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Autore: Abby_da_Edoras    18/06/2020    3 recensioni
Questa storia nasce da un sogno che ho fatto e sinceramente non avrei mai creduto di tornare a scrivere in questo fandom, eppure... mai dire mai! Questa ff è il sequel della mia storia "Shadows and lights" (ma non è indispensabile averla letta): sono passati più di due anni dalla conquista di Napoli da parte del Re Carlo e dalle atroci esperienze del Principe Alfonso. Nel frattempo il Re è tornato in Francia, lasciando il Generale a guidare il Regno di Napoli in sua vece, ma all'inizio di questa storia il Generale è morto. Il Papa Borgia, allora, non perde l'occasione per ampliare i suoi domini e manda il figlio Juan come "protettore" del Principe Alfonso, perché sia lui a governare Napoli. Il rapporto tra Juan e Alfonso, però, evolverà in maniera inaspettata...
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori della serie TV The Borgias.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alfonso II di Napoli, Altri, Juan Borgia
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Salvation'
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Capitolo quinto: Courage of change

 

See, I let the light in the darkest places
Let the sun shine, pain goes away
Nothing is permanent for me, yeah
Flowers, they bloom and fade away
The beauty, it happened inside of me
Even if it's a memory, yeah

Rain, it pours, rain, it pours
It's pouring on me
The rain, it falls, rain, it falls
Sowing the seeds of love and hope, love and hope
We don't have to stay, stuck in the way

Have I the courage of change?
Have I the courage of change?
Have I the courage of change today?
(Oh)

(“Courage” – Pink)

 

Il dottore incise la ferita di Juan e il giovane strinse più forte la mano di Alfonso, sforzandosi di non gridare troppo per non fargli tornare in mente gli atroci momenti delle sue torture, quando era lui a urlare disperatamente senza nessuno che lo aiutasse. Confuso dal dolore e da altre strane emozioni, Juan si rese vagamente conto del fatto che cercava consapevolmente di non turbare il Principe, che si mostrava più forte di quanto non fosse realmente per lui… ma del resto Alfonso era stato l’unico a preoccuparsi sinceramente delle sue condizioni, se adesso il medico di corte curava la sua ferita era solo merito suo, qualcosa gli doveva, no?

L’intervento non durò così a lungo come Juan temeva, il dottore dei regnanti aragonesi era veramente competente (e lui che si era affidato a quella specie di macellaio, a Roma… era davvero un miracolo che non avesse perduto la gamba!). Dopo aver ripulito e medicato con cura la ferita, il medico la bendò e disse che avrebbe cambiato le medicazioni e la fasciatura la mattina seguente.

“Grazie, io… ti ricompenserò per quello che hai fatto per me” Juan sembrava a disagio anche nel ringraziare il dottore, evidentemente non era abituato nemmeno ad essere cortese, ma nessuno lo era mai stato con lui. Era strano, per la prima volta in tanti mesi, dopo che era stato colpito dalla freccia, la gamba non gli faceva più così male e non sarebbe stato costretto a prendere l’oppio per dormire. Certo, aveva appena subito un’operazione e sentiva la ferita che pulsava, ma era un dolore diverso e molto più sopportabile delle fitte che partivano da lì per poi irraggiarsi per l’intera gamba.

“Non dovete ringraziarmi e nemmeno ricompensarmi, mio signore, ho fatto solo il mio lavoro ed è stato Sua Maestà a chiedermelo” si schermì il dottore. “Bene, ora vi auguro una buona notte di riposo e domattina tornerò per cambiarvi la medicazione.”

L’uomo uscì dalla camera, mentre Juan, senza accorgersene o forse sì, teneva ancora stretta la mano di Alfonso.

E, ora che il momento critico dell’intervento era passato, il Principe ricominciava a sentirsi molto turbato per la vicinanza con il giovane Borgia…

“Come vi sentite adesso, Gonfaloniere? Avete bisogno di qualcosa? Adesso… ecco, devo chiamare i servitori per farvi cambiare le lenzuola del letto, togliere quelle macchiate di sangue e pus e metterne di pulite” fece il ragazzo, parlando velocemente per mascherare l’imbarazzo. “Li chiamerò subito, se desiderate qualcos’altro ditemelo, così ve lo farò portare.”

Juan sorrise, intenerito dalla goffaggine del Principe e, tanto per divertirsi un po’, decise di imbarazzarlo ancora di più!

“Beh, dovresti aiutarmi ad alzarmi, visto che i servi mi cambieranno le lenzuola” gli disse. “Pensi di riuscire a sostenermi?”

