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Autore: Brume    19/06/2020    2 recensioni
Laurent Reve Grandier Jarjayes arriva in Normandia una sera di giugno.Dovrebbe fermarsi un paio di mesi, ma finirà per viverci.Devastato dal dolore, inizia a scrivere un diario, testimone di un viaggio fatto di ricordi, pensieri, sogni; vi riporterà i suoi pensieri, i suoi sogni, i ricordi e piccoli segreti -che non conosceva e man mano scopre- che lo aiuteranno a ricostruire la storia della sua famiglia ed a crescere, arrivando oltre a ciò che aveva immaginato.
NB I disegni sono realizzati da me con tecnica mista, acquarello , matita, china
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Oscar e Andrè'
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22 ottobre 1820

 

E' un momento strano, questo.

Ho saputo, da poco, che diventerò padre: avevo sognato una passeggiata in riva al fiume, una cena tra noi soli, una serata davanti al caminetto.

Invece no, sono venuto a saperlo da François: la sua faccia è diventata trasparente, quando ha capito che Diane non mi aveva detto nulla.

Da un periodo non facciamo che litigare per qualsiasi cosa; è iniziato quando lo ho detto del mio viaggio, ma credo ci sia altro.. anche se non ho capito cosa.

Ciò che mi ha deluso profondamente è che mi sono sentito, in un certo senso tradito e inadeguato: io e lei abbiamo sempre condiviso e vissuto tutto insieme, abbiamo le stesse idee , gli stessi pesieri...o almeno così credevo. All' improvviso si è messa a farmi una filippica sul fatto che la sto trascurando, tiro sempre in ballo la mia famiglia ed il fatto che vivo troppo nei ricordi.

Ho cercato di parlarle ma lei è testarda, non apre bocca. Gli ho chiesto perchè non mi avesse detto nulla: mi ha risposto che era sottosopra per quella gravidanza che non credeva arrivasse così presto, la pensava più lontanta. Lei, che per prima mi ha parlato di figli.

Sono davvero confuso.

Mi sento in colpa, perchè davvero la sto trascurando, non riusciamo mai a stare da soli; ma che ci posso fare? Quello che ho costruito, che abbiamo costruito insieme, è troppo importante.

 

Lei ha paura. Paura del futuro, paura di sbagliare, paura di non essere adeguata.

Anche io, se è per quello: ma le cose si affrontano...ci siamo riavvicinati, questo è vero, ma io non so più come prenderla, sembra un altra persona.

 

Non ho chiesto consiglio a nessuno, perchè sono cose nostre e non voglio coinvolgerli;François ha un matrimonio da preparare, Alexander sta già facendo abbastanza e gli altri sono presi tra mille cose. Alain ovviamente non mi sembra il caso di coinvolgerlo.

Intanto io me ne sto qui, all' ombra della quercia grande, e osservo il palazzo che prende vita. I ragazzini entrano contenti, a scuola, ed i genitori spesso si fermano a parlottare e accarezzare Xavi; in cucina si sono già messi al lavoro. Diane non l'ho ancora vista: mi sono alzato e sono sceso subito; credo dorma ancora.

 

Mamma, papà, ditemi un pò voi che debbo fare, perchè io non ci capisco niente.

 

 

***

“da quanto tempo ti senti così?” chiese il medico a Reve.

Era passato da lui per un controllo, poi, mettendosi a parlare del più e del meno, si era sfogato parlando di questa sua confusione e della situazione a casa. Era stanco, fisicamente e mentalmente, e non riusciva più a portare a termine nessuno dei compiti e degli impegni che si prefissava.

“ ...da quando ho iniziato a discutere con mia moglie...” rispose Reve, da dietro il paravento.

Il medico rimase per un istante sovrappensiero, osservando l' uomo davanti a sè.

“non credo sia solo per questo, Reve. Posso continuare a darti del tu, vero?” esordì il dottore. Reve rispose affermativamente.

“Dicevo, caro ragazzo...che non credo sia solo per una serie di litigi che tu ti senta in questo modo. Hai un carattere sanguigno, impetuoso, prendi tutte le cose di petto. Hai corso parecchio, in questi anni, da ciò che mi hai raccontato”.

“Si, è vero. Una serie di situazioni mi hanno portato,in 4 anni, ad un ritmo di vita abbastanza frenetico...”rispose, finendo di vestirsi e andando verso l'uomo “quante cose, sono successe, in questi anni...la morte dei miei genitori, la loro eredità – e non parlo di beni immobili o meno - ...essere figlio della rivoluzione, per me, non è stato facile”.

