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Autore: heliodor    21/06/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Le tue parole puzzano
 
La porta della cella si aprì e lei ci venne scaraventata dentro.
“Ecco” disse la guardia alle sue spalle con tono divertito. “Qui è dove starai per un bel po’, selvaggia.”
La porta si chiuse con un tonfo e Shi’Larra guardò rassegnata il giaciglio di paglia rinsecchita e la ciotola con la zuppa incrostata gettata in un angolo.
Non c’era paragone con la vita al villaggio, sulle montagne. Lì almeno non l’avevano rinchiusa in una cella, ma se l’avessero presa, le avrebbero fatto molto di peggio.
Na’Vira era stata chiara con le sue accuse.
“Divinazione” aveva detto davanti agli anziani del villaggio, quando Shi’Larra era stata condotta da loro per il giudizio, legata e imbavagliata.
E tutto perché aveva letto il futuro di Mi’Lore per fargli cosa gradita. E perché le piaceva, non solo perché era il ragazzo più bello del villaggio, con i capelli più lunghi e le trecce meglio curate, o con i muscoli più scolpiti o…
Dall’accusa alla condanna era passata solo mezza giornata.
“Esilio” avevano sentenziato gli anziani.
Il che voleva dire morte.
Shi’Larra non poteva andare in un altro villaggio. Quelli del suo avrebbero avvertito gli altri che si trovavano sull’altopiano e forse anche oltre, giungendo alle montagne e alla grande distesa d’acqua che una volta suo zio To’Garri aveva chiamato “mare”.
A meridione c’erano le terre abitate dagli spiriti dei guerrieri morti, sempre adirati con i vivi per ciò che avevano perso. A occidente, verso la terra del sole nascente, vi erano i regni civilizzati, dove si diceva che uccidessero o riducessero in schiavitù i selvaggi come lei. A oriente quella cosa chiamata mare che non voleva vedere per niente al mondo e a settentrione…
Che cosa c’era a settentrione?
Altri regni civilizzati, le avevano detto.
Schiavisti, aveva pensato Shi’Larra rassegnata quando si era messa in marcia con viveri per sei giorni nella borsa, tutto ciò che le era stato concesso di portare con sé.
Mi’Lore nemmeno era andato a salutarla.
Forse è anche lui nei guai, aveva pensato. O forse non gli importa e preferisce farsi i fatti suoi e non far adirare gli anziani.
Esaminò il giaciglio alla ricerca di cimici e altri insetti. Dopo l’ispezione sedette sulla paglia con le gambe incrociate, lo sguardo fisso sulla cella.
Quando aveva raggiuto le pianure aveva già terminato da tempo il cibo. L’acqua l’aveva raccolta dai numerosi ruscelli, ma anche quelli scarseggiavano. In quella parte di mondo non c’erano fiumi e laghi come sull’altopiano.
Shi sapeva che vi erano città e nazioni che si estendevano dalle montagne fino a quella cosa misteriosa chiamata mare.
Un paio di volte all’anno giungevano al villaggio mercanti e pellegrini provenienti dalle zone a valle. I primi cercavano sempre di scambiare collanine e monili di fattura dozzinale e chiedevano in cambio oro e argento.
Una volta sua zia Ra’Dora aveva raccontato che da bambina un mercante era giunto al villaggio sicuro di trovarvi tesori nascosti nei santuari di qualche mago.
Gli anziani avevano cercato di convincerlo che lì attorno non esisteva niente del genere, che loro non avevano oro e che non avevano mai visto un mago.
Il mercante era andato via deluso un paio di lune dopo, con le tasche più vuote di prima. Nel frattempo aveva scambiato il suo oro e l’argento col cibo che gli era stato venduto.
“Valeva molto di meno” amava dire sua zia Ra’Dora. “Ma lui sembrava così felice di separarsi dal suo oro, che ci sembrò educato aiutarlo” concludeva prima di farsi una bela risata.
Una volta era anche arrivato un erudito, quando Shi aveva sette o otto anni. Ricordava ancora quel tizio alto e dinoccolato che si guardava attorno con espressione contrariata.
“Siete proprio sicuri che il santuario non sia da queste parti?” aveva chiesto agli anziani.
Quando loro avevano risposto di no era andato via e nessuno lo aveva più rivisto dopo di allora.
Shi si distese sul giaciglio e cercò di dormire.
Col sonno giunsero le visioni.
