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Autore: Enchalott    23/06/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Messaggi di speranza
 
Il tramonto scorto dalla cima della torre degli strik era un’esperienza scenografica e irreale, che si instaurava imperitura nella memoria di chiunque senza mai stancare l’anima che la viveva.
Anshar percorse con affetto le sabbie del suo deserto, che stavano tramutando i loro gialli, bruni e rossi in indaco e violetti al barbagliare languente degli ultimi raggi di sole. Il taglio abbacinante dell’ultima luce del dì gli schiariva gli occhi, confondendo il loro caldo nocciola con il verde, rendendo il suo sguardo intenso e irreale.
Le dune apparivano un mare infinito e ondeggiante nella brezza serale che, seppure sempre più fredda, trasportava ancora i profumi speziati del Sud. Se non fosse stato per i fuochi degli assedianti e per la paura dell’ignoto nemico che il buio trascinava con sé a ogni crepuscolo, sarebbe stata una visione romantica e appagante.
I messaggeri alati riposavano placidi sui loro trespoli, in attesa di volare lontano.
Amarelo si lisciò le penne chiare con il becco uncinato, puntando lo sguardo di ruggine penetrante sul giovane che da qualche sera violava il loro spazio privato, ma che aveva tuttavia l’odore piacevole di un umano di cui fidarsi. Egli rigirava tra le dita l’anello destinato a una delle loro zampe: il rapace sperò di essere finalmente il prescelto, poiché nelle ultime occasioni erano stati Mandaree e Vermelho a recare le missive, mentre lui moriva dalla voglia di sfrecciare veloce nel suo cielo.
L’eco di passi estranei lungo la scala di pietra dell’edificio attirò l’attenzione di Anshar, che abbandonò la contemplazione ipnotizzante del panorama.
Phylana entrò con titubanza nell’ambiente e fu subito trafitta dalle iridi multicolori e dagli stridii sommessi degli strik.
“Lieto di vederti” sorrise il giovane, rompendo con cortesia gli indugi “E che tu abbia cambiato idea” aggiunse, scorgendo il foglietto stretto nella destra della ragazza.
Lei si irrigidì leggermente, ma poi si fece avanti, vincendo la sensazione di inadeguatezza che ancora provava davanti al bailye dei Rhevia a causa del proprio contegno scostante di pochi giorni prima.
“La principessa Dionissa è riuscita a incontrare mentalmente sua sorella con la forza della determinazione e dell’affetto” disse, tormentando la corda dell’arco che le attraversava in obliquo il petto “Ancora adesso è molto provata dal contatto, ma l’ha fatto con gioia disinteressata. Sarei una sciocca se non usassi la semplice possibilità che mi hai offerto per fornire notizie a mio padre… e un’egoista, sì. Ho molto pensato alle parole che mi hai rivolto. E anche a quelle che hai lasciato sottintese”.
Anshar accettò la missiva ripiegata e la inserì nel bussolotto circolare di metallo.
“Ti sarò sembrato molto presuntuoso” considerò con gentile ammenda.
“No!” esclamò lei “No, affatto! Anzi, ti vorrei domandare scusa… mi sono comportata come una bambina viziata, non ho pensato che a me stessa! Invece, tu…”.
“Io capisco!” la interruppe lui, evitandole ulteriori, avvilenti discolpe “Purtroppo, mi trovo nella condizione di comprenderti molto bene”.
Phylana osservò la sua espressione appassire nella tristezza e la ruga profonda che gli si era incisa tra le sopracciglia. Dolore presente, sebbene non ostentato. Il giovane lo viveva nel profondo, senza farlo scontare al prossimo.
“È come il gioco della sfera di vetro opaco” continuò il bailye “Se la tieni a un soffio dagli occhi, non vedi nient’altro che quella e la realtà che filtra ne risulta distorta, annebbiata. Se la allontani, invece, scorgi tutto il resto ed essa è soltanto un globo distante, che è presente ma non ti preclude l’osservazione di quanto c’è intorno. Eppure la sfera è sempre la stessa. Così per gli affanni di ciascuno”.
La ragazza avvertì un nodo alla gola: la sua sofferenza aveva invaso tutto di lei senza che lo avesse impedito e adesso emergeva più lancinante che mai, rischiando di fagocitarla in un baratro da cui non sarebbe più potuta emergere. Eppure aveva suo padre e la sua tribù, che la amavano e la attendevano, l’amicizia e il rispetto della regina Eudiya e di Dionissa, la promessa di Narsas. Al contrario, Anshar non aveva quasi più nessuno, solo l’onere di essere la guida della sua sfortunata gente… e riusciva a creare icone vivide e profonde come quelle!
