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Autore: Fanny Jumping Sparrow    21/06/2020    3 recensioni
Il malvagio ed affascinante Capitan Vegeta ha un cuore nero come gli abissi, è vittima di una maledizione e con la sua nave Bloody Wench semina morte e terrore per i sette mari; la bella e intrepida Bulma Brief è una coraggiosa avventuriera con l'umore mutevole come la marea che nasconde un singolare segreto. Entrambi attraversano gli oceani alla caccia dello stesso tesoro: le magiche sfere del Drago. Il giovane tenente di vascello Son Goku, fresco di accademia ed amico d'infanzia della ragazza, riceve l'incarico di catturare i due fuorilegge, che nel frattempo hanno stretto una difficile alleanza, e consegnarli al capestro...
Personale rivisitazione in chiave piratesca del celebre anime su suggerimento della navigata axa 22 (alla quale questa storia è dedicata;) e della mia contorta immaginazione. Possibili numerose citazioni e riferimenti ad opere letterarie e cinematografiche esterne. Gli aggiornamenti saranno dettati dalle capricciose onde dell'ispirazione. BUONA LETTURA! Se osate...
Quella tonalità era insolita, appariscente, innaturale. Non umana.
Contenne uno spasmo di eccitazione. “Troppa grazia”, obiettò pessimisticamente.
Aveva dato la caccia ad un colore simile innumerevoli notti, sondando bramoso il blu profondo.
Troppo facile, troppo assurdo che l’avesse proprio lei.

*CAPITOLI FINALI IN LAVORAZIONE*
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Goku, Vegeta | Coppie: 18/Crilin, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve ciurma!
Finalmente oggi sbarco con questo nuovo atteso (?) capitolo che ammetto di aver scritto e riscritto una miriade di volte (anche perché il mio cervello sta portando avanti pure altre ff :S), nonostante sia uno di quelli che avevo già in mente da tantissimo tempo, in quanto contiene due delle scene che avevo abbozzato praticamente quando iniziai a concepire questa storia, ma che si sono rivelate parecchio difficili da mettere su inchiostro elettronico ^^"
Insomma, dopo una trentina di capitoli, ho ritenuto che fosse giunta l'ora di smuovere sul serio le acque tra quei due orgogliosi testoni!
E adesso sono curiosissima di sapere cosa ne pensate, e mi assumo le mie responsabilità per il finale bastardello! XD
Come sempre un grazie di cuore a tutti i lettori silenziosi e coraggiosi che si sono imbarcati in questa follia e mi lasciano tracce del loro passaggio.
Spero di non deludervi e di tornare (più) presto!
Al prossimo approdo!)


XXXI: FALLING

Degli artigli acuminati gli erano affondati poco sopra le clavicole, e il dolore acuto che lo aveva sconquassato nei primi secondi ora si era quasi anestetizzato.
La bandiera gialla con il tridente che sventolava fiera in cima all’albero maestro stava allontanandosi progressivamente dal suo raggio visivo, divenuto sempre più distorto e sfocato.
Aveva continuato a tempestargli forsennatamente di pugni il grugno, riuscendo almeno a non farsi azzannare, ma la sua forza poderosa era di gran lunga inferiore alla tempra di quella mascella nata per uccidere, ed essere sbatacchiato per aria a diversi piedi di altezza non rendeva quella strenua lotta così scontata.
L’incessante sbattere di quelle grandi ali, unito a quegli strilli disumani, gli stava assordando i timpani, quell’alito rancido che sapeva di putrefazione gli ammorbava il respiro. Quando i canini affilati dell’ahool si serrarono ferocemente sulla sua spalla sinistra, in Vegeta s’insinuò l’amara consapevolezza che non avrebbe avuto più molte altre possibilità di sopravvivere: avrebbe dovuto cavarsela da solo e soprattutto in fretta, prima di diventare un gustoso spuntino per quella sottospecie di gigantesco pipistrello carnivoro.
Si ricordò allora di avere dei pugnali occultati negli stivali, solo che ad ogni tentativo di strattonarsi, le lunghe unghie della bestia gli si conficcavano ancora di più in profondità nella carne, impedendogli di muoversi senza procurarsi degli strappi che lo facevano vedere rosso e poi nero per il bruciore.
