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Autore: AlexSupertramp    15/06/2020    5 recensioni
Dopo aver saputo della relazione tra Hayama e Fuka, Sana decide di sparire e non tornare più a scuola e tutto quello che succede nel manga/anime non accadrà mai, compresa la famosa dichiarazione in TV di Kamura. Dopo quattro anni Akito ritrova una lettera di Sana, la stessa lettera che lei scrive durante le riprese de "La villa dell'acqua".
Cosa c'è scritto e cosa è successo in questi quattro anni? Riusciranno Sana ed Akito a ritrovarsi dopo così tampo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Due Amici
Fine febbraio 2007

L’aria era decisamente fredda e, nonostante non nevicasse ormai da più di dieci giorni, le temperature non volevano proprio decidersi a salire di qualche grado. Ne bastavano anche due o tre, secondo Akito Hayama, il giusto clima per far sì che il suo viso non si ibernasse a vita durante le costanti corse di primo mattino. Spesso usciva di casa quando né suo padre né sua sorella erano ancora nei paraggi e quasi sempre, al suo ritorno, li trovava seduti al tavolo della cucina a fare colazione. Quella mattina non fu un’eccezione: «Buongiorno figliolo, sei andato a correre?». Per Akito quella era una domanda retorica, la seppe riconoscere ma non sottolineò l’ovvietà della risposta. «Già!» si limitò a dire prendendo poi una bottiglia d’acqua dal frigo e portandosela alla bocca. Faceva freddo ma lui era comunque tornato a casa sudato e accaldato. Dall’altra parte della stanza fu sua sorella a continuare il rito mattutino. «Ho preparato le uova strapazzate. Sbrigati o farai tardi a scuola e farai far tardi anche me. Cosa c’è da correre tutti i giorni dico io, con questo freddo poi.» borbottò distrattamente continuando a dedicarsi alle uova, spalle al resto dei presenti. Akito la guardò alzando un sopracciglio, quasi senza accorgersene: «È tardi, mi cambio e vado a scuola, non preoccuparti. Ci vediamo», concluse secco, dirigendosi verso la sua stanza al piano di sopra. Non riusciva proprio a capire perché quella famiglia ritenesse così strano il fatto che andasse a correre ogni mattina all’alba, noncurante di gelo o afa, salute o malattia, apocalisse o calma piatta. Probabilmente non avevano ancora capito quanto lo sport lo aiutasse a tenere a bada la sua indole ribelle. Aveva bisogno di disciplina, lui lo sapeva bene, e la corsa all’alba insieme al karate erano il suo codice disciplinare, quel giorno più di tutti gli altri.
Dopo una doccia veloce, si vestì rapidamente senza nemmeno controllare allo specchio il risultato finale. A che serviva? Tanto erano tutti uguali, lui e i compagni, infiocchettati in quelle divise fatte con lo stampino. Non che gli dispiacesse particolarmente indossare quei pantaloni scuri sormontati da una candida camicia e una giacca grigio scuro. Quelli erano vestiti come altri, solo tutti uguali.
Scese le scale rapidamente, salutò con un cenno della mano la sua famiglia e si diresse a scuola.
L’edificio che ospitava le classi delle superiori si trovava esattamente nello stesso comprensorio di quello delle medie per cui, nel momento di passaggio, il nuovo tragitto da percorrere non era stato affatto lungo. Non che quell’evento lo avesse scalfito più di tanto, semplicemente era stato promosso in terza media per passare alla prima superiore dove ora frequentava l’ultimo quadrimestre, ormai prossimo al termine.
Quella mattina la prima persona che incontrò nel cortile alberato della scuola fu Tsuyoshi che, come tutte le mattine in realtà, si affrettava a raggiungere il suo amico per fare quattro chiacchiere in santa pace. «Buongiorno, ti sei allenato anche oggi?» domandò con il sorriso sulle labbra. Akito dal canto suo non gli rivolse nemmeno uno sguardo continuando a camminare dritto davanti a sé, come se la punta del suo naso fosse collegata da un righello invisibile la cui altra estremità terminava proprio in corrispondenza dell’ingresso della scuola. «Vedo che siete tutti dei gran fan della mia forma fisica. Sì Tsuyoshi, mi sono allenato anche oggi», rispose seccato, socchiudendo gli occhi per evitare che il fastidio che provava venisse percepito all’esterno. Non c’era nulla da fare, quel ragazzo era davvero molto suscettibile alla curiosità altrui.