“Devo smettere di abbracciare la mia sfera?” mormorò “Tu come ci sei riuscito?”.
“Grazie per avermi pensato così abile” sorrise lui “Non so se ho conseguito un risultato dignitoso, forse l’ho spostata abbastanza per notare gli sguardi di Daara e di Neyosh o quelli dei superstiti dei Rhevia, che erano identici al mio. Penso che ciascuno di noi abbia messo la sua sfera al centro del cerchio che abbiamo stretto gli uni con gli altri, in modo che fossero tutte insieme alla stessa distanza. Che nessuna prevalesse o offuscasse la condivisione di quanto è accaduto”.
Phylana sgranò gli occhi neri, ammirata e commossa.
“Sei un uomo degno di stima, bailye” asserì piano.
Lui si schermì, allargando con modestia le braccia. La sua sinistra era bendata e il colpo di scudiscio che l’Aethalas aveva notato in precedenza sul suo petto risultava ancora più marcato nel fulgore sanguigno del tramonto. Ferite sul corpo di un giovane che non era un guerriero, ma che aveva attraversato il deserto per portare speranza e conforto. Persino la sovrana di Elestorya si era ammorbidita davanti a lui, rinunciando al protocollo formale per ricevere il gioiello che il ragazzo le aveva recato.
Anshar stese con gentilezza il polso sano verso uno strik dal piumaggio d’ocra e il volatile stridette con approvazione, sbattendo le ali arcuate.
“Tocca a te, Amarelo” disse, accarezzando il rapace e sigillandogli l’anello all’arto robusto “Sei il più adatto a diventare tutt’uno con la sabbia. È importante che tu non ti faccia intercettare… né dagli uomini né dalle ombre”.
Il volatile gracchiò entusiasta, socchiudendo il becco bruno e osservando la distesa infinita delle dune, che possedevano la sua stessa tinta calda. Ascoltò l’ordine piegando il capo fiero e poi saltò sul davanzale della trifora decorata, preparandosi a spiccare il volo. Si levò in un frullio di penne, innalzando il suo richiamo acuto al cielo venato di carminio. Tutti gli altri messaggeri risposero al suo saluto.
Il bailye si riparò gli occhi dalla luce dardeggiante del sole calante, seguendo l’animale che si confuse come previsto con le sfumature del paesaggio.
Phylana si fece coraggio e avanzò di qualche passo, timorosa di infastidirlo.
“Ho pensato di portarti questo…” azzardò, prelevando dalla cintura di seta una fiala verde, mentre il ragazzo si voltava sorpreso “Non vorrei apparirti inopportuna, ma ho notato i segni che le fruste degli Anskelisia ti hanno lasciato addosso. È un medicamento della mia gente, ti aiuterà a guarire… a cancellarli da te…”.
“Sono onorato per il dono” rispose lui, portandosi la destra al cuore e rasentando la traccia diagonale sul suo petto “Doppiamente, se sei stata tu a prepararlo”.
“Sì…” mormorò lei, arrossendo “Per scusarmi…”.
“Non è necessario”.
Allungò la mano per prendere l’ampolla dal suo palmo teso, sfiorandolo con le dita. Phylana sussultò al contatto, come se avesse preso la scossa.
“Mi dispiace…” fece il giovane, sbigottito da quella reazione istintiva e inaspettata.
“Non… non è colpa tua…” balbettò lei, indietreggiando in un tremito incontrollato e appoggiandosi al parapetto della finestra per inalare l’aria che le mancava.
Anshar rimase interdetto, ma continuò a studiare con rammarico quell’atteggiamento che pareva di puro panico. Perché mai l’Aethalas si era ritratta come inorridita dalla sua vicinanza? Possibile che fosse una sacerdotessa Kalah e avesse scorto qualcosa di funesto nel suo futuro appena erano venuti in contatto?
“Se sei una veggente e hai letto il mio destino, ti prego di non indugiare” affermò pacato “Desidero che tu me ne metta a parte, qualunque esso sia”.
Phylana si girò, meravigliata dalla richiesta. Il suo viso era pallido e tirato.
