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Autore: CyanideLovers    16/06/2020    5 recensioni
 Poteva essere solo un sogno.
Poteva essere — forse — la sua immaginazione.
Sembrava stupido ripensarci da sveglio, non aveva mai creduto a quel genere di cose.
Erano solo sogni, dopotutto.
Eppure…
eppure.
Eppure quei sogni gli facevano provare strane sensazioni che non aveva mai provato prima. Come se si fosse risvegliato qualcosa dentro di lui, indomabile e feroce, che ormai riusciva a malapena a contenere. 
〄 
Ogni notte Crowley sogna sempre lo stesso uomo. Sembra familiare, come se si fossero già conosciuti, come se si fosse già innamorato di lui. Il punto è che lui non lo conosce e questo non è altro che un sogno… giusto?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Newton Pulsifer
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oneirataxia'
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Ma è possibile,
Lo sai, amare un’ombra, ombre noi stessi.

Eugenio montale — Tuo fratello morì giovane

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il cielo era ancora nuvoloso ma aveva smesso di piovere. Crowley poteva sentirne ancora l’odore e lo trovò quasi rilassante. Eppure per qualche ragione si sentiva spossato. Stanco, come se portasse un grande peso sulle spalle. Inforcò le mani nelle tasche dei jeans e iniziò a camminare verso l’uomo seduto sulla panchina. Ogni passo era lento, fiacco, come se non avesse più energie in corpo.

Buffo, pensò, come quei sogni fossero così pieni di dettagli. L’aria era fresca e il rumore delle foglie che si muovevano seguendo il vento, lo starnazzare delle anatre del laghetto, persino quella sensazione di stanchezza sembrava reale. Immaginò che fosse così perché non aveva dormito granché nelle ultime settimane.

Cercò di studiare il paesaggio piuttosto che pensarci. L’erba verde, l’odore dell’aria, i fiori intorno alla panchina. Erano aumentati? Adesso circondavano la panchina e tutto il prato intorno, come se ne spuntasse uno ogni volta che sbatteva gli occhi. Non sapeva perché l’idea lo innervosisse.

 

Nonostante avesse fatto di tutto pur di non far notare il suo disagio, lui capì con uno sguardo che c’era qualcosa che non andava. Crowley non camminava con il suo solito stile inconfondibile e un’espressione preoccupata sbocciò sul suo viso.

“Cosa ti è successo?”  Chiese chiudendo il libro che aveva in mano. “Non sembri stare bene, mio caro.”

“Bè, neanche tu sei una bellezza.” Mugugnò infastidito.

“Non c’è ragione di usare questo tono.” Mormorò l’altro, anche se non sembrava arrabbiato, solo preoccupato per Crowley che adesso si era seduto accanto a lui con la schiena ricurva mentre si massaggiava il collo distrattamente.

“Ma che gentiluomo!”

“A differenza tua io conosco le buone maniere.”

“Mh” disse Crowley fingendo di concordare con lui. Il biondo aveva assunto un’espressione soddisfatta che era subito sfumata in una più preoccupata quando notò che si stava massaggiando il collo.

“Ti fa male?”

“Non è niente.” Si affrettò a dire lui, scoprendo di odiare quella espressione sul suo viso. “Sto bene.” Aggiunse.

“Puoi riposare sulle mie gambe se ti va.”

“Cosa?” Domandò, immaginando di essere improvvisamente arrossito.

“Non mi darebbe fastidio, davvero.”

“È imbarazzante.”

L’uomo scrollò le spalle. “Non ti vedrebbe nessuno in ogni caso.”

 

Era vero, Crowley non poteva negarlo. Il parco era vuoto così come le strade. Si spostò un po’ e l’uomo lo imitò per fargli posto e scivolò verso di lui lentamente, appoggiando la testa contro il suo grembo morbido.

Sospirò profondamente, assaporando l’odore di gelsomino e di erba bagnata. Quel profumo, di nuovo. Tè e vecchi libri. Chiuse gli occhi stancamente e per la prima volta dopo settimane sentì il suo corpo rilassarsi.

