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Autore: RosaRossa_99_    18/06/2020    1 recensioni
"Vado in camera mia…"
Dissi alzandomi dalla sedia
"È un invito?"
Lo guardai malamente
"Ti ringrazio per avermi fatto passare una 'splendida' mattinata"
Virgolettai 'splendida' con le dita, per poi girarmi e andarmene
"Vedrai il pranzo allora!"
Era assolutamente, estremamente odioso.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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POV Sophie

Strinsi gli occhi, sentendo del bruciore al lato della testa. Aprii leggermente le palpebre, richiudendole subito dopo per via della luce accecante, e mi portai una mano sugli occhi, sfregandoli e cercando di fare andare via quella sensazione di intorpidimento. Riaprii lentamente gli occhi, iniziando a guardarmi intorno la stanza dalle pareti color panna, una stanza che non era la mia.

Mi alzai di colpo, procurandomi un capogiro alla testa che per un attimo mi fece vedere nero. Ero su un letto ben fatto, dalle lenzuola in lino di un rosa pallido; la finestra da cui entrava tutta la luce mostrava un paesaggio rupestre, con una valle verde e con delle montagne lontane; ma oltre a questo, non c’era né una casa né segni di civiltà.

Scesi dal letto, toccando con la punta dei piedi nudi il pavimento freddo, che mi mandò una scarica di brividi lungo la schiena; barcollante iniziai a girovagare, cercando di fare mente locale su dove fossi e come ci fossi arrivata soprattutto. La mia immagine riflessa su uno specchio catturò la mia attenzione, così mi avvicinai, notando come una banda macchiata leggermente di rosso mi avvolgesse la fronte: probabilmente era dovuto a questo il bruciore per cui mi ero svegliata. La spostai attentamente verso l’alto, scoprendo un taglio ricucito alla perfezione sul lato della mia fronte, e guardando quello ricordai. Degli uomini avevano fatto irruzione in casa, quando stavo parlando con Stefan e avevano bloccato mio padre e poi tramortito me con un colpo alla testa. Sudore freddo iniziò a percorrermi il corpo, se prima ero spaventata ora ero terrorizzata.

Notai all’angolo della stanza dei vestiti perfettamente piegati e stirati, con sopra un bigliettino con scritto in una calligrafia perfetta e pulita

 

/ Non appena sarai sveglia, cambiati e scendi al piano terra.

Non vedo l’ora di conoscerti, papà /

 

Il bigliettino cadde a terra, svolazzando con un movimento ondulato prima di finire ai miei piedi. Cesare Moretti mi aveva trovato. E questo voleva dire che né mio padre, quello che consideravo il mio vero padre, non era al sicuro e tanto meno Stefan. Sapeva che qualcosa non andava, considerando che era al telefono con me e aveva sentito tutto, e probabilmente era già sulle nostre tracce… il che era incoraggiante, sapevo quanto era bravo nel suo lavoro e sapevo che avrebbe fatto di tutto pur di ritrovarmi. Ma sapevo anche che era solo.

Lasciai perdere i vestiti, infilandomi solo le scarpe e scendendo con i vestiti macchiati di sangue, quelli con cui mi ero addormentata a casa mia.

Prima di uscire, notai una penna stilografica su una scrivania e l’afferrai, incastrandola nell’elastico dei pantaloncini e coprendola con la maglietta. Almeno avrei potuto usarla come arma per difendermi, anche se non era mortale, ma di sicuro avrebbe fatto male infilzata nel punto giusto e con la giusta forza.

