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Autore: Enchalott    16/06/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Carissimi, dite che devo alzare il rating ad arancio dopo questa? :)

Mio immenso amore
 
Narsas versò con cura il chae, osservando la voluta di fumo bianco che s’innalzava dal liquido caldo. Si avvicinò alla principessa, ancora rannicchiata e tremante sul suo letto, e le porse la tazza di ceramica chiara. Estrasse una fialetta verde e la mostrò.
“Questo ti calmerà” propose.
Adara annuì, accettando il recipiente nel quale l’arciere stillò alcune gocce opache. Il ragazzo attese e le si sedette accanto, imponendosi di non contemplarne la pelle nuda che si intravedeva tra le pieghe del mantello del reggente.
Non era riuscito a farsi raccontare che cos’era accaduto tra lei e Anthos né perché il principe l’avesse condotta nel cuore della notte nella sua camera, proferendo parole enigmatiche e cariche di rabbia.
Risolvi il tuo problema, Adara... poi torna da me.
Il guerriero del deserto, nonostante l’intuito, non si era raccapezzato, ma il termine “problema”, a lei indirizzato con tanta freddezza, lo aveva posto in stato d’allerta.
Aspettò con pazienza che la ragazza smettesse di bere e di piangere; represse il proprio istinto di abbracciarla e fissò il soffitto con uno sguardo perso e teso, finché non sentì che i singhiozzi scemavano.
“Perché ti ha portata qui, Adara?” domandò allora, volgendo a lei il viso “Che cosa vuole da te questa volta?”.
La principessa arrossì e si strinse nel prezioso velluto blu che la avvolgeva.
“L’Imis’eli…” balbettò, facendosi coraggio “L’Imis’eli gli impedisce di avermi… lui pensa che sia colpa mia…”.
Narsas sbarrò gli occhi, esterrefatto. Si rizzò a sedere, guardandola.
“C-cosa?” esalò, incredulo “Com’è possibile?”.
Adara scosse la testa, prostrata e intralciata dal pudore per ciò di cui avrebbe dovuto mettere a parte il guerriero. Si fece forza, perché Narsas per lei era forza.
“Il Crescente ruota su se stesso ed emana una luce che non permette a mio marito di avvicinarsi a me… lo respinge o lo blocca, ma io non… non sono io che…”.
L’arciere sollevò una mano, conscio di quanto quella rivelazione implicasse; poi le scostò i capelli e le sfiorò il viso con delicatezza.
“Quindi Anthos…” mormorò pacato “Non ha mai fatto l’amore con te?”.
Lei avvampò, premendosi addosso l’indumento come a nascondersi.
“No… non è mai riuscito a debellare il potere della mezzaluna”.
Il ragazzo continuò a scrutarla, attonito. Pareva inaudito che il sovrano del Nord fosse stato ostacolato nei suoi intenti dal semplice risplendere di un segno… anzi, a ben considerare, ciò che davvero risultava impossibile a credersi era il fatto che avesse tenuto con sé la donna che aveva sposato, pur non avendo potuto esercitare il suo diritto o raggiungere lo scopo per cui era avvenuto il matrimonio. E, soprattutto, che avesse lasciato pensare a tutti il contrario, anziché disconoscerla o ucciderla.
“Ritiene che sia tu a controllare l’Imis’eli? È questo il problema cui si è riferito? Pretende che io ti convinca con giudizio a lasciarlo fare il suo comodo?”.
Adara distolse lo sguardo, imbarazzata ed esitante.
“No, lui sa bene che non governo un tale potere. Sostiene che sia il mio inconscio ad attivarlo, poiché… poiché io, nel profondo, non lo voglio…”.
Narsas trattenne il fiato, quando il vero fine di quell’incursione notturna iniziò a delinearsi come una traccia assurda nella sua mente riflessiva.
“È… realmente così?” domandò, sforzandosi di mantenere la quiete interiore.
