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Autore: Lupoide    20/06/2020    6 recensioni
Cosa sarebbe successo se, poco prima della nascita di Harry Potter, Regulus Black fosse riuscito a sopravvivere in quell'incauta notte in cui scoprì dell'esistenza degli Horcrux? Come sarebbe andata la storia da lì in poi? Un bivio, un crocevia che porterà una famiglia a riunirsi? Tutto questo avrà risvolti sulla vita del prescelto?
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: I Malandrini, Regulus Black, Sirius Black
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza | Contesto: Più contesti
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Non erano state due settimane facili per la famiglia Paciock. Affatto. Anzi, erano stati quattordici giorni veramente terribili per loro, simili a una bolla infernale in cui galleggiavano tentando di tenersi a galla.

Rintanati a Villa Conchiglia, un rifugio costruito da poco e messo a disposizione dalla famiglia Weasley che poi era stata Obliviata per motivi di sicurezza, con l’opportunità di comunicare col mondo esterno preclusa poiché l’unico a conoscenza della loro posizione era Alastor Moody.

Frank stava letteralmente impazzendo cercando di venire a capo dei misteri del medaglione che gli era stato consegnato. Ormai i giorni si confondevano e perdevano i loro contorni mentre egli continuava le sue ricerche su antichi tomi polverosi reperiti proprio da Albus stesso. E più lui s’immergeva nelle arti oscure per studiarle, più l’oscurità attingeva alla luce ch’era in lui, rendendolo ogni giorno più scontroso e intollerante. Così Alice aveva imparato a lasciarlo in pace, girando a largo da lui in casa e cercando di alienarsi e isolarsi quanto più possibile. In fondo la sua condizione prevedeva l’assoluto riposo e, nonostante il periodo, lei cercava di rimanere tranquilla e serena. E intanto suo marito aveva un tarlo che lo mangiava dentro, o forse un’intera colonia, corrompendolo sempre più e mettendo in dubbio ogni singola sicurezza che aveva consolidato nella sua vita.

Un nugolo di domande s’erano librate nella sua mente come corvi in un campo di grano saraceno. L’accompagnavano in ogni momento della sua giornata, seguendolo, tormentandolo e non lasciandogli scampo. Mai. Molto spesso capitava che, proprio questi dubbi, lo svegliassero nel cuor della notte per poi rubargli il resto del sonno per non restituirglielo più. Ormai le occhiaie violacee erano diventate un elemento fisso sul suo volto e la paranoia un elemento fisso nel suo animo.

Continuava a chiedersi cose che non avrebbe concepito mai, prima di quel periodo, del tipo “Perché Alice dovrebbe volermi al suo fianco?” oppure “Che ci faccio io qui che non sono utile a nulla?” e ancora “Perché Silente ha affidato a me questo medaglione invece di studiarlo da solo? Non si rende conto che ci mette in pericolo così?”. Cominciò lentamente a dubitare persino dell’amore che sua moglie provava per lui, mettendo in crisi quel rapporto ch’era sempre apparso solidissimo fino a quell’oscuro periodo. Non riusciva a credere che lei potesse averlo scelto come compagno di vita, poiché ogni volta che il suo sguardo incontrava una superficie riflettente egli si vedeva veramente orrido, rifuggendo ogni logica comprensione che era stata il combustibile di quell’amore che i due s’erano sempre scambiati come promesse. Dubitava, ogni giorno più forte e con più insistenza. Finché i suoi dubbi non fecero da miccia a un’altra convinzione che si faceva, sempre con la stessa lentezza, largo in lui.

Il figlio che sua moglie portava in grembo non era suo.

Continuava a cercare una valida motivazione per convincersi del contrario ma ogni tentativo gli pareva vano. Specialmente quando le sue riflessioni si fermavano su quel Sirius. Giovane, aitante, bello e dannato. Come poteva competere con lui? Con il passare dei giorni cominciò ad avere vivide visioni dei loro corpi che s’intrecciavano in vari giacigli. Le dita lunghe e affusolate di Alice che s’immergevano tra i capelli corvini del ragazzo. Ogni volta era un colpo al cuore, un conato di vomito che s’affacciava in bocca per venir lì soffocato.

