Capitolo quinto: Courage of
change
See, I let the light in the darkest places
Let the sun shine, pain goes away
Nothing is permanent for me, yeah
Flowers, they bloom and fade away
The beauty, it happened inside of me
Even if it's a memory, yeah
Rain, it pours, rain, it pours
It's pouring on me
The rain, it falls, rain, it falls
Sowing the seeds of love and hope, love and hope
We don't have to stay, stuck in the way
Have I the courage of change?
Have I the courage of change?
Have I the courage of change today? (Oh)
(“Courage” – Pink)
Il dottore incise la
ferita di Juan e il giovane strinse più forte la mano di Alfonso, sforzandosi
di non gridare troppo per non fargli tornare in mente gli atroci momenti delle
sue torture, quando era lui a urlare disperatamente senza nessuno che lo
aiutasse. Confuso dal dolore e da altre strane emozioni, Juan si rese vagamente
conto del fatto che cercava consapevolmente di non turbare il Principe, che si
mostrava più forte di quanto non fosse realmente per lui… ma del resto Alfonso
era stato l’unico a preoccuparsi sinceramente delle sue condizioni, se adesso
il medico di corte curava la sua ferita era solo merito suo, qualcosa gli
doveva, no?
L’intervento non durò
così a lungo come Juan temeva, il dottore dei regnanti aragonesi era veramente competente
(e lui che si era affidato a quella specie di macellaio, a Roma… era davvero un miracolo che non avesse perduto
la gamba!). Dopo aver ripulito e medicato con cura la ferita, il medico la
bendò e disse che avrebbe cambiato le medicazioni e la fasciatura la mattina
seguente.
“Grazie, io… ti
ricompenserò per quello che hai fatto per me” Juan sembrava a disagio anche nel
ringraziare il dottore, evidentemente non era abituato nemmeno ad essere
cortese, ma nessuno lo era mai stato con lui. Era strano, per la prima volta in
tanti mesi, dopo che era stato colpito dalla freccia, la gamba non gli faceva
più così male e non sarebbe stato costretto a prendere l’oppio per dormire.
Certo, aveva appena subito un’operazione e sentiva la ferita che pulsava, ma
era un dolore diverso e molto più sopportabile delle fitte che partivano da lì
per poi irraggiarsi per l’intera gamba.
“Non dovete
ringraziarmi e nemmeno ricompensarmi, mio signore, ho fatto solo il mio lavoro
ed è stato Sua Maestà a chiedermelo” si schermì il dottore. “Bene, ora vi
auguro una buona notte di riposo e domattina tornerò per cambiarvi la
medicazione.”
L’uomo uscì dalla
camera, mentre Juan, senza accorgersene o forse sì, teneva ancora stretta la
mano di Alfonso.
E, ora che il momento
critico dell’intervento era passato, il Principe ricominciava a sentirsi molto
turbato per la vicinanza con il giovane Borgia…
“Come vi sentite
adesso, Gonfaloniere? Avete bisogno di qualcosa? Adesso… ecco, devo chiamare i
servitori per farvi cambiare le lenzuola del letto, togliere quelle macchiate
di sangue e pus e metterne di pulite” fece il ragazzo, parlando velocemente per
mascherare l’imbarazzo. “Li chiamerò subito, se desiderate qualcos’altro
ditemelo, così ve lo farò portare.”
Juan sorrise,
intenerito dalla goffaggine del Principe e, tanto per divertirsi un po’, decise
di imbarazzarlo ancora di più!
“Beh, dovresti
aiutarmi ad alzarmi, visto che i servi mi cambieranno le lenzuola” gli disse. “Pensi
di riuscire a sostenermi?”
Oddio, non sarebbe stato
tanto facile, dato che in quel momento era già un problema, per Alfonso, rimanere
lui stesso in piedi, tanto si sentiva
tremare tutto… però cercò di dominarsi e di aiutare Juan che non aveva poi così
bisogno di un sostegno, in realtà gli bastava un piccolo appoggio e poi poteva spostare
il peso sulla gamba sinistra. Però il giovane Borgia lo fece apposta a sembrare
più malandato di quanto non fosse e, con la scusa di doversi sostenere, strinse
a sé il ragazzo che, dal canto suo, sentiva il cuore battergli così forte che
si stupiva che non lo udisse tutto il castello.
I servitori
arrivarono pochi minuti dopo, era stato il dottore a mandarli, in realtà, e in
poco tempo cambiarono e ripulirono il letto di Juan. Se qualcuno si accorse
dello sgomento del Principe nello stare praticamente incollato al giovane
Borgia che osservava il lavoro dei servi con un sorrisetto soddisfatto, non ne
fece parola.