Aprii la porta, cercando di non fare rumore, e guardai il lungo corridoio vuoto, aspettando qualche minuto per vedere se arrivava qualcuno, cosa che non avvenne. Cautamente cercai con lo sguardo le scale, trovandole poco più avanti sulla destra. La casa sembrava una residenza estiva di campagna, dai pavimenti in marmo e dipinti ottocenteschi appesi sulle pareti, le scale avevano il corrimano con motivi dorati ed erano percorse da un tappeto grigio perla, perfettamente pulito e lucente. Scesi le scale, cercando di non fare rumore, aiutata dal tappeto che attutiva i miei passi, e mi ritrovai in una grande hall, anche questa piena di dipinti e statue

 

“Ti sei svegliata a quanto pare”

 

Ero troppo impegnata a studiare l’ambiente intorno a me per rendermi conto della presenza alle mie spalle. Mi girai di scatto, guardando l’ultima persona che mi sarei mai aspettata di rivedere, osservarmi con un angolo della bocca alzato

 

“Tu...”
 

Il ragazzo di cui mi fidavo e che poi si era rivelato una serpe era davanti a me, con le braccia conserte e poggiato sullo stipite della porta. Dave.

 

“Da tanto che non ci vediamo, eh Sophie?”
 

Iniziai ad avanzare con i pugni serrati, pronta a sferrargli un destro sulla mascella, che gli avrebbe di sicuro tolto quel ghigno dal suo bel visino

 

“Dave! Sophie!”
 

Una terza voce fece bloccare i miei passi. Lanciai un ultimo sguardo di fuoco verso il biondino, che dopo avermi lanciato un ultimo ghigno se ne andò, lasciandomi sola con lo sconosciuto. Presi un respiro profondo prima di girarmi lentamente, facendo scontrare il mio sguardo con un uomo sulla quarantina, con il viso solcato da profonde rughe, e due occhi perforanti.

Rimasi immobile, e lui iniziò ad avvicinarsi, fin quando non fu di fronte a me. Il suo sguardo severo si addolcì di colpo e gettò le sue grosse braccia intorno alla mia vita, tirandomi sul suo petto in un abbraccio. Rimasi impassibile, cercando di prendere la mia arma

 

“Bambina mia… sei così… sei uguale a lei...”
 

Mi bloccai di colpo. Quell’uomo non era un uomo qualsiasi. Quello era Cesare Moretti, il mio vero padre.

Mi scostò dal suo corpo, tenendomi per le spalle e osservandomi, studiando il mio viso

 

“Sei così bella… hai i suoi occhi, e i suoi capelli… però il naso è tutto il mio”

 

Aveva gli occhi lucidi, come se fosse veramente emozionato di vedermi. Ma io non mi sarei fatta abbindolare così facilmente, non conoscevo quest’uomo. Non mi aveva cresciuto lui, Elia lo aveva fatto, non mi aveva protetto, non aveva protetto la mamma, Elia lo aveva fatto. Per me quest’uomo non era altro che una persona qualunque.

 

“Dov’è mio padre”
 

Dissi decisa, guardandolo negli occhi. Lui aggrottò le sopracciglia

 

“Sophie, sono i-”

 

Non lo lasciai finire

 

“Il mio vero padre, dov’è Elia”

 

I suoi occhi di colpo si fecero di ghiaccio, e la sua presa sulle mie spalle si strinse un attimo, prima di lasciarmi andare

 

“Non è tuo padre. Lui ti ha, vi ha, portato via da me. Avrà quel che si merita”

 

Iniziai a sentire la rabbia ribollire in me, e sta volta non mi fermai. Afferrai la penna con un movimento veloce, alzando il braccio e puntando contro il suo collo. Ma la sua mano fu più veloce della mia, fermando il mio movimento e afferrandomi e torcendomi il polso, facendo cadere la penna per terra e poi le mie ginocchia per il dolore

 

“Cosa credevi di fare, mocciosa? Inizia a portarmi un po' di rispetto, o te ne pentirai”

 

Sputò fra i denti, continuando a girarmi il polso e procurandomi un urlo di dolore e lacrime copiose. Stringendo i denti riuscii a dire

 

“Ci credo che mia mamma è scappata da te”

 

I suoi occhi si fecero di fuoco, e con uno strattone mi fece finire per terra, lasciando andare il mio polso indolenzito, che afferrai con l’altra mano per cercare di placare il dolore

 

“DAVE!”