Oddio, non sarebbe stato tanto facile, dato che in quel momento era già un problema, per Alfonso, rimanere lui stesso in piedi, tanto si sentiva tremare tutto… però cercò di dominarsi e di aiutare Juan che non aveva poi così bisogno di un sostegno, in realtà gli bastava un piccolo appoggio e poi poteva spostare il peso sulla gamba sinistra. Però il giovane Borgia lo fece apposta a sembrare più malandato di quanto non fosse e, con la scusa di doversi sostenere, strinse a sé il ragazzo che, dal canto suo, sentiva il cuore battergli così forte che si stupiva che non lo udisse tutto il castello.

I servitori arrivarono pochi minuti dopo, era stato il dottore a mandarli, in realtà, e in poco tempo cambiarono e ripulirono il letto di Juan. Se qualcuno si accorse dello sgomento del Principe nello stare praticamente incollato al giovane Borgia che osservava il lavoro dei servi con un sorrisetto soddisfatto, non ne fece parola.

“Mio signore, volete che vi aiutiamo a rimettervi a letto?” chiese uno dei servitori, prima di lasciare la stanza.

“No, grazie, non c’è bisogno” rispose Juan, malizioso. “Sua Maestà è così gentile da offrirmi il suo appoggio, non mi serve altro, potete andare.”

E così Alfonso riaccompagnò Juan a distendersi sul letto, mentre il giovane badava bene a tenerselo stretto e provava un sottile piacere nel sentirlo tremare nel suo abbraccio. Fino a che punto dipendeva da lui quel ragazzo? Anche quella era una sensazione molto positiva e del tutto nuova.

Quando Juan fu ben sistemato nel letto, Alfonso, ormai del tutto scarmigliato, turbato e sconvolto, sebbene non ne capisse il reale motivo, fece per congedarsi.

“Bene, se non avete bisogno di altro vi lascio riposare, Gonfaloniere” disse.

“Sto bene, sì, ma vorrei veramente ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me stasera” replicò il giovane Borgia. “In realtà dovrei essere io a proteggerti e a prendermi cura di te, invece sei stato tu a notare che non camminavo bene e a farmi curare dal tuo medico.”

Quasi distrattamente, Juan, che non aveva mai lasciato il braccio di Alfonso, lo attirò vicino a sé, facendolo sedere accanto a lui sul letto.

“In effetti avevo già notato questo tuo atteggiamento così singolare quando ero venuto a Napoli la prima volta, più di tre anni fa, per portare la proposta di matrimonio di mio fratello Goffredo a Sancha” ricordò il giovane. “Quel giorno non mi trattasti tanto bene, rammento che ti divertivi a provocarmi e a prendermi in giro. Eppure, allo stesso tempo, a tavola imboccavi tuo padre ormai gravemente infermo. Non avevo mai visto una premura simile, le persone di rango lasciano che siano i servitori a occuparsi di certe cose.”

“Sono sempre stato io a dare da mangiare a mio padre, anche negli ultimi giorni, quando era costretto a letto” spiegò Alfonso. Ricordava che anche il Generale era rimasto molto stupito quando lo aveva saputo, ma al Principe pareva una cosa del tutto normale. * “Ho fatto lo stesso per il Generale quando è caduto ammalato. Mi viene naturale occuparmi personalmente delle persone a cui…”

E qui si fermò, rendendosi conto di quello che stava per dire!

Juan sorrise di nuovo e gli accarezzò i capelli scompigliati, indugiando sui ricci scomposti sulla nuca.

“Delle persone a cui tieni, vuoi dire? Mi fa piacere sapere di rientrare in questa categoria” sottolineò, divertito nel vedere il Principe arrossire e distogliere lo sguardo. “E’ comunque una premura insolita, soprattutto in un sovrano, e forse mi sembra ancora più strano perché nella mia famiglia non funziona affatto così, almeno per quanto riguarda me. Per questo mi sono stupito quando mi hai chiesto se stavo bene e ti sei preoccupato di farmi curare la ferita. Sono stato mesi a Roma, sofferente, spesso non riuscivo quasi a camminare e nessuno si è mai degnato di chiedermi come stavo o di offrirsi di chiamare un medico migliore del ciarlatano a cui mi ero rivolto!”

“Beh, scusate se ve lo dico, Gonfaloniere, ma la vostra famiglia non è certo un esempio luminoso di affetto e solidarietà” ribatté Alfonso, pungente. “Ho avuto modo di conoscerla quando vostro padre offrì ospitalità a Re Carlo, durante il viaggio di ritorno in Francia.”

“Hai conosciuto la mia famiglia personalmente? Non sapevo che foste stati ospiti di mio padre, in quel periodo dovevo essere partito per la Spagna” commentò Juan, pensando che, in effetti, gli sarebbe piaciuto avere modo di incontrare il Principe in quel particolare frangente.