Era un Black.

Ne era sicuro.

Il bambino che stava crescendo in Alice era un Black.

I pugni stretti in tasca e il livore in volto cominciarono ad essere suoi fedeli compagni, almeno quanto quegli adulteri rapporti che si consumavano ogni volta che Frank chiudeva gli occhi, nel suo traviato immaginario.

Fantasie dolorose, interrotte solo dal suono della risacca del mare. Scuoteva la testa, come a volerle cacciar via, ma quelle rimanevano lì, impresse a fuoco nei suoi occhi seppur non l’avessero mai viste.

Scuoteva la testa, fino a farsi venire le vertigini. Ma quel maledetto Sirius continuava a penetrare sua moglie, provocandogli fitte di disgusto e ribrezzo anche per se stesso, ch’era in grado di immaginare tali scene.

Sia chiaro, non che l’avesse mai visti in atteggiamenti sospetti o equivoci, ma il fatto che Alice stessa l’avesse definito un “così bel ragazzo” l’aveva fatto sragionare, portandolo su binari da cui rischiava di deragliare da un momento all’altro.


Alla sera del quattordicesimo giorno, fu costretto a ritirarsi in solitudine, poiché non riusciva a guardare Alice in volto senza immaginarla intenta a godere in un rapporto carnale con quel Black. Fece una lunga passeggiata, dapprima sul bagnasciuga in modo da sentire i piedi freschi toccati dalla schiuma dell’acqua che s’increspava, per poi continuare sulle dune di sabbia dietro il cottage. Lì, si sedette a terra e cominciò a riflettere mentre giocherellava con le dita e il medaglione. Continuava a sfregarci il pollice, come se volesse aprirlo, cosa che stava cercando di fare da giorni ma senza alcun tipo di esito. Era stato un anatema per la sua famiglia. Perché mai Albus Silente aveva deciso d’affidarlo proprio a lui? E perché, a contatto con la pelle nuda del suo collo ove lo portava sempre appeso, sembrava così vivo? Tanto che pareva pulsare alle volte. Maledisse il cielo, immobile e terso sopra la sua testa, e cominciò a piangere. Il silenzio del luogo fu spezzato dai suoi singhiozzi, sempre più forti. Si rannicchiò su se stesso, lasciando che le lacrime cadessero dal suo volto e arrestassero la loro caduta solo quando incontravano la sabbia.

I suoi occhi, offuscati da quel salmastro velo di tristezza, incontrarono un piccolo granchio che zampettava allegro nella notte, magari in cerca di un po’ di cibo. Le chele spiegate lo facevano apparire piuttosto buffo in quella camminata laterale, mentre le ombre della notte lo rendevano più scuro di ciò che non era. Tanto che il suo guscio apparì nero agli occhi di Frank. Nero. Black. Proprio come quel maledetto ch’ora cercava d’usurpargli la sua intera famiglia, ponendo in sua moglie il seme d’una progenie nata nel tradimento.

Puntò la sua bacchetta e sussurrò, con un filo di voce, la parola ch’era una delle tre maledizioni senza perdono.

- Crucio.

Rimase lì, a guardarlo contorcersi e urlare per il dolore, strilla d’un animale innocente che però pagava il pegno della sua vendetta. L’osservò rannicchiarsi fino a diventare poco più grande d’una noce, proprio per via di quel male ch’egli gli stava infliggendo. Una coppia di lunghissimi minuti, in cui il pianto dell’uomo si tramutò in rabbia, mentre il povero granchio veniva torturato e liberato a ritmo alternato.

Quando s’interruppe l’ultima volta, Frank pensò che se quel piccolo essere avesse avuto un qualche tipo di senno l’avrebbe perso per via di quell’acuto dolore che finora s’era gustato attraverso quella macabra danza.

- Sirius… - mormorò.

Per quanto gli sembrasse d’essersi calmato, al solo pronunciare quel nome, tutta la furia gli avvampò nuovamente in petto, a contatto con il medaglione. Questo, come aveva già fatto in precedenza, sembrò cominciare a pulsare come un secondo cuore fuori dal suo sterno, accelerando sempre di più il suo battito.