Non riusciva più a distinguere cosa ci fosse sotto di sé, ma avrebbe preferito spappolarsi sulle rupi piuttosto che farsi spolpare da quell’abominio volante.
Concentrando tutto il suo rimanente nerbo per respingere con la pressione di una mano quel muso zannuto che puntava sempre più alla sua carotide, gemendo e digrignando i denti, riuscì ad avvicinare un ginocchio al petto, recuperando quel cruciale pezzo di metallo e cominciando a colpire alla cieca qualunque punto vulnerabile avesse a portata di lama.


- Razza di felloni! Non avete un briciolo di onore né di lealtà per il vostro Capitano! Volete abbandonarlo così al suo destino? – contestò una più che inorridita Bulma Brief, caricando quell’accusa di scoramento e dispetto, cercando di scuotere gli spiriti vili e assopiti dei compagni di viaggio.
Sulla tolda della Bloody Wench combattimenti e cannonate erano cessati, e gli acciaccati sopravvissuti alla sanguinosa battaglia erano rimasti tutti con il fiato sospeso, il naso all’insù e le mani in mano, dopo che anche Capitan Vegeta era stato catturato di soppiatto da uno di quei terrificanti demoni alati. Il veliero navigava a vista e la sirenetta stava barcamenandosi con gran difficoltà nel tenere a bada quella banda di malfidenti masnadieri per cercare di rincorrerlo e possibilmente salvarlo, sebbene in pochi sembrassero essere sgomenti per l’ignota sorte che gli era toccata, ed essendo ormai scomparso da diversi minuti tra le vette brumose delle falesie, molti lo avevano già dato per disperso o peggio, trapassato.
Lei, però, continuando a osservare ansiosamente quel cielo lattiginoso, si rifiutava nella maniera più assoluta di prendere in considerazione quella scoraggiante eventualità. Quell’uomo era un concentrato di energia dirompente e distruttiva, di coraggio e razionalità, istinto e intelligenza. Gli aveva visto compiere in prima persona una sfilza di azioni fuori dall’ordinario, non poteva credere che avesse fatto una fine tanto amara e infamante. E che ci fosse già qualcuno che scalpitava dalla smania di sostituirlo.
Radish e Nappa la schiaffeggiarono con un’occhiata colma di avversione. Aveva capito di esserseli inimicati e, anche se non ne aveva le prove, era trafitta dal sospetto che quello strano incidente del cannone che era stato all’origine dello scatenarsi di quella calamità, potesse essere stato ordito proprio da uno di loro per screditarla.
Benché disperasse di poter sopravvivere ancora a lungo tutta sola in mezzo a quei bricconi, meschini e attaccabrighe, era ancora lei a reggere il timone e non intendeva lasciarsi calpestare dai loro ottusi pregiudizi. In assenza di una figura autorevole e intimidatoria, la situazione sarebbe degenerata inevitabilmente nella più completa anarchia e tutto ciò che aveva conquistato sarebbe andato perduto.
Spettava a lei evitarlo, ad ogni costo. Non sarebbe più tornata indietro.
Il passaggio fulmineo di un’ombra che sfiorò sfrecciando la coffa ravvivò la sua determinazione: - A riva!1 Mollare le scotte! Accostare di dieci gradi a sinistra! – ordinò con piglio rigoroso e allo stesso tempo rincuorato, riabbassando il cannocchiale.
Radish scagliò un urlo: - Eccolo! È lì! – confermò esagitato, indicando agli altri la direzione in cui aveva avvistato anche lui quel groviglio di sagome indistinte volteggiare e lottare meno di dieci metri sopra di loro.
- Sbrogliate tutti i coltellacci!2 – impartì con gran sollecitazione Nappa ai marinai, facendo sì che, con quelle vele aggiuntive, il galeone prendesse un abbrivo maggiore, sfruttando ogni singolo alito di vento che spirava tra quelle strettoie di pietra adamantina.
