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Autore: Sabriel Schermann    18/06/2020    6 recensioni
Seduta sul sedile di un anonimo treno diretto a nord, le parve, per un attimo, che le righe del libro che stava leggendo si riferissero proprio alla sua storia.
Dopotutto, quello era uno dei motivi per cui aveva intrapreso quel viaggio: aveva deciso di festeggiare la festa del Tanabata con Yuma, relegando deliberatamente il padre nella piccola casa di Kyoto attraverso la plausibile scusa dell'imminente partenza del cugino.
[Storia scritta per la challenge indetta sulla pagina Facebook "Punto&Virgola"]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Brevi note riguardo al testo: la storia è ambientata in Giappone, nella città di Sendai, conosciuta anche col soprannome di “città degli alberi”.
In quest'ultima si festeggia solitamente il più famoso festival di Tanabata (“Festa delle stelle”, da cui il titolo), che consiste in una festa tradizionale giapponese in cui le strade si illuminano delle tipiche luci delle lampade di carta; tra le principali decorazioni ci sono anche i tanzaku, piccole strisce di carta colorata su cui si possono scrivere i propri desideri e/o preghiere, appendendole a dei rami di bambù.
Il personaggio di Yuma è liberamente ispirato a Yuzuru Hanyu: apparentemente non riesco più a scrivere nulla che non abbia a che fare con il pattinaggio artistico.










Viaggio verso le stelle








Indipendentemente da come è trascorsa la nostra infanzia, ognuno di noi ha il compito di sviluppare una sana autostima.
Le premesse in base alle quali dobbiamo affrontare questo compito sono evidentemente diverse: c'è chi fin dall'infanzia ha ricevuto sufficiente fiducia nella vita e in se stesso, e c'è chi invece da bambino è stato sminuito e svalorizzato, per cui farà più fatica a realizzare il proprio compito.¹
Seduta sul sedile di un anonimo treno diretto a nord, le parve, per un attimo, che le righe del libro che stava leggendo si riferissero proprio alla sua storia.
Dopotutto, quello era uno dei motivi per cui aveva intrapreso quel viaggio: aveva deciso di festeggiare la festa del Tanabata con Yuma, relegando deliberatamente il padre nella piccola casa di Kyoto attraverso la plausibile scusa dell'imminente partenza del cugino.
Alzò lo sguardo dalle pagine, posandolo sugli alberi che scorrevano fuori dal finestrino, su cui il volto spento splendeva riflesso nel vetro.
Aveva da poco compiuto vent'anni, quell'anima in fuga dalla provincia: l'anno delle responsabilitಠera iniziato, ma nulla era cambiato realmente nella sua vita; qualcosa la teneva ancorata a quel luogo, alla casa in cui la sua famiglia, un tempo, aveva vissuto felice.
Riconobbe la stazione e comprese di essere finalmente vicina al fratello mancato che il fato le aveva regalato, colui che poteva incontrare soltanto durante le vacanze, ma su cui faceva affidamento da sempre: Yuma era l'unica ragione per cui, forse, valesse la pena trovarsi ancora in Giappone, anche se lui viveva altrove, anche se le aveva chiesto infinite volte di seguirlo in Canada, dove lavorava.
Quando i passeggeri cominciarono a scendere dal treno, Rika si accorse di avere ancora il libro spalancato sulle ginocchia. Non aveva proseguito nella lettura; si era invece fermata a riflettere su quella frase che tanto le ricordava l’infanzia.
C'è chi invece da bambino è stato sminuito e svalorizzato, per cui farà più fatica a realizzare il proprio compito.
Era questo che le impediva di parlare chiaramente a suo padre, di mollare l'università e inseguire i propri sogni?
Infilò il libro nello zaino in uno scatto, per poi avviarsi verso l'uscita. Se i conti erano esatti, avrebbe raggiunto la casa degli zii in una quindicina di minuti.
«Mi dispiace non poter venire a prenderti alla stazione» le aveva detto Yuma il giorno prima per telefono, «ma di sicuro qualcuno mi riconoscerebbe e non ho proprio voglia di sedare fans impazziti!»
Rika lo comprendeva, lui era ormai un uomo affermato e di successo, soprattutto nella città d’origine: a lei, invece, una breve camminata tra la gente non sarebbe costata nulla.
Magari, nel tragitto, si sarebbe anche potuta fermare ad acquistare qualche dorayaki³ da gustare in compagnia.
Per strada lanciò un'occhiata al cellulare, indecisa se infilarsi o meno le cuffiette, scoprendoci un messaggio di Emi: si trattava di una donna di quasi dieci anni in più di lei, ma incredibilmente divertente e bizzarra; soprattutto, Emi era l’unica persona con cui fosse riuscita a legare negli anni universitari.


