Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Pervinca95    15/06/2020    2 recensioni
Nora Gigli frequenta l'ultimo anno del liceo quando decide di trovarsi un piccolo impiego come babysitter per aiutare sua mamma con le spese.
Peccato che, troppo tardi, si renderà conto che i bambini di cui dovrà prendersi cura sono i fratelli di Riccardo Sodini, il ragazzo per cui la maggior parte del genere femminile della sua scuola ha un debole.
*
Dalla storia:
Appena si fu girato gli feci una boccaccia. Fu un impulso al quale non potetti resistere.
"Come hai detto che ti chiami?"
Mi bloccai con un piede già fuori dalla porta. Che mi avesse beccata?
Virai con lo sguardo su di lui, fermo a fissarmi con le mani nelle tasche dei jeans.
Evitai di fargli notare che non ci eravamo ancora presentati. "Nora", risposi guardinga.
Abbassò un attimo gli occhi mentre si mordeva il labbro inferiore per trattenere una risata. Quando li rialzò, l'azzurro delle iridi luccicava di spasso. "Fossi in te, Nora, mi darei un'occhiata" affermò con un sottile tono schernente. "Prendilo come un consiglio" aggiunse senza risparmiarmi il suo sorrisino. Poi ruotò di nuovo le suole e si avviò verso la cucina.
Quando uscii da quella casa mi prudevano le mani.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Beccata, di nuovo







 

Era giovedì quando la Fantucci, al termine della lezione, ci avvisò che la settimana successiva avremmo dovuto svolgere una verifica. 

Prima di uscire dalla classe mi aveva rivolto uno sguardo da brividi, accompagnato da un sorriso da diabolica faina. 

Pessimo segno.

Mi riversai sul banco, la guancia appoggiata al freddo pianale mentre meditavo sul poco tempo che avrei avuto per prepararmi. 

Era da lunedì che il re dei vermi, alias Sodini, mi dava ripetizioni. O meglio, si limitava a sciorinare qualche definizione con una verve a dir poco sfavata. 

La sua voglia di spiegarmi era paragonabile alla mia di ascoltarlo. Non c'era da stupirsi che non avessi ancora capito nulla, anzi, mi sembrava di avere solo più confusione. 

<< Sono spacciata >> mormorai sconsolata. 

Vanessa saltò a sedere sul banco accanto al mio. << Ma se hai Sodini che ti dà ripetizioni >> ribatté addentando un pezzo di schiacciata. << Non puoi immaginare quanto ti invidi >> aggiunse. 

Mi tirai su e la guardai dritta negli occhi. 

Era da quando la Fantucci aveva sancito quello stupido vincolo tra me e il caprone che lei non faceva che ripetermi quella frase. 

Ogni giorno ci teneva a ribadire che godevo di un sacco di opportunità per stare vicina al suo grande amore. Se da principio ero semplicemente sorvolata sulla cosa, adesso il fatto che mettesse sempre di mezzo la parola "invidia" cominciava ad infastidirmi.

Possibile che non riuscisse a vedere nient'altro oltre a Sodini? Io e le mie preoccupazioni non contavamo nulla? 

<< In effetti avere la media del quattro a matematica è una bella fortuna >> dissi risentita. << La tua media del sei dev'essere proprio una condanna. >> 

I suoi occhi neri atterrarono nei miei, seri. 

Ciò che più mi stupì fu notare come i tratti del suo volto si fossero induriti. Non c'era traccia di pentimento nel suo sguardo, anzi, lessi una punta d'astio che mi fece male. 

<< D'accordo che a te non piace Sodini, ma potresti almeno sforzarti di capire come mi sento. Non c'è bisogno che tu te la prenda tanto se a volte esterno quel che provo >> asserì secca.  

Mi portai una mano sul petto, basita dalle sue parole. << E secondo te io come dovrei sentirmi quando la tua unica preoccupazione riguarda il tempo che trascorro con lui? Sono giorni che, di fronte al mio scoraggiamento, non fai che ripetere che mi invidi. >> 

Il mio stomaco si contrasse per il nervoso. 

Se c'era una cosa che detestavo era proprio discutere. Mi spaventava il pensiero che una persona potesse ferirmi e che io, di conseguenza, potessi fare altrettanto.

Anche se, in genere, ne uscivo sempre io ammaccata. 

Ero talmente emotiva da vivere quelle situazioni con maggiore coinvolgimento rispetto agli altri, non riuscivo a farmele semplicemente scivolare addosso.