“No. Giuro di no!” rispose in fretta lei, con voce spezzata dall’ansia “Ho promesso di dargli un erede e non ho mai agito contro il nostro patto. Forse, all’inizio ho avuto paura di lui… l’ho respinto per tutto ciò che era, per rabbia, per orgoglio, per rivalsa! Ma poi… lo scintillio del Crescente ha cambiato colore, ha smesso di emanare la sua vampa color sangue per divenire bianco e lieve. Il mutamento è avvenuto insieme al cambiamento che io ho maturato nei suoi riguardi. Non sono io in alcun modo a dominare la Mezzaluna… non può accusarmi di questo…”.
Le iridi scure del ragazzo si fecero lucide e ardenti. Sospirò, esausto e grave.
“Anthos ne è consapevole?”
“Non… non lo so” continuò lei, tremando “Per me lo è, ma la sua fierezza gli impedisce di riconoscere la verità… il Medaglione… io ritengo che il Crescente reagisca al suo Medaglione! Non posso dimostrarlo, perché lui si rifiuta di abbandonarlo anche solo per un millesimo e mi biasima… non lo lascia, ma brucia d’odio e lo preferisce a me! Ho fallito… ho fallito in tutto!”.
Narsas asciugò con il pollice la nuova lacrima di dolore che rigò la guancia della principessa e percepì il proprio cuore martellare impazzito. Era lampante la ragione per cui il reggente avesse optato per un’azione tanto drastica e mortificante. Non era certo l’odio ad ardere nell’animo di Anthos. Era solo uno smisurato, estremo orgoglio. Era una sconfortata disperazione, la stessa che lui conosceva ormai da tempo.
Lei è tua. Per questa notte soltanto, io la lascio a te…
“Sei qui” sussurrò, frenando le proprie emozioni “Perché tuo marito ritiene che io debba essere il primo… che dopo di me non troverà più impedimenti… è questo il problema di cui ha parlato con tanto dileggio? Lui ci ordina di unirci nella carne come se fosse un volgare esperimento…”.
Adara sussultò, assimilando con impaccio la consapevolezza espressa dall’arciere.
“No…” mormorò turbata “Anthos è fermamente convinto che io nel mio inconscio non desideri lui, ma te…”.
Narsas non abbassò gli occhi, ma serrò le lenzuola tra i pugni, con ira repressa. Sapeva quale domanda avrebbe dovuto porle, conosceva la risposta che gli sarebbe stata restituita, temeva le azioni che ne sarebbero derivate e fremeva, trattenendo se stesso da un colpo di testa che gli risultava pressoché impossibile da evitare. Però non si tirò indietro e fece appello al valore della propria anima, all’amore sconfinato che vi dimorava.
“Per una sola notte. Con queste parole offende entrambi” rimarcò, severo.
“Sì…” concordò lei, addolorata “Come se tu fossi un mio infantile capriccio… come se io fossi una tua brama inespressa…”.
L’arciere strinse le palpebre, ribollendo nell’intimo; il chiarore della lampada a olio gli si riflesse nelle iridi scure. Attese, poi parlò in un alito quasi inudibile.
“Vuoi me?”.
Adara trasalì, con i pensieri che le si affastellavano in un tumulto silenzioso.
No non era la risposta giusta: Narsas non poteva non essere oggetto di un amore immenso. Corrispondeva alla perfezione a quanto il suo cuore sognante di fanciulla aveva sempre cercato in un uomo. Era parte di lei, chiarore che brillava e fiamma che scaldava, unico nella sua anima, eterno nel suo cuore. No sarebbe stato come rinnegare una parte di sé.
non era parimenti la risposta corretta. sarebbe stato respingere la verità.
“Vuoi me?!” ripeté lui, duro, costringendola ad affrontarlo in quegli esigui centimetri che li separavano dal punto dal quale non sarebbero più potuti tornare indietro.