Emi – ore 15:37

Se lo becco per strada gli tiro una testata che si ricorderà per il resto della vita! È stato davvero cattivo con te…
Comunque ora ti aggiungo nel gruppo del libro.
Ps. Ieri sono uscita con Jun ;)


Il soggetto della conversazione era il bel tenebroso, come l’aveva soprannominato l’amica, nonché il ragazzo con cui Rika aveva avuto una relazione prima che scomparisse all'improvviso.
Ripose il cellulare nello zaino senza rispondere, velocizzando il passo. Brandon se n'era andato senza nemmeno salutarla, da un giorno all’altro: per sei mesi non l’aveva più contattata, fino a quando, un paio di settimane prima, con sua immensa sorpresa l'aveva informata di essere tornato in Giappone.
Una smorfia le si disegnò d'istinto sul volto. Questa volta era stata lei a ignorarlo, sperando ardentemente di non incontrarlo per le strade della città.
Ci avrebbe messo la mano sul fuoco: non sarebbe mai tornata insieme a lui, né l'avrebbe mai perdonato, nemmeno se le avessero offerto del denaro.
Se solo avesse potuto rimanere vicino a suo cugino...
«Rika-san!» la chiamò qualcuno, costringendola a voltarsi.
Yuma viveva nella città più grande del Tōhoku e la ragazza non si era mai abituata a quel continuo susseguirsi di volti sconosciuti. Nella città degli alberi era tutto diverso rispetto al paese di provincia in cui era cresciuta e ogni volta che la visitava le pareva di non averla mai vista prima.
«Rika, è un piacere rivederti!» esclamò una donna, «Yuma ti sta aspettando».
Era sua zia, l'unica sorella di sua madre e l'unico membro della famiglia ad essere ancora in vita.
«Come ti sei fatta bella» la sentì mormorare sfiorandole i capelli, per poi allontanarsi con un sorriso, proseguendo per la sua via. «Torno per cena!» la salutò.
Quando arrivò a casa del cugino scoprì che l'albero d'acero in giardino anche quell'anno era cresciuto un bel po'. Non appena la vide, probabilmente dalla finestra della sua stanza, Yuma corse giù per le scale spalancando la porta.
«Itoko-san!» esclamò entusiasta, come se il cancello che li separava non esistesse. «Come sono felice che tu sia qui!» l'udì mormorare al suo orecchio non appena la strinse fra le braccia.
Il loro rapporto era sempre stato così: venivano spesso scambiati per fratelli, complice anche la somiglianza fisica e caratteriale.
E, in verità, era ciò che si consideravano entrambi.
«Non mi sono dimenticata le estati passate ad osservare il cielo...» sussurrò lei in tutta risposta, «non mi sono dimenticata come festeggiavamo il Tanabata insieme da bambini» continuò, catapultando entrambi nel baratro dei ricordi.
La morte precoce della madre non aveva offuscato la sua memoria: rammentava bene la serenità che avvolgeva i loro cuori quando la donna si apprestava ad appendere i tanzaku con indosso il suo kimono migliore.
Poi si staccarono, entrando in casa: lo sguardo di Yuma colse subito il libro che la ragazza aveva tirato fuori dallo zaino insieme al resto dei vestiti. «Che cosa stai leggendo?» domandò aguzzando la vista per scorgerne il titolo.
La giovane abbozzò un sorriso: «Conosco un gioco bellissimo che mi sono inventata molto tempo fa quando avevo appena imparato a leggere. Ogni sera, quando vado a dormire, fingo di essere l'eroina – la protagonista, anzi – del libro che sto leggendo. In questo momento sono Ofelia, un'Ofelia così sensibile! Tengo allegro il povero Amleto, lo coccolo, lo rimprovero e gli metto una sciarpa al collo se ha il raffreddore...»
«Non cercare di fregarmi» borbottò il cugino in tutta risposta, «non porteresti mai qualche tragedia del tuo amato Shakespeare in uno zaino da quattro soldi come quello! Piuttosto la lasceresti a marcire anni su uno scaffale pur di non rovinarla!»
Le labbra di Rika si aprirono in un enorme sorriso: talvolta dimenticava che Yuma la conosceva meglio del suo stesso padre.
Non si era mai soffermata troppo a pensarci, ma non era difficile per lei riconoscersi in Ofelia: una giovane donna delusa dall'amore, dalle parole del principe che aveva posto la propria vendetta al di sopra del suo desiderio romantico.
Si sedette sul divano, poggiando il libro da una parte. Il suo dramma, tuttavia, non si sarebbe mai concluso con la morte: per nessuna ragione lei sarebbe divenuta tanto folle e triste da togliersi la vita.
Non le importava nemmeno se Brandon soffrisse a causa sua, perché in fondo se lo meritava. Non aveva idea di che cosa avesse fatto in quei duecento giorni lontano da Kyoto e da lei.
Da quanto ne sapeva, poteva anche averla tradita e difficilmente comprendeva il motivo per cui fosse tornato in Giappone.
Tastò il cellulare posto nella tasca esterna dello zaino: forse doveva affrontarlo, dirgli che non le importava più di nulla, che per lei poteva anche andarsene al diavolo, quel bastardo senza cuore.
Eppure... eppure, al suo pensiero qualcosa ancora si accendeva nel suo cuore. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, Rika sapeva che l'amore non si era assopito del tutto; al contrario, se possibile, da quando era tornato era divenuto più forte di prima.
Puntò lo sguardo sul viso di Yuma, ancora in piedi davanti a lei: appariva quasi un dio da quell'angolazione, i capelli neri e setosi ad incorniciargli il viso dalla forma eternamente infantile.
Avrebbe tanto voluto sfogarsi con lui, con qualcuno che l'avrebbe ascoltata senza giudicare, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di turbare la serenità che aveva disegnata in volto.
«So che c'è qualcosa che non va» mormorò il ragazzo, quasi leggendole nel pensiero. «Ti do il tempo di una doccia per pensare a come dirmelo».
Un sorriso si disegnò d'istinto sulle labbra dei due giovani cugini.
«Tra un paio di settimane dovrò ripartire e non ho affatto voglia di vederti triste!»
Poi afferrò lo zaino ricolmo di vestiti per portarlo nella stanza degli ospiti.
Seguendolo per le scale, le tornarono improvvisamente alla mente i dorayaki che avrebbe voluto regalargli.
Era talmente sovrappensiero durante il tragitto verso casa che aveva a malapena udito la voce di sua zia chiamare il suo nome.
«Grazie, Doraemon» ammiccò la giovane, chiudendo la porta della stanza dietro di sé. La sua dolce passione gli aveva fatto guadagnare il buffo soprannome del gatto che si divertivano a guardare insieme da bambini.
Prima di spogliarsi, Rika si soffermò un istante ad osservare il paesaggio fuori dalla finestra: da quel lato della casa si poteva ancora scorgere la fila di alberi che circondava il parco di fronte, proprio come in passato.
Poi posò lo sguardo sul cellulare: una serie di messaggi inondava la chat di gruppo in cui la sua amica Emi l'aveva infilata in vista della pubblicazione del suo nuovo libro.