Iniziavano sempre con lei che camminava nella foschia. Era solida e consistente e sembrava volerla avvolgere, ma sapeva che doveva continuare a muoversi se voleva scoprire che cosa avrebbe visto.
Di solito, quando la visione arrivava, poi le era concesso di svegliarsi.
Una volta, solo per provare, si era seduta a terra e aveva atteso che il sogno terminasse. Mentre attendeva aveva canticchiato un motivo che sua madre le aveva insegnato.
Alla sesta ripetizione aveva ripreso ad avanzare.
Nelle visioni di solito camminava lungo un sentiero di terra battuta o costeggiando le sponde di un lago. Una volta aveva sognato di muoversi per le stradine del suo villaggio e quando si era fermata davanti alla casa di Go’Narri, il sogno era terminato.
Una Luna dopo Go era annegato mentre cercava di attraversare a nuoto il lago.
Shi si era molto spaventata e aveva smesso di raccontare i suoi sogni a quelli che conosceva.
Non era bastato per impedire a Na’Vira di accusarla.
Nella visione che stava avendo adesso, camminava per una strada lastricata di rocce, tra case che avevano pareti di pietra grigia.
È una città delle pianure, si disse.
Sfiorò col palmo della mano una delle pietre. Era calda nonostante la foschia e il freddo che la faceva rabbrividire.
No, si disse, non è calda. È rovente.
Tirò via la mano di scatto.
Sul palmo arrosato era apparso un simbolo impresso nella pelle rosea della mano. La testa di un lupo e, accanto a essa, quella di una donna dai capelli lunghi.
Chi sei? Si chiese.
Dal fondo della strada le giunse un rumore metallico che si ripeteva con ritmo costante.
A ogni colpo il suono aumentava, finché non divenne assordante. Coprì le orecchie con le mani, ma il frastuono non diminuì.
“Smettila” gridò a nessuno in particolare.
Sentì l’angoscia pervaderla e poi la rabbia, il risentimento per un torto subito.
Lacrime.
Sei la cosa peggiore che mi sia mai accaduta, disse una voce.
Perché?
Ho perso di vista ciò a cui tenevo davvero.
E ho perso tutto.
Tutto.
Tutto.
Shi spalancò gli occhi. Ci mise qualche istante a mettere a fuoco.
Dall’altra parte delle sbarre, una ragazzina dai capelli neri e lisci raccolti in una coda di cavallo la stava fissando con espressione accigliata.
Shi stava per dire qualcosa quando la ragazzina disse: “Maestra Nimlothien, c’è una viva qui sotto. Dovresti venire a vedere.”
 
Tre giorni, si disse Shi trascinandosi fuori dalla cella. La visione è durata tre interi giorni.
Mai prima di allora aveva passato tanto tempo nel sonno profondo. Sapeva che a volte aveva dormito ben oltre l’alba e che ogni tentativo di svegliarla era stato inutile, ma quello…
Era affamata. E assetata. E l’odore di urina e feci che aveva addosso le diceva che nel frattempo il suo corpo aveva continuato a funzionare come prima.
Devo avere un aspetto terribile, si disse. E l’odore deve essere anche peggio. Forse per questo quella ragazzina sembra così disgustata.
La ragazzina aveva atteso paziente la persona che aveva chiamato.
Vedendola, Shi aveva avuto un tuffo al cuore.
“Chi sei?” le aveva chiesto.
“Mi chiamo Dyna” aveva risposto lei.
Shi aveva soppesato se le convenisse rivelare il suo vero nome. “Io mi chiamo Lo’Jari.”
La ragazzina aveva fatto una smorfia. “Puzzi.”
“Scusa?” aveva chiesto lei.
“Puzzi. Le tue parole. Puzzano.”
“Le mie parole?”
Dyna aveva annuito convinta.
Shi aveva atteso paziente che questa Nimlothien si facesse vedere e dopo un po’ una donna dai capelli bianchi e lunghi e il viso scavato si affacciò alla cella.
“Che hai trovato, Dyna?”
La ragazza la indicò col braccio. “Lei.”
Nimlothien le gettò un’occhiata corrucciata. “E tu come ci sei finita lì dentro?”
“Per sbaglio” si affrettò a dire. “Non dovrei essere in questa cella. Perché non mi fai uscire?”
Nimlothien sorrise, ma non c’era niente di gentile in quella espressione. Somigliava più a un ghigno. “Questo lo stabiliremo con calma. Dyna?”
La ragazzina annuì.
“Sai già cosa devi fare, vero?”
“Sì, maestra Nimlothien.”