 

Dall’altra stanza comparve il ragazzo

 

“Riportela nella sua stanza e fasciale quel polso”

 

Lui annuì in silenzio, avvicinandosi e porgendomi una mano che rifiutai, tirandomi su da sola

 

“Non ho bisogno né tanto meno voglio il tuo aiuto”

 

Ricominciai a salire le scale, infilandomi nella stanza, che sbattei con forza. Subito dopo questa venne aperta da un Dave arrabbiato

 

“Ti ho già detto che non voglio il tuo aiu-”

 

Una sberla mi fece girare la testa. Mi portai una mano sul labbro spaccato, leccando il sangue che iniziò ad uscire, gocciolando sulla maglia già sporca

 

“Vieni in bagno”
 

Lo seguii senza più parlare, troppo impaurita da un suo altro attacco improvviso. Mi fece cenno di sedermi sul ripiano elegante del lavabo, ma io rimasi inchiodata sulla porta, così lui mi afferrò dal polso già dolorante, tirandomi in avanti e alzandomi dai fianchi, facendomi sedere con poca delicatezza sul ripiano freddo. Aprii il rubinetto e vi bagnò un panno, avvicinandolo alla mia bocca, ma io mi ritrassi

 

“Non volevo colpirti così forte”
 

Lo guardai in silenzio. Lui sospirò riavvicinando il panno al taglio, iniziando a tamponarlo con delicatezza, ripulendo il sangue che era colato fino al mento. Lo osservai in silenzio, troppo spaventata per parlare, mentre lui mi muoveva come fossi una marionetta priva di vita. Dopo aver messo un cerotto apposito sul labbro, si chinò prendendo una cassetta di primo soccorso e afferrò il mio polso, rigirandoselo fra le mani e osservandolo, procurandomi una smorfia di dolore

 

“Non è rotto, ma hai una slogatura quindi dovrai tenerlo a riposo”
 

Iniziò a fasciarlo con delle bende ed io mi decisi a parlare

 

“Perché…”

 

Lui si bloccò per un momento, guardandomi negli occhi

 

“Perché sono qui con tuo padre? Volevo vendicarmi di Stefan. Mi ha fatto perdere il lavoro e diseredare dalla mia famiglia…”

 

Iniziò a stringere il polso gradatamente, procurandomi nuove fitte di dolore. Non ne avevo la più pallida idea…

 

“Dopo l’ultima volta che ci siamo visti ho incontrato Aron, il padre di Stefan, e abbiamo iniziato a parlare, dicendo di rivolgermi a lui per qualsiasi cosa. Dopo aver perso tutto così l’ho chiamato e lui mi ha fatto investigare un po' su di te e su Elia… essendo già venuto in questa casa per me era semplice muovermi e così ho scoperto che tu eri esattamente quello che Aron cercava. Tuo padre mi ha promesso che se mi fossi unito a lui, allora avrei potuto averti… e avrei potuto uccidere Stefan. Mi sembra equo, no? Lui mi ha portato via tutto, e ora farò la stessa cosa con lui”
 

Lo guardai con gli occhi spalancati. Come poteva permettere una cosa del genere? Ero pur sempre sua figlia… come poteva svendermi come un oggetto qualsiasi? E poi che c’entrava Aron con mio padre?

 

“Non mi avrai mai, Dave”

 

Sussurrai, cercando di tenere a bada le lacrime. Lui ghignò, un ghigno malefico

 

“Ed è proprio qui che ti sbagli principessa… non c’è più Stefan a proteggerti, non c’è più Elia. Sei sola, sola e indifesa”
 

“Stefan mi troverà e quando lo farà-”
 

“Quando lo farà verrà accolto da cinquanta uomini armati fino alla punta del naso”
 

Disse toccandomi il mio, come se fossi una bambina

 

“Ed io sarò il primo di quelli”

 

Sgranai gli occhi. Non c’era via di uscita, se lui fosse venuto qui lo avrebbero fatto fuori, e io non avrei potuto farci niente. Ero sola, per la prima volta, ero davvero sola.