Il torace del guerriero Aethalas si sollevava e si abbassava veloce tra i lembi della camicia smanicata di lino chiaro, aperta sulla pelle abbronzata, lasciata così com’era quando era stato sorpreso nel sonno. La chioma castana, priva della fascia rossa e oro che la fermava, scendeva in onde morbide sul suo collo, mentre il pendente rosso mandava il suo bagliore ancestrale tra le ciocche scompigliate. I muscoli delle sue braccia nude erano tesi nello sforzo di contenersi.
Era fiero e gentile, leale e fedele, effimero e bellissimo.
“Desidero scoprirlo” rimandò lei, trattenendo il respiro e attendendo la sua reazione.
Narsas esalò il fiato quando ottenne la sua tanto agognata sentenza. Sorrise, conscio dell’incalcolabile significato di quelle due parole, comprendendo che, sin dall’inizio, non avrebbe dovuto chiedere quanto già da mesi per lui era una certezza assoluta.
“Come vuoi…” le bisbigliò tuttavia all’orecchio, sensuale, traendola a sé.
Adara si lasciò avvolgere dal suo abbraccio, ma qualcosa nel modo in cui il ragazzo aveva pronunciato ciò che appariva come un’accettazione, suonava stranamente discordante. Si disse che era solo la situazione insolita che stava vivendo: essere nel letto di un uomo che non era suo marito, infrangere una promessa per volontà altrui, lasciarsi amare per la prima volta da Narsas e non da Anthos, non sentire la furia del sangue scorrere tra loro, avvertire in cambio una soave serenità…
Il Crescente era fermo e muto, spento, invisibile sotto la stoffa scura che la celava.
Le labbra di lui sul suo collo erano dolci e leggere, ma il suo corpo asciutto e snello restava discosto da lei. Il guerriero si sosteneva con i gomiti e la rasentava appena, come se non osasse andare oltre. Adara si accorse di non aver restituito la stretta e lo chiuse tra le braccia, posandogli le mani sulla schiena. Lui reagì a quella sorta di consenso e si avvicinò, spogliandosi della camicia e baciandole la mano, il polso, salendo verso la sua spalla… ma non cercò la sua bocca e non sciolse le pieghe del mantello blu cobalto in cui era ancora avviluppata. C’era qualcosa… qualcosa che…
L’Imis’eli taceva, come morto, come se non facesse più parte di quel mondo.
Narsas fece in modo che le dita di lei scorressero sul suo petto nudo, sulle curve armoniose dei suoi addominali e scese… scese e si fermò, ma si immerse tra i suoi capelli sciolti, aspettando che fosse lei a scegliere se continuare a toccarlo. La mano di Adara sostò piano sul suo ombelico, esitò nella sua corsa e non snodò la stola che lui portava in vita. Tornò al suo viso e colse nei suoi occhi intensi e malinconici una scintilla di dolore. Era così strano… così diverso…
“Narsas…” sussurrò, incerta.
Fu in quell’istante che il giovane Aethalas passò il confine e aderì a lei con subitanea decisione, si slacciò la fascia dai fianchi, gettandola a terra, iniziò a disfare le pieghe che la ammantavano, la occultavano al suo sguardo, al suo tocco, la separavano dal contatto diretto con lui. Fu allora che la baciò con intensità disarmante e ricominciò a spogliarsi, disfò la balza di stoffa che le imprigionava le gambe e riprese a sfiorarle la pelle, ad avvincerla per amarla con tutto se stesso…
E la mezzaluna era inerte e silenziosa, solo un disegno a forma di falce e nient’altro. Nessun impedimento, se non… oh, stelle…
“Narsas… fermati…”.
L’arciere sollevò il viso e mantenne lo sguardo incatenato al suo, frenando gli ansiti che cercavano di sfuggire dalle sue labbra socchiuse. La guardò con dolcezza, ma in lui c’era altro, c’era una luce velata di tristezza, come una coscienza prestabilita. Come se avesse saputo, come se non avesse realmente voluto…
“Perdonami…” esalò lei, mentre una lacrima scendeva lenta “Non posso…”.