Un’idea si fece largo nell’uomo. Un’idea che in tutta la vita non l’aveva mai neppur sfiorato.

- Avada Kedavra!

Un lampo verde si sprigionò dalla punta della bacchetta, ponendo fine alla vita di quel piccolo granchio che aveva avuto la sfortuna di zampettare dalla parte sbagliata della spiaggia.

Il medaglione arrestò il suo battito.

Frank si ritrovò nuovamente solo.

E in silenzio, di nuovo, riprese a piangere.



Regulus e Sirius s’erano da poco accomodati in cucina, cercando un po’ di ghiaccio per alleviare il dolore dei colpi che s’erano scambiati.

Agli estremi del tavolo si scambiavano sguardi d’una ritrovata intesa, sorridendo a turno nel vedere le condizioni in cui versavano a causa delle loro stesse mani.

Una fragile alchimia che s’era costruita per la prima volta, figlia del primo periodo che non li vedeva più come figli unici intenti a ringhiarsi addosso come cani rabbiosi. No, finalmente avevano cominciato a essere un po’ più fratelli di prima. Entrambi coscienti che quello era solo il primo passo d’una lunga camminata che l’avrebbe, forse, un giorno portati a fidarsi l’uno dell’altro. Quel dì era ancora lontano, tuttavia iniziava a profilarsi in lontananza, sul tramonto d’un sole bruciante di diffidenza che andava a nascondersi dietro un orizzonte d’indifferenza, forse per l’ultima volta.

Un sorriso.

O meglio.

Un sorriso di complicità che era già molto di più di quanto avessero potuto sperare solo fino a qualche giorno prima.

Eppure erano lì. A guardarsi di sottecchi con una punta d’imbarazzo.

Eppure erano lì e ad attestarlo c’erano i loro volti tumefatti dalla violenza repressa che s’erano sfogati l’uno addosso all’altro.

Se i loro genitori avessero potuto vederli in quel momento, probabilmente, avrebbero dichiarato alto tradimento, urlando e strepitando fino a diventare cianotici.

Invece loro padre era morto l’anno precedente, conscio d’aver lasciato quantomeno uno dei suoi figli tra le file del Signore Oscuro di cui tanto si riempiva la bocca fintanto ch’era in vita.

Ora sarebbe inorridito, senza dubbio, nel vedere seduti ai capi opposti d’un tavolo il suo più grande orgoglio e colui che aveva gettato onta e disonore sulla sua casata.

Dal canto suo, invece, Walburga era troppo intenta a dormire sodo, a quel tardo orario della notte, per prestar loro attenzione.

E per fortuna loro, altrimenti le sue urla sarebbero riecheggiate per tutto l’isolato senza lasciar scampo a tutti gli altri residenti di Grimmauld Place.


- Sei stato veramente un folle…

Fu Sirius a rompere l’incanto del silenzio tra loro.

- Davvero? Veramente vuoi intraprendere con me questo discorso? Proprio tu? Sirius Black? Quel Sirius Black? Quel Felpato che deve muoversi nell’ombra poiché ricercato, vivo o morto, da tutti i Mangiamorte che abbiano mai toccato il suolo del mondo magico? Hai ragione, sono stato veramente un folle ma di sicuro non ero l’unico. - qualche sprazzo di velenifero rancore passò tra i denti serrati di Regulus mentre rispondeva al fratello, ponendosi subito sulla difensiva con istinti guerrafondai.

Sirius, che di certo non s’aspettava una risposta del genere, scoppiò a ridere in maniera tanto improvvisa quanto genuina, al pari di quella manciata di frasi.

- Che lingua biforcuta. D’altronde, c’è il sangue freddo d’un Serperverde che ti scorre nelle vene. Non volevo rimarcare le scelte che hai fatto in passato. Ormai sono acqua vecchia scorsa sotto un ponte dal quale t’osservavo non riuscendo a comprenderti. No, intendevo dire che sei stato un folle a sfidare il Signore Oscuro così apertamente. Avresti potuto cercarmi e, insieme agli altri membri dell’Ordine, avremmo architettato un piano che non avrebbe messo a repentaglio la tua stessa vita.

