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Autore: NyxTNeko    21/06/2020    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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3 agosto

L'accoglienza di casa Bouchet si rivelò davvero fruttuosa per il capitano Buonaparte, il quale era ispirato da quel clima sereno e gioviale. Pierre Simon non gli faceva mancare nulla, anzi, molto spesso gli forniva più del necessario con assoluta gentilezza e umiltà.

Il giovane ufficiale era davvero lieto di aver trovato una persona tanto calorosa e disponibile, inoltre, essendo anche un appassionato di letteratura, Pierre Simon gli regalava consigli su come elaborare alcuni passaggi ostici. Il mercante politico gli si era persino offerto di finanziare la pubblicazione, ma Napoleone aveva ribadito di voler mettere una parte del suo denaro, non perché non si fidasse, al contrario.

Inoltre, lo stile di scrittura di Buonaparte era migliorato moltissimo, soprattutto, si era liberato di quell'eccesso di fantasticherie e di pomposità che facevano risultare le sue vecchie opere colme di falsità e prive, quindi, di quella chiarezza che avrebbe dovuto renderle piacevoli da leggere. Quel concorso a cui partecipò anni addietro e i consigli che i giudici gli avevano riferito furono davvero fondamentali, preziosi, per la svolta di Napoleone nel modo di scrivere. 

Aveva capito che bisognava essere retorici e al tempo stesso esaustivi, coerenti, puntare al cuore del lettore, oltre al patriottismo. La limpidezza narrativa sarebbe diventato il suo tratto distintivo, da quel momento in poi. "Adesso mi sento più sicuro su come esporre i miei pensieri" si diceva, nel mentre faceva scivolare rapidamente la penna d'oca sulla carta.

La calligrafia, tuttavia, risentiva ancora della sua frenesia interiore, era l'unico tratto che non riusciva proprio a migliorare, si sforzava di rendere le lettere più flessuose, morbide, fallendo miseramente. Erano proprio nella sua natura, la rapidità, l'irriquetezza, la mano non poteva tenere il ritmo della mente inarrestabile, inesauribile. Quel suo corpo era troppo stretto, piccolo per contenerlo.

- Speriamo solo che l'editore a cui vi rivolgerete, cittadino capitano, riesca a comprendere i vostri scarabocchi - ridacchiò Bouchet, tentando di leggere quel foglio di carta torturato dal tocco veloce, forte del ragazzo. Per poco non bucava il foglio.

Anche Napoleone rise di gusto e replicò - Lo spero altrettanto, così potrò rileggerlo, in quanto nemmeno io sono in grado di capire che cosa diavolo abbia scritto - Ed era vero, molte volte si affidava alla memoria prodigiosa, nella speranza di poter interpretare quei geroglifici che lui stesso scriveva.

Pierre Simon scoppiò a ridere senza posa, lacrimava quasi - Siete...siete incredibile Buonaparte...avete un ottimo senso dell'umorismo... - disse dopo aver ripreso fiato.

- Non si può essere perfetti su tutto o mi sbaglio? - fece retorico Napoleone, riappropriandosi del foglio che era caduto dalle mani del suo 'benefattore'. Lo poggiò delicatamente sul tavolino e lo fermò con il calamaio - Purtroppo mi porto dietro questo problema fin da quando ho imparato a scrivere - si soffermò sulla pena d'oca in bella vista, scrutandola attentamente - E per quanto mi sia impegnato, non sono stato capace di sistemare la calligrafia, all'accademia non potete immaginare cosa abbia dovuto subire da quei bigotti dei miei maestri - ridacchiò infine.

- Forse perché siete mancino - ipotizzò l'amico facendogli notare il dorso della mano sinistra completamente sporco d'inchiostro - Strano che non vi abbiano 'raddrizzato'  all'accademia, mi avete detto che era gestita da monaci e so che i religiosi, in particolare, ci tengono molto a correggere questo 'difetto', se così si può chiamare...