L’arciere si issò su in gomito e la sua espressione si fece limpida e indulgente, ma la sofferenza dilagò, inarrestabile come una marea, nel suo animo profondo.
“Non piangere, Adara” mormorò con un sorriso trasparente “Non mi stai arrecando offesa. Ho compreso all’istante che “desidero scoprirlo non significa affatto sì”.
La principessa sgranò gli occhi, mentre lui si spostava su un fianco.
“C-cosa…?” singhiozzò.
“Scusami” continuò lui, lieve “Era l’unico modo per consentirti di capire da sola. Ora ci sei riuscita? Hai scoperto che cosa vuoi per davvero?”.
La ragazza continuò a fissarlo, priva di parole: Narsas sapeva sin dall’inizio che l’avrebbe interrotto, ecco che cos’era quella misteriosa sensazione che lo attraversava mentre la cingeva tra le braccia. L’aveva costretta a prenderne coscienza, portandola al limite, obbligandola a percepire quella dissonanza, che non era altro che un segnale lampante di ciò che conservava soffocato nel cuore. Un atto risolutivo che aveva incenerito in lei ogni dubbio, ogni remora, ogni paura.
“Mi… mi dispiace…” bisbigliò, arrossendo brutalmente “Tu hai dovuto fare questo, pur essendo un uomo integerrimo… tu, a causa mia…”.
“Non mi hai risposto neanche di no, Adara” sorrise lui, schietto “Quello soltanto avrebbe dissipato l’ambiguità. Forse io stesso anelavo scioccamente una conferma personale. Non è stato affatto un sacrificio tenerti tra le mie braccia, non è avvenuto nulla di contrario ai miei principi di onestà morale. Solo ciò che miravo a dimostrare. Non sono io. Non sono io colui che cerchi”.
La principessa impallidì davanti alla sua fermezza, al modo in cui stava accettando quella che chiunque altro avrebbe considerato un’umiliazione cocente. Lo abbracciò con foga, stringendolo forte, incurante della sua quasi nudità.
“Gli dei non mi perdoneranno…” esalò “Non mi perdoneranno mai!”.
“Oh, sì che lo faranno” affermò il guerriero, obbligandosi a non restituire il gesto affettuoso “Assolveranno sia te sia me, ne sono certo”.
“Tu non hai responsabilità!”.
Narsas si staccò dalla stretta, piantandole addosso le iridi brune e brucianti.
“Ho rubato una cosa che non mi appartiene” disse, categorico “Un bacio. Quello era veritiero, reale… perché ti voglio bene, Adara… e questo non offende certo i Superiori. Invece, tuo marito per ciò che ha fatto si meriterebbe…!”.
Si interruppe, adirato, voltandosi a fissare il muro spoglio.
“Te ne voglio anch’io Narsas. Infinitamente…”.
Gli strinse le mani nelle proprie, cercando il suo sguardo. Ma lui tenne il capo chino e le folte ciocche brune celarono completamente i suoi lineamenti e i suoi pensieri.
“Allora… vai!” le disse tra i denti “Se mi vuoi bene, vattene da qui!”.
La ragazza si alzò con indecisione, trascinando con sé il mantello di velluto.
“Va’!” la incitò nuovamente lui, indicando la porta.
“Io… grazie…”.
L’uscio si richiuse alle spalle della principessa. L’arciere avvertì l’eco dei suoi piedi scalzi perdersi veloce nel corridoio di pietra e si appoggiò alla parete, sfinito.
“Ho sempre creduto che la mia prova più ardua fosse uccidere il Traditore” mormorò debolmente, prendendosi la testa tra le mani “Oh, dei… non questa… non questa!”.