“Mio signore, volete
che vi aiutiamo a rimettervi a letto?” chiese uno dei servitori, prima di
lasciare la stanza.
“No, grazie, non c’è
bisogno” rispose Juan, malizioso. “Sua Maestà è così gentile da offrirmi il suo
appoggio, non mi serve altro, potete andare.”
E così Alfonso
riaccompagnò Juan a distendersi sul letto, mentre il giovane badava bene a
tenerselo stretto e provava un sottile piacere nel sentirlo tremare nel suo
abbraccio. Fino a che punto dipendeva da lui quel ragazzo? Anche quella era una
sensazione molto positiva e del tutto nuova.
Quando Juan fu ben
sistemato nel letto, Alfonso, ormai del tutto scarmigliato, turbato e
sconvolto, sebbene non ne capisse il
reale motivo, fece per congedarsi.
“Bene, se non avete
bisogno di altro vi lascio riposare, Gonfaloniere” disse.
“Sto bene, sì, ma
vorrei veramente ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me stasera”
replicò il giovane Borgia. “In realtà dovrei essere io a proteggerti e a
prendermi cura di te, invece sei stato tu a notare che non camminavo bene e a
farmi curare dal tuo medico.”
Quasi distrattamente,
Juan, che non aveva mai lasciato il braccio di Alfonso, lo attirò vicino a sé,
facendolo sedere accanto a lui sul letto.
“In effetti avevo già
notato questo tuo atteggiamento così singolare quando ero venuto a Napoli la
prima volta, più di tre anni fa, per portare la proposta di matrimonio di mio
fratello Goffredo a Sancha” ricordò il giovane. “Quel giorno non mi trattasti tanto
bene, rammento che ti divertivi a provocarmi e a prendermi in giro. Eppure,
allo stesso tempo, a tavola imboccavi tuo padre ormai gravemente infermo. Non
avevo mai visto una premura simile, le persone di rango lasciano che siano i
servitori a occuparsi di certe cose.”
“Sono sempre stato io
a dare da mangiare a mio padre, anche negli ultimi giorni, quando era costretto
a letto” spiegò Alfonso. Ricordava che anche il Generale era rimasto molto
stupito quando lo aveva saputo, ma al Principe pareva una cosa del tutto normale.
* “Ho fatto lo stesso per il
Generale quando è caduto ammalato. Mi viene naturale occuparmi personalmente
delle persone a cui…”
E qui si fermò,
rendendosi conto di quello che stava per dire!
Juan sorrise di nuovo
e gli accarezzò i capelli scompigliati, indugiando sui ricci scomposti sulla
nuca.
“Delle persone a cui
tieni, vuoi dire? Mi fa piacere sapere di rientrare in questa categoria”
sottolineò, divertito nel vedere il Principe arrossire e distogliere lo
sguardo. “E’ comunque una premura insolita, soprattutto in un sovrano, e forse
mi sembra ancora più strano perché nella mia famiglia non funziona affatto
così, almeno per quanto riguarda me. Per questo mi sono stupito quando mi hai
chiesto se stavo bene e ti sei preoccupato di farmi curare la ferita. Sono
stato mesi a Roma, sofferente, spesso non riuscivo quasi a camminare e nessuno
si è mai degnato di chiedermi come stavo o di offrirsi di chiamare un medico
migliore del ciarlatano a cui mi ero rivolto!”
“Beh, scusate se ve
lo dico, Gonfaloniere, ma la vostra famiglia non è certo un esempio luminoso di
affetto e solidarietà” ribatté Alfonso, pungente. “Ho avuto modo di conoscerla
quando vostro padre offrì ospitalità a Re Carlo, durante il viaggio di ritorno
in Francia.”
“Hai conosciuto la
mia famiglia personalmente? Non sapevo che foste stati ospiti di mio padre, in
quel periodo dovevo essere partito per la Spagna” commentò Juan, pensando che,
in effetti, gli sarebbe piaciuto avere modo di incontrare il Principe in quel
particolare frangente.
“Infatti voi non c’eravate”
confermò il ragazzo. “E’ stata davvero un’esperienza spiacevole. Sì, ho avuto
modo di rivedere mia sorella Sancha, ma non potevo dirle niente su quello che
mi aveva fatto il Re francese perché temevo che lo avrebbe riferito a vostro
padre e che Re Carlo sarebbe venuto a saperlo. Ed è stato veramente faticoso
riuscire a tenere testa alle trame di vostro padre… si era messo in testa di
farmi restare a Roma, adducendo come pretesto che ero troppo debole per
viaggiare e che non sarei arrivato sano e salvo fino in Francia. Ma io… eh, no,
non ero contento di andare in Francia con il mio aguzzino, certo, ma almeno c’era
il Generale che si prendeva cura di me. Non sarei rimasto in quel covo di serpi
neanche per… Oh, scusate, sono pur sempre la vostra famiglia!”