In quel momento arrivarono anche Linda e Francesca, munite del panino che avevano comprato al bar della scuola. 

Ci studiarono con sospetto, dopotutto Vanessa aveva smesso di guardarmi e io probabilmente avevo una faccia che parlava da sé. 

<< Che succede? >> chiese Francesca, cauta. 

Vanessa smontò dal banco e, senza dire una parola, uscì a testa alta dalla classe.  

Io, come una stupida, mi ritrovai ad essere ferita dal suo gesto.

Per un attimo pensai di aver esagerato a dirle come mi sentivo, pensai che fosse tutta colpa mia. 

<< Avete litigato? >> domandò Linda, cercando il mio sguardo. 

Spostai gli occhi su di loro e scossi lievemente il capo, assorbita dai pensieri. 

Se c'era un'altra cosa che detestavo era portare avanti le discussioni troppo a lungo. Preferivo cercare subito un confronto, o almeno la maggior parte delle volte. Ogni tanto preferivo prendermi del tempo per stare sola. 

Appoggiai i palmi sul banco e feci leva per alzarmi. << Vado a parlarle. >>

Uscii dall'aula sotto lo sguardo incuriosito di alcuni compagni che avevano assistito alla scena. 

Mi diressi spedita al piccolo bagno vicino al laboratorio di chimica, sicura che Vanessa si fosse nascosta lì. Ed infatti non sbagliai: la trovai attaccata al termosifone, le braccia strette al petto e lo sguardo a terra.

I suoi occhi neri approdarono su di me, sorpresi. Sentimento che ben presto lasciò spazio al risentimento. << Che vuoi? >> chiese tagliente. << Vieni a cercare un'amica che t'invidia? >> 

Deviò lo sguardo alla sua sinistra tirando su col naso. 

In quel preciso istante mi sentii una schifezza. Ero talmente dispiaciuta di vedere i suoi occhi riempirsi di lacrime che dimenticai l'amarezza provata per le sue parole. 

Mi avvicinai a lei lentamente, sfregando le mani agitata. 

Avevo le parole sulla punta della lingua, eppure non riuscivo a lanciarmi per esternarle. 

Mi sentivo così in colpa da temere che le mie scuse sarebbero state accolte con un secco rifiuto, facendomi soffrire. 

<< Non piango per te >> confessò d'un tratto, passandosi una mano sotto il naso. << Ma perché mi sono resa conto di essere una pessima amica e... >> Le sfuggì un singhiozzo che le scosse le spalle mentre continuava ad evitare il mio sguardo. << Sono arrabbiata con me stessa e poi... >> Un altro singhiozzo. << E poi ho le mie cose >> aggiunse in un mormorio.

Mi venne da ridere. 

Scossi il capo e mi gettai su di lei per abbracciarla. 

Non ce la facevo proprio ad essere arrabbiata, non dopo quella piccola confessione. 

Le scoccai un bacio sui capelli e presi a dondolare con lei sul posto, intanto che le sue braccia mi stringevano forte e le sue lacrime mi bagnavano la maglietta. 

<< Che sciocca che sei >> dissi con un sorriso. << E poi che tipo di amica sei lo giudico io, e per me non sei affatto pessima >> sentenziai annuendo. 

Le accarezzai la schiena, per poi liberare un sospiro e alzare gli occhi al cielo. << Tutta colpa di quel caprone di Sodini e degli ormoni. >>

Fui contenta di essere riuscita a strapparle una risata. 

Mi distanziai per guardarle il volto sorridente e sporco di trucco, così poco dopo la aiutai a ripulirsi le guance. 

<< Grazie >> disse con un leggero imbarazzo.

<< Scusami, Vane. >> Le lisciai i capelli con un sorriso, sapendo che quel gesto riusciva a rilassarla. << E per farmi perdonare oggi mi impegnerò a scoprire se Sodini ha la ragazza, come da tua richiesta. >> 

Avrei preferito buttare giù un bicchiere di acqua e moringa, tortura a cui mi aveva sottoposta mia mamma quella mattina rischiando di farmi vomitare, piuttosto che investigare ancora su Voldemort, ma per Vanessa avrei compiuto quello sforzo. 

Lei ridacchiò e annuì. 

La luce viva e divertita che le inondò le iridi scure bastò per farmi rassegnare a quel triste destino.

Non avevo la più pallida idea di come avrei fatto a cavare fuori quell'informazione, ma non potevo fallire.

Mission Impossible: mode ON.