 
Adara appoggiò le mani sull’ingresso di legno sbalzato di Leu-Mòr. Un gesto che aveva compiuto infinite volte da quando aveva preso dimora a Jarlath, ma che in quell’occasione le inflisse uno spasmo. Se non si fosse aperto?
I battenti però si schiusero come al solito, esibendo il muro venato di fluorescenza verde, divenuto tanto familiare con il trascorrere dei giorni nella Torre.
Si precipitò su per la scala a chiocciola, guidata solo dalla tenue luminescenza, con il cuore in gola e un unico pensiero. Aveva sbagliato. Era stato un fallo madornale da parte sua, un errore che aveva spinto chi le era vicino a compiere un’azione drastica. La sua irresolutezza, la sua indecisione, i suoi puerili timori avevano causato sofferenza a più di una persona: ad essa avrebbe posto finalmente rimedio. Se non era troppo tardi, se non era già tutto perduto, se… se…
Spalancò la porta della stanza nuziale, ansimando per la corsa, inciampando nelle pieghe della stoffa scura che trascinava dietro sé come uno strascico cerimoniale.
La camera era buia e vuota. Il camino era spento e non c’era traccia del principe. La notte penetrava attraverso le tende scostate con un taglio di tragica solitudine.
La ragazza osservò l’ambiente sguarnito con una stretta al petto. Avanzò sul pavimento gelido, spingendo lo sguardo sul letto intatto, sul tavolo di legno massiccio, sul niente incolore che indicava l’assenza del suo sposo. Se ne rese conto con un sussulto. Era Anthos a esprimere la vita in quel luogo… con crudeltà, con freddezza, con dolore, ma anche quelle percezioni negative avevano pur una tinta e contribuivano a dipingere l’immagine peculiare di Iomhar, la terra maledetta. Colori aspri e forti, che ferivano lo sguardo e i sensi. Quelli che aveva imparato ad amare.
Certo i più stridenti, i più percettibili. Era certa che non fossero i soli.  
Si avvicinò alla parete, dove l’ombra ricurva del pugnale che indossava il giorno del matrimonio si proiettava confusamente sulla roccia; nera su nero, ma pur visibile.
Allungò il braccio e riuscì a svellere la lama dal punto in cui la collera del reggente l’aveva scagliata, abbandonandola per tutti quei mesi come un monito sospeso.
Stringere tra le dita l’impugnatura intarsiata le infuse nuovo ardimento.
Salì la seconda rampa di scale, quella che conduceva al luogo proibito al quale suo marito non ammetteva nessuno, se non chi era destinato a subire il suo immane potere. L’uscio pesante era serrato e non si udiva alcun rumore, come se l’essenza stessa della Torre stesse riposando in un sonno profondo. Non cedette alla spinta.
“Anthos…” mormorò, accostandosi al legno bruno e solido.
Non ci fu risposta, ma Adara non si diede per vinta.
“Anthos! Aprimi, ti scongiuro!”.
Il silenzio accolse la sua richiesta con ovattata indifferenza. Batté il pugno sullo stipite e l’eco riverberò lungo i gradini sbalzati che si perdevano verso il basso.
“Anthos!” gridò “Se non mi fai entrare, giuro che abbatto questa dannata porta!”.
Ancora una calma irreale, intessuta di malinconico abbandono e di distacco.
Poi l’anta si scostò.
La principessa scivolò nella stanza scura, faticando a distinguerne i particolari. Il bacile color ossidiana trasudava la sua lattea opalescenza, unico chiarore che sconfiggeva la notte interna, congenita alla sommità di Leu-Mòr, e disegnava confusi tratti d’ombra tra le colonne slanciate. Fu percorsa da un brivido.
“Anthos…” chiamò nuovamente, con il cuore in gola.
Lui si mostrò, sgusciando dall’oscurità di un pilastro come un’apparizione improvvisa. Il suo volto restò in ombra, tra le ciocche bionde che gli ricadevano sulle spalle e sulla casacca di seta lucida e bianca, spalancata sul petto, che scendeva fino a terra in un fruscio serico.