 

“Ora lavati, sei sudicia da far schifo. E cerca di essere più educata con tuo padre, abbiamo precisi ordini su ogni tuo atto di ribellione”

 

Disse con un sorriso malefico, spostandomi e tirandomi giù dal mobile. Non riuscii più a contenere le mie lacrime che presero ad uscire copiose dai miei occhi

 

“Avanti? Che stai aspettando?”

 

Le mie mani tremanti arrivarono al bordo della maglietta, tirandola sopra la testa e lasciandomi con il petto scoperto, che coprii tremante con le braccia. Magari se non avessi combattuto le cose sarebbero state più facili per me…

 

“Visto quanto è stato semplice addomesticarti? Ora sotto la doccia, e indossa il completino rosa. Sta notte recupereremo, non preoccuparti”

 

Disse accarezzandomi sotto il seno, facendomi venire la pelle d’oca per il ribrezzo. Non appena se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle, mi accasciai per terra, portandomi le ginocchia al petto e nascondendoci il viso, lasciandomi andare in un pianto disperato.

 

 

Mi guardai allo specchio, mi sentivo un corpo privato della sua anima, pieno di lividi e ormai rotto in mille pezzi. La guancia e il labbro rossi e gonfi, il taglio marcato sulla fronte, il polso ormai di un colore livido. Indossai il vestito che era stato posizionato sul mio letto, con la biancheria rosa di pizzo: sembravo una bambola, una bambola rotta. Il vestito era anch’esso rosa, di un rosa confetto, con un’ampia gonna a ruota e con un grosso fiocco sulla schiena e il corpetto in pizzo ricamato. Sembravo una bambina, forse quello che si proclamava come mio padre avendo perso la mia infanzia voleva riviverla ora, vestendomi e trattandomi da bambina.

Indossai le ballerine, lasciando i capelli bagnati sulle spalle, non preoccupandomi neanche di pettinarli, per poi scendere le scale, ritornando nella stanza in cui avevo il primo incontro con i due mostri.

Mi fermai nel mezzo della stanza, abbassando la testa e incrociando le braccia sul mio corpo, cercando di confortarmi in qualche modo

 

“Potevi anche metterlo un po' di trucco… sei bianca cadaverica in viso e quel livido non ti dona per niente”
 

Strinsi di più le mani sui miei fianchi, infilzandovi le unghia per controllarmi dal fare qualcosa di stupido

 

“Vedo che hai imparato a stare al tuo posto. Vieni, la cena è pronta”

 

Quante ore erano passate? Quando ci avevano rapito era quasi l’alba… quanto avevo dormito?

Lo seguii a distanza di due metri, tenendo sempre la testa bassa. Entrammo in una stanza da pranzo con un tavolo in ciliegio apparecchiato alla perfezione e sormontato da lampadari di cristalli

 

“Bambina mia, vieni accomodati accanto a tuo padre”

 

Dave, vedendo che non mi ero ancora mossa, mi spinse dalla base della schiena, facendomi sedere nella sedia alla sinistra di Cesare, e prendendo posto accanto a me. Subito dopo un piatto pieno di cibo mi venne posizionato davanti, aveva l’aspetto parecchio invitante ma nonostante questo il mio stomaco era chiuso. Rimasi con lo sguardo sul piatto, non azzardandomi ad alzarlo

 

“Mangia, hai già saltato il pranzo”
 

Scossi leggermente la testa

 

“Ho detto MANGIA!”