“Ecco; ci stai arrivando da solo...sono troppe, le cose accadute in questi anni. Io stimo la tua persona e ciò che stai tutt' ora costruendo, ma ti consiglio di fermarti, per un pò. Vedrai che non succede nulla.” rispose il vecchio.

“E Diane? Puoi dirmi qualcosa?So che è stata qui. Perdoni la mia domanda, ma da lei in questo momento non riesco a sapere nulla.” chiese Reve, ora seduto di fronte al dottore.

Il dottore esitò, un attimo.

“ Diane è stanca quanto te. Ha ceduto prima di te, a questi rimti, ecco il motivo del comportamento strano. E questa gravidanza la spaventa; ha paura che vada a finire come l' altra volta.”

“quale altra volta? Cosa devo sapere, ancora? Perchè non mi ha detto niente?”

Reve si sentì avvampare, in viso, non per la rabbia, ma per lo sconforto.

“L' anno scorso ha perso un figlio: era appena all' inizio. Purtroppo sono cose che possono capitare, se non si segue un adeguato riposo. Devi avere pazienza con lei. Prendetevi qualche giorno, e fate finta che non sia successo nulla. Avete bisogno di serenità, adesso. “ disse il dottore.

“lei sta bene?”

“Si, Reve. Pare vada tutto bene. Ad aprile, se non ho sbagliato i calcoli, sarai padre” disse sorridendo.

Reve ringraziò il medico ed uscì dallo studio; prese il calesse e ritornò verso casa, ripensando a quelle parole.

Il giorno del suo compleanno si stava avvicinando. Decise che lui e Diane avrebbero preso qualche giorno per loro; voleva proporle di andare ad Arras e dintorni, dove aveva alcune proprietà. Lì forse avrebbero avuto modo di parlare, con calma.E di stare insieme, ovviamente.

 

 

Quando rientrò a casa, quindi, la prima cosa che fece fu di andare a cercare Diane nelle sue stanze, ma non la trovò; passò al piano inferiore e non la vide ancora. Restava solo il giardino. Dopo qualche vagare, la trovò che leggeva un libro seduta su una piccola panchina in legno, lontano da tutti. Si avvicinò piano, per non distrarla, e quando le fu vicino, accarezzò i suoi capelli.

“Fa freddo, Diane. Cosa dici di rientrare in casa?” disse Reve , dolcemente.

Lei lo guardò sorpresa, ma serena.

“Dove sei stato?”chiese “ quando mi sono svegliata, eri già uscito”. Chiuse il libro appoggiandolo sulle sue gambe.

Reve decise di dirgli la verità...perlomeno per ciò che lo riguardava.

“sono stato dal medico, a farmi dare un tonico. Mi ha trovato molto stanco e mi ha detto che dovrei riposare.” rispose; poi buttò lì la sua idea: “potremo andare ad Arras e dintorni, se lo vuoi. Insieme. Se ancora mi ami” disse lui.

Ormai non era più sicuro di nulla.

Si, all' improvviso quell' uomo fece riemegere il ragazzo indeciso e complicato che era stato, e tutti i dubbi dell' universo comparirono uno dietro l' altro nella sua testa.

 

Diane lo guardò e si alzò. Prese Reve per le mani – un gesto che non compiva da qualche tempo – e lo fissò per un tempo immemorabile.

“Reve, cosa dici? Certo che ti amo. Non ho mai smesso un solo istante, di amarti, con tutta me stessa” rispose lei. Lui si sentì meglio, libero da un peso.

“...questi tempi non siamo stati di certo sereni, perdonami se ho espresso questo mio dubbio” disse lui.

Nel frattempo, Diane aveva preso a cammincare, senza mai lasciarlo.

“Amore , di questi tempi siamo stati un pò troppo presi da noi. Perdonami tu, amore mio. So di non essermi comportata bene e di esserti sembrata una pazza. Ma sento una eredità pesante, come se a volte vorresti creare una famiglia non nostra, bensì a copia e somiglianza di quella che hai perso” disse lei.

Era dunque questo il motivo della sua crisi? Come era stato stupido a non accorgersene, pensò fra sè. Diane aveva ragione. L' eredità ricevuta dai suoi genitori non sarebbe stata facile da portare per nessuno; ma davvero, davvero non si era reso conto che, inconsciamente, voleva ricreare quel “nido”.