“Non possiedo il dono della dea” ansimò, prostrata “Se così fosse, nulla di tutto ciò che è avvenuto avrebbe avuto corso…”.
Il giovane aggrottò la fronte, in cerca di un’altra spiegazione: forse essa risiedeva in quelle poche parole, cariche di pena, con cui lei gli aveva risposto. Il “tutto” espresso dalla ragazza non era riferito certo alla Profezia; non gli pareva tanto superba da potersi auto considerare una soluzione alla distruzione, neppure per ipotesi. Conosceva bene i segni delle fruste degli Angeli: dunque era più probabile che la sua affermazione avesse a che fare con gli eventi tragici occorsi alla sua famiglia, a suo fratello, a lei stessa… L’immagine violenta e indelebile dell’attacco notturno subito dai Rhevia volò implacabile a occupargli la mente: il buio, il fuoco, le urla strazianti, la morte ingiusta di suo padre, l’addio drammatico a sua madre, il sacrificio delle danzatrici tyala… di Lilah e di Ishat… La sua profonda sensibilità e l’empatia che sentiva lo diressero sulla strada giusta.
“Oh, dei…” mormorò angosciato e incollerito “Come hanno osato…!?”.
Phylana sbarrò gli occhi, stringendosi addosso la casacca dal taglio maschile come a proteggersi da una nudità non fisica. Comprese dal suo sguardo che il bailye aveva inteso quanto le era accaduto e arrossì per il pudore e la vergogna.
Anshar strinse le dita sull’impugnatura del coltello ricurvo che sporgeva dalla sua fascia color corallo e abbassò il viso, riguardoso.
“Anche le mie sorelle…” sussurrò “Anche loro, prima di essere uccise…”.
La ragazza fece del suo meglio per contenere il flusso soffocante dei ricordi, portandosi le mani alle tempie e voltandogli nuovamente le spalle.
“Non… non farne parola ad alcuno, ti prego…” implorò dopo un lungo silenzio.
“Ma…”.
“Non a Varsya, non a Narsas e neppure alla regina! Non l’ho detto a nessuno! Ho negato!” esclamò lei, disperata “Serba il mio segreto! La mia mancanza!”.
Il giovane sospirò, abbassando le braccia lungo i fianchi, addolorato.
“Va bene, come desideri” promise con amara rassegnazione “Però è assurdo pensare che sia colpa tua…”
Phylana scosse la testa, aggrappandosi all’arco che le pesava sulla schiena.
“Ho ignorato i saggi suggerimenti di mio padre, per orgoglio ho fatto di testa mia, ho agito da sconsiderata e per questo mio fratello… ah, che Amathira mi perdoni! Gli ho mentito, garantendogli che stavo bene, che non mi avevano torto un capello…  altrimenti Narsas si sarebbe fatto ammazzare dai reietti per vendicarmi! Nonostante il mio tentativo lui è stato… lo sai! Lo sai già! Tutti lo sanno! È quanto ho meritato! Se almeno fossi stata la sola a pagarne il prezzo!”.
“No!” sancì Anshar, duro “Gli unici da deplorare sono gli Angeli! Non pensare di aver ottenuto il giusto castigo, non farlo mai! Gli errori non si scontano con una contropartita che viola tutte le leggi umane e divine! Sono gli Anskelisia gli unici a dover saldare ogni scelleratezza commessa su questa terra!”.
“Io non sono riuscita a uccidermi!” continuò la ragazza, disperata “Non sai quanto me ne vergogno! Avrei dovuto inghiottire il veleno che avevo con me prima che arrivassero nella tenda in cui ero rinchiusa… prima che mi costringessero a decidere quale di loro tre mi avrebbe avuta! Ho creduto di essere al sicuro dopo che Laras ha proclamato che sarei stata una sua concubina, invece… oh, lo hanno trovato molto divertente, ti assicuro! Aspettare che scegliessi personalmente il mio aguzzino li ha mandati in estasi tanto quanto disobbedire al loro capo… e sono stati di parola! I due scartati se ne sono andati senza protestare, ci sarebbe quasi da ammirarli!”.
Le lacrime non si decisero ancora a scorrere sulle sue guance abbronzate.
Il giovane Rhevia rabbrividì, nonostante il fuoco rabbioso che avvertiva nelle vene.
“Smettila! Non parlare così!” ordinò perentorio “Quanti anni hai, Phylana!?”.