L’uomo, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, portò una mano sulla sua testa, facendo scivolare distrattamente le dita fra i suoi capelli lunghi.

Crowley soffocò un sospiro di piacere al gesto. Era rilassante, lui disegnava piccoli cerchi lungo la tempia destra e Crowley sentì le sue guance diventare ancora più rosse. Era una sensazione assolutamente meravigliosa. Non si era mai sentito così tranquillo.

Familiare, pensò, questa calma è così familiare, come se lo avesse già fatto altre mille volte.

“Mi sei mancato, mio caro.” Sussurrò lui senza fermare le carezze.

Crowley rimase in silenzio, insicuro se stesse sognando o se la voce sopra di lui fosse davvero quella dell’uomo dai boccoli biondi.

“Avevi detto che andavo troppo veloce per te.” Disse, stupendosi di quanto suonasse triste il suo tono.

“Ti ho detto molte cose stupide.”

“Mh.”

 

Una parte di lui avrebbe voluto rispondere: “Anche tu mi sei mancato.” Ma non sapeva perché provasse quella profonda, sconcertante, serie di emozioni. Perché il suo cuore batteva così forte? Perché gli era mancato così tanto?  Perché si sentiva così al sicuro mentre un estraneo gli accarezzava i capelli?

Non sapeva niente di lui, ma c’erano cose che poteva immaginare.

Poteva vederlo con i suoi occhiali da vista mentre leggeva seduto su una poltrona. Un libro sulle ginocchia e il viso rilassato. Poteva immaginarlo gustarsi un’ottima cena, prenderlo per mano, baciarlo.

Non disse niente, maledicendosi per quei pensieri.

 

“Cosa stavi leggendo?”

“Uno dei miei libri preferiti.” Disse l’latro senza smettere di accarezzargli i capelli. “La Divina Commedia, mai sentito?”

“Forse,” disse tenendo gli occhi chiusi “forse l’ho già sentito… non è quel libro assurdo con quel tipo con il nasone che se ne andava a spasso per l’Inferno?”

“Quello è il primo dei tre, anche se credo che Dante non avrebbe apprezzato il tuo commento sul suo naso. Era un tipo piuttosto permaloso.”

“Davvero?”

“Ha messo all’Inferno tutti quelli che gli stavano sullo stomaco.” Rispose con una risata. “Però devo dire che il primo libro è davvero molto bello e interessante a differenza del Paradiso.”

“Mh,” commentò, “il Paradiso non ha gusto.” E fu ricompensato con un altra risata sommessa che suonava come tanti piccoli campanelli d’argento.

“Posso leggertelo, se vuoi.”

“Fa’ come preferisci.” Disse lui scollando le spalle, guardando dritto davanti a sè.

Sentì l’uomo muoversi leggermente sotto di lui, per un attimo sperò che non smettesse di accarezzargli i capelli. Non lo fece. L’uomo iniziò a leggere e lui sentì i suoi occhi chiudersi, cullato dal suono soave della sua voce.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.

Ogni parola non era solo letta ma recitata, ogni piccola nota aleggiava come una canzone, dolce e delicata. Crowley, se possibile, sentì il suo corpo rilassarsi ancora di più. L’uomo con una mano teneva il libro e con l’altra continuava a tracciare piccoli cerchi, lievi linee intorno alla sua tempia e tutto quello che Crowley poteva fare era di rimanere completamente spalmato contro la panchina, la testa che riposava beatamente contro le sue gambe.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.

 

C’era qualcosa di vagamente erotico in quelle parole. Non… non nelle parole in sé e non che fosse particolarmente interessato a quel genere di cose, era piuttosto l’idea di vorticare per sempre per l’inferno abbracciato a qualcuno che ami così tanto da non poterlo abbandonare neanche dopo la morte.  Quel tipo di intimità e quelle parole sussurrate con così tanta devozione e cura erano già di per sé una libidine. Con la voce di un angelo l’uomo continuò a parlare, raccontare dei due amanti che si erano baciati ispirati dalle parole di un libro e lui pensò, sul baratro del sonno, non sarebbe meraviglioso se capitasse anche a noi?