Il nostromo e il quartiermastro si riappropriano con vanagloria dei comandi, incitando i compagni a lanciarsi all’inseguimento, ma nessuno dei due rivendicò il diritto di stare alla barra, e la piratessa poté così servirsi di tutta la sua destrezza ed esperienza per governare il galeone. Con la mano libera inforcò di nuovo il binocolo, girò una rotella aumentando al massimo l’ingrandimento e inquadrò prima il paesaggio di fronte a sé, occupato da un susseguirsi di ripide scarpate che s’inabissavano nelle acque verdastre, e poi in alto, individuando quei ruggenti corpi avviluppati in una feroce lotta che pareva oramai prossima a esaurirsi.
Capitan Vegeta, infatti, sembrava aver avuto la meglio sulla belva e i due antagonisti adesso stavano considerevolmente perdendo quota.  La possibilità che l’intrepido pirata finisse per schiantarsi su qualche scoglio pizzuto era adesso spaventosamente elevata.
Bloccando la ruota timoniera, Bulma ricontrollò le carte nautiche, estrasse dalla sporta il suo fidato taccuino e abbozzò alcuni calcoli rapidi, schematizzando le migliori manovre cui avrebbe potuto fare ricorso, approssimandosi alla fine di quel passaggio accidentato. La punta del lapis si spezzò sul foglio non appena urli di rimprovero e di terrore misti a bestemmie e insulti la bersagliarono senza pietà, inducendola a riportare l’attenzione sull’ostacolo contro cui stavano andando rischiosamente a collidere.
Davanti a loro era apparso un piccolo promontorio sormontato da un faro che un’esigua lingua di mare separava dall’antistante costone roccioso, rendendone l’attraversamento quasi impraticabile: - Bracciare a collo!3 Ammainare i fiocchi e gli stralli! – strillò col cuore in gola, affannandosi per tentare di girare più in fretta possibile il pesante timone.
- Imbrogliate i velacci! Via gli scopamare!4 Sbrigatevi! – le fece eco Nappa, spronando i gabbieri ad agire sugli alabbassi, così da ridurre la superficie velica esposta alla corrente per rallentare e poter virare senza troppi danni.
Con quella manovra combinata un po’ tardiva, le fiancate si scalfirono contro le sporgenze rocciose, ma il superamento sul fil di lana di quel tratto angusto suscitò la sollevazione di scrosci di stupore.
Tirando un sospirone per lo scampato disastro, Bulma riagguantò il binocolo. Il vascello bordeggiava5, proseguendo il suo avvicinamento all’isola maggiore dell’arcipelago che si ergeva al centro di quella cintura di scogli. Con un arduo sforzo di proiezione, valutò la distanza che la Bloody Wench, mantenendo stabilmente quell’andatura, avrebbe coperto prima di poter attraccare in un punto sicuro e riparato da inopportuni avvistamenti.
Il riflesso della lente le mostrò anche che il Capitano, liberatosi dal peso morto dell’ahool, stava precipitando. Da quella notevole altezza anche l’impatto con l’acqua sarebbe stato tutt’altro che salutare. Il loro distacco tuttavia si era ridotto, ed era ben conscia che far corrispondere la posizione della nave a quella del corpo in caduta libera del suo alleato era una circostanza fortuita, che non avrebbe potuto ripetersi con altrettanta facilità.
“O la va o la spacca”, si disse, incrociando le dita per scaramanzia e strizzando le palpebre.
E stringendo le maniglie del timone, dettò una disposizione tanto imprudente quanto potenzialmente catastrofica: - Ancorare!

Mentre planava, sospinto sempre più in basso per effetto della gravità, Vegeta tentò di rigirarsi per adocchiare cosa lo aspettasse una volta finita quell’inarrestabile discesa, se il confortante abbraccio delle onde oppure la dura resistenza della pietra.

Le sue pupille invece si dilatarono per lo sbigottimento, focalizzando imprevedibilmente l’immagine del suo galeone che stava compiendo un avventato ancoraggio alla ruota6, ponendosi proprio sotto di lui. Ogni secondo, ogni millimetro che lo separava da quell’impatto avrebbe potuto essere perciò decisivo. Nuotò nell’aria, brancolando con le braccia e con le gambe, detestando l’idea di finire infilzato sulla sommità di quei tronchi appuntiti, ma la nave continuava a sbandare e ruotare intorno al suo asse, e lui capì che avrebbe potuto meramente contare su una favorevole quanto ristretta combinazione di probabilità. Mentre le voci e le facce eccitate dei suoi sodali divenivano sempre più riconoscibili, si dimenò tentando di aggrapparsi a qualcosa, di afferrare qualunque drizza, bozza, amantiglio.