- Gentile e coraggioso da parte tua, fratello. Ma… vedi, - Regulus si sporse un po’ di più sulla sedia, poggiando i gomiti sul tavolo per avvicinarsi a Sirius così da potergli parlare più intimamente – non è che fossimo proprio nella condizione di cercarci prima di quella notte. Il mio è stato un gesto mosso solo dalla disperazione e, per carità, non lo rimpiango affatto. Anzi. Ma se non fosse stato per quella pozione maledetta io ora non sarei seduto a questo tavolo a conversare con te. In fondo, se ci pensi bene, siamo a pochi passi di distanza dall’arazzo di casa, ove il tuo nome non compare più e al suo posto vi è un bel buco annerito da fuoco e cenere. - accompagnò quest’ultima frase con il movimento d’un singolo dito, l’indice della mano destra, leggero e fluttuante sotto gli occhi del fratello maggiore, indicando quasi svogliatamente quella stanza in cui era rinchiusa la raffigurazione del loro albero genealogico.

Non rispose immediatamente, Sirius.

Sorridendo, s’alzò dalla sua sedia e rimediò due calici d’argento dalla credenza della cucina, poi li riempì fino all’orlo d’un liquore forte e dal colorito ambrato. Ne posò uno di fronte agli occhi curiosi di Regulus mentre l’altro lo portò con sé nel tragitto di ritorno per il proprio posto a sedere che si premurò d’avvicinare quanto più possibile a quello dell’altro.

- E allora brindiamo, fratello. Che l’aver svuotato quel bacile di disperazione a grandi sorsi ti porti poi a riempirlo di rinnovato coraggio e future fortune. E cominciamo da qui, da questa sera. A noi, Regulus. A una nuova versione della famiglia Black.

Levò il calice, poi, attendendo una risposta che non s’attardò ad arrivare.

Sorrise. Con un leggerissimo velo di lacrime ad appannarne lo sguardo per via della commozione che provava in quel momento. Le parole che aveva sibilato fino a quel momento lo avevano reso più vulnerabile e quel gesto così spontaneo l’aveva stupito.

Per un attimo, finalmente, si sentì veramente a casa.

Più di quanto non si era mai sentito in tutta la sua, seppur breve e perigliosa, vita.

- A noi, Sirius.

Il tintinnio dei calici echeggiò su quelle vecchie mura che facevano da cassa di risonanza a quel momento.

Ma proprio in quel momento, quelle stesse mura, cominciarono a tremare e a scuotersi. Tanto forte che il tavolo e le sedie sotto di loro cominciarono a ballare, facendo cozzare nuovamente le vettovaglie argentate che stringevano in mano in quel momento e versando il liquido in esse contenuto sul pavimento.

Una voce femminile squarciò il velo di silenzio della notte.

- BOMBARDA!

La porta della cucina saltò dai cardini, volando a mezz’aria prima di cadere con un sonoro tonfo sul pavimento della cucina.

- INCARCIFORS! INCANCIFORS! - nuovamente quella voce tagliò il nuvolone di polvere che s’era alzato e da esso guizzarono due lampi argentei con forma di catene. In un attimo queste raggiunsero Sirius e Regulus, legando e inginocchiando il più grande dei due in una posizione molto scomoda, mentre il secondo fu trascinato finché l’incantesimo non trovò il muro perimetrale al quale parve appendersi come se la catena vi fosse stata fissata da un enorme chiodo.

Bellatrix Lestrange varcò la soglia ormai divelta ad ampie falcate. Per quanto concitato fosse quel momento, Regulus, vedendola avvicinarsi rapidamente, non poté non notarne l’innegabile bellezza.

- Che diavolo ci fai qui? - fece in tempo a dire Sirius, prima che la cugina si voltasse verso di lui e muovesse la bacchetta con fare secco e deciso.

- Oh, stai zitto tu! Silencio!

Non interruppe ne rallentò la sua inesorabile marcia neanche per un secondo, per con il volto a pochi centimetri da quello di Regulus.