Suzu – ore 16:04

E che mi dici di Hermione e Ron?
Ps: Sono molto orgogliosa di te, tesoro.

Erika – ore 16:07

Sì! Voi due siete la mia storia d'amore preferita tra tutte. Beh, a parte Elizabeth e Mr. Darcy: nessuno può battere quei due. Non vedo l'ora di leggere il tuo libro, mia cara autrice!

Jun – ore 16:12

Di nuovo nessun commento? Stai perdendo colpi, Emi-chan.
Ps. È stato bello conoscerti finalmente ieri. Sei una grande baciatrice! :)

Emi – ore 16:14

Potresti non pubblicizzare online, davanti a tutto il mondo, la mia abilità nel baciare?
Ps. Neanche tu sei malaccio ;)


Rika sorrise, poggiando il telefono sul letto.
Voleva solo godersi la sua festa preferita nella città in cui aveva lasciato il cuore.










¹ Citazione tratta dal libro “Autostima e accettazione dell'ombra” di Anselm Grün.

² In Giappone la maggiore età si raggiunge a vent'anni. Verrà abbassata a diciotto anni a partire dal 1° aprile 2022.

³ I dorayaki sono dei dolcetti giapponesi composti da due pancakes ripieni di salse tipiche o cioccolato. Come viene menzionato più avanti nel testo, si tratta dei dolci preferiti di Doraemon, un gatto robot in grado di provare emozioni umane.

La regione del Tōhoku è una delle otto regioni del Giappone.

Itoko” significa “cugino/a” in lingua giapponese.

Citazione tratta dal libro “Papà Gambalunga” di Jean Webster.

L'intera chat consiste in una conversazione avvenuta in un forum e pubblicata nel libro “La vita inizia quando trovi il libro giusto” di Ali Berg e Michelle Kalus.
   
 
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