 

 

 

 

 

 

 

Quello era stato il sogno più breve di tutti. Si era svegliato ma non si era alzato dal letto. Il corpo gli faceva ancora male, continuava a essere esausto, ma ciò che lo amareggiava di più era che poteva ancora avvertire le sue mani che si muovevano fra i suoi capelli. Si portò una mano al viso, si tolse gli occhiali con uno sbuffo, e iniziò a disegnare piccoli cerchi contro la fronte, imitando i movimenti dell’uomo. L’effetto non era quello che aveva sperato.

Il profumo di gelsomino e vecchi libri, il sapore di tè caldo nella sua bocca, il leggero tamburellare della pioggia contro la finestra, le emozioni che erano diventate una riflesso pavloviano ogni volta che vedeva l’uomo dei suoi sogni e che aveva cercato di spingere giù e ignorare… accettò tutto. Non sapeva se avrebbe mai avuto il coraggio di riconoscerle, ne era ancora spaventato. Ma accettò l’idea che avrebbe fatto un altro sogno su di lui.

 

Controllò l’ora; gli occhi si chiudevano per la stanchezza ma non abbastanza per dormire. Mezzanotte e mezza e la pioggia continuava a cadere. Un tuono scoppiò di nuovo facendo vibrare la finestra e lui si strinse ancora di più fra le coperte. L’odore di gelsomino che emanavano lo cullò in uno stato di torpore.

 

 

 

 

 

 

C’erano delle volte, rare ma non abbastanza, in cui aveva degli incubi.

Sognava, per esempio, di sentire una voce tuonare furiosa mentre chiamava un nome che avrebbe dimenticato un attimo prima di svegliarsi. Faceva domande e quando succedeva, sognava di cadere da un’altezza spaventosa. L’aria frustava il suo viso e c’erano ali sulla sua schiena che non riusciva a far funzionare. Cadeva senza nulla a cui aggrapparsi.

 

Altre volte, una pioggia torrenziale lo colpiva e lui cercava nell’acqua che si alzava inesorabile di salvare bambini senza volto.

Ma i più terrificanti erano quelli sul fuoco. Sognava di schiantarsi e finire in una pozza di lava e zolfo. Grandi fornaci e esseri che ne strisciavano fuori, gridando e affondando artigli e zanne nella terra sulfurea. Una volta aveva sognato di entrare in una libreria in fiamme e di chiamare qualcuno per nome senza riuscire a trovarlo e poi…

Quando si svegliava da quei sogni Crowley leggeva, cercava il modo per trovare un  senso a quello che aveva visto. Passava ore, giorni e giorni, sfogliando vecchi libri, bibbie che profumavano d’incenso e salvia e anche se l’odore lo disgustava, non riusciva a fermarsi.

“Crowley?” Non aveva sentito la voce di Anathema finché non era apparsa accanto a lui, troppo intento a leggere un passaggio trovato per caso in una strana bibbia con dei refusi, doveva ammetterlo, piuttosto divertenti. Erano stati i versetti successivi che lo avevano incantato.

 

(E il Signore Dio parlò al cherubino a guardia della porta d’oriente e chiese: “Dov’è la spada folgorante che ti è stata data?”)

 

“Crowley, sono mesi che non esci da casa, sono preoccupata.” La voce di Anathema sembrava, in effetti, piuttosto preoccupata. Ma lui non riusciva smettere. Lei era lontana e sfocata, c’era odore di carne bruciata, non sembrava particolarmente importante. Voleva continuare a leggere.

 

(E il cherubino rispose: “Era qui un attimo fa, devo averla appoggiata da qualche parte. Lascerei in giro anche la testa se non l’avessi attaccata al collo.”)

 

“Crowley, le tue mani!” Strillò Anathema prendendolo improvvisamente per i polsi. Lui si guardò i palmi, rossi e bruciati, i bordi neri e segnati. L’unica cosa che riuscì a fare fu quella di guardare il libro rotolare per terra e avrebbe voluto urlare  Non farlo, a lui non piace quando qualcuno rovina i suoi libri’.