E invece restò ignobilmente ingarbugliato a testa ingiù tra le sartie, con la grama consolazione di non essersi almeno fracassato le ossa e di esserne uscito quasi illeso.
Tra acclamazioni e colorite esclamazioni di ogni sorta, il nostromo e il quartiermastro lo raggiunsero, arrampicandosi per aiutarlo a liberarsi, ricevendo uno sdegnato rifiuto da parte sua.
Bulma, scendendo a due a due i gradini del castello di poppa, accorse poco dopo ai piedi del trinchetto, una mano posata sul petto madido e ansante: - Bentornato a bordo, Capitano – lo blandì con un’occhiata calorosa, le gote rosate e rotonde sprizzavano al contempo sollievo e vanità, facendogli intuire che ci fosse il suo indiscreto zampino dietro quel salvataggio rocambolesco che per poco non lo aveva ammazzato.
Vegeta finì di districarsi dal cordame e riatterrò carponi sul ponte, ergendosi e puntandole un dito contro: - Non solo siete oltremodo indisponente, siete pure completamente sciroccata! – tuonò sferzante e astioso come sempre, anche se ancora un po’ barcollante.
L’azzurra portò le mani ai fianchi, ignorando la sua mancata riconoscenza e la voglia di mollargli un sonoro ceffone: - Non sarei ancora qui, altrimenti – si limitò a punzecchiarlo, alzando il mento, sfrontata e birbante.
Il pirata mugugnò tra sé e sé e si voltò stizzito e impacciato, camminando riflessivamente lungo il parapetto, valutando la loro posizione. Erano ancorati in una piccola insenatura ombreggiata dalle montagne circostanti, a poco più di un paio di miglia dalla costa, su cui ora anche ad occhio nudo era scorgibile un variopinto agglomerato di abitazioni oblunghe, che si abbarbicavano su tutta la superficie collinare dell’isola conferendo alla cittadella la parvenza di un vero e proprio termitaio.
Già al solo pensiero di dovere mettere piede in un luogo tanto affollato di esseri umani che reputava sporchi, insulsi e inferiori si sentiva soffocare, e ad accrescere il suo senso di oppressione si aggiungeva il fastidioso sentore che non fossero i soli ad essere arrivati fin lì: - Freezer è sicuramente là fuori, in attesa di tenderci un’imboscata – biascicò corrugandosi di un irrequieto risentimento, come se riuscisse a vedere il suo vecchio avversario subdolamente in agguato oltre la cordigliera.
Bulma consultò la sua bussola cerca-sfere, trasalendo nell’appurare che effettivamente mancava solo un paio di centimetri perché le lancette indicanti le sfere ancora da recuperare combaciassero. E ciò confermava, oltre ogni ragionevole dubbio, l’ormai imminente prossimità dell’altro malvagio contendente, che sarebbe potuto comparire ad intralciarli e derubarli da un momento all’altro.
Capitan Vegeta intanto si riarmò la fusciacca con spade, pistole e munizioni raccattate qua e là: - Preparate le scialuppe. Faremo una ricognizione a terra – stabilì col suo solito fare autoritario e spicciativo, annodandosi una striscia di stoffa sul bicipite della malconcia spalla offesa che non riusciva ad articolare fluidamente.  
Quell’impedimento non era passato inosservato alla piratessa, che da subito aveva notato la grave ferita da lui riportata: - Un momento. Dove credete di andare conciato così? – lo rimbeccò al pari di una madre che riprendesse un figlioletto disubbidiente, frapponendosi al suo frettoloso incedere verso uno dei paranchi che sorreggeva la barcaccia prescelta per lo sbarco.
Lui la guardò astiosamente, agguantandola per un polso, intimandole di aggregarsi a loro: - Devo trascinarvi a forza? Siete diventata sorda, forse?  
Lei impuntò i piedi, divincolandosi dalla sua non troppo insistente presa: - E voi vi siete bevuto il senno? Non vi siete accorto che vi hanno morso?