 

Cesare urlò, sbattendo violentemente un pugno sul tavolo, facendo cadere alcuni calici e facendoli rompere. Singhiozzai, afferrando con mano tremante la forchetta e iniziando a prendere bocconi piccoli, mandando indietro la nausea

 

“Brava, bambina”
 

Dopo qualche minuto la grossa porta si spalancò e io alzai lo sguardo, sbiancando di colpo e alzandomi, ma Dave mi afferrò le spalle, facendomi rimanere seduta

 

“Oh, guarda chi si è unito a questa cena di famiglia”

 

Cesare fece cenno ai due uomini di far sedere l’uomo, quasi irriconoscibile, sulla sedia di fronte la mia

 

“Papà...”

 

Sussurrai, incominciando a piangere e cercando nuovamente di alzarmi, ma non riuscendo a causa di Dave.

 

“S-sophie”

 

Mio padre tossì, sputando sangue che finì sulla tovaglia avorio macchiandola. Il suo volto sporco quasi irriconoscibile, un occhio gonfio e chiuso, il naso totalmente sfracellato. Lo avevano torturato, e ora avevano deciso di torturare me, mostrandomelo

 

“Cosa gli hai fatto!”

 

Urlai contro Cesare, che si fermò con la forchetta sospesa a mezz’aria

 

“Non osare alzare la voce con me”
 

“Cosa gli hai fatto! Ti prego! Lascialo andare! Ha bisogno di un medico”

 

I singhiozzi erano tornati prepotenti e le lacrime che mi appannavano la vista, mi rendevano la visione dell’uomo accasciato sulla sedia più sopportabile

 

“Ti prego… Dave! Ti prego, aiutalo! Farò qualsiasi cosa! Te lo giuro! Non combatterò più, farò tutto quello che vuoi! Ma aiutalo, ti prego”

 

Cercai pietà verso Dave, sapendo che se solo avesse voluto avrebbe potuto aiutarlo

 

“Allora, bambina. Raccontami un po' cosa mi sono perso in tutti questi anni”

 

“C-cosa… no, no. Ti prego… aiutalo”

 

Faceva finta di non sentire, di non vedere l’uomo mezzo morente e la mia disperazione

 

“Rispondi alla domanda, Sophie”

 

Scossi la testa, e mio padre sospirò, facendo cenno ad uno dei due uomini che si avvicinò a mio padre, iniziando a colpirlo ripetutamente

 

“NO!! FERMI! VI PREGO! PAPA’!”

 

Cesare alzò una mano e l’uomo si fermò

 

“Mi dispiace, mi dispiace”
 

Sussurrai in lacrime a mio padre, che con la poca forza che aveva mi sorrise, come per perdonarmi e dirmi di stare tranquilla. Lo avrebbero usato come arma contro di me, mi avevano in pugno

 

“Quindi? Un fidanzatino c’è?”

 

Ricominciai a piangere

 

“N-no”
 

Mio padre si protese in avanti, corrugando le sopracciglia

 

“Non ti hanno detto che le bugie non si dicono?”
 

Fece segno a Dave, che prontamente mi diede un pugno sullo stomaco. Se avessi mangiato un po' di più avrei di sicuro vomitato. Mi piegai in due, mordendomi il labbro con forza fino a farlo sanguinare

 

“N-no, S-s-sop-hie”

 

Mio padre cercò di parlare, tra un colpo di tosse e l’altro

 

“S-sto bene”

 

Lo rassicurai

 

“Stefan, non è così? Ho sentito tante cose su di lui. Mi chiedo quanto ancora ci metterà a trovarti… alla fine è abbastanza logico no?”

 

Lo guardai spaesata, continuando a mantenere lo stomaco

 

“Bentornata a casa, Sofia! Sei in Italia, dove tua madre è nata: Viterbo”

 

Sbiancai di colpo, i miei occhi rotearono all’indietro e caddi dalla sedia.

 

 

 

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Si, so di essere scomparsa, ma è stato un periodo pieno. Ho avuto esami no stop e non ho avuto il tempo di scrivere… ma eccoci qui.

Ps preparatevi al prossimo capitolo che sarà bello tosto :)

A prestissimo…

XX

-R

 

   
 
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