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

 

Erano le tre in punto quando varcai il portone di casa Sorcio Sodini.

Il suddetto topo di fogna mi accolse con la solita pigra flemma, non premurandosi di mascherare quanto fossi per lui una seccatura. 

In genere amavo la sincerità, la schiettezza, ma la sua oltrepassava il confine dell'educazione e sfociava apertamente nelle cattive maniere. 

Razza di cafone. 

Mi accomodai al solito posto al tavolo mentre lui posava le sue terga sulla sedia vicina. 

<< Potrei avere un bicchiere d'acqua? >> chiesi mentre estraevo libro e quaderno dallo zaino. 

Inarcò un sopracciglio, seccato. << E non potevi chiedermelo quando ero in piedi? >> 

Non potevo credere alle mie orecchie. 

Non solo non mi offriva mai nulla, neanche una goccia d'acqua, forse sperando nella mia morte per disidratazione, ma aveva pure la faccia tosta di rimbeccarmi. 

Poverino, gli pesava il sedere. 

<< Fare qualche squat non ti ucciderà >> replicai con un sorriso di mal celata beffa. 

Mi osservò in silenzio per qualche istante, per poi increspare un angolo della bocca in un modo che non prometteva nulla di buono. << Ne hai più bisogno tu di me, perciò prenditelo da sola. >> 

Per la seconda volta in meno di un minuto ero restia a credere a quanto udito. 

Sbattei le palpebre e sollevai le sopracciglia. << Come, prego? >> 

La vena sulla mia fronte stava cominciando a pulsare pericolosamente.

<< Hai sentito bene >> ribatté con una faccia che reclamava schiaffi a gran voce.

Sarei stata contenta di servirgliene uno per lato. E fui anche tentata di licenziarmi in tronco solo per potergli stampare la mia cinquina; a trattenermi fu solo il mio senso del giudizio. 

Feci leva sui palmi per alzarmi mentre lo fulminavo con un'occhiata. Ad innervosirmi ancora di più fu la sua espressione: scherno e divertimento puro. 

Spalancai lo sportello delle stoviglie e, allungandomi sulle punte, riuscii ad afferrare un bicchiere. 

Percepivo il suo odioso sguardo piantato sulla schiena, il che, oltre ad infastidirmi, mi fece agitare come una stupida. Detestavo essere fissata. 

Tornai al tavolo dopo aver riposto il bicchiere nel lavello, ci avrei pensato più tardi a sistemarlo nella lavastoviglie. 

Aprii il libro di matematica con un colpo secco, nervosa per il nostro breve scambio di battute. 

La cosa sconcertante era proprio quella. Non ci parlavamo molto, condensavamo l'antipatia reciproca in poche frasi che avevano il potere di irritarmi come una iena. 

<< La Fantucci ci ha fissato un compito per settimana prossima >> esordii senza degnarlo di un'occhiata. << Perciò cerca di essere comprensibile questa volta >> conclusi acida, inforcandolo con lo sguardo. 

Appoggiò una caviglia sul ginocchio e congiunse le braccia sul petto, le labbra stirate in un mezzo sorriso. 

Già solo quella posa mi fece rizzare i capelli in testa. Come si poteva essere tanto odiosi senza neanche parlare? 

<< Ti consiglio di passare ad accendere qualche cero più tardi. >> Nelle sue iridi azzurre saettò un lampo di spasso, subito dopo il suo sorriso si estese diabolico. << Dopotutto una media del quattro la può risollevare solo un miracolo >> concluse trattenendo a stento una risata, forse causata dalla mia espressione sbigottita. 

Quel mucchietto di cacca puzzolente si era davvero informato sulla mia media. 

Da lunedì, ovvero da quando me l'aveva chiesta, non ne aveva fatto più parola. Ma dovevo aspettarmelo, quel fetido sacco d'immondizia mi colpiva quando meno me lo aspettavo. 

Cercava ogni golosa opportunità per infliggermi un tiro mancino. 

Mi sforzai di ricompormi, gli avevo dato fin troppi motivi per prendermi in giro. 

Ridussi gli occhi a due fessure e strinsi i denti. << Ridi pure. >> Evitai di aggiungere l'insulto che mi bruciava sulla punta della lingua. << Farò lo stesso quando i tuoi voti sprofonderanno insieme ai miei. >> 

La cosa sospetta, e su cui decisi di sorvolare, fu che il babbeo non accennò a rispondere. In compenso, pareva ampiamente divertito.

