire.
«Come è vero che i generali si prendono il merito delle battaglie vinte dai propri soldati, non sarebbe moralmente giusto anche farsi carico e rendersi responsabili degli atti commessi dai propri sottoposti?».
Marlena non afferrò subito dove il protettore affetto da miopia volesse andare a parare.
«Be’…» rifletté Kahel picchiettando le nocche sul tavolo mentre si accasciava scompostamente sul bracciolo della sua sedia. «Nessun generale è mai stato così altruista, mio buon amico, nemmeno uno della vostra razza. Vedete il vostro più grande difetto è la vostra umanità. È vero, voi proteggete quei piccoli ed infidi egoisti parassiti della Terra, ma gli somigliate più di quanto pensiate. Vi vantate tanto della vostra imperturbabilità, ma…» disse facendo spallucce «raramente ho visto un protettore vincere una sola battaglia contro le proprie emozioni. Ah scusatemi, sto divagando ancora» finse di scusarsi. «Se vogliamo parlare di cosa è giusto e di cosa non lo è…credo che abbiate ragione. Un buon comandante dovrebbe essere responsabile del suo esercito, grande o piccolo che sia, nella buona e nella cattiva sorte…» terminò recitando un pezzo delle promesse che gli umani usavano scambiarsi durante il matrimonio. Il principe sembrava un gran cultore delle usanze umane…
«Sono lieto di aver incontrato il vostro favore, mio Signore. Perché in qualità di capo vorrei assumermi la responsabilità delle azioni dei miei compagni ed essere il loro garante. Non reputo necessario imporre il giudizio della polvere ad ognuno di loro. Sarebbe uno spreco visto che una volta assolto il suo scopo non può più essere riutilizzata. Perciò compirò io il rituale in vece loro e risponderò io della veridicità delle parole che pronuncerò».
Kahel parve contrariato alla proposta di Fabrizio, ma non ebbe occasione di replicare. Un fata rugosa, con un incipiente calvizie, emerse dalla folla per venire a bisbigliare all’orecchio del principe. Poi il consigliere si allontanò di corsa accennando un inchino.
Marlena vide Caterina ridersela sotto i baffi senza capirne il perché, quella ragazza diventava sempre più strana…
«Accordato» disse sbrigativo, drizzando la schiena in una posa regale. Il cambio repentino di atteggiamento non quadrava del tutto alla protettrice, ma non se ne fece di certo una malattia.
Fabrizio allora procedé, ripetendo e giurando solennemente le parole del rituale. La polvere si avvizzì, perse il suo vigore lucente spegnendosi in un fioco baluginio. Quando i camerieri vennero a ritirare i piatti, quella che parve più sollevata fu Pel di Carota. Per qualche motivo, Marlena si fece sospettosa nei suoi confronti, non le piaceva affatto che stesse nascondendo qualcosa. 
Il principe si schiarì la voce, ma non prima di aver lanciato un’occhiata alla balconata in alto, dove sua madre li controllava già da un po’.
«Be’ immagino che sia giunto il momento del brindisi…» annunciò titubante.
«Era ora!» cinguettò la sorella che non stava più nella pelle. «Non preoccupatevi» li rassicurò Kahel, «tutto il cibo e le vivande che vedete provengono dal mondo degli umani, non avranno alcun effetto collaterale su di voi». I protettori rimasero comunque scettici a quella dichiarazione.
«Vostra madre non si unirà a noi?» domandò Gabriel riempiendosi il calice di vino. «Non al momento, credo» spiò in alto come per aver conferma di quanto aveva detto.
«Allora su i calici!» propose Iris festosa. Marlena colse uno scambio intimo di sguardi fra Fabiano e Leona. La protettrice preferì guardare altrove e si concentrò sulle scanalature del bicchiere di cristallo e sui rilievi dorati nelle bordature. Non attese alcuna formalità, e si inondò la gola di vino, avvertendo, in seguito a quell’unica svelta sorsata, qualcosa, probabilmente l’alcool, darle alla testa. Si gustò sulla lingua il brio frizzantino, un po’ astringente sul finale, che la bevanda le aveva lasciato, leccandosi la patina che le inumidivano le labbra.
La vista le si offuscò per un attimo per poi ritornare nitida pochi secondi dopo. Anche fin troppo definita, constatò ebbra di vino la protettrice. I colori della festa si erano fatti più accesi, i suoni e la musica ancora più frastornanti, le voci attorno a lei urlanti come scimpanzé inferociti…Desiderò ancora del vino e se ne verso dell’altro.