“Diciannove…” rispose lei dopo una breve esitazione, stupita dal suo tono improvvisamente autorevole e dalla domanda insolita.
“È umano sperare di restare vivi! È normale desiderare di continuare a respirare, quando il proprio percorso prospetta innumerevoli primavere. Anch’io sarei morto insieme con la mia famiglia, se avessi potuto… ma ho dovuto sottopormi a mia volta a una scelta, ove il tempo per ponderare non mi è stato concesso: quella di restare… e so che comprendi quanto sia stato difficile! I miei cari avrebbero patito un dolore ancora più grande se mi avessero saputo morto e la mia gente si sarebbe sentita perduta senza di me. Ho forzato me stesso, attuando un’opzione contraria alla mia indole, ma questo non significa che io abbia smarrito l’onore o che essa debba pesare su di me quanto un’odiosa colpa! Quando decidi di vivere, devi impegnarti a farlo senza rimorsi, senza iniqui sensi di difetto… solo in questo modo il tuo dolore acquisterà un giusto significato”.
Phylana ascoltò con profondo turbamento le parole appassionate e assennate del giovane Rhevia e parte del peso che avvertiva su di sé sembrò scemare. Sentì pungere come un ago la propria esposta fragilità, quella che aveva sperato di spegnere e nascondere in un recesso di sé, ma che a lui non era sfuggita.
“E tu quanti anni hai, bailye?” domandò in cambio.
“Ventidue” replicò lui, arrossendo nel considerare che la sua paternale si era rivolta a una donna poco più giovane di lui, che per giunta non apparteneva alla sua tribù e che aveva incontrato soltanto due volte prima di allora.
“Oh, per tutte le oasi, Anshar!” si rimproverò silenziosamente.
La rivelazione di lei aveva toccato un argomento delicato e complesso, che lui si era permesso di semplificare con asettica logica maschile senza considerare i sentimenti di lei, sebbene le sue intenzioni… avvampò ulteriormente.
“Non… non so perché te l’ho raccontato. Forse perché hai compreso senza che io parlassi e questo mi ha fatto riporre in te una fiducia che non ho mai accordato a nessuno, dopo che…” continuò lei, incerta ma senza alcun fastidio “Posso dunque sperare nella tua amicizia e nel tuo riserbo? So che non mi sono presentata in modo ottimale...”.
“Ne sarei anzi onorato” accettò Anshar con entusiasmo e sollievo “Ti porgerei la destra, ma rispetto il fatto che il mio essere uomo ti causi comprensibile repulsione”.
“Un giorno sarò pronta a stringerla” sorrise la ragazza con tristezza.
Il bailye scosse la testa e la sua lunga coda castana si illuminò di riflessi rossi intensi.
“Non essa, ma il cuore. Un giorno avrai il cuore di un uomo e questi riceverà il tuo, nell’amore reciproco che cancellerà ogni male, ogni stortura. Allora sarai davvero pronta. Attenderò senza fretta, Phylana, figlia di Varsya. Ma pregherò gli dei affinché ciò avvenga presto”.
 
 
Aska Rei si sporse dall’impavesata di tribordo strizzando gli occhi per distinguere meglio la scena in corso, ancora incredulo: due galeoni di grossa stazza stavano manovrando sotto la pioggia nell’insenatura di Neirstrin per operare l’attracco più consono alla loro mole.
Era passata poco meno di una settimana dal lancio dei segnali luminosi dalla torre; il trascorrere dei giorni senza risposte gli aveva provocato una certa tensione, che era scemata quando dall’orizzonte nuvoloso si era levata un’improvvisa esplosione bianca, seguita a breve da una seconda identica. Tsambika aveva incrociato le braccia sul seno, palesemente soddisfatta: alcuni dei suoi avevano avvistato la sua richiesta urgente ed erano accorsi come previsto.
Ayanna…” lesse Dare Yoon sulla murata bruna della nave più vicina “… e Orie. Queste non sono famigerate come la Xiomar” commentò poi con un sogghigno.
“Ovvio!” rispose l’amico, sistemandosi il cappuccio grondante d’acqua “Per essere leggendaria, la regina nera dei mari deve risultare una soltanto”.
“Esatto! Ragionate come un pirata di lunga carriera, comandante!” apprezzò con ilarità la capitana, avvicinandosi ai due uomini a passi misurati “Inoltre, nel nostro caso è meglio non dare troppo nell’occhio con un’eccessiva celebrità, non vi pare?”.