Il filibustiere si raddrizzò accigliandosi, sistemando sommariamente la camicia sbrindellata dentro i calzoni: - È una bazzecola – mormorò con una smorfia mordace, non volendo darle la soddisfazione di ammettere quanto stesse mutamente sacramentando per quell’affronto alla sua fama di uomo imbattibile e tutto d’un pezzo.
L’azzurra, come prevedibile, non desistette, anzi quella sua cocciuta strafottenza esasperò ancora di più la sua già a stento trattenuta suscettibilità: - Bazzecola un corno! La lesione ha un brutto colorito, se non ve la disinfetto subito, potreste rischiare di perdere anche tutto l’arto! E dopo cosa me ne farei di un compagno menomato? – starnazzò acrimoniosa, incurante degli sguardi allucinati di tutti quelli che gli stavano attorno.
Vegeta la incenerì e ringhiò a denti stretti, reprimendo la tentazione di afferrarla per il collo e scaraventarla oltre la balaustrata. Anche perché aveva insopportabilmente ragione.
- Brutta è brutta come ferita … – riconobbe malignamente anche Radish, potendolo esaminare dall’alto della sua stazza che, schiacciato dall'intensificarsi degli effetti di quella dolorante trafittura, gli appariva quasi raddoppiata.
Non dubitava che si sarebbe rimesso in sesto molto rapidamente, ma muovere quel legamento leso gli doleva, molto più di quanto l’adrenalina dello scontro gli avesse permesso inizialmente di percepire, e perfino il suo udito sopraffino, intossicato dal ripercuotersi di quella fitta, sembrava ovattarsi insieme con l’intorbidamento della facoltà visiva. Umiliato e alterato da quel fastidiosissimo contrattempo che gli impediva di proseguire e possibilmente anticipare le mosse di Freezer, Capitan Vegeta sbuffò uno stizzoso: - Andate avanti senza di noi.
Nappa avanzò verso la Brief, tendendo una delle sue lerce manone a reclamare le Carte del Supremo che quella gelosamente stringeva a sé.
- Limitatevi a cercare di scoprire se qualcuno per caso ha mai visto o ha sentito parlare di quella sfera – intervenne allora con fermezza a dissuaderlo da quel proposito. Non si fidava a tal punto di quei farabutti in odore di cospirazione da poter consegnare loro la mappa del tesoro che ambiva da tutta una vita.
Accantonando la spocchia e l’entusiasmo, ma non quello smanioso e minaccioso desiderio di rivalsa, il suo quartiermastro, spalleggiato dal nostromo, scelsero un altro paio di uomini e si imbarcarono su una scialuppa.
- E vedete di non destare sospetti. Sempre che ne siate capaci – li tacciò ancora il Capitano, investendoli con un’occhiata scura e indagatrice dalla murata cui si era sporto, rimanendovi finché non si accertò che la piccola imbarcazione fosse entrata nella rada antistante al molo di attracco.
Bulma, che si era come cristallizzata dall’ultima irriflessiva esternazione, avvertendo la spiacevole sensazione di essere la causa principale dei dissapori e delle lamentele che sempre più di frequente agitavano quella ciurma turbolenta, si mosse solo quando udì il suo alleato appellarsi grossolanamente alla sua assistenza, spiccicando quell’ormai familiare quanto tedioso richiamo.
- Donna! La mia pazienza ha un limite!
Fece una scappata nella sua cabina, raccolse tra i suoi effetti personali tutto l’occorrente per improvvisare una buona medicazione e, lasciandosi oltrepassare dalle espressioni pettegole e smaliziate dei marinai, tornò con altrettanta sollecitudine all’alloggio di quel bisbetico e detestabilmente affascinante Capitano.
Si era spogliato della camicia lacera e insanguinata, che aveva gettato sul pavimento insieme agli stivali usurati, rimanendo con indosso i soli pantaloni di fustagno color antracite, e, quando lei entrò, stava ripulendosi la pelle bronzea con delle pezze imbevute di acqua e sale che lei stessa aveva suggerito ad un mozzo di portargli nel frattempo.
La turchina gli si avvicinò cautamente, disponendo su di un panno che poggiò sul tavolo i coltellini chirurgici, le boccette con i medicamenti, le garze, l’ago e il filo per suturare.