«Vacci piano Lena, non voglio dover badare a te per tutta la sera» la rimproverò Ascanio ergendo una barriera fra lei e il suo bramato calice traboccante fino all’orlo. Lo sguardo della ragazza, dapprima inviperito per quella privazione, divenne lascivo. Si perse nelle sfumature color nocciola dei suoi grandi occhi da cucciolo, nel taglio deciso della sua mascella pronunciata, nei suoi muscoli così turgidi e duri più dell’acciaio. Marlena sognò irrazionalmente di sbottonargli la camicia per frugare le meraviglie sconosciute scolpite al suo interno, come se il confine onirico delle sue voglie segrete fosse stata abbattuta, senza alcun filtro a diluire l’intensità dei suoi pensieri più impuri. Voleva raggiungere le sue labbra, assaggiarle, morderle con forza, sentire il suo sapore sulla lingua, sfiorandolo delicatamente come una piuma. Avrebbe lasciato vagare volentieri le sue mani sulla sua schiena, sulle spalle fino a spingersi giù in prossimità della cintola, dove sapeva che una decisa linea di carne a forma di “v” la attendeva. Il calore sulla sua pelle cominciò a formicolare in punti che nemmeno lei immaginava fosse possibile, consumandosi in una vampa di desiderio.
Lei rise come se lui avesse fatto un battuta divertente, e fece baciare i loro calici in un tintinnio cristallino. Il braccio di lei si avvolse attorno a quello di lui, pelle contro pelle, e si lasciò travolgere dai brividi, una vibrazione soave che le riverberava lungo la schiena. Marlena lo guardò ancora, soffermandosi sulle sue gote arrossate dal vino e sfidò il ragazzo a tracannare ancora un altro sorso per ripulire i sedimenti sul fondo della coppa traslucida.
Lo sguardo corrucciato di Ascanio si distese e si fece incantare dai lucenti smeraldi della protettrice.
«Dio, quanto sei bella» le sussurrò piano. Poi, senza sciogliere l’intreccio delle loro braccia, avvicinarono i calici alle loro labbra fantasticando sul possibile incontro fra le loro bocche.
L’immagine onnipresente di Fabiano impressa nella mente di Marlena sbiadì lentamente, dissipandosi in volute irregolari di ricordi che un tempo l’avevano resa felice.
********
Il vino non raggiunse mai lo stomaco di Leona. Non si fidava abbastanza di Kahel, anche se si fosse davvero trattato di cibo da umani, era pur sempre il fratello di Iris ed aveva già ampiamente dimostrato di avere il suo bel caratterino, degno della perfida sorella. Per sua fortuna anche Fabiano le aveva dato retta, almeno due di loro dovevano rimanere lucidi in vista della tanto attesa udienza con la Regina…
Avevano semplicemente finto di berlo, non potevano sottrarsi a quel brindisi e peggiorare la situazione che già si presentava tesa di suo senza che dessero altri motivi al piccolo principe viziato di minacciarli di strappargli via la testa.
Il resto invece, compreso quel imprudente di suo fratello che poco prima stava per farla crepare d’infarto, già la seconda volta in un solo giorno, si erano concessi il lusso di consumare la cena per intero. I suoi compagni erano fin troppo euforici, avevano ceduto fin troppo facilmente alle rassicurazioni dell’erede del regno delle fate. Leona però volle comprenderli…Non mettevano sotto i denti un pasto decente probabilmente da giorni, erano lontani da casa, stanchi e avviliti dalle dure prove a cui quel mondo sconosciuto li aveva sottoposti. In fondo la protettrice non aveva ancora trovato nulla di sospetto ed era certa che quell’improvvisa ilarità nel gruppo fosse frutto di qualche bicchiere di troppo. O almeno si augurò che fosse così. Non era il momento di farsi assalire dai sensi di colpa. Se fossero riusciti nel loro intento sarebbero diventati gli eroi che avevano rischiato la pelle per salvare il campo. Il tutto stava nell’uscire vivi di lì…
«Non avete fame mia signora?» le chiese Kahel sorseggiando beffardo dal suo calice.
«Non ho molto appetito» si giustificò «preferisco di gran lunga conversare con sua eccellenza. Prima stavate parlando della vera motivazione che sta dietro l’alleanza fra noi protettori e voi del popolo della fate. Sarei interessata a saperne di più a riguardo. C’è molta oscurità attorno a questa faccenda, abbiamo mal riposto la nostra fiducia nel consiglio dei sette e nel Sire stesso». Leona cercò l’appoggio di Fabiano, il quale le sorrise debolmente, estremamente cauto a non esaltare più di tanto la loro complicità agli occhi del principe. «Siamo venuti a conoscenza di fatti terribili…».
«Parlate dei famosi Abomini? Mi piacerebbe tanto vederli in azione. Si dice siano il non plus ultra fra i protettori, davvero sorprendente» disse impugnando forchetta e coltello avventandosi sull'arrosto fumante davanti a lui.
«Be’ Leona li ha affrontati» s’intromise Fabiano con un velo di rabbia nel tono di voce. «Hanno cercato di ucciderla, senza contare i disastri provocati dalla Lupa. C’è un motivo ben preciso se sono stati battezzati con quel terribile appellativo…più nulla è rimasto di umano in loro e perdendo la loro umanità non potevano che trasformarsi in mostri spietati. Sappiamo che vostra madre è coinvolta in qualche modo, abbiamo le prove: uno scambio di lettere fra lei e il Sire».