“Infatti voi non c’eravate” confermò il ragazzo. “E’ stata davvero un’esperienza spiacevole. Sì, ho avuto modo di rivedere mia sorella Sancha, ma non potevo dirle niente su quello che mi aveva fatto il Re francese perché temevo che lo avrebbe riferito a vostro padre e che Re Carlo sarebbe venuto a saperlo. Ed è stato veramente faticoso riuscire a tenere testa alle trame di vostro padre… si era messo in testa di farmi restare a Roma, adducendo come pretesto che ero troppo debole per viaggiare e che non sarei arrivato sano e salvo fino in Francia. Ma io… eh, no, non ero contento di andare in Francia con il mio aguzzino, certo, ma almeno c’era il Generale che si prendeva cura di me. Non sarei rimasto in quel covo di serpi neanche per… Oh, scusate, sono pur sempre la vostra famiglia!”

Alfonso sembrava davvero imbarazzato per aver, come al solito, parlato troppo, ma Juan scoppiò a ridere.

Covo di serpi mi sembra il modo migliore di definire la famiglia Borgia, in effetti!” ribatté, divertito. “E’ inutile fingere che le cose stiano diversamente, noi non siamo brave persone e non ci facciamo scrupoli a prendere quello che vogliamo. Non c’è un vero affetto tra di noi. Mio padre mi ha sempre favorito, è vero, ma ha anche preteso molto da me. Adesso mi ha offerto un’opportunità invidiabile facendomi diventare protettore e reggente del Regno di Napoli, ma ha anche tenuto a sottolineare che, nel caso le cose non andassero bene, mi farebbe sostituire da Goffredo e Sancha. Non perde occasione per rinfacciarmi i miei fallimenti…”

“Beh, credo che anche mio padre, se vedesse come sono finito, si vergognerebbe di me. Sono stato una delusione, mentre nei suoi piani sarei dovuto diventare un Re temuto e rispettato com’era lui” rifletté Alfonso, tristemente.

“Ecco dunque un’altra cosa che ci accomuna” disse Juan, cercando di alleggerire l’atmosfera e, al contempo, di creare ancora più complicità con il Principe, “entrambi siamo stati una delusione per i nostri padri! Comunque, adesso mi hai messo curiosità: hai avuto modo di osservare la mia famiglia e mi piacerebbe sapere che cosa hai pensato di loro.”

Alfonso titubava. Era già consapevole di essere andato oltre il consentito definendo la famiglia Borgia un covo di serpi, come avrebbe potuto reagire Juan se avesse detto sinceramente quello che pensava di loro? Era una domanda che nascondeva una trappola? Forse il giovane Borgia avrebbe riferito a suo padre le sue parole? Il povero Principe ricordava fin troppo bene quanto dovesse stare attento a ciò che diceva in presenza di Re Carlo… E il Gonfaloniere non aveva appena detto che Rodrigo Borgia avrebbe potuto benissimo sostituirlo con Goffredo e Sancha? In quel caso era chiaro che fine avrebbe fatto lui, il legittimo erede: con ogni probabilità lo stesso Juan era incaricato di ucciderlo.

“Alfonso, puoi essere diretto con me” lo incoraggiò il giovane Borgia, passandogli un braccio attorno alle spalle. “Come avrai capito, non ho una grande opinione della mia famiglia, così come loro non ce l’hanno di me. Non ti ho appena detto che nessuno si è preoccupato della mia ferita? Chissà, magari avrebbero preferito che Ludovico Sforza mi avesse massacrato… tutto ciò che contava, per loro, era che avevo fallito nell’assedio di Forlì, e solo perché l’esercito del Moro ci è arrivato alle spalle!”

Il ragazzo avvertì la rabbia repressa e l’umiliazione nel tono di Juan, la sua frustrazione per essere messo continuamente sotto esame e subire la pressione di una famiglia anaffettiva e troppo esigente e comprese che poteva davvero essere franco con lui.

“Dunque, se posso parlare liberamente, vi dirò che vostro padre mi faceva paura quanto Re Carlo” rivelò Alfonso. “Ero sicuro che, se fossi rimasto a Roma come mi chiedeva, mi avrebbe fatto uccidere per poi prendere il Regno tramite Goffredo e Sancha. E’ stato lui a benedire l’invasione di Napoli da parte dei Francesi, ha sempre fatto il doppio gioco con me o forse voleva solo vendicarsi perché ho rifiutato di sposare la sua preziosa Lucrezia. Non l’avrei voluta in moglie nemmeno per tutto l’oro del mondo, una spocchiosa ipocrita come quella. Sancha è sempre stata una ragazza libera e disinibita e io non mi sono mai scandalizzato dei suoi modi di fare, ma almeno è schietta, sincera. Lucrezia finge di essere una santa e invece… beh, le cose si vengono a sapere anche quaggiù a Napoli.”