Lo sguardo di Tsuyoshi, infatti, si fece prima interrogatorio e poi annoiato benché conoscesse ormai molto bene il suo migliore amico. «Mamma mia, possibile che tu sia sempre così imbronciato. Hai mai considerato l’idea che questi allenamenti ti facciano più male che bene?» domandò, consapevole e anche un po' divertito che quella domanda avrebbe colto nel segno. Akito si voltò di scatto verso l’amico, rifilandogli un secco «No!» per poi voltarsi nuovamente verso la traccia immaginaria disegnata tra la sua faccia e l’ingresso.
Tsuyoshi lo guardò allontanarsi, riflettendo sul fatto che forse sarebbe stato meglio non chiedere nulla al suo amico, soprattutto riguardo i suoi preziosi allenamenti. La carrellata di pensieri fu interrotta da una stretta leggere sul suo braccio, sensazione che lo fece sorridere istintivamente perché sapeva bene cosa vi si nascondeva dietro. O meglio, chi. «Buongiorno Tsuyoshi», esclamò Aya posandogli un bacio di saluto sulla guancia, «È nervoso anche oggi?» gli chiese, indicando con un cenno del capo la chioma bionda dinanzi a loro che aveva ormai raggiunto la tanto agognata meta. Tsuyoshi fece spallucce, circondandole le spalle con il braccio ed esortandola a riprendere anche loro la processione quotidiana. «Lo conosci ormai Aya, lui è fatto così. Ci preoccuperemo quando verrà a scuola circondato da farfalle che gli svolazzano intorno», disse con un sorriso tranquillo. La sua ragazza lo imitò, smettendo di preoccuparsi per il loro comune amico perché, come le aveva fatto notare Tsuyoshi, Akito era semplicemente fatto così. Si innervosiva con poco e chi non era attento a cogliere le sfumature delle conversazioni, non avrebbe nemmeno capito il motivo per cui si era innervosito. Tsuyoshi lo sapeva, così come Aya e una piccola manciata di altre persone nel mondo.
Hayama fu il primo ad entrare in classe, raggiunse il suo banco e si sedette in silenzio nell’attesa che quel momento venisse drammaticamente spazzato via dal mucchio di compagni che stava per imitarlo. Ripensò al fatto che lui e Tsuyoshi erano amici dalle elementari ormai, quasi come se fosse la sua balia. In realtà non la pensava affatto così perché era consapevole e abbastanza contento del fatto che loro due fossero amici, benché diversi come il sale e lo zucchero.
L’oggetto dei suoi pensieri si materializzò proprio in quell’istante, seguito dalla sua sempre verde ragazza, come d'abitudine negli ultimi tre mesi, quasi tutte le mattine i due si assicuravano che il loro comune amico si tenesse lontano dai guai per poi tornare nelle loro rispettive classi. Tsuyoshi, Aya ed Akito erano stati messi in classi diverse e per la prima volta dopo anni non condividevano più così tanto tempo insieme a scuola. 
«Sai che ho sentito che per la fine dell’anno scolastico vogliono organizzare una specie di festa in spiaggia a Kansai Rinkai? Pare che ci sia anche un concerto!» lo informò con un sorriso felice. Akito lo guardò perplesso alzando le sopracciglia: «In spiaggia? A febbraio?» chiese pensando al freddo di quella stessa mattina. «Dico, ma siamo pazzi?» chiese indifferente, la festa in spiaggia era l’ultimo dei suoi pensieri. Tsuyoshi quasi cadde dalla sedia per lo sgomento: «Ma che dici, ci sarà il fuoco, la gente… e poi sarà l’occasione giusta per poter riscaldare la mia adorata Aya con le mie mani», iniziò portando entrambe le braccia verso sé stesso, simulando una sorta di abbraccio romantico. «Ci verrai vero?» continuò una volta ricompostosi. «Non ci penso nemmeno», fu la secca risposta di Akito, incrociando le braccia e chiudendo gli occhi, noncurante del fatto che fosse a scuola e che la lezione era ormai prossima all’inizio. Il fatto che fosse seduto in ultima fila non era che un vantaggio per permettere alla sua voglia di ascoltare il professore di scienze di fuggire lontano verso mondi paralleli.