Il principe sospirò assaggiando un boccone di carne «Non lo neghiamo, noi non potremmo mai mentire, è la nostra legge suprema. Ma sappiate che è stata soltanto una pura questione d’interessi. Mia madre non avrebbe mai voluto immischiarsi negli affari dei protettori, ha fatto solo ciò che riteneva più giusto».
Leona cercò disperatamente di contenersi in mezzo alle risate sguainate dei suoi amici. «Mi perdoni sua eccellenza, come può lodare un crimine del genere?  Ci avete dimezzato, ridotto i nostri ranghi, come potremmo mai garantirvi protezione se continuerete a trasformare i nostri in quelle creature senza cuore?».
«E’ stata costretta ad effettuare quell'incantesimo, non le hanno lasciato altra scelta. Cosa potete saperne voi dei doveri di un sovrano e del suo sacro compito di difendere il suo popolo? Se non fosse stato per quel patto non saremmo mai scampati alla morte…a volte è necessario compiere azioni riprovevoli se è per raggiungere un bene superiore». Il principe guardò per la prima volta in cagnesco la protettrice, non avrebbe tollerato oltre quel suo atteggiamento astioso nei suoi confronti e in quelli di sua madre, la regina.
«Perché non parlate apertamente, basta con i giri di parole. Chi mai avrebbe dovuto minacciarvi di morte? In nome di questo bene superiore avete mietuto fin troppo vittime fra i protettori, non vedo alcun collegamento fra le due cose».
«Questo perché non conoscete la verità, se solo mi ascoltaste, sono certo che capireste la posizione di mia madre e avreste persino agito come lei al suo posto».
«Ne dubito fortemente, ma sono disposta ad ascoltarvi» gli concesse Leona.
«Bene» asserì lui con tutta la calma di cui era capace. «Volete svelato un segreto?». Per un attimo fra i tre interlocutori calò il silenzio.
«Non esiste alcuna magia abbastanza efficace da riparare la vostra barriera magica contro i vampiri. E’ solo questione di tempo, ma presto crollerà, gli effetti sono irreversibili, e la vostra gente tornerà ad essere vulnerabile, alla mercé dei vostri nemici» gli confessò lasciando perdere completamente la cena.
«Quindi avete mentito» dedusse uno sconvolto Fabiano.
«Non è proprio così, mia madre ci ha davvero provato a riparare il danno ma è risultato tutto inutile».
«Ma allora perché tenere in piedi ancora l’alleanza, perché continuare ad offrirvi il nostro aiuto se non avevate nulla in cambio per sdebitarvi? E poi perché  impossessarvi proprio di Sirio?».
«Sirio è uno dei punti convergenti in cui la magia fatata è più forte. Grazie all'energia ricavata da queste terre, il nostro popolo ha potuto continuare a vivere. Vedete, circa sei anni fa il vecchio raths fu contaminato da una potente magia oscura a noi sconosciuta. La terra, le piante, cominciarono ad avvizzire e a non dare più frutto, le acque si macchiarono di fango e divennero putride, la polvere di fata svanì dai nostri cieli, l’intero ecosistema fu reso inospitale e gettato nel caos da questa grande piaga. Quando anche mio padre Urrah, il re consorte del mondo fatato, si ammalò, mia madre prese la sofferta decisione di abbandonare il raths per proteggere il suo popolo da quel male insaziabile che aveva persino messo in ginocchio un essere immortale. Non abbiamo mai scoperto da cosa potesse aver avuto origine. La servitù di mio padre raccontò di aver visto giacere il sovrano con una donna sconosciuta dai lunghi capelli argentati pochi giorni prima della diffusione del flagello, e che dopo quell'incontro, le sue condizioni presero a peggiorare».
Una donna con i capelli argentati…a Leona veniva in mente una sola persona che corrispondeva a quelle caratteristiche, e le sue vampate d’odio glielo confermarono. A quel punto anche Gabriel, dapprima coinvolto dai festeggiamenti di quella sera, sembrò stranamente interessarsi alla discussione, estraniandosi dalle moine di Morgana, ma solo per qualche istante. La sua lucidità fu breve come un lampo che squarcia il cielo nuvoloso. L’avventatezza del gemello la intimoriva ma non era la sua balia, avrebbe dovuto imparare a cavarsela da solo.
Leona volle sapere di più «Mio signore, come può una creatura fatata ammalarsi? Non ci è pervenuto in nessuno dei nostri scritti un informazione del genere».
«Nemmeno noi lo credevamo possibile. Ma ricordo molto bene la malattia di mio padre…e l’oscurità che l’avvolgeva. Del sangue nero come petrolio prese a scorrergli nelle vene, i suoi occhi divennero due pozzi bui e imperscrutabili, i numerosi anni costretto a letto…» ricordò il principe agonizzante.