Stringeva la spada nella destra, ma la teneva abbassata quasi a sfiorare il pavimento. La luce fioca sul filo argentato ebbe un baluginio angosciante. Lei sussultò.
“Anthos… Che cosa…?”.
Il principe si mosse nella sua direzione, ma mantenne le distanze. Una fiaccola si accese di colpo, rischiarandolo. Tutti i suoi abiti erano candidi: la stola che gli evidenziava la vita, i pantaloni morbidi, gli stivali ricamati. Solo la sua pelle ambrata era in contrasto con quel colore incorrotto. Qualcosa in lui la spaventò, sebbene il suo sguardo fosse celato dal buio ancora predominante. Avvertì un gelo intenso.
“Hai risolto il tuo problema, Adara?” le domandò di colpo, inespressivo.
Eppure i suoi respiri erano accelerati e brevi. Furia e dolore, mascherati in una fredda compostezza che non riusciva più a ingannarla. Nessuna scorza posta a sua difesa l’avrebbe fermata. Nessuna barriera di rigido contegno. Ma quella spada sguainata era raccapricciante, presaga di morte, di atroce sofferenza.
“No” ribatté, sicura.
Il reggente sollevò il viso e la fiamma gli inondò le iridi dorate. Ancora dolore, rabbia atavica e irreversibile, screziata tuttavia di inatteso dubbio.
“Vorresti lasciarmi credere che non ti sei data a colui che ami?” asserì beffardo “O che Leuhan ha magicamente respinto anche il tuo adorato Aethalas?”.
“No. Il Crescente non si è mosso” rivelò lei, fremendo di collera impotente.
La lama scintillò, troppo vicina al suo corpo perfetto. Letale nella sua nudità.
“Perché dunque sei tornata da me?” rimandò parimenti tagliente.
“Perché sei tu!” esclamò la principessa con impeto “Quella persona… sei tu!”.
Lui ebbe un sobbalzo. Si fece avanti, circospetto. Il dolore scaturì come un’aura. La spada si abbassò e la punta raschiò il suolo umido.
“C-cosa…?” esalò, senza riuscire a controllare il tremito della voce.
“Anthos… l’uomo che amo sei tu!”.
L’arma cadde pesantemente a terra in un clangore metallico che incrinò la quiete e tutto si arrestò, come in un antico affresco.
Adara colmò veloce la distanza tra loro e afferrò convulsamente la stoffa della sua casacca, che gli scivolò leggermente dalle spalle.
Gli occhi allungati e intensi di lui divennero lucidi di commozione profonda.
Non distolse lo sguardo da lei, neppure per nascondere la devastante coscienza che vi dimorava. In esso transitò una sfumatura di speranza, che si spense repentina come un astro serale soffocato dalle nubi.
“Non… mentirmi!” sussurrò, intimidatorio nel vortice dell’emozione dilagante.
“È colpa mia, lo so… Puoi rinfacciarmelo all’infinito, ma non sto fingendo!” mormorò lei, angosciata “Avrei dovuto dirtelo prima, avresti avuto il diritto di conoscere i miei sentimenti, ma… mi è mancato il coraggio! Mi dispiace…! Non ero pronta a sentirmi rispondere da te, ancora una volta, che si trattava solo di una stupida debolezza, dell’impulso di una ragazzina inesperta! Non ero preparata a riscuotere un rifiuto tanto sprezzante e per non inghiottire il mio orgoglio mi sono comportata da vile! Mi vergogno immensamente di questo… E poi... poi…”.
Anthos continuò a fissarla, privo di parole, travolto da quel torrente di emozioni vive che lei gli gettava ai piedi senza esitare. La crepa nel suo intimo si squarciò, infliggendogli un urto di ritorno cui non seppe reagire. Serrò i pugni.