“Bene.” Le rivolse un’occhiata. “Come ti chiami?”
“L’ho già detto alla ragazzina” disse Shi. “Il mio nome è Lo’Jari.”
Nimlothien guardò Dyna e lei arricciò il naso in una smorfia di disgusto.
“Puzza molto, maestra Nimlothien.”
La donna scosse la testa. “Siamo partiti male. Si vede che la nostra ospite vuole restare un altro po’ in cella.” Picchiettò con le dita sulle sbarre. “Magari ci vuole morire, qui dentro.”
“No” esclamò Shi. “Non lasciatemi qui dentro.”
“Allora dicci come ti chiami” ringhiò Nimlothien.
“Te l’ho detto, mi chiamo Lo’Jari.”
“È inutile” fece la donna. “Resterai lì dentro.” Fece per andarsene.
“Aspetta” esclamò Shi. “Mi chiamo Shi’Larra.”
Dyna scosse la testa. “Non puzza.”
Nimlothien sorrise. “Bene. Proseguiamo. Da dove vieni?”
La ragazzina riesce a capire se sto mentendo? Si chiese Shi. Come ci riesce? È un potere o un trucco?
“Dall’altopiano” disse prudente. “Da un villaggio lontano parecchi giorni a piedi da qui.”
“E come ci sei arrivata qui?”
“A piedi?”
Nimlothien ghignò. “Stavi andando così bene, Shi’Larra. Si vede che proprio non vuoi rivedere il bel sole di Rediron.”
“È questo il nome del villaggio?” chiese alla donna.
Nimlothien si accigliò. “Non sai nemmeno dove ti trovi?”
“La vostra città di pietra è grande” disse rassegnata. “E i soldati che mi hanno portata qui non parlavano molto.”
“Non era la mia città quando sei arrivata” disse la donna. “Ma adesso lo è. Quelle guardie ora saranno morte o in fuga.”
Shi si accigliò.
“Non sai nemmeno che c’è stata una battaglia? Abbiamo preso la fortezza quasi senza combattere” disse con una punta di orgoglio. “Re Nestarin sembrava quasi felice di aprirci le porte del suo regno. Tutto purché non devastassimo la sua reggia o bruciassimo le sue belle piantagioni di arance e mele.”
Shi scosse la testa. “Ho dormito per tutto il tempo.”
“Tre giorni?” fece Nimlothien sorpresa. Guardò Dyna.
La ragazza annuì. “Le sue parole non puzzano.
Nimlothien sorrise. “Dovevi essere proprio stanca. Perché sei andata via dal tuo villaggio?”
“Mi hanno scacciata.”
“Esiliata? Per quale motivo?”
Shi ingoiò un groppo in gola. Le poche volte che aveva sentito parlare delle leggi degli abitanti della valle, aveva appreso che nemmeno loro sopportavano quelli con il suo potere.
“Quando dormo a volte faccio dei sogni” disse. “E vedo delle cose. Sento voci.”
“Che genere di visioni?” chiese la donna interessata.
Shi si strinse nelle spalle. “Sono sempre molto confuse e mi sveglio quando qualcosa di davvero spiacevole sta per accadere.”
La donna annuì solenne. “È per questo che le guardie ti hanno rinchiusa qui?”
“A loro non ho detto delle visioni.”
“Hai fatto bene o ti avrebbero uccisa. Probabilmente ti hanno scambiato per una spia dell’orda. Sei stata fortunata a essere stata trovata da Dyna. Noi ti tratteremo meglio di quelli lì.”
Shi si ritrovò ad annuire.
“Tanto per iniziare, ti faccio uscire” disse Nimlothien infilando una grossa chiave nella serratura della cella.
Shi si trascinò fuori a fatica.
La donna fece una smorfia. “Sei conciata peggio di quanto pensassi, ma ti rimetterai, non temere. Ora sei tra amici.” Guardò Dyna. “Qui troverai molti con poteri strani e sgraditi. Non sarai più sola.”
“Ma voi chi siete?” chiese Shi.
“Parleremo anche di questo, ma prima devi fare un bagno o Gauwalt impazzirà.”
Shi non aveva idea di chi fosse l’ultimo tizio che aveva citato e si chiese cosa potesse mai fare per farlo impazzire.
“Ti ringrazio” disse con voce incerta.
Nimlothien esibì un mezzo sorriso. “Vedrai, starai molto meglio. E forse troveremo un modo per renderti anche utile per la nostra causa.”

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