- All'accademia di Brienne, specialmente, non ho mai usato, né scritto con la sinistra - confessò Napoleone, sollevò la mano, nonostante sentisse i muscoli indolenziti e la contemplò, ritornando a quei giorni, pareva essere passata un'eternità - Perché avevo già imparato ad usare l'altra mano, adoperavo quella naturale solo quando non mi vedeva nessuno e la pulivo poco prima di uscire dalla stanza, non avevo alcuna intenzione di ritoccare una parte di me che non è accettata dalla società, ho le mie ragioni...

Bouchet era sempre più colpito dal carattere indomabile, ostinato, di quel ragazzo, apparentemente debole, in realtà possedeva una forza interiore inimaginabile. Vederlo disoccupato e senza alcun incarico, oltre ai convogli da organizzare, lo rattristava, la Francia aveva bisogno di gente intraprendente e capace. Poteva capire lo stato d'animo che traspariva dalle sue iridi grigie e velate da una malinconia inconsolabile. Comprendeva anche il perché della sua dedizione al breve racconto sull'incontro a Beaucaire, era il suo modo per non pensare troppo a quello che potrebbe fare e che non poteva, a placare la rabbia, la frustrazione, che teneva sicuramente a freno - Al giorno d'oggi ci vorrebbero più persone come voi, non solo in Francia, ma in ogni parte del mondo - ammise - Invece chi va avanti è solamente gente priva di una qualsiasi forma di dignità...

- Tutte le persone se viste da vicino ne sono prive - sentenziò Napoleone poggiando la testa tra le mani, l'espressione del volto era distaccata, lontana, eppure così terribilmente abbattuta, consumata da un tormento sia fisico che spirituale - Anche noi due, caro mio, anche noi due, all'essere umano interessa mantenere la facciata pulita e onesta, ma dentro, ahimè, dentro è marcio, corrotto, irrimediabilmente perduto, ognuno in modo diverso, sia chiaro, ma la sostanza non cambia... - alzò lievemente lo sguardo per osservare la sua reazione. Sapeva di aver detto dei concetti duri, per nulla piacevoli da ascoltare, purtroppo era la verità, e valeva per tutti, lui compreso, nessuno era salvo.

Notò lo stupore mista alla vergogna malcelata dipingersi sul volto di Bouchet, era riuscito a centrare il bersaglio con quelle parole. Aveva sicuramente qualcosa da farsi perdonare e altro di cui provava quasi disgusto, un'azione o un pensiero indicibile, al pari di ogni uomo. Rispettò il suo silenzio, non domandandogli nulla sul suo passato che non sapesse già. 

- Rousseau, come molti altri illuministi, affermava ottimista, speranzoso, con l'Emilio e il mito del buon selvaggio, che l'uomo è fondamentalmente buono, ed è la società che lo trasforma - aggiunse alla fine, per concludere il discorso, chiuse e riaprì gli occhi tenendo lo sguardo verso Bouchet, che si era ammutolito - Ha ragione solo in parte, secondo me sbaglia sulla bontà innata, l'uomo non è affatto così, perché la natura, il mondo, probabilmente anche l'universo, sono spietati, insensibili, crudeli e noi deriviamo da essi, siamo fatti della loro stessa materia...

- Mi avete provocato dei brividi che non avevo da anni - gli rivelò scosso, sconvolto da quelle parole tanto sincere quanto inquietanti, emesse da un ragazzo di poco meno di 24 anni, per di più ufficiale. Ingoiò rumorosamente la saliva e si soffermò lungamente su di lui. Napoleone ricambiò, continuando a riflettere sulle sue stesse parole. Pure lui aveva del marcio che doveva assolutamente nascondere, dei progetti talmente folli, impensabili, che se rivelati, avrebbero potuto comprometterlo per sempre. Ed era l'ultima cosa che desiderava al momento.

- Perché è la verità, lo sappiamo tutti, ma non lo ammettiamo mai, perché troppo orgogliosi della nostra presunta superiorità sugli altri esseri viventi e sul nostro stesso pianeta... E poi c'è di mezzo la religione che non aiuta...

- Avete ragione, ma ora voi siete riuscito a farlo ammettere a me, è già un risultato non vi pare? - sorrise tirato Bouchet. Dopodiché lo lasciò riprendere la stesura, continuando a rimuginare.