Decisi, per immensa clemenza, di lasciare che si crogiolasse nella stupida area giochi del suo misero cervello. 

Che ridesse pure, il demente, a conti fatti avrei riso io. 

I successivi venti minuti trascorsero tra le sue svogliate spiegazioni e i miei continui sospiri di frustrazione. 

Venni persino assalita dai dubbi esistenziali: com'era possibile che quel cerebroleso capisse quella materia? Insomma, mi rifiutavo di credere che fosse davvero intelligente. 

In confronto mi sentivo io, la stupida. 

Era sconfortante che dopo venti minuti avessi afferrato un concetto su dieci, o almeno mi sembrava di esserci riuscita. 

La sfida più grande era, poi, applicare tutte quelle formule agli esercizi. 

Non a caso, erano due minuti buoni che stavo fissando un problema come se da un momento all'altro potesse saltare fuori la soluzione. 

Emisi l'ennesimo sospiro, la penna tra le labbra. 

Quello dovette spazientire Sodini che, rischiando di farmi saltare un dente, mi strappò la penna di mano e attirò a sé il quaderno. 

Mi accigliai per i suoi modi tutt'altro che delicati. 

Una volta era andato vicino a rompermi il naso sbattendomi la porta in faccia, adesso ci mancava poco che mi staccasse un dente. 

Dove saremmo andati a finire di quel passo? Cosa sarebbe rimasto di me? 

Mi vedevo già ridotta nelle condizioni della povera Ambrogina. 

<< Non è difficile >> esordì scocciato Sodini. << Basta definire la continuità della funzione nel punto x=0. >> 

E aveva detto poco. Già solo l'italiano della sua frase lo trovavo incomprensibile, figurarsi tradurre il tutto in numeri e calcoli. 

<< Certo >> accordai annuendo. 

Persistette a fissarmi come se stesse cercando di vedere fin dentro la mia scatola cranica, probabilmente alla ricerca del cervello. 

Ad un certo punto indicò un punto sul quaderno con la punta della penna. << Cos'è questa? >> 

Esaminai la pagina ed aggrottai le sopracciglia. << Una parentesi graffa. >>   

Che razza di domande faceva? Non capivo dove volesse andare a parare. 

Scrollò le spalle ed abbassò lo sguardo sul libro. << Qualcosa sai. >> Un angolo della sua bocca si piegò beffardo, producendo in me un moto di stizza. 

<< Molto divertente >> dissi con una smorfia. 

Voltò il capo e mi guardò tra le ciglia. << Non stavo scherzando. >> 

Per qualche secondo non volò una mosca, ci limitammo ad osservarci. 

I suoi occhi azzurri erano inchiodati ai miei. 

Cercai di trasmettergli mentalmente tutti i fantasiosi insulti che gli stavo dedicando. 

Avrebbe dovuto considerarlo un privilegio dato che, per nessun altro in vita mia, ero arrivata ad inventarne tanti. 

Poi increspò le labbra in un sorrisetto, segno che stava per spararne un'altra delle sue. 

Cercai di armarmi di tutta la pazienza che mi era rimasta mentre si accomodava con la schiena e lanciava la penna sul tavolo. 

<< Se non altro potrai scriverle che cos'è una parentesi graffa. La Fantucci apprezzerà lo sforzo >> sentenziò divertito. 

Nella mia testa sparai un acuto da soprano. 

Lo avrei ucciso, era deciso. Quella notte stessa sarei andata a segare il ramo sotto cui si appostava sempre. E addio, Sorcio Sodini. 

Chiusi libro e quaderno con dei colpi secchi, avrei ripassato da sola durante il fine settimana. Ormai era assodato che quel tacchino col cervello a nocciolina non sapesse spiegare. Era inutile perderci tempo. 

Lanciai un'occhiata all'orologio: mancavano venti minuti alle quattro. 

Per quel pomeriggio non avrei dovuto occuparmi dei suoi fratelli, quindi i miei nervi avrebbero goduto di un po' di riposo. 

Era bello vivido, infatti, il ricordo del giorno prima, quando quel dolce angelo di Tommaso mi aveva schiacciato una mano sotto la ciabatta mentre tentavo di raccattare la matita di Irene finita sotto il divano.  

Mi dolevano ancora le dita. 

Il mio non era un semplice lavoro, ma una scuola di sopravvivenza. 

Riposi la mia roba nello zaino e guardai Sodini, che stava dedicando tutta la sua attenzione al cellulare. 