Fece scattare la mano libera dalla bacchetta, afferrandone saldamente il mento tra le dita lunghe e affusolate.

Le braccia tese dalle catene sopra la testa del ragazzo stavano già cominciando a dolergli ed erano rimaste nude poiché le maniche della veste gli erano scivolate sulle spalle, esponendo il Marchio agli occhi di tutti.

- Reg, Reg, Reg, Reg. Cuginetto mio. Si può sapere che combini? Giravano strane voci su di te e, con mia grande sorpresa, ti trovo in compagnia di quel cane? Credo proprio che quelle vocette fossero vere, dunque. - scosse la testa in segno di disapprovazione, stringendo ancor di più le dita attorno al viso del giovane, fin quasi a farsi sbiancare le nocche.

Regulus stava cercando di nascondere il terrore che l’attanagliava dall’interno, era cosa piuttosto nota che sua cugina fosse instabile e completamente imprevedibile. Se era lì voleva dire che Lord Voldemort aveva notato la sua assenza e che aveva inviato qualcuno di sua fiducia a controllare. Maledisse Silente, digrignando i denti affinché quell’imprecazione non sibilasse fuori dalla sua bocca. Come aveva potuto pensare che sarebbe stato al sicuro in quella casa dove era così semplice trovarlo? La sola presenza di Sirius gli faceva dormire sonni tranquilli? Di sicuro non si era rivelata un’idea così brillante viste le condizioni in cui versava in quel momento.

- Non puoi capire Bella… - riuscì a far emergere, infine, da quell’acquitrino di paura in cui era immerso fino al collo, cercando d’apparire quanto più calmo gli fosse possibile.

- No, non posso, hai ragione. Questo perché non sognerei mai di voltare le spalle al Signore Oscuro esattamente come hai fatto tu. Non so cosa tu abbia combinato ma capisci che sono due settimane che non ti fai vivo, vero? Poi per cosa? Per riabbracciare finalmente il tuo fratellone e farti stringere forte tra le sue braccia?


Un brivido lungo la schiena del ragazzo lo fece nuovamente trasalire. Probabilmente, anche senza l’ausilio delle catene, sarebbe stato comunque paralizzato dal terrore che, in quel momento, gli stava risalendo lungo la colonna vertebrale per presentarsi nei suoi occhi sotto forma d’un vitreo sguardo senza direzione.


- Rispondimi! - gli intimò Bella. Il tono piatto e sarcastico aveva lasciato il posto a un’increspatura nella voce che presagiva rabbia e collera.


Lui non lo fece però, rimase in silenzio. Mutato come il fratello, ma senza l’ausilio d’una bacchetta.

Lei s’avvicinò al suo volto, sfiorando delicatamente le labbra di Regulus con il pollice. Era ormai a meno d’un paio di dita di distanza, tanto che il mago poteva sentirne l’odore dolce della sua pelle che tanto entrava in contrasto con quell’espressione eternamente corrucciata che ella indossava sovente.

Troppo lontana per poterlo considerare un bacio ma troppo vicina affinché il quadro che stavano dipingendo i loro corpi non potesse che venir frainteso.

Quelle braccia tese sopra la testa, le catene incantate attorno ai polsi e la paura nel cuore. Eppure nulla gl’impedì di fantasticare sulle labbra di Bella che si schiudevano tra le sue.


Esattamente com’era già successo in passato.


- Ti concedo tre ore di tempo. Proprio come quelle che abbiamo trascorso insieme in questa stessa casa. Poi verrò a cercarti e sarà per l’ultima volta.


Un rapido movimento della bacchetta, Regulus fu di nuovo libero e a Sirius venne restituita la parola.

Tuttavia non ebbe neanche il tempo di evocare uno Schiantesimo, poiché gli occhi vitrei del fratello erano rimasti a fissare il vuoto ove Bella si era appena smaterializzata.

Poi verrò a cercarti e sarà per l’ultima volta.

Quelle parole riecheggiarono nuovamente nei suoi pensieri, prima che riuscisse a sbattere le palpebre e realizzare che non era solo un sogno ma bensì la realtà.

  
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