Leona non ebbe più alcun dubbio. I sintomi erano simili a quelli della maledizione che colpiva i piccoli medjai ancora in fasce, con la sola differenza che quel sortilegio spezzò la vita immortale del re delle fate molti anni dopo dal primo contagio. Perché mai quel vampiro avrebbe fatto una cosa del genere?
«Non so quanto ci sia di vero o se si tratti solo di sciocche superstizioni, ma la piaga era reale, chiunque nel regno potrebbe confermarvelo» disse il principe sbottonandosi la giacca.
«Perché questa storia è stata taciuta per tutti questi anni ma soprattutto perché raccontarla adesso?» chiese Fabiano dando voce alle perplessità di Leona. Il principe spostò lo sguardo da Fabiano a Leona serrando le labbra come se non avesse intenzione di rivelargli altro.
«È volere di mia madre che sappiate» gli confessò restio. Leona e Fabiano si fecero ancora più curiosi. «Vuole dimostrarvi la sua innocenza».
«Una volta lasciato il vecchio raths in rovina, il nostro popolo si riversò per le strade del mondo in cerca di un’altra dimora».
«Questo spiegherebbe l’aumento dell’attività fatata e tutti quegli avvistamenti nel mondo degli umani» cavillò la protettrice. Kahel annuì.
«Pensavamo di poter condurre una semplice vita da nomadi confondendoci fra le gente ma non potevamo sapere a cosa stavamo andando incontro, tanto meno quanto la lontananza da un raths potesse nuocerci».
«In che senso nuocervi?» domandò Leona aggrottando le sopracciglia.
«Noi non…il tempo che ci è consentito trascorrere nel regno degli umani è limitato, non possiamo stare lontani da una fonte magica a lungo. Più tempo trascorrevamo fra gli umani, più la nostra gente s’indeboliva. A quel punto mia madre doveva agire, non poteva lasciar morire così il suo popolo. Così andò in cerca d’aiuto e i protettori vennero in suo soccorso ma la posta in gioco che le offrirono in cambio del loro sostegno andava contro l’antico codice fatato dei curatores noctis. Essendo la prima fata della luce, aveva giurato di non utilizzare mai la magia oscura, non avrebbe mai voluto macchiarsi di un crimine tanto dissacrante ma ha dovuto farlo o ci avrebbe condannati tutti. Sono stati i vostri capi corrotti a imporci questo fardello» disse con disprezzo «Il lickage è un antico incantesimo nato da esigenze negromantiche in grado di unire un corpo con uno spirito diverso che non gli appartiene, nonché comporre un nuovo essere con diverse parti del corpo. I suoi utilizzi però avevano svariate applicazioni  e mia zia Frieda ne è stata la promotrice. È stata lei la prima a sperimentare il linckage su un protettore, era lei che aveva preso accordi con i protettori e che gli aveva promesso un esercito invincibile. Ma mia zia è fatta così, agisce per puro diletto, quando qualcosa le risulta noiosa perde il suo interesse e passa al nuovo giocattolo. Una volta assaggiato il potere del linkage i protettori non potevano più farne a meno e l’unica in grado di poter esercitare un magia così potente era mia madre. Gli è bastato far leva sulle sue necessità per ottenere il suo coinvolgimento in quel pantano di orrori e le hanno offerto un luogo sicuro in cui poter ricominciare da zero in cambio delle sue arti magiche».
«Quindi è questa la verità. La padrona che voleva il mio sangue a Londra era tua madre!».
«Tieni a bada le tue accuse sciocca ragazzina! Mia madre non ha nulla a che vedere con questo» disse sbattendo un pugno sul tavolo. Le risate scemarono e l’intera tavolata si fermò ad osservare il dibattito. Il principe ispezionò la sala col volto imbarazzato e si passò una mano fra i capelli dorati per ricomporsi. «Vi prego, continuate a divertirvi. Non c’è nulla di cui preoccuparsi» disse candidamente il principe. Leona si stupì della facilità con cui i protettori e il resto della sala, incuranti di quella scenata, tornarono ai loro divertimenti. Che diavolo avevano messo in quel vino?, si trovò a rimuginare. Leona si accorse che Kahel la stava osservando prima che scoppiasse a ridere.
«Nessuna donna aveva messo a dura prova la mia pazienza in questo modo. Non saprei dire se siete molto coraggiosa o molto sciocca, di sicuro non avete peli sulla lingua e forse è questo che vi rende così affascinante».
«Pensate quello che volete di me» lo ammonì lei risoluta «Sono una cercatrice della verità e come vostra madre sono disposta a tutto per salvare il mio popolo e non mi farò certo fermare dalle vostre continue minacce».
«Oh dannazione, quegli occhi» disse Kahel trattenendo il fiato «il vostro passato è così oscuro, posso vedere la sofferenza nel profondo delle vostre pupille…voi avete già ucciso, non è così?».