<< Io vado >> dissi, vedendo che si stava alzando.

Ovviamente non mi degnò di considerazione, anzi, mi diede le spalle mentre, in piedi in mezzo alla cucina, digitava qualcosa sulla tastiera. 

Mi interrogai su cosa diavolo stesse scrivendo di tanto importante. 

Come osava ignorarmi?

All'improvviso ricordai la promessa che avevo fatto a Vanessa. 

Mi schiacciai una mano sulla fronte mentre ragionavo lesta su come risolvere il problema.

Non potevo fallire, le avevo assicurato che avrei ottenuto quell'informazione.  

Puntai Sorcio Sodini con fare cospiratorio. 

Volente o nolente, quel babbeo mi avrebbe dato quel che volevo. 

Mi alzai silenziosamente dalla sedia e, con passo felpato, mi appostai alle sue spalle. 

Era troppo alto rispetto a me perché potessi leggere i suoi messaggi. Vicina com'ero, mi sentii piccola e fragile in confronto al suo corpo solido. 

Osservai la linea sinuosa della sua schiena fasciata da una maglietta nera, per poi allungarmi sulle punte e sporgermi oltre la sua spalla destra. 

Nel fatidico momento in cui stavo per decifrare qualcosa, quello stupido ruotò il capo e successivamente l'intero corpo. 

Studiò con sospetto la mia espressione innocente. << Che stavi facendo? >> chiese guardingo. 

Mi dondolai sui talloni e piegai il labbro inferiore. << Nulla, volevo passare. >> 

Inarcò un sopracciglio. << Mi stavi spiando? >> insisté, come se non avessi parlato un secondo prima. 

In nome dell'affetto che mi legava a Vanessa, decisi di giocarmela tutta. 

Quella era la mia ultima opportunità di fare la sua felicità. 

<< Sinceramente, Sodini, non m'interessano i messaggi che ti scambi con la tua ragazza >> buttai là con un sorrisino studiato. 

Sperai che il pesce abboccasse all'amo come una settimana prima aveva fatto il suo amico. 

Mi bastava che affermasse o negasse la mia insinuazione e poi mi sarei potuta defilare, facendo la mia di felicità. 

Il sorcio mi scrutò per una serie di istanti interminabili, finché le sue iridi non si accesero di una luce irrisoria. << Cos'è, un'implicita domanda per sapere se ho la ragazza? >> gettò fuori con un sorrisetto pungente. 

Tentai di mascherare lo sconcerto aggrottando la fronte.

Avevo decisamente sottovalutato il suo quoziente intellettivo. Il suo cervello forse era più grande di una nocciolina, probabilmente raggiungeva le dimensioni di una noce. 

E io stavo seriamente rischiando di avvampare come una stupida colta in flagrante.

<< Certo che no >> mentii scuotendo il capo. 

Non sapevo cos'altro dire, la mia facoltà d'intendere e di volere era evaporata insieme al mio pessimo tentativo di concludere la missione in maniera pulita. 

Era una situazione troppo imbarazzante perché il mio cervello riuscisse a maturare un pensiero che non riguardasse l'espatrio. 

Ancora una volta mi sentivo con le spalle al muro. 

Poi, un qualcosa nel suo sguardo fece sorgere in me un terribile sospetto. 

Forse la luce beffarda, forse il fatto che il suo sopracciglio fosse inarcato come a voler dire: "beccata, di nuovo", o forse quell'aria arrogante e sicura di sé che si rifletteva nel sorrisetto che gli increspava le labbra. 

Ripensai a tutte le volte in cui aveva insinuato che lo stessi fissando, alla volta in cui mi aveva accusata di aver chiamato le mie amiche per spiarlo o a quella in cui aveva spifferato che avevo provato ad abbordare lui e i suoi amici. 

Il sospetto prese forma, facendomi scuotere la testa inorridita.

Ma non era che quel demente credeva che mi piacesse? 

Chiusi un attimo gli occhi e massaggiai le tempie per placare l'agitazione. 

Un incubo. Era un incubo. 

Sollevai il capo e piantai gli occhi nei suoi, mettendo le mani avanti. << Forse c'è stato un malinteso >> esordii, seria. << Non sono minimamente interessata a te. Per niente >> aggiunsi per rimarcare il concetto. 

Il mio discorso sembrò divertirlo ancora di più. 

Abbassò per un attimo la testa per trattenere una risata, per poi osservarmi tra alcuni ciuffi biondi, il capo leggermente piegato di lato. 