Dare Yoon sbuffò, pensando alla quantità insostenibile di ceffi da galera che si sarebbe riversata di lì a breve nell’ex porto. Troppi per i suoi gusti.
Il giorno precedente era giunto un messaggero da parte di Tarlach, annunciando che la lenta carovana dei profughi del Nord si trovava a cinque giorni di cammino dalla cittadina di mare, dunque presto avrebbero avuto luogo le operazioni d’imbarco. Sempre che Tsambika non stesse tramando qualcosa di losco, contrariamente alle rosee aspettative di Rei, che invece pareva fidarsi di quella donna scaltra e che addirittura giocava con lei all’istruttore di scherma. Come se la maledetta ne avesse bisogno!
Il soldato della Guardia di Iomhar era ripartito a spron battuto per le montagne, forse per la fretta di consegnare una risposta al suo severo superiore, forse per evitare la compagnia dei pirati della Karadocc, il che era una versione molto più plausibile.  
Dare Yoon fremette: non solo stimava personalmente Tarlach, ma la presenza dei suoi uomini ben addestrati avrebbe scoraggiato eventuali colpi di mano da parte dei filibustieri in netta maggioranza. Ma il Pelopi non avrebbe giocato certo a loro vantaggio, come aveva già potuto sperimentare durante il viaggio d’andata.
Istintivamente portò una mano alla spada: chissà se Dessri era in buona salute…
“Siete più silenzioso del solito, vice comandante” cinguettò Tsambika, senza perdere di vista i due velieri ormai ormeggiati “Un aergid per i vostri pensieri”.
“Tsk! Potreste averlo rubato” ribatté lui, secco “E poi non è affar vostro”.
“Scommetto che vi annoiate quaggiù” insistette lei “Vi manca così tanto la battaglia? Continuate a sfiorare la spada…”.
“Gli mancherà la fanciulla che gliel’ha regalata…” sghignazzò Aska Rei, pungente.
La piratessa sgranò gli occhi, come se avesse ascoltato qualcosa di inverosimile e non riuscì a rispondere a tono come di consueto.
“Idiota…” grugnì Dare Yoon, rifilando un’occhiataccia all’amico, che invece sembrava divertirsi alla grande “Vuoi che inizi anch’io con i pettegolezzi da salotto sul tuo conto? Impiegherei tutta la traversata solo per finire di raccontare il primo!”.
“Perché no?” propose compiaciuto il comandante elestoryano “Ce ne sono talmente tanti che non riesco a ricordarli tutti. Mi piacerebbe ripassarne qualcuno!”.
Il soldato alzò gli occhi al cielo, rassegnato ma non ammorbidito dalla battuta.
“Nostalgia per una donna, eh?” intervenne piano la piratessa, stranamente priva di sarcasmo “Sembrate quasi umano, vice comandante”.
Dare Yoon aggrottò la fronte, infastidito, raddrizzandosi dal parapetto con un’espressione corrucciata, pronto a ribattere a quella che suonava come un’offesa sottile, ma Tsambika lo interruppe, accomiatandosi con un cenno.
“Se volete scusarmi, signori” disse rigida “Talon e Demar, i miei pari in grado appena giunti, mi attendono. Vorranno conoscere il motivo della mia convocazione”.
Si allontanò velocemente lungo il ponte, raggiungendo Dalian che la aspettava poco distante.
 
“Ahi-ahi…” commentò Aska Rei, serrando le braccia al petto e seguendo con attenzione gli smaglianti convenevoli tra la capitana e i suoi compagni d’avventura.
“Ahi-ahi cosa?” borbottò Dare Yoon, ancora sentitamente imbronciato “Ti sei reso conto di aver aperto la bocca a sproposito? Sarebbe bella una novità! Ah! Già che stai dando ossigeno alla lingua, dovresti anche chiarirmi il recondito motivo per cui stai insegnando tattiche di spada a quella là!”.
“Perché me lo ha chiesto!” rise Rei, saltando subito alla seconda argomentazione “Ma ne traggo vantaggio, ovviamente. Mi hai detto di non averla mai sfidata, quindi non conoscevamo nulla sul suo modo di battersi… ebbene, io con la lodevole iniziativa del maestro d’arme ho imparato a capire come si muove e come ragiona, saldando in cambio un piccolo prezzo. Non le ho rivelato alcun segreto decisivo in duello, solo qualche movimento che tu faresti a occhi chiusi e su una gamba sola”.