Per un attimo la baldanza della protettrice vacillò ma riprese subito il controllo di se stessa, aveva imparato a tenere a bada i demoni del suo passato.
«È proprio così mio principe. E, se sarà necessario, lo farò ancora» disse con voce tagliente, quanto le sue spade di ghiaccio.
«Voi sareste una splendida, bellissima, spietatissima regina» la elogiò il principe delle fate.
«Regina, uhm» dissentì con una risata Marlena che sembrava aver seguito l’intera discussione. Con ancora il calice in mano si diresse verso di loro percorrendo il tavolo in tutta la sua lunghezza. Leona poteva sentire il tanfo d’alcol, e qualcos’altro che non riuscì a definire, evaporare dal suo alito per insinuarsi fra i suoi capelli.
«Sì certo, una regina» si trastullò lei sorseggiando ancora del vino «e di cosa esattamente, sua grazia?» aggiunse con un singhiozzo «Oh ma certo, la regina delle sgualdrine!».
«Marl…» cercò di riprenderla Fabiano.
«No, no, tu tappati quella bocca, hai già detto e fatto abbastanza» lo licenziò lei senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Kahel sembrò divertito da quel piccolo teatrino «Mia signora perché dite così, perché muovete una tale ingiuria verso la vostra compagna?» le chiese fingendo di disapprovare il suo atteggiamento. Marlena soffocò un risolino a denti stretti e si accomodò sulle gambe del principe. La protettrice bevve ancora.
«Spero non vi dispiaccia sua eccellenza» disse lei con gli effetti del vino scarabocchiati sul naso e sulle guance. Fabiano si fece teso come una corda di violino, si aspettava il peggio dalla sua ex fidanzata.
«Non rifiuterei mai una bella ragazza mia signora» le rispose Kahel di rimando.
«Credo che tu abbia bevuto abbastanza per questa sera, Marlena. Dammi subito quel bicchiere» le ordinò Leona.
Marlena lo portò in alto dove la protettrice non avrebbe potuto raggiungerlo «E perché mai? In vino veritas, no? Di cosa hai paura? Che dica qualcosa di sconveniente? O temi che ti porti via il tuo bel principino» la pungolò la ragazza strapazzando il muso di Kahel in un beccuccio d’oca.
«Così saremmo pari, no? Tu mi hai soffiato via il mio promesso sposo, quindi…»
«Dite davvero mia signora? La medjai le ha fatto questo?» si volle assicurare Kahel sbiasciando la domanda come meglio poté per via delle sue labbra arricciate dalla presa di Marlena.
«Oh, sì. Non fa che rovinarmi la vita da quando l’ho incontrata. Le avevo espressamente vietato di stargli vicino, lui era solo mio. Ma lei come sempre ha oltrepassato il confine che avevo tracciato e ha passato la notte con lui».
«Oh, per le moire!» esclamò Kahel assecondando i vaneggiamenti della ragazza ubbriaca.
«Come può una ragazza senza morale come te essere detentrice del potere dei medjai? Gli dei devono essersi sbagliati, deve esserci stato un errore. Come fai a guardarti allo specchio tutti i  giorni senza provare disprezzo per te stessa?».
Leona reagì a quelle provocazioni come mai si sarebbe aspettata di fare. Era indolente, e quello stoicismo la portò a ridere, ridere a crepapelle. Tutti, compreso Fabiano, la guardarono inorriditi credendo che la protettrice fosse impazzita.
Marlena si sentì punta nel vivo del suo orgoglio. Scattò verso la posata più vicina e gliela indirizzò contro alzandosi di fronte a lei. Allora Leona, sbrigliò tutta la collera repressa che aveva covato fino a quel momento, memore dei continui soprusi che la biondina le aveva riservato nella sua infanzia, e la fronteggiò facendo sbalzare la sedia all’indietro. I loro occhi cercarono di assassinarsi a vicenda, fendendosi nell’aria come in un duello di scherma. Leona abbassò per un attimo lo sguardo sui bagliori lucenti che la lama d’argento irradiava e non si trattenne più. Saggiò il metallo di cui era fatto il coltello sulla punta della lingua e attivò ancora una volta l’allomanzia, liquefacendone la struttura. La piccola arma improvvisata di Marlena si attorcigliò su se stessa, apparentemente sotto la spinta di una forza invisibile, ripiegando il metallo come se avesse la consistenza della cartapesta. Poi il manico si fece incandescente e Marlena mollò la presa, lanciandolo lontano da loro. Aveva ancora i segni delle scottature nei punti dove aveva impugnato il coltello.