Ce l'aveva scritto in faccia quello che pensava: non mi credeva.

Quel cerebroleso si era convinto che fossi infatuata di lui. 

<< Dico sul serio >> ribadii esasperata. << Senza offesa, ma ti trovo anche un po' antipatico >> confessai incrociando le braccia sul petto.

Un po' era riduttivo, ma non volevo peggiorare una situazione già tragica. Era paradossale che fossi finita a difendermi da un'implicita accusa di cotta. 

A quel punto gli scappò davvero da ridere. 

Si curvò in avanti per sghignazzare delle mie parole, il che contribuì ad aumentare il mio livello di stress.  

Pestai i piedi per terra, frustrata. Il suo povero cervello a noce non era capace di fare due più due. 

<< Ma perché ridi? Io sto parlando seriamente. >> Mi tirai indietro i capelli, i palmi sudati. << Dio, un incubo >> borbottai disperata. 

Continuavo a parlare ad un muro.

Quello stupido era talmente pieno di sé da non riuscire ad afferrare una verità tanto semplice. 

Ad un certo punto, mentre fissavo il vuoto sconsolata, lo vidi passarsi una mano tra i capelli ed avanzare di un passo. Mi ritrovai costretta ad alzare il mento per poterlo guardare negli occhi, tant'era vicino. 

Percepii tutto il peso di quelle iridi azzurre addosso, fisse com'erano su di me.

Subito dopo notai che un angolo della sua bocca era stirato in un sorrisetto da schiaffi. 

<< Puoi risparmiare il fiato, in ogni caso non sei proprio il mio tipo >> disse con una tranquillità disarmante. 

Avevamo toccato il fondo. Cos'avevo appena sentito? 

Sbattei le palpebre più volte, sgomenta. << Fammi capire: mi stai rifiutando? >> domandai, un sopracciglio nei pressi del soffitto. 

Io sprecavo fiato a dirgli che non mi piaceva e quello mi scaricava. Ovviamente col tatto e la dolcezza di un piede di porco. 

Fece spallucce e calò le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta, lo sguardo pervaso di beffa. 

La mia vena sulla fronte rischiò di esplodere. << Sei tu a non essere il mio tipo, te lo assicuro >> dissi fra i denti. 

Ero estremamente vicina a mettergli le mani addosso per strozzarlo. 

La sua faccia tosta e la sua presunzione erano irritanti oltre ogni dire. 

<< Sai, Nora >> iniziò, pronunciando il mio nome in tono odioso. Mi resi conto che aveva avvicinato il viso solo quando scorsi le striature più chiare e più scure presenti nelle sue iridi azzurre, ma mi imposi di non retrocedere. Non mi sarei fatta intimidire. 

<< Questo è esattamente quello che direbbe una ragazza col cuore spezzato. >> Sulla sua bocca si delineò un perfido sorriso di scherno mentre arricciava il naso. << Cerca di non soffrire troppo. >>

Detto ciò si tirò su dritto, recuperò il telefono dal bancone della cucina e mi diede le spalle. 

Nel giro di pochi secondi vissi una serie di emozioni l'una di fila all'altra, a cominciare dallo sbigottimento fino alla rabbia cieca.

Fui tentata di saltargli sulle spalle e torcergli il collo come avevo visto fare nei film. 

Quel sorcio con cervello di gallina e fattezze di demonio mi stava trasformando in una persona violenta e propensa alla guerra. 

Dovevo uscire da quella casa, o avrei seriamente rischiato di ritrovarmi in prigione il giorno seguente. 

Ero un fascio di nervi, non vedevo l'ora di lanciarmi sul letto e sfogare la frustrazione in un urlo contro il cuscino. 

Per questo procedetti spedita fino alla porta, la spalancai e me la ribattei alle spalle, facendo propagare quel rumore per la tromba delle scale. 

Era l'essere più odioso sulla faccia della terra, superava persino la Fantucci, il che era grave. 

Il fatto che si fosse convinto di piacermi era un insulto. Era così abituato a ricevere lusinghe, confessioni e complimenti dal genere femminile da non poter accettare qualcosa di diametralmente opposto. 

Osava rifiutarmi, la capra. 

<< Non sei proprio il mio tipo >> gli feci il verso mentre camminavo per strada. 

Un uomo anziano, di cui mi accorsi solo in quel momento, si voltò a guardarmi con un'espressione inorridita. << Lo credo bene, potrei essere tuo nonno >> rispose agitando la mazza a mo' di rimprovero. 