«Ma dai, non puoi perderti la festa di fine anno, è un evento epocale», continuò Tsuyoshi già proiettato sulla spiaggia insieme alla sua ragazza. Il suo interlocutore in realtà aveva già smesso di ascoltarlo pensando bellamente agli affari suoi. Tsuyoshi però era davvero insistente: «Akito, ma mi ascolti?» domandò all’amico assorto. «Certo, la spiaggia. Credo che sarò impegnato quel giorno», si limitò a dire indifferente, ricevendo come risposta uno sbuffo annoiato. Sperava di essere riuscito a divincolarsi da quel discorso inutile con la sua secca risposta e grazie all’intervento del professore che aveva appena iniziato la lezione, i commenti di Tsuyoshi furono stroncati sul nascere.
Finalmente aveva tutto il tempo per non sentire nessuno, il professore compreso, e tornare ad immaginarsi lontano da quel posto. Il problema, in generale, non era tanto la gente o le lezioni, era più che altro una questione di noia abissale, sentimento che veniva totalmente cancellato nelle due ore pomeridiane passate in palestra a fare karate. Quell’attività, nata quasi come una sfida contro sé stesso per dimostrare a qualcuno di avere una passione per cui lottare, era diventata davvero una cosa importante al quale si dedicava con tutto sé stesso. Aveva fatto passi da gigante negli ultimi anni e poteva considerarsi davvero fiero degli avanzamenti di grado ottenuti in così poco tempo. Era praticamente il primo della classe e ne era davvero contento, nonostante la sua mono-espressione perenne non tradisse nessun sentimento diverso dall’indifferenza. Tuttavia quel giorno, la noia non era l’unico sentimento che lo invadeva.
Lo scorrere lento dei suoi pensieri fu interrotto dalla campanella che annunciava la fine delle lezioni e l’inizio della pausa pranzo. Era convinto che se fosse andato a mensa con gli altri avrebbe dovuto ribadire ancora una volta la sua decisione di marinare la festa del secolo, cosa di cui non aveva per niente voglia. Uscì dall’aula guardando distrattamente in fondo al corridoio, dove si susseguivano uguali le insegne che nominavano le varie sezioni dell’istituto. Ce n’erano davvero tante, ogni classe conteneva circa 15 studenti e se faceva un rapido calcolo, pensò che quella scuola era davvero più affollata del centro città in piena ora di punta.
Scrollò le spalle, voltandosi verso la parte opposta, lontano dal fondo del corridoio, e si diresse verso l’uscita con l’intento di evitare il pranzo comune, gli amici presi dalla festa in spiaggia e chiunque altro gli desse noia. Ma la noia arrivava puntuale, in stile orologio svizzero, anche quando faceva palesemente finta di dormire sdraiato sul prato del cortile. «Stamattina ho detto ad Aya che non c’era da preoccuparsi e che tu sei fatto così e basta», esordì Tsuyoshi mentre si sedeva sull’erba accanto all’amico. «Però ora inizio a cambiare idea. C’è qualcosa che non va?» domandò sinceramente in pena. Akito però non aprì nemmeno gli occhi «Pensi ci sia qualcosa che non va?» chiese a sua volta, come in un gioco senza fine. Sarebbe stato mai capace di rivelare a qualcuno cosa provava dentro di sé? Probabilmente no, per questo era sempre tranquillo all’apparenza, perché si era rassegnato al fatto che i suoi sentimenti, tutti, sarebbero rimasti dentro di lui, sepolti da strati su strati di orgoglio, fierezza e convinzione che se dici cosa provi allora ti esponi, e ti scotti di brutto. Tuttavia, non ricevendo nessun tipo di riscontro da parte dell’amico, decise che almeno un occhio aperto glielo poteva concedere e lo scrutò attento, nell’attesa che la seconda ondata di domande si schiantasse contro la sua faccia.