L’unica cosa che riuscì a dire, dopo aver sbattuto le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco quello che lo circondava, era stato un leggero “Oh” confuso.

“E questo come me lo sono fatto?” disse dopo un po’, guardando la ragazza mentre avvolgeva la mani con delle garze madide di unguenti. Anathema corrugò la fronte, lui la guardò mentre muoveva la bocca senza dire una parola, come se avesse qualcosa da dire, ma alla fine rimase in silenzio. C’erano delle sottili rughe d’espressione sul suo viso e Crowley si chiese come fosse possibile che fosse invecchiata così in fretta.

“Perché sei qui nel bel mezzo della notte?”

“Ero preoccupata per te.” Disse lei “Sono mesi che non ti fai vedere.” Ripetè per la seconda volta.

“Scusa.” Disse lui, leggermente a disagio. “Ero occupato.”

“Occupato?”

“Leggevo, c’è qualcosa in quei libri, forse… forse posso capire cosa sta succedendo.”

Anathema lo guardò con uno sguardo triste e lui distolse lo sguardo.

“Cosa sta succedendo, Crowley?”

 

 

 

 

 

 

Questo sogno lo aveva fatto solo ieri sera e era l’unica ragione per cui era ancora sveglio anche se erano passate molte ore dopo la mezzanotte. Era lungo il solito viale, le mani affondate nelle tasche. Un altro pomeriggio nuvoloso ma il sole spuntava di tanto in tanto e illuminava il prato del giardino. Il parco era vuoto ma l’uomo dai capelli biondi era sempre lì, seduto sulla solita panchina.

Eppure, stranamente, questo sogno sembrava diverso. Ad ogni passo verso l’uomo le sue ginocchia tremavano per l’ansia. “Maledizione.” Mormorò stringendo i denti. Sentiva il suo viso sempre più caldo, gli girava la testa, il cuore gli batteva all’impazzata.

 

Il viso dalle curve morbide, gli occhi chiari e tutto il resto. Erano più azzurri del solito, notò Crowley quando fu abbastanza vicino e lui alzò lo sguardo, un sorriso luminoso e un soffice: “Ah, eccoti qui.”

C’erano papaveri intorno a lui, rossi e freschi, dondolavano seguendo la brezza delicata del vento. Erano aumentati a dismisura e forse sarà stato per la pioggia, forse perché il terreno era particolarmente fertile lì, ma la vista di tutto quel rosso gli parve sconcertante.

 

“Stai bene, mi caro?” Domandò quando lui si sedette sulla panchina alla sua sinistra.

“Sì” annuì Crowley “Sto bene.”

“Mi sembri un po’ rosso in faccia, sei malato?”

“Malato?” Si toccò il viso che in effetti era piuttosto caldo.

“Stai tremando, Crowley.”

“Oh,” disse stupidamente, “s-sto bene. Forse… ho solo freddo.”

“Dovresti prenderti più cura di te stesso.” Disse l’altro. Il viso era contorto in un’espressione triste. L’uomo si mosse verso di lui, appoggiando una mano calda contro la sua schiena. Il calore si irradiò dal suo palmo e solo in quei momento Crowley si accorse che stava gelando.

“Io… non sto dormendo bene in questi giorni… settimane… non lo so…” confessò sospirando. “Sto facendo sogni strani, ancora più strani del solito…”

“Mi dispiace, mio caro.” Disse l’uomo distogliendo lo sguardo. “Forse… questo è stato un errore. È colpa mia.”

“No!” Esclamò lui, improvvisamente spaventato all’idea che l’uomo potesse smettere di far visita nei suoi sogni. Immaginò di andare a dormire senza la promessa di rivederlo. Gli si gelò il sangue al solo pensiero.

“Va bene.” Disse il biondo con un’espressione gentile. “Starò con te finché mi vorrai.”

“Sempre angelo, per l’eternità.” Disse stringendogli la mano come se fosse un naufrago e lui la sua unica boa di salvataggio.