“Credi che non se ne sia accorta?” obiettò Dare Yoon, molto meno acido.
“Forse. Intanto io ho perfettamente appreso il suo stile. Se la cava egregiamente, ma non è imbattibile. Ti spiegherò le giuste contromosse lontano da sguardi indiscreti”.
“Ehi! Pensi che io non sia in grado di darle una lezione anche a digiuno?!”.
“No, anzi…” considerò Rei “Penso che si farebbe ammazzare da te e qui entra in lizza la prima parte del nostro discorso, introdotta al mio sincero ahi-ahi”.
“Non ti seguo” brontolò il soldato, ragionando comunque sull’iniziativa astuta del suo capitano, che aveva assicurato la cattura dell’insetto tramite il miele.
“Tu le piaci, Dare Yoon” sospirò questi “Non hai notato come ha reagito quando ho buttato lì, come per caso, che la tua spada è l’omaggio di una donna?”.
“Hai fatto quella sparata inopportuna solo per valutare i suoi riflessi!?” sbottò lui, esterrefatto “Per venirtene poi a capo con una sciocchezza del genere?!”.
“Colpevole!” fece Rei, alzando le braccia con aria innocente “Però non mi sbaglio. Parlerei di una bella cotta per non andare oltre, trova la definizione che ti disturba meno, se vuoi sindacare. È questo il vero motivo per cui ti provoca in continuazione e per cui desidera pareggiare i conti… perché ti sfiderà, puoi scommetterci i gradi, e non certo per ucciderti. A giudicare dal suo curriculum, non è abituata a sentirsi tanto presa da un uomo che per giunta l’ha rifiutata. Vorrà mettersi alla prova, liberarsi di quello che ritiene un neo avvilente… e siccome perderà quasi certamente contro di te senza ottenere soddisfazione, sceglierà di farsi ammazzare per mero orgoglio”.
Dare Yoon lo fissò come se avesse pronunciato l’assurdità più grande che avesse mai ascoltato in vita sua. Tuttavia, non era da Rei affermare illogicità.
“Poniamo che tu abbia ragione” rifletté a voce alta, cupo “Che cosa dovrei fare secondo te? Perdere la sfida apposta? Fingere di interessarmi per magia improvvisa a lei? Non è nel mio carattere essere tanto falso, lo sai! Oppure farle saltare la testa come merita e come auspica? Dannazione…!”.
“Non lo so” ammise Rei con serietà “Ho solo pensato che fosse corretto metterti a parte di un aspetto di cui non ti sei accorto. Tu avresti fatto lo stesso con me, Yoon”.
“Già” ringhiò questi “Ammesso che sia vero”.
“Sì, ammesso che sia vero” ripeté l’amico, alzando le spalle.
“Continuo a pensare che sia una bella recita come quella del suo presunto ravvedimento, che continua a insinuare tra le righe ogni volta che apre bocca”.
“Ho notato le sue velate allusioni. Ma se fosse cambiata sul serio e ne desse prova assoluta, tu la perdoneresti? Metteresti una pietra sul suo scellerato passato?”.
“La metterei al suo collo” restituì il soldato, granitico.
Aska Rei tacque, pensieroso. Sapeva che l’amico possedeva motivi più che validi per ammantarsi di quell’atteggiamento apparentemente tetragono, ma allo stesso tempo gli dispiaceva profondamente che non si risolvesse a superare quella parte adamantina della sua personalità. Dare Yoon era addirittura più severo con se stesso che con il prossimo, ma tale caratteristica non lo avrebbe condotto da nessuna parte.
“Inflessibile come al solito, eh…” gli rispose con indulgenza.
 
“Che fine ha fatto la Xiomar?” domandò a bruciapelo Talon, stupefatto.
Era un uomo sulla quarantina, di corporatura robusta e non molto alto; indossava gli abiti sgargianti tipici dei corsari ed esibiva un brillante annidato nella piega destra del naso. Sulla nuca portava una coda di capelli biondo scuro, legata con un nastro stinto dalla salsedine e vari amuleti tra le collane che gli decoravano il petto. Gli occhi castani erano acuti e svegli, pareva che non sfuggisse loro alcunché.
“Cause di forza maggiore” nicchiò Tsambika, stringendo calorosamente il braccio muscoloso che lui le stava porgendo con familiarità.