Volevo sprofondare. 

Sospirai, prossima ad un'esplosione di nervi, e mi sforzai di sorridergli. << Non dicevo a lei, parlavo... da sola >> spiegai sotto il suo sguardo stranito. 

Decisi di tirare dritto prima che potesse consigliarmi una visita dallo psichiatra. 

Era tutta colpa di Sodini se mi ero ridotta in quelle condizioni, ma mi sarei vendicata. 

Eccome, quando meno se lo fosse aspettato. 

Occhio per occhio, dente per dente. 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

 

Il fine settimana lo aveva trascorso a restaurare la condizione dei miei poveri nervi. 

Sabato, dopo la scuola, ero uscita con le ragazze per fare un giro nel centro cittadino. 

Mi ero divertita e riposata, e avevo sgomberato la mente dai pensieri nocivi che riguardavano Sorcio Sodini. 

Dopo aver raccontato loro del terribile malinteso con lo stupido, avevo chiesto alle mie amiche di non nominarmelo più, almeno per quel giorno. E così mi ero goduta l'intero pomeriggio proprio come ai vecchi tempi, quando non avevo ancora a che fare con Voldemort.  

La domenica, invece, l'avevo quasi tutta passata a studiare come una pazza. 

Quel compito di matematica pesava sulla mia testa come la spada di Damocle. Solo che, a giudicare dai numerosi fogli che avevo riempito di scarabocchi, prevedevo una decapitazione impietosa. 

La sera, dopo cena, mi ero abbarbicata a mia mamma sul divano. Avevo cercato il suo favore in caso di un altro pessimo voto, preparandola psicologicamente con qualche frase lanciata qua e là in modo studiato. 

Nel sentirle dire che avrebbe cercato di raggruppare un po' di soldi per mandarmi a ripetizioni, mi si era stretto il cuore. Così l'avevo rassicurata che in realtà mi stava già aiutando un amico, ma che per i primi tempi forse avrei preso ancora qualche brutto voto. 

Pronunciare quella parola mi era costata non poca fatica, avevo quasi avuto gli urti di vomito.

E, peggio ancora, quella confessione a mia mamma aveva segnato la mia fine dato che, giunta a quel punto, non avrei potuto troncare le ripetizioni col sorcio. 

Non potevo permettere a mia mamma di spendere soldi per mandarmi da qualcun altro. 

Inorridivo nel constatare come la mia vita finisse sempre più per intrecciarsi con quella di Sodini. Meno volevo starci e più mi toccava vederlo. 

Parlando in termini di destino, come diceva Francesca, il mio era davvero infame. 

Lunedì mattina arrivò in un battito di ciglia. 

Mi alzai alle cinque per avere il tempo di ripassare quanto più possibile in vista del compito di matematica. Con gli occhi ancora mezzi chiusi mi trascinai alla scrivania e sprofondai sulla sedia, per poi riempirmi la vista di formule, definizioni e grafici. 

Mezz'ora dopo ero schiantata sui libri. Letteralmente, dato che avevo finito per addormentarmi.

Fu mia mamma a svegliarmi, un'ora più tardi, intimandomi di sbrigarmi. 

Feci una rapida doccia, sistemai i capelli con delle mollettine, una per lato, e mi truccai in fretta. 

Alla colazione dedicai un po' più di tempo dato che tirai di nuovo fuori il libro di quell'odiosa materia per tentare, in maniera disperata, di capirci qualcosa. 

Alla fine salutai mia mamma con un gesto da militare e, con la consapevolezza che la mia personale spada di Damocle mi avrebbe decapitata, mi incamminai verso la scuola. 

Giunsi in classe che tutti, nessuno escluso, stavano ripassando per il compito. 

Se non altro non ero l'unica disperata. 

Arrivai al mio banco ed appoggiai la cartella, per poi sfilarmi il cappotto mentre osservavo le mie amiche e Giacomo che discutevano sulla soluzione di un problema. 

Erano così occupati da non essersi resi conto della mia presenza, cosa che invece non sfuggì a Ruggero.

Avvertii un suo braccio circondarmi il collo per attirarmi a sé. La mia spalla toccò il suo costato mentre alzavo il capo per guardare il suo sorriso smagliante.

Il suo gesto mi imbarazzò non poco, ma cercai di mascherarlo dietro un sorriso. 

<< Pronta per suggerirmi? >> chiese.