«Giuro sugli antichi medjai Gassan e Mayak che questa è l’ultima volta che mi punterai un’arma contro. Non sono più la stessa bambina indifesa, distrutta dal dolore e incapace di reagire  alle tue immotivate perfidie che hai conosciuto. Ma cosa vuoi saperne tu di cosa significhi avere questo potere fra le mani? Ti sembra un gioco forse, è così divertente per te? Ti sbagli se credi che sia il potere elementale a rendermi forte. Ho dovuto affrontare sofferenze indicibili, ho perso chi amavo di più per diventare quella che sono oggi e non permetterò a una bambina viziata che non conosce la privazione di darmi ordini o accusarmi a viso aperto. Su una cosa siamo d’accordo, io non merito tutto questo» disse facendo danzare una palla di fuoco sul palmo della sua mano.
«Ma è capitato e ne ho dovuto prenderne atto, ho dovuto accettare questo fardello, perché essere medjai implica grandi responsabilità che né io né tu siamo in grado ancora di comprendere a pieno. Tu non sai come lo cederei volentieri, non sai che darei per poter essere normale…Credi sia uno spasso quando un manipolo di mostri ti dà la caccia in cerca del tuo sangue? O quando il tuo stesso popolo ti addita come traditrice e ti condanna a morte perché teme il tuo potere? O sapere di far parte di un progetto più grande di te e brancolare nel buio…Non saprai mai come ci si sente quando qualcuno ti odia per qualcosa che non hai fatto, semplicemente perché non meriti di esistere…No, tu non sai niente, non sai nulla di me, non sai nulla di cosa voglia dire avere completa fiducia in qualcuno che ami…»
«Se lo conoscessi bene, se lo amassi davvero, non avresti mai dubitato di Fabiano, non avresti mai contemplato l’idea che fra noi potesse esserci qualcosa. Dici tanto di amarlo, di struggerti per lui, ma non ti sei mai preoccupata di ciò che lui aveva dentro, non gli hai mai chiesto come si sentisse, non riesci a vedere l’effetto che le sue paure hanno su di lui…Tu dov’eri quando Fabiano aveva bisogno di te quella sera? Scommetto che non ti eri nemmeno accorta che ci fosse qualcosa che non andava, non importa quanto lui si sforzasse di tenerlo nascosto, avresti dovuto percepirlo nei suoi gesti, nell’inclinazione della sua voce, nelle sfumature cangianti dei suoi occhi. Avresti dovuto farle tue: il suo dolore come anche le sue gioie avrebbero dovuto appartenerti, avresti dovuto condividerle. Se avessi tenuto davvero a lui non ci sarebbero state barriere abbastanza solide da tenerti lontana, né le stupide regole imposte dai nostri capi avrebbero potuto fermarti. Anche se lui avesse continuato ad allontanarti avresti dovuto esserci, nonostante tutto e tutti».
«Guarda dentro di te Marlena e dimmi cosa vedi. Lui per te è soltanto il tuo bel giocattolino, l’ambito figlio del sire, da esporre su una teca, come un trofeo. Non riesci a capirlo? È questo il motivo per cui non riuscirà mai ad amarti, perché tu lo guardi senza vederlo sul serio».
Leona aveva la gola secca e le doleva come se le fosse andata una spada di traverso. Poi riprese poggiandole una mano sulla spalla «Invidiami, odiami quanto vuoi se ti fa stare bene. Sappi però che non sono io il tuo problema, non sono io a rappresentare un ostacolo al vostro rapporto. Se cerchi un colpevole sai dove trovarlo…» disse infine in un borbottio soffuso, come se avesse esaurito le batterie. Per Marlena invece quelle parole risuonarono forti come una tromba squillante dentro di lei e si mosse guidata dall’istinto spietato e impellente di punirla. Teneva ancora il calice in mano. In un gesto spontaneo glielo svuotò addosso macchiando di glicine il suo bell’abito azzurro.
Leona s’impietrì di fronte a quel colpo di scena inaspettato, osservando la chiazza violacea farsi spazio in ogni angolo della stoffa, gocciolandole ai suoi piedi. Si sarebbe aspettata che le urlasse contro o che l’avesse presa a schiaffi persino, ma non quello. Qualche gocciolina le era accidentalmente finita anche in faccia e sulla bocca. Lo assaggiò, succhiandosi il labbro inferiore e mentre lo faceva il suo sguardo guizzò casualmente fra la folla posandosi sul viso barbuto e divertito di un folletto. Scorse una nota floreale che le era familiare in quella singola goccia ma non riusciva ancora a capire, nonostante alcuni ricordi frammentati e confusi di una serata movimentata cominciavano riaffiorarle in mente.
«Che ne dite se alleggeriamo un po’ la tensione e diamo inizio alla vera festa?» disse Iris con un certo imbarazzo.
«Oh, è già l’ora?» chiese distrattamente Kahel. I due fratellastri stavano facendo di tutto per stemperare l’improvviso disagio che si era venuto a creare a causa di quel litigio.
«Ho aspettato abbastanza» le rispose lei scoccando un’occhiata di sottecchi a Ethan. Allora Leona tornò a guardare il folletto e notò qualcosa che prima le era sfuggito. Appeso fra le sue dita vi era un piccolo campanellino dorato. L’omino corpulento dalle orecchie a punta ghignò fra i baffi ricurvi e sporse il braccino lontano dal suo corpo grassoccio lasciando penzolare l’oggetto in balia del vuoto. Leona, a quel punto, ricordò ogni cosa.