“Poi, quando ho deciso di aprirmi a te senza curarmi della tua reazione, ho incontrato Irkalla e sono precipitata nel terrore!” riprese lei, tremando “Paura di perderti… ho temuto che quanto hai ipotizzato potesse corrispondere al vero… che se il Distruttore fosse stato per assurdo interessato a me, avrebbe potuto rivalersi nei tuoi confronti per via di quanto provo per te! In fondo mi ha chiesto di seguirlo! Ho taciuto per proteggerti, senza pensare che questo mio desiderio di salvaguardarti potesse risultarti oltraggioso… senza capire che tu non hai bisogno del mio aiuto… senza sapere che ti stavo arrecando del male con il mio silenzio, che ti avevo inconsapevolmente ferito… Perciò perdonami ora, se puoi. Ma credimi, Anthos… l’unica verità è questa!”.
Il principe le prese il volto tra le mani, assorbendo tali parole. I suoi occhi erano un crogiolo di luce vibrante, frammenti di topazio cangianti e incandescenti, penetranti come non lo erano mai stati. Il cuore gli pulsava nelle tempie, accanito.
“È… impossibile…” bisbigliò a fatica “Impossibile crederti…”.
Lacrime di trasporto scesero sulle guance della ragazza, che estrasse il pugnale nuziale dal manto di velluto che portava addosso.
“Sapevo che lo avresti detto. Che avresti ribadito la tua assenza di fiducia in me. Ma per una volta, una sola, ti dimostrerò che dovresti considerare il contrario!”.
Lui la guardò esterrefatto incidersi a fondo il palmo della sinistra e prendere fiato per assimilare la fitta lancinante che ne derivò.
“Io invoco gli dei come testimoni del mio atto e davanti ad essi giuro che sarò la tua sposa” declamò lei, ferma “Non perché un’umana cerimonia lo ha sancito, ma perché io sono tua nell’anima. Da ora e in eterno, in ogni luogo, in ogni tempo… così fa voto all’uomo che ama una donna del Sud!”.
Il sangue gocciolò sulla fiamma, sfrigolando a sugellare quella promessa sincera e appassionata, che varcava il rito in cui avevano proferito solo il loro freddo assenso.
“Tu…” mormorò Anthos, guardando la lama tinta di rosso come se fosse un miraggio.
Le sue emozioni infransero gli argini, stordendolo in un crescendo che aveva impedito strenuamente, sin dal momento in cui quella donna fragile e imprevedibile, forte, ostinata era entrata nella sua vita. Sorrise, lieve come nebbia.
“Sono… un idiota…” asserì poi, quasi inudibile.
Le tolse il coltello dalle dita contratte e lo levò a mezz’aria, terrificante in quel gesto solenne; si procurò un identico taglio e lasciò che il suo sangue scorresse nel fuoco, stringendo il pugno in un ultimo atto di fierezza.
“Al presente, in eterno, in ogni tempo, in ogni luogo” recitò “Io apparterrò a te”.
Adara si rilassò, barcollando, spossata dallo sciogliersi della tensione interminabile.
Anthos la cinse tra le braccia, abbandonando l’arma cerimoniale. Il mantello che le aveva donato scivolò a terra, lasciandola vestita solo della sua stretta virile e impetuosa. La baciò con passione, senza trattenere nulla di sé, neppure il silente motivo per cui la volesse tanto intensamente.
“Ti amo…” sussurrò lei e lo ripeté sulle sue labbra roventi e impietose, che erano una tortura e una carezza, che non la risparmiavano più in alcun modo.
Il principe ribollì come lava, la sollevò con impeto, macchiandosi del sangue di entrambi, lasciandosi avvincere dal suo amore puro, concreto, per il quale si regalava una chance e la accettava senza ricorrere ad altro che a se stesso. Strattonò la catena d’oro bianco che ancorava il Medaglione al suo collo e il gioiello del Nord cadde a terra in un tintinnio rifratto di sconfitta, di metallico e inascoltato avvertimento.