In realtà, sebbene conoscesse per cultura personale tutto ciò che occorreva per medicare lesioni di quel tipo, non aveva tantissima esperienza pratica in quel campo.
Preferiva affidarsi a dei cerusici durante i suoi viaggi ed era rimasta sconcertata dall’assodare che tra quei bricconi non ve ne fosse neanche uno. O magari era rimasto vittima degli eventi e a nessuno era venuto in mente di assoldarne un altro per sostituirlo.
 Ringraziò ardentemente gli dei per non averne avuto bisogno e si sforzò di concentrarsi sul suo “paziente”, che intanto si era seduto con atteggiamento insofferente su uno sgabello, la schiena diritta e le grandi mani chiuse sulle ginocchia tornite.
Cominciò a gironzolargli intorno, esaminando l’entità di quelle ferite inferte da artigli e zanne che gli avevano deturpato il busto, le braccia e le spalle, per capire meglio come iniziare ad operare, e non poté astenersi dal rimanere impressionata: non aveva mai visto tanti muscoli e tante cicatrici tutte concentrate in un solo uomo.
Avvertì delle bollicine nella pancia. Anche così, seminudo e disarmato, con quella criniera corvina incolta e scapigliata che svettava come una fiamma indomabile sui tratti tesi e spigolosi del viso, appariva più pericoloso e selvaggio che mai. Probabilmente non aveva una bellezza classica, ma emanava un suo innegabile fascino. Un pruriginoso timore s’impadronì dei suoi battiti, suggerendole che se avesse ceduto ai sentimenti tra loro sarebbe successo qualcosa d’irreparabile.
La porta si chiuse per un refolo di vento, facendola sobbalzare e ritornare al presente.
- Allora, vi siete incantata? – la riprese con un’occhiataccia lui, colmando quell’impacciato momento di silenzio.
Bulma scosse la testa, estrapolò dalla sua custodia il cauterio e lo riscaldò sulla fiammella di una candela, valutando che innanzitutto bisognava fermare i sanguinamenti meno preoccupanti. Ma al momento di accostare quello strumento arroventato sui tagli e sui fori che si erano formati laddove quella mostruosa creatura l’aveva artigliato, socchiuse le palpebre e arricciò il naso nel percepire quello sfrigolio di cute bruciata.
Malgrado ciò, non poté esimersi dal considerare che ancora una volta lui si stesse fidando di lei senza battere ciglio. E che non si stesse neanche lamentando troppo per quell’indicibile supplizio, a differenza di qualcuno di sua conoscenza.
Il suo corpo d’altronde sembrava un monumento alla resistenza e alla guerra, doveva essersi forgiato e scolpito a suon di determinazione e sacrifici, vittorie e sofferenze.
Riposto il ferro rovente, la sirena attinse da un barattolo una piccola quantità di un composto di alghe curative che aveva sperimentato lei stessa, e glielo spalmò con piccoli tocchi sulle escoriazioni più profonde che gli marchiavano i deltoidi, in cui era evidente il segno di aggressive unghiate e di una lotta per la sopravvivenza che doveva essere stata brutale.
Lui le permise di proseguire con quel delicato massaggio vagamente sensuale restando sin troppo quieto e taciturno, tendendosi appena al contatto di quella sostanza emolliente fredda e molliccia, che contrastava il calore della sua epidermide, surriscaldata dai primordi dell’infezione. Goccioline di sudore scorrevano in ogni incavo e curvatura di quella muscolatura martoriata e perfetta, bicipiti, tricipiti e dorsali erano diventati luccicanti, instillandole degli inopportuni bollori.
- Che vi prende? – borbottò ammonitore lui, percependo che i suoi movimenti si erano rallentati e forse anche un po’ illanguiditi.
- Niente – indietreggiò lesta lei, interrompendo quelle indiscrete carezze. Si biasimò: l’incombere del crepuscolo la rendeva ipersensibile a certi richiami carnali!