Eros liquido.
La protettrice si maledisse per non aver previsto un colpo basso del genere da parte di quella megera volpina, ma ormai era troppo tardi.
«Cazzo no! non di nuovo…» si lagnò disperata.
«Avete sentito tutti!» esclamò il gemello «ha detto una parolaccia!» disse tracotante di orgoglio.
«Che cosa sta succedendo?» le chiese preoccupato Fabiano. Ormai non aveva più senso dargli spiegazioni. Il folletto aveva già agitato il suo piccolo strumento in un trillino metallico fragoroso. Lo scampanellio echeggiò nella sala e per un attimo il chiacchiericcio degli invitati si placò.
Poi fu il caos.                       
Il suono della campana risvegliò i loro sensi sopiti e spalancò le porte delle loro sepolte sensualità latenti. Leona sapeva come ci si sentiva: come un neonato che si affaccia al mondo per la prima volta. I primi effetti si riversarono nelle fate che volteggiavano in pista. I loro balli ebbero un crescendo, si fecero sempre più frenetici, i loro corpi si attraevano a vicenda avvicinandosi sempre di più gli uni agli altri. Non c’era più pudore, né vergogna, si facevano guidare da un puro e inviolato desiderio di avvinghiarsi ed amoreggiare fra loro, a coppie di due o tre anche per i più audaci. E fu un trionfo di mani danzanti sulla pelle nuda e di bocche che si mescolavano fra loro per assaggiarsi. Con orrore Leona si accorse che anche la sua squadra era preda dell’ebrezza della pozione d’amore. Non sapeva dove posare lo sguardo senza farsi cogliere di sorpresa dalla sua pudica timidezza e dall’imbarazzo. Al contrario di quello che molti pensavano, Leona non era mai stata toccata da un ragazzo, almeno non con l’intenzione di andare oltre qualche candido bacio.
Le sue viscere fremettero alla vista di suo fratello Gabriel e la sua migliore amica Morgana spalmati sulla tavola apparecchiata mentre lui baciava il collo di lei costringendola ad aderire al suo corpo, schiacciandola con il proprio peso. Lei gemette per quel tocco appassionato e affondò le dita nei riccioli di lui guidandolo con uno strattone a guardarla negli occhi, poi senza pensarci due volte premette le sue labbra contro le sue. Leona sentiva che era tutto sbagliato, non era così che doveva andare, sapeva che questo avrebbe rovinato tutto. Aveva sempre sperato che un giorno i due si fossero finalmente accorti dei sentimenti che provavano l’uno per l’altra, ma non così, non in questo stato d’incoscienza e in balia dei loro irrefrenabili capricci, nascosti in profondità nel loro subconscio. Quello non era amore, era solo un inganno, un illusione. La pozione rimuoveva i freni inibitori della passione per un tempo limitato di alcune ore o anche minuti, dipendeva molto dalle quantità che si erano ingerite. Iris era stata molto furba nel diluire l’intruglio con il vino, poiché in quel modo anche una piccola dose avrebbe potuto ampliarne e prolungarne gli effetti.
Il festival dell’amore non si fermò lì, dando una breve sbirciata agli altri commensali, Leona vide che si erano formate altre coppie improbabili, come Fabrizio e Carlotta, o Ethan e Caterina, per non parlare di Norman ed Iris o Marlena ed Ascanio. Le venne spontaneo cercare lo sguardo dell’unico in quella sala a cui ancora non era stata strappata via la coscienza. Ma Fabiano non stava guardando lei come era prevedibile. Marlena aveva sciolto i lunghi capelli biondi sulle spalle e, sollevandosi la gonna del suo abito rosso, si mise cavalcioni su Ascanio che la attendeva trepidante a braccia aperte sulla sedia. Il ragazzo prese a baciare lentamente la spalla lattea della bionda strappandole via i veli che fungeva da spallina. Poi prendendole delicatamente il mento fra le dita le disse che l’amava e la baciò dimenticandosi del resto del mondo.
Leona si sentì in pena per Fabiano, costretto ad assistere al tradimento della sua ragazza proprio sotto i suoi occhi. Ma non scorse tristezza nella sua espressione, né gelosia, né rabbia, come sarebbe stato giusto. Lui piuttosto sorrise, calando le palpebre sulle sue gote.