“Anthos…” bisbigliò la ragazza, sfiorando il suo petto nudo e privo dell’amuleto.
Il calore del suo potere ancestrale la inondò, come se improvvisamente si fosse acceso un incendio privo di fiamma. Sotto il tocco delicato del suo pollice, al quale scintillava l’anello nuziale, la ferita obliqua sul palmo si rimarginò all’istante, come se non fosse mai esistita, ma il sangue continuò a scorrere veemente nelle loro vene, calamitandoli l’uno verso l’altro, infiammando i loro recessi più intimi.
Le mani di lui erano dolci e inclementi mentre si intrecciavano alle sue in un gioco tattile che era una danza di dita e carezze, una premessa carica d’attesa.
Adara gli slacciò i vestiti, desiderosa di percepire quel contatto di epidermide che la travolgeva, di lasciarsi inondare dal suo profumo, di abbandonarsi a lui per sempre.
Anthos la adagiò sul giaciglio di pellicce, esplorando ogni suo centimetro al ritmo dei battiti impazziti del cuore, assimilando il sapore della sua pelle. Una sincronia di respiri e sguardi, di labbra che si inseguivano sui loro corpi avvinti in una morsa indissolubile, in un linguaggio che si esprimeva in un idioma silenzioso e universale.
Si lasciò stringere e toccare, percepì tutto di lei, i suoi palpiti, la sua lieve esitazione. Spartì la propria essenza e l’abbraccio divenne amplesso bruciante, divenne unghie di lei affondate nella sua carne, divenne l’inarcarsi passionale della sua schiena sulle coltri, divenne movimento armonioso dei fianchi, divenne fondersi, mani insinuate tra i suoi capelli, sospiri da ascoltare, da restituire…
Dividersi in un’altra creatura era esistere, era vivere dentro di lei non solo per un’istante, era divenire uno. Non lo avrebbe mai creduto, nemmeno in mille anni sarebbe mai arrivato a pensare di riuscire a sentirsi come in quell’istante, di poterlo davvero fare in modo tanto umano, di volersi dare, di volerla avere, di…
Leu-Mòr si scosse, una vibrazione avita risalì dalle fondamenta alla guglia, i vetri si incrinarono in un crepitio stridulo. Il bacile si spaccò a metà con uno schianto, il basamento tortile cedette, abbattendosi in neri frammenti lungo i gradini, in polvere. La luminescenza verdognola della Torre si estinse in un sibilo, annegando la stanza in un buio atavico, vinto da un’unica fiaccola accesa a illuminare l’uomo e la donna che si erano uniti in quel luogo destinato ad arrecare pena.
“Anthos…” esalò lei, tremando in quel finimondo improvviso, con il suo corpo rovente ancora premuto addosso.
“La Profezia…” mormorò lui sulla sua bocca, senza scostarsi, senza fermarsi “È infranta… non temere più… resta con me… con me solo, senza destino prescritto…”.
Adara lo tenne a sé mentre si adagiava su di lei, in lei, privo di fiato e le sue membra tese si rilassavano e i polpastrelli si arrampicavano per sfiorare i suoi, senza interrompere il legame, che oltrepassava quello fisico e incandescente di passione, che irrompeva nell’anima, in una contrazione d’amore perpetuo. Unì il respiro al suo, prima rapido e impetuoso, poi sempre più regolare, sentendolo infuocato e sereno, riconoscendolo nell’umanità fusa di loro, nella quiete di quell’abbraccio, nell’amore e basta. Permettendo che tutto il resto evaporasse e si facesse evanescente.
“Amore mio…” gli disse in un ansito “Mio immenso amore…”.
Anthos chiuse gli occhi, placato, sfinito, ancora stretto tenacemente alla sua sposa. Leuhan era bruno e inerte sul ventre accalorato di lei, benevolo come un sorriso d’accettazione. A sua volta il principe sorrise.
   
 
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