Diane e Reve si osservarono per un tempo infinito, che sembrava non finire mai. Le loro anime si intcontrarono attraverso i loro occhi e tutta la rabbia ed il risentimento accumulati se ne andarono, lasciando il posto solo all' amore che li aveva sempre legati. Nelle gole di entrambi erano racchiuse parole che non trovavano modo di uscire, perchè qualsiasi suono non avrebbe retto la melodia che tali parole esprimevano. Era qualcosa di alto, di grande.

Diane capì che non vi era bisogno di una risposta, e si riavvicinò a Reve; la mano di lui corse al suo ventre, alla vita che c'era .

Non avrebbe chiesto niente altro, quel giorno, Reve. Andava bene così.

 

 

 

***

 

 

“Sei mai stato qui, Reve? “chiese Diane al marito, man mano che si avvicinavano ad Arras.

“no, mai. Nemmeno sapevo che papà e mamma possedevano qualcosa, qui, finchè non mi è stato detto da Florian e Monsieur Dubois...” rispose lui

“e come fai ad avere già le chiavi a disposizione?” chiese

“non le ho: devo passare all' hotellerie, le ha in consegna Madame Fois... così mi è stato comunicato ai tempi” rispose. Osservavano, a vicenda, i vari paesaggi che arrivavano davanti ai loro occhi; fiumi, piccoli boschi, e poi campi nei quali i contadini lavoravano, spezzando la fatica ed i pensieri con il canto.

“Credi cambieranno mai le cose, per questa gente?” domandò Diane al marito.

“Spero di si: altrimenti, significa che stiamo lavorando per niente...e non solo noi, ma anche tutti gli altri che si stanno muovendo, in Europa, per cambiare le cose. Ma non parliamone, Diane. Questi giorni sono per noi.”

Diane osservò Reve.

Quando era arrivato a Parigi, qualche anno prima, era un ragazzotto pieno di sogni ed un grosso macigno sul cuore, che lui prima aveva rifiutato e poi accolto, buttandoci dentro la sua vita,senza riserve..

Come era stata stupida, con quei discorsi...ma la paura di perdere un amore davvero grande , ti fa fare cose strane,a volte; ancora, per esempio, non gli aveva detto del bambino che avevano perso...

Diane fu presto distolta dai suoi pensieri quando finalmente vide davanti a se un edificio, grande rispetto al resto delle casupole li intorno; era l' hotellerie, e la carrozza si fermò.

Reve scese per primo, aiutò la sua Diane a scendere ed entrarono nella locanda.

Essendo un giorno lavorativo, di pomeriggio, gli avventori erano pochi; quella che doveva essere Madame Fois era intenta a sistemare delle brocche su un vassoio e non li vide subito. Era una donna sulla settantina, ma ancora in forma, a giudicare dall' aspetto pingue e roseo del suo viso, con i capelli grigi raccolti in una crocchia.

“Ditemi, signore” disse, appena lo vide, salvo poi impallidire all' istante.

“Buongiorno, Signora...Fois? E' lei?” disse Reve, non capendo quella reazione.
“ si, sono la signora Fois..ma lei....Andrè, sei tu?” chiese lei, ancora stupita, con lo sguardo sbarrato.

“Mi chiamo Laurente Reve Grandier Jarjayes; sono il figlio di Oscar e Andrè, signora...” disse , avvicinandosi a lei.

Madame Fois oltrepassò il bancone, si asciugò le mani nel grembiule e si avvicinò a quell' uomo.

“Perdonatemi, Monsieur: la somiglianza è tale che ho preso un abbaglio. Come sta vostro padre? E vostra madre? Non li vediamo da anni...sapete, abbiamo più o meno la stessa età, spesso giocavamo insieme...”

“Madame, mi duole dirlo, ma sono morti entrambi, quasi 5 anni fa” rispose lui, mesto.

La signora si scusò per la domanda inopportuna, ma Reve la mise subito a suo agio: non avrebbe potuto saperlo, visto che Oscar e Andrè non passavano da Arras da poco dopo la rivoluzione, prima che lui nascesse.

Chiarito l' equivoco e concluse le presentazioni, i tre si misero a sedere. Reve chiese se le chiavi erano ancora in suo possesso; lei rispose affermativamente, adducendo però che una delle case non vi era più mentre l' altra, quella di sua madre, sarebbe stata agibile dopo una bella ripulita. Si offrì quindi di accompagnarli, tanto alla locanda sarebbe rimasta la figlia Leonor.