Alfonso sembrava
davvero imbarazzato per aver, come al solito, parlato troppo, ma Juan scoppiò a
ridere.
“Covo di serpi mi sembra il modo migliore di definire la famiglia
Borgia, in effetti!” ribatté, divertito. “E’ inutile fingere che le cose stiano
diversamente, noi non siamo brave persone e non ci facciamo scrupoli a prendere
quello che vogliamo. Non c’è un vero affetto tra di noi. Mio padre mi ha sempre
favorito, è vero, ma ha anche preteso molto da me. Adesso mi ha offerto un’opportunità
invidiabile facendomi diventare protettore e reggente del Regno di Napoli, ma ha
anche tenuto a sottolineare che, nel caso le cose non andassero bene, mi
farebbe sostituire da Goffredo e Sancha. Non perde occasione per rinfacciarmi i
miei fallimenti…”
“Beh, credo che anche
mio padre, se vedesse come sono finito, si vergognerebbe di me. Sono stato una
delusione, mentre nei suoi piani sarei dovuto diventare un Re temuto e
rispettato com’era lui” rifletté Alfonso, tristemente.
“Ecco dunque un’altra
cosa che ci accomuna” disse Juan, cercando di alleggerire l’atmosfera e, al contempo,
di creare ancora più complicità con il Principe, “entrambi siamo stati una
delusione per i nostri padri! Comunque, adesso mi hai messo curiosità: hai
avuto modo di osservare la mia famiglia e mi piacerebbe sapere che cosa hai
pensato di loro.”
Alfonso titubava. Era
già consapevole di essere andato oltre il consentito definendo la famiglia
Borgia un covo di serpi, come avrebbe
potuto reagire Juan se avesse detto sinceramente quello che pensava di loro?
Era una domanda che nascondeva una trappola? Forse il giovane Borgia avrebbe
riferito a suo padre le sue parole? Il povero Principe ricordava fin troppo
bene quanto dovesse stare attento a ciò che diceva in presenza di Re Carlo… E
il Gonfaloniere non aveva appena detto che Rodrigo Borgia avrebbe potuto
benissimo sostituirlo con Goffredo e Sancha? In quel caso era chiaro che fine
avrebbe fatto lui, il legittimo erede: con ogni probabilità lo stesso Juan era
incaricato di ucciderlo.
“Alfonso, puoi essere
diretto con me” lo incoraggiò il giovane Borgia, passandogli un braccio attorno
alle spalle. “Come avrai capito, non ho una grande opinione della mia famiglia,
così come loro non ce l’hanno di me. Non ti ho appena detto che nessuno si è
preoccupato della mia ferita? Chissà, magari avrebbero preferito che Ludovico
Sforza mi avesse massacrato… tutto ciò che contava, per loro, era che avevo
fallito nell’assedio di Forlì, e solo perché l’esercito del Moro ci è arrivato
alle spalle!”
Il ragazzo avvertì la
rabbia repressa e l’umiliazione nel tono di Juan, la sua frustrazione per
essere messo continuamente sotto esame e subire la pressione di una famiglia
anaffettiva e troppo esigente e comprese che poteva davvero essere franco con
lui.
“Dunque, se posso
parlare liberamente, vi dirò che vostro padre mi faceva paura quanto Re Carlo”
rivelò Alfonso. “Ero sicuro che, se fossi rimasto a Roma come mi chiedeva, mi
avrebbe fatto uccidere per poi prendere il Regno tramite Goffredo e Sancha. E’
stato lui a benedire l’invasione di Napoli da parte dei Francesi, ha sempre
fatto il doppio gioco con me o forse voleva solo vendicarsi perché ho rifiutato
di sposare la sua preziosa Lucrezia. Non l’avrei voluta in moglie nemmeno per
tutto l’oro del mondo, una spocchiosa ipocrita come quella. Sancha è sempre
stata una ragazza libera e disinibita e io non mi sono mai scandalizzato dei
suoi modi di fare, ma almeno è schietta, sincera. Lucrezia finge di essere una
santa e invece… beh, le cose si vengono a sapere anche quaggiù a Napoli.”
Ora Juan era davvero
interessato e compiaciuto. Nessuno voleva credergli quando insinuava che
Lucrezia fosse una sgualdrina e che
mettesse a repentaglio la reputazione della famiglia, ma a quanto pareva
Alfonso aveva notato le stesse cose e lo avrebbe ascoltato, se gliene avesse
parlato.