Negli ultimi tempi, però, il ragazzo si sentiva sempre più stanco, affannato, sudava per il caldo, eppure tremava di freddo. Bouchet, poco dopo, accorgendosi di questo malessere, gli pregò di prendersi delle pause o di farsi visitare da un dottore, Napoleone, però declinò la sua offerta - Non mi fido dei medici - rispose immediatamente il ragazzo, con un'ostilità che Pierre Simon non comprendeva.

La morte del padre fece ricordare a Napoleone lo stato desolante, misero, della medicina della sua epoca, così retrograda, così inefficace. A distanza di anni rimembrava distintamente il contenuto di quella maledetta lettera, attraverso la quale veniva a sapere della terribile dipartita del padre. Gli era capitato persino di sognare la sua morte, era nitida, gli sembrava vera, seppur non l'avesse vista.

Era vivida, al pari del senso di colpa che lo attanagliava ogni qualvolta pensava al padre. Affidarsi ad un medico corrispondeva quasi ad infrangere quella promessa che aveva fatto a sé stesso anni prima. Non riusciva a staccarsi totalmente dal suo passato, era più forte di lui rimanere attaccato a quel mondo lontano che gli mancava terribilmente, nonostante la volontà di voltare pagina.

- Come desiderate - fece Pierre Simon, rispettando la sua decisione. Ciononostante era preoccupato per quel pallido e gracile ufficiale che lo aveva abbagliato con la sua incredibile sapienza, insaziabile brama di conoscenza, e sconvolto con la sua saggezza. Era per lui un amico, oramai, e si augurava che il sentimento fosse reciproco.

- Vorrei solo un po' d'acqua - emise cortesemente Napoleone celando una smorfia di dolore - Ho la testa che mi scoppia, non mi era mai capitato di avere il mal di testa prima d'ora o se proprio devo essere onesto un dolore tanto persistente - precisò alla fine massaggiando le tempie insistentemente, poggiandosi sulla sedia in maniera scomposta.

- Probabilmente vi state affaticando un po' troppo, dovreste approffittare di queste giornate per uscire un po', prendere una boccata d'aria fresca, vi farà bene - gli consigliò Bouchet sincero. Gli fece portare sia un bicchiere d'acqua sia un fazzoletto umido, in modo da poter rifrescare la fronte sudata e le tempie che stava torturando.

Napoleone ringraziò gentilmente e iniziò a pulirsi completamente il viso con il panno inumidito, sperando di trovarvi il sollievo che desiderava, ma più tentava di rifocillarsi, più sentiva il corpo abbandonarlo, affaticato. Pierre Simon si allarmò e balzò verso di lui, appoggiando la mano sulla fronte - Siete bollente! - esclamò quello spaventato.

- Ma che dite? Impossibile! - rise Napoleone, credendo che stesse scherzando per farlo stare meglio.

- Sono serissimo invece, avete sicuramente la febbre - insisté l'amico con un tono che non ammetteva burle.

Napoleone, atterrito dal solo pensiero di dover restare immobile a letto, come gli era capitato una sola volta da bambino, si ritrasse da lui, continuando a negare l'evidenza. Il suo incubo peggiore era l'assoluta immobilità e il non avere la padronanza, il controllo del proprio corpo. Era inaccettabile e piuttosto che curarsi avrebbe preferito continuare a lavorare, certo del fatto che sarebbe guarito da solo, senza dover assumere farmaci o veleni, come considerava le medicine.

Improvvisamente, percepì alla bocca dello stomaco una disagevole sensazione di nausea, che lo rese quasi verdognolo in volto e stimolava il repellente impulso di dover rimettere. Era la stessa sgradevole situazione che aveva quando viaggiava per mare. Aveva avuto altri attacchi nei giorni scorsi, ad intermittenza, ma non ne aveva parlato, in quanto pensava fosse dovuto al mal di stomaco o al semplice fatto che avesse mangiato molto. Bouchet intuendo quello che stava per accadere riuscì a farsi procurare un secchio da un servo e glielo consegnò all'istante. Buonaparte vomitò anche l'anima, subito dopo si sentì svuotato, più malato di prima.