Lasciando momentaneamente quegli impacchi sulle ferite più esposte ma meno gravi, Bulma inspirò a fondo, preparandosi ad esaminare la parte superiore del braccio sinistro del Capitano che era stata quasi dilaniata dal morso della bestia. Rimosse lentamente la fascia che lui vi aveva apposto per bloccare l’emorragia e quasi trattenne un conato nel riscontrare che c’erano dei lembi di tessuto sollevati e strappati e che il sangue zampillava, indicando la probabile lesione di qualche vaso venoso. Era in condizioni peggiori di quanto non immaginasse, perché non sarebbe bastato applicare miele e curcuma per favorire la cicatrizzazione: avrebbe dovuto ripulire tutto ed eseguire una doppia sutura.
- Siete sicuro di non volere che vi procuri un qualche anestetico? – farfugliò sbirciandolo intimorita, mentre sterilizzava l’ago sul bagliore della candela, dopo averlo anche disinfettato accuratamente con dell’alcol distillato.
Vegeta agguantò la stessa pezza da lei usata poco prima, bagnandola con un’abbondante quantità di spirito e tamponandosi lo squarcio: - La mia soglia del dolore è parecchio elevata – stridé con fiera immodestia, per poi piantare il gomito al tavolo, in modo tale da avere un maggiore appoggio ed evitare di compiere movimenti bruschi durante quel disturbante quanto necessario rammendo.
Lei si sedette su una poltroncina, avvicinandosi un po’ di più a lui e mettendosi a favore della luce chiara che penetrava dalla vetrata, impiegando qualche secondo per infilare lo spesso filo di lana nella cruna del grosso ago uncinato.
Era tesa come una corda d’arco e stava già scoccando sin troppe frecciate contro di lui, con quelle premure avvolgenti, quelle occhiate adoranti e lo sfoggio dei suoi mille talenti.
E poi c’era quel suo delizioso aroma di carne tenera e incorrotta che si era espanso con l’aumentare della sua temperatura corporea ...
Le sue narici si dilatarono per cercare di assorbirne di più e ogni zaffata era come un graffio allo stomaco. Doveva continuare a inibirsi e a tenere sotto controllo i nervi o sarebbe caduto in quell’invitante insidia e si sarebbero fatti entrambi molto male.
- Piuttosto sbrigatevi. Ho altro da fare che starmene inchiodato qui a sorbirmi le vostre manfrine – sbottò snervato, fissando con un moto di contrarietà le sue dita affusolate e malferme che ancora indugiavano nel cominciare a eseguire quella cucitura.
Bulma, indispettita da quell’acida critica, riuscì a fermare il tremore delle mani e, acquisì maggiore sicurezza nell’adoperare quel cerchietto metallico, affinando la tecnica ad ogni nuovo punto inserito per ricongiungere i margini della lesione.
Si era proposta lei di curarlo e voleva riuscire a fare un buon lavoro, ma doveva disperatamente trovare un argomento di conversazione per distrarsi dal pensiero che stesse cucendo un tessuto vivo e non una tela di stoffa.
- Non avete mai indagato per quale ragione sto cercando le sfere ...  Perché? – mormorò ingenuamente, quasi dando sfogo alle intime riflessioni che la tormentavano.
Vegeta distolse lo sguardo dall’impronta di quelle zanne fameliche che stava dissolvendosi sotto il suo salvifico intervento, appuntandolo su di un’irregolarità imprecisata tra le travi del tetto: - Se fate un piccolo sforzo, ci arriverete da sola – asserì con melliflua malevolenza.
L’azzurra bloccò l’ago circolare a metà della sua perforazione, sentendo uno stiletto acuminato trafiggerle spietatamente il costato: - Non v’interessava perché in ogni caso le avreste impiegate solo per voi – dedusse disillusa, sprofondando ancora di più nell’amarezza nel venire schernita dalla sua risatina gutturale - È solo questo che volete …
- Voi che vi reputate così perspicace, come mai vi state ponendo questa domanda solo ora? – perseverò a denigrarla con crudele ironia il rude pirata, imponendosi di mantenere quella facciata di freddo calcolatore che in verità si era accorto di cominciare a non riuscire più a sorreggere con la stessa imperturbabilità di un tempo.
Quella diabolica femmina doveva avergli fottuto il cervello, infiltrandosi  nelle sue più inconfessabili e riprovevoli pulsioni, minando il suo istinto da assedio perenne.