Il calore era sparito dal suo viso e lui sospirò sollevato. Tornò, quasi immediatamente, quando l’altro si avvicinò per mettergli un braccio intorno alle spalle e lui appoggiò la testa sul suo petto, come se lo avesse fatto da sempre. Il cuore gli batteva all’impazzata.

 

Eppure… Crowley non sapeva cosa avrebbe dovuto dire. Per la prima volta, durante quei sogni, anche se sapeva già ogni parola che si sarebbero detti, ogni emozione che avrebbe provato, non prestò attenzione a quello che lui o il biondo dicevano. Tutto era confuso e lui poteva solo guardare l’angolo del suo viso, rotondo e morbido.

Sapeva solo che a un tratto l’uomo lo chiamò ma lui non rispose. La sua mano si stava facendo strada lungo i suoi zigomi affilati, passandoci sopra il pollice. Tuttavia, non disse una parola.

Un piccolo sorriso aleggiò sul suo viso, gli occhi brillavano di una luce intensa, blu come il punto in cui mare e cielo si incontravano. Si chinò verso di lui.

“Una confessione?”

Adesso anche Crowley stava sorridendo. Si avvicinò ancora di più a lui. “Forse” disse “Solo se tu vorrai accettarla.”

Il sorriso divenne, se possibile, ancora più dolce.

“Forse lo farò.”

 

 

 

 

 

 

Il rossore era tornato sul suo viso nel momento in cui ricordò il secondo sogno più breve. Nascose la testa sotto il cuscino, imbarazzato per il modo in cui era finito. Ricordava cos’era successo negli istanti prima che si svegliasse: un bacio, dolce e delicato come l’uomo biondo dei suoi sogni. Lento e soffice. Che pian piano era diventato un po’ più urgente, bisognoso e passionale. Finché non si era concluso con altri piccoli baci, questa volta casti, appena accennati.

Aveva sentito le sue labbra formicolare quando si era svegliato, come se fosse appena successo.

“Oh” inspirò profondamente, sospirò piano. Abbracciò l’altro cuscino, quello che aveva l’odore di gelsomino, immaginando che ci fosse qualcuno accanto a lui. Poteva essere?

Gli venne in mente una parola e lui scosse la testa, avvertendo le lacrime che iniziavano a formarsi.

Come potrebbe essere? Cosa… potrebbe essere?

Era ridico il solo pensiero.

Era semplicemente un sogno, una serie di sogni, in cui incontrava e si innamorava di un uomo?

 

Chiuse gli occhi. Sperò di addormentarsi.

Inspirò, profondamente.

Di nuovo, mezzanotte e mezza.

Sospirò, piano.

 

Gli occhi si chiudevano, il corpo lo supplicava di arrendersi, di riposare. Pensò che forse — forse — era arrivato il momento di lasciarsi andare e tornare a sognare. Voleva sentire ancora una volta le labbra morbide dell’uomo dagli impossibili occhi azzurri contro le sue. Il sonno lo prese lentamente. Il rossore ancora vivo sulle sue guance,  il suo cuore stava ancora correndo all’impazzata ma lui lo ignorò. Si concentrò sull’effetto calmante del profumo di gelsomino e finse che qualcuno lo stesse abbracciando finché non si riaddormentò.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

1) Non esiste forza al mondo che riuscirà a fermarmi dal prendere in giro Dante. Sono u'appassionata della Divina Commedia e innamorata del canto quinto, ma è sempre bello prendere in giro quel nasone dallo svenimento facile.

2) Vergogna a chi dice che non so essere romantica.

3) Mi dispiace se gli aggiornamenti sono un po' lenti, tra trasloco, lezioni online e tesi di laurea sto davvero cercando di fare il possibile.

 

Più importante, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e di ricevere altre recensioni con le vostre opinioni. Così, giusto per mettervi ansia, vi ricordo che non mi faccio scrupoli ad uccidere questi due e che dovreste cercare di farmi contenta. 

(Schezo... o forse no? uhmm)

Bacini e bacetti, 

Cyanidelovers

   
 
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