- Ora mi credete? - lo rimproverò bonariamente il mercante borghese.

- Sì, vi credo - dovette ammettere Napoleone con profondo rammarico - Ma vi prego non chiamate nessuno, curatemi voi o uno dei vostri servi, se proprio dovete... - lo supplicò terrorizzato.

Bouchet non poteva mantenere una tale promessa, non aveva le conoscenze, né le competenze adeguate per capire quale male avesse davvero e come curarlo. Aveva solamente i soldi per comprare gli eventuali medicinali - Mi dispiace ma non posso farlo, potrei uccidervi se dovessi azzardare delle ipotesi

- Sempre meglio che farsi ammazzare da un medico 'competente' - sbottò Napoleone nervoso. Il malessere era talmente grande da impedirgli qualsiasi arrabbiatura, gli doleva dappertutto. Non oppose resistenza neanche quando fu messo a letto, ben coperto e accudito da Marguerite Chanousse, la quale, prima gli aveva tolto delicatamente gli indumenti, e controllato se vi fosse qualche segno particolare sul corpo liscio e magrissimo.

Bouchet, intanto aveva incaricato uno dei servi più istruiti di chiamare un medico - Fate presto, non c'è tempo da perdere...

- Agli ordini - ed era corso via senza aspettare un minuto di più.

Intanto Napoleone borbottava sotto le coperte, manifestando il suo disappunto - Ma guarda in che situazione dovevo cacciarmi - si lamentava, mascherando il dolore che provava lungo la schiena e l'addome, escludendo i muscoli che lo avevano lasciato da molto prima. Non si era mai sentito così male "Spero non sia nulla di grave" si disse rabbrividendo.

Il dottore arrivò dopo una buona mezz'oretta e immediatamente visitò il giovane paziente, che nonostante la sua situazione, molte volte si era rifiutato di riferire alcune informazioni o di muoversi come gli ordinava per controllare. Alla fine, dopo aver tastato con particolare attenzione la zona della milza, sentendola lievemente sporgente, intuì il male terribile che aveva colpito Napoleone - Malaria! Non ci sono dubbi! Con alte probabilità è la quartana, aggressiva ma non mortale...

- Malaria?! - gridò Napoleone seriamente spaventato, sobbalzò e si toccò febbrilmente e ansioso - Non è possibile...non può essere, io...io non ho attraversato nessuna palude! Come...come potete dire questo? Parlate! - lo guardava bieco e spaventato.

- Se non siete stato in zone paludose, allora è stata la zanzara che diffonde la malattia ad averla trasmessa a voi, cittadino, questi sono i modi con cui si contrae la malaria, tra voi militari è anche piuttosto normale beccarla almeno una volta nella vita - spiegò il medico, indispettito dal carattere sospettoso, diffidente del ragazzo. Poi si allontanò da essi e passò a discutere con il padrone di casa, gli domandò - Sapete cosa dovete usare per curarlo al meglio?

- Dell'alcool e della china - rispose Bouchet prontamente - Ho tutto il necessario per rimetterlo in sesto - disse fiducioso. Ordinò a Marguerite di andare a prendere il necessario per guarirlo. 

- Bene allora posso anche andare, se dovessero esserci delle complicazioni non esitate a chiamarmi, la forma che ha contratto non è grave, ma stiamo parlando pur sempre di malaria ed è meglio non sottovalutarla - avvertì il medico porgendo la mano verso Bouchet.

- Certamente, vi ringrazio - allungò la sua e gliela strinse, lo pagò e lo accompagnò alla porta. Udiva dal piano di sopra Napoleone lamentarsi rumorosamente, forse per il dolore o per la sua testardaggine nel non volersi far curare.

- Non voglio niente! - sbraitò il capitano dimenandosi tra le coperte, dolorante. Infine, dopo tanta resistenza da entrambe le parti, dovettero molte volte bloccarlo a fatica, si arrese, sfinito dal continuo vomitare e dai muscoli indolenziti, semisvenuto, accettò le cure, pregando che quell'inferno finisse il prima possibile. 

 

 

   
 
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