Leona non capiva, le venne improvvisamente da vomitare, per la prima volta si sentì impotente e inutile di fronte a una tale fatalità che non faceva che allontanarli e distoglierli ancora di più dal loro obiettivo, senza contare il disastro, i cuori spezzati che la pozione si sarebbe lasciata dietro una volta terminato l’effetto…
«Finalmente sarete mia» le disse una voce suadente al suo orecchio. Una mano si era avvinghiata attorno al polso a cui era legato il nastro scarlatto. Leona non permetteva a nessuno di toccarlo, era fin troppo prezioso per lei. Si divincolò senza tanti problemi dal suo assalitore per poi scoprire la sua identità. Non restò meravigliata nel vedere il volto paonazzo di Kahel ferito dal suo rifiuto, in fondo era stato sincero, aveva palesato le sue intenzioni fin dall’inizio. Comunque la protettrice non riuscì a giustificarlo, non poteva che provare solamente profondo disgusto.
«Voi, voi non avete bevuto…» Leona non volle ascoltare altro e fuggì via dirigendosi nei giardini della regina. Era una vigliacca, ne era consapevole, ma non riusciva a pensare a una soluzione in mezzo a tutto quel trambusto di amoreggiamenti. Si tolse le scarpe e restò a piedi nudi sul prato brinato dalla rugiada e respirò l’intenso profumo di rose e primule. Quello le sembrò reale, e si godette la piacevole sensazione dei fili d’erba che le solleticavano la pianta del piede e la frescura del vento che s’infilava nelle pieghe del suo vestito. Poi sollevò il capo e rimase a osservare le tenebre compatte, nessun fuoco che spezzasse la densità delle nebbie che parevano disegnare i tipici gorgheggi vorticanti delle pennellate di Van Gogh, come se il pittore impressionista avesse conosciuto i cieli stellati di Sirio.
«Leona…» la chiamò quella voce che non aveva che reso quell’atmosfera ancora più perfetta. Non c’era alcun bisogno di aprire gli occhi. Aveva riconosciuto al tatto i solchi della sua mano contro la sua, come se ne conoscesse la forma a memoria. Sulle prime la strinse forte fra le sue dita per trarne vigore ma poi si costrinse a lasciarlo andare poiché temeva di non essere padrona di se stessa in quel momento.
Oh, per la barba di Mayak, se avesse voluto baciarlo…il desiderio era così forte da straziarle le viscere, come se stesse cadendo a pezzi. La protettrice avrebbe voluto credere che fosse dovuto all’effetto di quell’unica goccia di eros liquido che aveva assaggiato, ma non poteva mentire a se stessa. Era lei a volerlo, non c’era nulla a costringerla o a condizionare le sue emozioni.
«Voglio restare sola…» gli mentì. La ragazza se ne andò senza mai voltarsi. Se lo avesse fatto, avrebbe liberato le lacrime prigioniere all’interno di quella patina liquescente che le rivestiva i bulbi oculari. Ogni passo lontano da lui non faceva che strapparle la carne di dosso, come se stesse tendendo al limite il filo invisibile che univa le loro anime. Lei però proseguì dritto davanti a lei fino a che il chiasso della festa non divenne che un leggerissimo eco nelle sue orecchie. Si era addentrata oltre la boscaglia, un letto d’acqua sorgiva le scorreva accanto silenzioso. Si lasciò cadere vicino la riva, distrutta e priva di forze, stanca di trattenere le lacrime.
«Mamma, non sai quanto mi manchi. Come vorrei che fossi qui» sussurrò al fiume scintillante di lucciole.
«Ma io sono qui, bambina mia» le disse una donna. Leona se ne restò lì immobile godendosi le prime manifestazioni della sua follia che sembravano in grado di ricreare dai suoi ricordi la voce di sua madre. Spalancò gli occhi per verificare che l’illusione si fosse concretizzata alle sue spalle e ne rimase folgorata.
Annaspò, non poteva credere a ciò che vedeva.
Sua madre era davvero lì in carne ed ossa, coi lunghi cappelli neri uguali ai suoi e con il suo bellissimo e caldo sorriso che le fece battere il cuore. Ma la razionalità della protettrice era sempre vigile, così le aveva insegnato lo Zoologo, il suo maestro. Tutti i sentori le dicevano che quella lì era davvero sua madre e che avrebbe dovuto approfittare di quel regalo inaspettato e correre ad abbracciarla e a ricordarle quanto le volesse bene. Anche quella volta, però, avrebbe ascoltato quella vocina così aspra, crudele e realista, che lei stessa aveva denominato puroistinto. Quella vocina le disse una cosa soltanto: tua madre non c’è più, è morta. Fu così che riuscì a sfuggire agli inganni della sua mente labirintica che stavano per spingerla ancora una volta nel baratro di quel ricordo così doloroso legato a sua madre che non osava rievocare.
Leona notò il curioso rubino rosso sangue e la catena d’oro legata al collo di sua madre. Allora seppe che ciò che vedeva era una menzogna. Sua madre sembrò cogliere il turbamento della ragazza e si rattristò per la facilità con la quale l’aveva smascherata.
La regina delle fate si mostrò nella sua vera forma, restituendo la madre di Leona al mondo di ricordi felici che la protettrice conservava gelosamente nel suo cuore.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Moonfire2394