“Grazie, Madame” disse Diane, seguita da Reve “ ma non deve scomodarsi per noi”

“Non vi preoccupate, non ci sono problemi “ rispose lei con un sorriso gentile.

Reve aiutò le donne a salire in carrozza, poi si mise a cassetta insieme a Jean Baptiste.

Trovare la casa fu semplice, data la descrizione: era molto vicino all' hotellerie. Era una casa di modeste dimensioni, più o meno come quella in Normandia; aveva un giardino, intorno, e naturalmente i campi annessi. Non era messa male; con un pò di olio di gomito l'avrebbero sistemata per ciò che a loro serviva; ci avrebbero pensato poi al resto.

Madame mostrò e spiegò ai presenti tutto ciò che vi era da sapere, spiegando che nel frattempo era stata abitata dalle famiglie di attendenti che operavano per conto dei Jarjayes: da dieci anni era vuota. Lei e altre famiglie la tenevano comunque pulita almeno un paio di volte l' anno, anche se ammise che non lo facevano tanto per devozione ai Jarjayes, ma per affetto verso la madre di Oscar, che era sempre stata una donna buona e affabile, pronta ad aiutare il prossimo.

Dopo circa una mezz' ora andò via, accompagnata da Jean Baptiste, che si sarebbe fermato alla locanda.

 

 

Reve prese per mano Diane, guardando la casa.

“C'è sempre da lavorare, insomma” disse lui piegando la testa su un lato, in quel modo buffo che piaceva a lei”.

“E pensare che oggi è anche il tuo compleanno... “ disse lei.

“AH! Te ne sei ricordata? Credevo che solo Xavi si ricordasse, quando stamani è passato a farmi le feste” disse , osservando il cane che già stava prendendo possesso del luogo.

Diane guardò Reve e insieme entrarono in casa, ridendo sereni.

 

 

Ecco, una bella ondata di ricordi è proprio quello che mi serviva” disse Reve fra sè, osservando i mobili ricoperti da teli bianchi e i quadri , accatastati in un angolo: la famiglia Jarjayes, Oscar e le sorelle da piccole, i nonni e altro parentado vario.

Forza e coraggio, Reve, cerchiamo almeno un letto, per questa notte” disse infine, iniziando ad esplorare le stanze.

 

 

***

 

 

Dopo essersi rimboccati le maniche, erano riusciti a sistemare una stanza; non avevano considerato le altre stanze, anche perchè non ne avevano bisogno. In un angolo avevano messo una tinozza , separata dal resto da un separè scricchiolante ma che compiva egregiamente la sua funzione; il letto ed i materassi per fortuna in buono stato, avevano avuto bisogno solo di un pò d' aria. Le candele, presenti in grande quantità, erano disseminate quà e là su piattini d' argento.

Quando finirono, Reve accese il camino e appurato che tutto funzionasse a dovere, uscì a prendere un pò d' acqua. Aveva bisogno di un bel bagno, prima di andare a cena alla locanda.

Rientrò, svuotò i secchi dentro la tinozza; ripetè il viaggio un paio di volte ed infine mise un pò di acqua a scaladare; poi iniziò a spogliarsi, a favore degli occhi di Diane.

“Come sei bello, Reve” disse, guardando il suo corpo nudo e perfettamente proporzionato, sulle cui spalle ricadevano quei bellissimi capelli corvini, liberi da ogni nastro. Amava i suoi capelli, e nonostante la moda imponesse ben altre pettinature, lui decise di non tagliarli ma di conservare quel legame così stretto con il padre. Come, Sansone; erano la sua forza.

Reve sorrise e si avvicinò alla moglie, accarezzando il suo viso: poi la prese in braccio, la spogliò e insieme a lei entrò nella tinozza.

“stiamo stretti” sussurrò lei

“non importa, amore mio...così stiamo più vicini, tutti e tre” disse lui, accarezando i capelli di Diane.

Erano stretti,nudi e avvinghiati nell' acqua tiepida, mentre il sole iniziava a tramontare riflettendo i suoi raggi d'oro ovunque si posasse; un momento sacro, infinito, in cui il tempo di fermò lasciando che il silenzio li avvolgesse, raccogliendo il loro amore e le parole nei loro cuori e dei loro corpi.

   
 
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