Mi scappò da ridere. << Hai scelto la persona sbagliata. Al massimo posso suggerirti la data. >> 

Scrollò le spalle. << Ottimo, ti sei aggiudicata il posto vicino al mio >> disse facendomi l'occhiolino. 

Risi di nuovo, perché con lui era facile divertirsi. I suoi modi erano tutto l'opposto di quelli arroganti e odiosi di Sorcio Sodini. Tiravano fuori la parte migliore di me, la Nora docile e scherzosa, non quella acida e bisbetica. 

Intercettai il sorriso malizioso di Vanessa con la coda dell'occhio. 

Immediatamente sentii le guance riscaldarsi e abbassai il capo per guardare il mio zaino sul banco. 

Ruggero dovette scambiare quel mio cambio d'umore repentino per un momento di sconforto perché risalì con la mano fino ai miei capelli e li accarezzò piano. << Tranquilla, recupererai. Se non ora col prossimo compito >> mi confortò, il tono gentile.

Spostai gli occhi nei suoi e mi aprii in un sorriso grato. 

Ma perché non poteva essere lui un genio in matematica? Farmi dare ripetizioni sarebbe stato molto più facile. 

<< Ruggi! >> urlò Beatrice Corsi, dall'altro lato dell'aula, sbracciandosi. << Puoi venire un attimo? >> 

Era risaputo fra tutte le ragazze della classe che Beatrice aveva una cotta per Ruggero da almeno due anni. Il primo anno le era andata bene dato che lui l'aveva assecondata, uscendoci insieme, ma poi nel giro di qualche mese Ruggero l'aveva scaricata. 

Avevamo assistito alla disperata crisi di pianto di Beatrice negli spogliatoi della palestra e, per circa un mese nel quale non aveva fatto altro che trascinarsi da una parte all'altra come uno zombie, l'avevamo tutte aiutata a superare la rottura. 

Poi, di punto in bianco, era tornata all'attacco più agguerrita di prima. 

Voleva riconquistare Ruggero con le unghie e con i denti. 

Beatrice si puntellò le mani sui fianchi e strizzò le labbra, rivolgendomi un'occhiata di sprono ad aiutarla. 

<< Dovresti andare >> dissi a lui. 

Ruggero sbuffò pesantemente dal naso. << Che vuole, quella cretina? >> 

Gli tirai un leggero colpo nello stomaco per rimproverarlo, anche se mi riusciva difficile trattenermi dal ridere. << Dai, vai a sentire. E trattala bene >> lo ammonii divertita.

Lui mi guardò con un ampio sorriso, poi, dopo avermi scompigliato i capelli fece scivolare il braccio dal mio collo e si allontanò per avanzare in direzione della sua ex ragazza. 

Vanessa mi fu subito addosso, Linda e Francesca mi accerchiarono come se fossi stata una preda.

<< Gli piaci, è sicuro >> dichiarò Vanessa, su di giri. << Lo sapevo, lo sapevo >> aggiunse tutta eccitata, battendo le mani. 

Sbattei le palpebre più volte, imbarazzata. << Ma no, si comporta solo da... amico >> dissi incerta, aggrottando la fronte.

Mi costava essere sincera con me stessa su quella questione, ma dovevo ammettere che non erano sfuggite neanche a me le attenzioni di Ruggero. 

Speravo con ogni fibra del mio corpo di sbagliarmi perché non avrei sopportato l'idea di ferirlo. Con lui stavo bene, e non era nemmeno brutto, ma non ero in grado di vederlo in modo diverso. Non in modo romantico

Vanessa mi osservò come se fossi stata un caso perso. << Ti pare che con me si comporti nello stesso modo? Eppure siamo amici. Questa si chiama cotta, mia cara, una gran bella cotta >> affermò battendo il dorso della mano sull'altra.

Francesca annuì. << Sono d'accordo. >> 

Linda alzò un braccio con un sorriso da orecchio a orecchio. << Mi aggiungo. >> 

Sospirai e subito dopo scossi il capo. << Non voglio pensarci, non adesso. Devo concentrarmi sul compito di matematica >> sentenziai risoluta. << Perciò andiamo a ripassare. Scattare >> dissi scherzosa, prendendo Vanessa per le spalle per ruotarla.

Si prospettava già una giornata difficile, se mi fossi fatta assalire anche dall'ansia per la situazione con Ruggero a fine giornata avrei avuto i capelli bianchi. 

Per il momento volevo relegarla nei meandri più reconditi del mio cervello.

Prima o poi ci avrei pensato. Più poi che prima. 

 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Pervinca95