Ora Juan era davvero interessato e compiaciuto. Nessuno voleva credergli quando insinuava che Lucrezia fosse una sgualdrina e che mettesse a repentaglio la reputazione della famiglia, ma a quanto pareva Alfonso aveva notato le stesse cose e lo avrebbe ascoltato, se gliene avesse parlato.

Che sensazione meravigliosa avere finalmente qualcuno che lo stava a sentire!

“Insomma la mia famiglia ti sembra pericolosa” lo incoraggiò il giovane. “Per questo, dunque, non ti fidavi di me quando sono arrivato a Napoli?”

“E’ così” ammise Alfonso, “ma adesso ho capito che voi siete diverso da loro. Voglio dire, non metto in dubbio il fatto che anche voi possiate essere spietato e che eliminiate tutti coloro che ritenete un ostacolo, ma almeno non fingete di essere quello che non siete. Quello che mi ha disgustato della vostra famiglia è l’ipocrisia. Vostro padre è il Papa, ma a tutto pensa meno che a servire Dio e fingeva di volermi aiutare quando, in realtà, voleva solo eliminarmi e prendere il Regno di Napoli. Lucrezia vuole apparire una fanciulla modesta e timorosa, ma è tutto l’opposto. E vostro fratello Cesare… santo cielo, quello è il peggiore di tutti e lo dimostrerà non appena ne avrà l’occasione!”

“Cesare ti farebbe più paura di quanta te ne faccia io?” domandò Juan, che in quel momento provava una delle gioie più grandi di tutta la sua vita. Dunque non era solo gelosia, la sua. C’era qualcun altro che aveva visto il marcio dietro la facciata perfettina della sua famiglia!

“Cesare mi mette i brividi solo a guardarlo” disse Alfonso in tono grave. “Ha lo sguardo gelido di un serpente. Appare cortese, elegante, gentile, ma dietro quella facciata non c’è niente, basta guardarlo negli occhi, non ci sono sentimenti di nessun tipo, solo odio, invidia e un’ambizione spaventosa. Se solo fosse libero di agire… non oso nemmeno pensare a cosa potrebbe fare! Credo che sia addirittura più crudele di Re Carlo… infatti è stato lui ad accompagnare i Francesi fino alle porte di Napoli, tre anni fa, per poi scappare sapendo benissimo che c’era la peste!”

Juan era piacevolmente stupito e si rendeva conto di quanto fosse importante che Alfonso sapesse la verità sui Borgia. In quel modo avrebbero potuto veramente fare fronte comune e governare il Regno di Napoli a dispetto delle mire di Cesare. Inoltre provava una dolce sensazione di calore nel sentirsi finalmente ascoltato e compreso. D’impulso, prese il Principe tra le braccia e se lo portò accanto nel letto, per poi baciarlo con un’intensità e un ardore che tolse completamente il fiato ad Alfonso, mandandogli il cuore a mille e infondendogli un languore che gli faceva tremare le gambe. Juan continuò a baciarlo a lungo in modo intimo e profondo, affondando le dita tra i suoi capelli arruffati, accarezzandolo dappertutto e perdendosi nel suo sapore e nel suo dolce tepore. Era qualcosa che non aveva mai provato nei tantissimi rapporti fugaci e sbrigativi con prostitute e donne sposate e in quel momento si rendeva conto di quanto si fosse perso fino a quel giorno. Non avrebbe voluto fermarsi, ma sapeva che doveva farlo, almeno per il momento. Con grande fatica si staccò da Alfonso.

“Vorrei che restassi con me, ma so che non devo sforzare la gamba per qualche giorno, perciò direi che ci dobbiamo fermare qui” mormorò sulla bocca del ragazzo. “Grazie per tutto quello che fai per me, non te ne rendi nemmeno conto, Principino…”

Alfonso, smarrito e devastato da mille emozioni che non conosceva e non capiva nemmeno, per un attimo pensò che sarebbe davvero voluto rimanere lì, stretto al giovane Borgia, perduto e dissolto nel suo abbraccio… poi recuperò un minimo di amor proprio, si rialzò, cercò di rassettarsi alla bell’e meglio e di mostrare una parvenza di dignità.

“Sono… sono molto lieto che stiate bene, Gonfaloniere e… vi auguro una notte di riposo” disse.

Poi, ancora incredulo e stravolto, scappò letteralmente dalla stanza sotto lo sguardo divertito e intenerito di Juan.

Fine capitolo quinto

 

 

* Questo dettaglio è vero ed è una delle cose che ha sempre colpito anche me nella fiction The Borgias: il Principe Alfonso si occupa personalmente di imboccare il padre ed è particolarmente tenero nella scena della sua morte, quando gli parla del pericolo di un’invasione francese, come se lui potesse ascoltarlo e capirlo, e si mette a piangere quando vede che è morto…

   
 
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