Piccoli fulmini continuavano a scaturire dal flebile attrito della loro pelle e lui già fantasticava l’uragano che sarebbe scoppiato se solo si fossero lasciati trasportare dai sensi.
Sarebbe stato solo un capriccio, si contrariò, la naturale risposta ad un puro e semplice magnetismo animale.
- Io … volevo potermi innamorare, un giorno – confessò fiocamente la ragazza, asciugandosi con un gesto stizzito un luccichio comparso tra le lunghe ciglia e riprendendo solerte a imbastire quell’ordito di punti fitti e simmetrici.
- Non vi ho chiesto quali siano i vostri frivoli desideri nascosti – sfatò seccamente il suo patetico sentimentalismo. I talloni gli prudevano dall’impazienza di potersi alzare e allontanare. Odiava non essere al massimo delle sue potenzialità fisiche, odiava non sapere più come continuare ancora a trattenersi, odiava non potersi comportare come ogni fibra del suo essere più primordiale gli istigava di fare.
Ma mi è già successo, che stupida!”, rimuginò intanto con tristezza Bulma, infilzandolo quasi con dispetto. Oramai era una certezza: per qualche ragione inspiegabile era sconsideratamente attratta da quel mascalzone impunito e la disturbava non avere alcun esplicito riscontro da parte sua.
Lui si leccò fuggevolmente il labbro e le sembrò che provasse quasi un perverso compiacimento in quella specie di tortura che gli stava infliggendo.
Fissato con un nodino l’ultimo punto della sutura, senza pensarci su tagliò il filo superfluo coi denti e le sue labbra sfiorarono inavvertitamente la pelle torrida di lui, che emise un rauco sospiro, irrigidendosi.
La piratessa rialzò la fronte, morsicandosi una guancia, come scottata. La limpidezza del mare fu inghiottita da un abisso di tenebra quando i loro occhi s’incrociarono e uno scombussolante fremito attraversò entrambi.
Non sarebbe stato saggio continuare a provocarlo, non valeva la pena osare di più soltanto per soddisfare una pura e semplice curiosità scientifica.
Eppure non aveva mai agognato così tanto sovrapporre le sue labbra a quelle di qualcun altro, non così come ora bramava le sue. Arroganti, ruvide, salate, bollenti.
Saggiarne il sapore fino in fondo, morderle, giocarci, sentirle cedere alla sua dolcezza e morbidezza e conservarne il sapore sempre più sbiadito ed evanescente fino alla fine dei suoi giorni.
O forse era talmente maledetto che invece sarebbe stato lui ad intossicarla.
Rinvenne da quell’abbaglio trovandosi incollata a pochi millimetri dal suo naso, prendendo coscienza che non era stata solamente un’innocua fantasia.
Lo aveva davvero baciato sulla bocca.
Bulma balzò indietro terrorizzata e mortificata, facendo ruzzolare la sedia, impallidendo e restando in apnea. Quel contatto era stato probabilmente l’imprudenza più costosa di tutta la sua quasi immortale esistenza.
Vegeta la scrutò ermeticamente, passandosi con lentezza un pollice laddove aveva ardito contaminarlo con la sua venefica saliva.
Un turbine di pece rovente e liquefacente gli incendiò le iridi nerissime e lei capì che aveva appena acceso la miccia di una polveriera.

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Immagine tratta dalla gallery di RedViolett su Deviant art
 1 A riva: è il comando con il quale si ordina all'equipaggio si salire sull'alberatura per manovrare quanto vi si trova.
2 Coltellacci: vele trapezoidali facenti parte della "forza di vele" che vengono aggiunte esternamente alle vele di gabbia o parrocchetto per aumentare la velocità.
3 Bracciare a collo: disporre i pennoni in modo che le vele siano investite dalla parte prodiera e facciano arrestare o indietreggiare la nave
4 Scopamare: vela addizionale, rettangolare o triangolare, che i velieri a vele quadre aggiungono a ciascun lato della vela di trinchetto o di maestra, con tempo buono e vento largo, per aumentare la velocità.
5 Bordeggiare: effettuare un percorso a zig-zag navigando contro vento
6 Ancoraggio alla ruota: è quello su una sola ancora. La nave gira attorno ad essa col mutare del vento.
   
 
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