Che sensazione
meravigliosa avere finalmente qualcuno che lo stava a sentire!
“Insomma la mia
famiglia ti sembra pericolosa” lo incoraggiò il giovane. “Per questo, dunque,
non ti fidavi di me quando sono arrivato a Napoli?”
“E’ così” ammise
Alfonso, “ma adesso ho capito che voi siete diverso da loro. Voglio dire, non
metto in dubbio il fatto che anche voi possiate essere spietato e che
eliminiate tutti coloro che ritenete un ostacolo, ma almeno non fingete di
essere quello che non siete. Quello che mi ha disgustato della vostra famiglia
è l’ipocrisia. Vostro padre è il Papa, ma a tutto pensa meno che a servire Dio
e fingeva di volermi aiutare quando, in realtà, voleva solo eliminarmi e
prendere il Regno di Napoli. Lucrezia vuole apparire una fanciulla modesta e
timorosa, ma è tutto l’opposto. E vostro fratello Cesare… santo cielo, quello è
il peggiore di tutti e lo dimostrerà non appena ne avrà l’occasione!”
“Cesare ti farebbe
più paura di quanta te ne faccia io?” domandò Juan, che in quel momento provava
una delle gioie più grandi di tutta la sua vita. Dunque non era solo gelosia,
la sua. C’era qualcun altro che aveva visto il marcio dietro la facciata perfettina
della sua famiglia!
“Cesare mi mette i
brividi solo a guardarlo” disse Alfonso in tono grave. “Ha lo sguardo gelido di
un serpente. Appare cortese, elegante, gentile, ma dietro quella facciata non c’è
niente, basta guardarlo negli occhi, non ci sono sentimenti di nessun tipo,
solo odio, invidia e un’ambizione spaventosa. Se solo fosse libero di agire…
non oso nemmeno pensare a cosa potrebbe fare! Credo che sia addirittura più
crudele di Re Carlo… infatti è stato lui ad accompagnare i Francesi fino alle
porte di Napoli, tre anni fa, per poi scappare sapendo benissimo che c’era la
peste!”
Juan era
piacevolmente stupito e si rendeva conto di quanto fosse importante che Alfonso
sapesse la verità sui Borgia. In quel modo avrebbero potuto veramente fare
fronte comune e governare il Regno di Napoli a dispetto delle mire di Cesare.
Inoltre provava una dolce sensazione di calore nel sentirsi finalmente
ascoltato e compreso. D’impulso, prese il Principe tra le braccia e se lo portò
accanto nel letto, per poi baciarlo con un’intensità e un ardore che tolse
completamente il fiato ad Alfonso, mandandogli il cuore a mille e infondendogli
un languore che gli faceva tremare le gambe. Juan continuò a baciarlo a lungo in
modo intimo e profondo, affondando le dita tra i suoi capelli arruffati, accarezzandolo
dappertutto e perdendosi nel suo sapore e nel suo dolce tepore. Era qualcosa
che non aveva mai provato nei tantissimi rapporti fugaci e sbrigativi con
prostitute e donne sposate e in quel momento si rendeva conto di quanto si
fosse perso fino a quel giorno. Non avrebbe voluto fermarsi, ma sapeva che
doveva farlo, almeno per il momento. Con grande fatica si staccò da Alfonso.
“Vorrei che restassi con me, ma so che non
devo sforzare la gamba per qualche giorno, perciò direi che ci dobbiamo fermare
qui” mormorò sulla bocca del ragazzo. “Grazie per tutto quello che fai per me,
non te ne rendi nemmeno conto, Principino…”
Alfonso, smarrito e devastato da mille
emozioni che non conosceva e non capiva nemmeno, per un attimo pensò che sarebbe
davvero voluto rimanere lì, stretto al giovane Borgia, perduto e dissolto nel
suo abbraccio… poi recuperò un minimo di amor proprio, si rialzò, cercò di
rassettarsi alla bell’e meglio e di mostrare una parvenza di dignità.
“Sono… sono molto
lieto che stiate bene, Gonfaloniere e… vi auguro una notte di riposo” disse.
Poi, ancora incredulo
e stravolto, scappò letteralmente dalla stanza sotto lo sguardo divertito e
intenerito di Juan.
Fine capitolo quinto
* Questo dettaglio è vero ed è una delle cose che ha
sempre colpito anche me nella fiction The Borgias: il
Principe Alfonso si occupa personalmente di imboccare il padre ed è particolarmente
tenero nella scena della sua morte, quando gli parla del pericolo di un’invasione
francese, come se lui potesse ascoltarlo e capirlo, e si mette a piangere
quando vede che è morto…