«Sei depresso a causa di Fuka?» azzardò Tsuyoshi cercando di indovinare cosa avesse reso il suo migliore amico più scontroso e taciturno del solito. Akito questa volta aprì entrambi gli occhi guardando l’altro con fare interrogativo: «Fuka?» disse solo, cercando lui stesso il filo conduttore di quella conversazione. «Andiamo, perché dopo tutti questi anni sei ancora così restio a parlarmi dei tuoi problemi? Guarda che non sono un cretino e ti conosco bene, caro il mio signor Hayama. So bene quando l’asticella dello scorbutometro sale esponenzialmente e una volta sapevo anche il perché. Ora mi sembra complicato riuscire a capire il o i motivi che ti spingono ad essere di nuovo l’emarginato dannato che eri un tempo però, dannazione, dammi una mano…» concluse, più o meno, agitandosi più del solito. Era vero, Akito pensò, che lui sapeva quando e perché il suo umore cambiava in peggio ed era anche vero che lui non gli aveva mai dato nessuna conferma di niente. Lo guardò portandosi un indice al viso: «Io sarei un emarginato dannato?» domandò con sguardo finto innocente. Tsuyoshi pensò che se almeno il suo senso dell’umorismo discutibile fosse ancora lì a far capolino, forse non avrebbe ricevuto una risposta manesca ai suoi tentativi di farlo parlare. Ma avrebbe ricevuto una risposta di qualsiasi genere?
In quell’istante Akito si voltò guardando dritto davanti a sé: «Ieri sera mio padre mi ha chiesto di sistemare delle cose in soffitta, roba vecchia accumulata li chissà da quanto» raccontò, suscitando la curiosità di Tsuyoshi. Il povero amico era lì che pendeva dalle sue labbra, come se stesse ascoltando la soluzione di un mistero antico mille mila anni. «Beh ci sono andato…» aggiunse, spostando una mano verso la tasca dei suoi pantaloni. Tsuyoshi stava cercando disperatamente di risolvere il rebus, facendo quadrare insieme le parole: Akito, depressione, scatole vecchie, soffitta… rendendosi conto di non essere affatto bravo con i rompicapi. Attese quindi un avanzamento della storia ma le parole di Akito si erano interrotte, chissà forse sul più bello. In compenso continuava a frugare nelle tasche dei pantaloni tirando fuori, alla fine, un foglio stropicciato che custodì tra le dita per parecchi secondi prima di fare qualcosa o dire altro. Si voltò verso Tsuyoshi fissandolo per poi passargli il foglio, come se fosse una reliquia antica. «Era tra alcuni vecchi libri, è stato un caso che io lo abbia trovato», aggiunse dando il giusto tempo al suo amico perché capisse cosa fosse l’oggetto in questione. Lesse la prima riga e riconobbe subito il logo delle poste statali, chiunque lo avrebbe riconosciuto: «È un avviso…» commentò Tsuyoshi, «… di giacenza» terminò l'altro, che conosceva a memoria ogni singola virgola di quell’avviso. Perfino il numero di serie composto da dodici cifre e cinque numeri alternati. L’aveva letto un centinaio di volte, non aveva fatto altro per tutta la notte, se qualcuno gli avesse chiesto di rispondere a sessanta quesiti su quel foglio, lui avrebbe preso sicuramente il massimo con lode. Non si curò di guardare l’espressione di Tsuyoshi mentre leggeva l’avviso, perché sapeva che vi avrebbe letto la sua stessa espressione di qualche ora prima, solo meno coinvolta. Quando però non udì suono alcuno si decise a controllare che l’amico fosse ancora vivo. Aveva esattamente la sua stessa espressione della sera precedente. «Ma questa è…» tentò di confermare, lasciando ad Akito il tempo di riprendere a guardare davanti a sé e di finire la sua frase: «… una lettera di Sana».


*Note d'autrice*
Beh, rieccomi con il primo vero capitolo della storia. Che ve ne pare? Devo confessarvi che sia questo che quello precedente erano già pronti per cui è stata necessaria solo una revisione. Spero di essere veloce nel postare i prossimi ma, sicuramente, non più di uno alla settimana.

Ringrazio ancora chi ha recensito, letto e seguito questa storia e spero che anche questo capitolo vi piaccia.

Baci
   
 
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