“Le stesse che hanno inabissato la nostra isola?” fece eco Demar, perplesso.
“All’incirca” mugugnò lei, gettando un’occhiata indifferente al secondo interlocutore, che esibiva un abbigliamento più sobrio ma anche vari gioielli luccicanti.
L’uomo si prese il pizzetto scuro tra le dita e iniziò a giocherellare nervosamente con le perline bianche e azzurre che vi aveva intrecciato. Ostentava un’aria sconcertata nelle iridi celesti e, nonostante desse l’impressione di aver abbondantemente superato la cinquantina, appariva piuttosto spaesato.
“Non è che rischiamo di incappare nella stessa sorte?” borbottò, inquieto.
“Sì, ci hanno gettato un terribile maleficio” sbuffò la piratessa con stizza.
Demar impallidì e diede il via a una serie di scongiuri, iniziando a sudare freddo.
“Sei il solito credulone!” esclamò Talon, rifilandogli una gomitata nelle costole e facendolo quasi finire in acqua “Figuriamoci! Il capitano ti sta prendendo in giro e tu ti comporti come una stupida vecchia superstiziosa! Dovresti rinominare la tua nave “Fifa dannata” anziché “Oro dei mari”!”.
“Perché secondo te è tutto in ordine?” abbaiò il più anziano, inalberandosi e bilanciandosi sulle gambe smilze “Il Pelopi pare impazzito, sta fagocitando terre e navi, per non parlare delle tempeste in cui sono incappato! Onde e vortici come quelli descritti nelle ballate da taverna, parola mia!”.
“La più attuale di tutte è la Profezia” intervenne Dalian, per pacificare gli animi focosi “Quando Bicks ha parlato di sortilegio non stava proprio facendo dell’umorismo”.
I due pirati si squadrarono, condividendo al quel punto la preoccupazione.
“Poiché il nostro fine è quello di conservare la pelle, possibilmente asciutta” spiegò la donna, posando le mani sui fianchi “Ho pensato che fosse opportuno, mantenendo però un basso profilo, stringere un’alleanza con un pezzo da novanta, che potrebbe garantire la nostra futura sopravvivenza in cambio di qualche piccolo e attuabile favore. Suppongo vi interessi”.
“Certo che sì, diamine!” esclamò Demar, asciugandosi la fronte con il fazzoletto ciclamino che portava attorno al collo.
“Chi sarebbe?” domandò invece Talon, decisamente meno entusiasta.
“Anthos di Iomhar”.
“C-cosa?” squittì il primo, strabuzzando gli occhi.
Il secondo spalancò la bocca, terrorizzato, ma non ne uscì alcun suono.
“Potendo scegliere, meglio mirare in alto, no?” sentenziò Dalian, divertito.
“Appunto” continuò Tsambika, incurante delle reazioni scomposte dei colleghi “Il principe è l’unico in grado di scansare la vendetta divina o l’apocalisse… chiamatela come vi pare, l’avete vista e descritta pienamente. I suoi poteri sono illimitati, meglio stare dalla sua parte e trarne vantaggio”.
“Meglio non incontrarlo mai!” ribatté Demar, guardandosi intorno, tremebondo, come se il sovrano del Nord potesse magicamente apparire in mezzo a loro.
Il compagno annuì, evitando accuratamente di accusarlo di viltà.
“Non lo vedrete neanche dipinto!” sbuffò la piratessa, spazientendosi “Ha inviato due dei suoi uomini… sudditi di sua moglie, in verità, per assentire all’alleanza che gli ho proposto mesi orsono e per dettare le sue inderogabili condizioni”.
“Q-quali?” balbettò Demar, sconvolto.
“Come fai a essere ancora viva dopo averlo conosciuto?” biascicò invece Talon, molto meno smargiasso, accavallandosi alla richiesta del compagno.
“Si è preso la Xiomar” replicò Tsambika, gettando indietro con altezzosità la chioma corvina “E ci ha dato mandato per la Karadocc. Desidera che i profughi provenienti dal Nord vengano trasferiti sulla sponda meridionale dell’oceano, prima che sia troppo tardi. Ma il mio galeone non può trasportarli tutti: da qui la mia richiesta”.
“La Orie è a tua disposizione” accettò subito Demar “Basta che nessuno degli ospiti assomigli a quel demonio infernale, per tutte le dannate onde…”.
L’altro comandante esitò, dubbioso nell’imbarcarsi in una simile impresa.
“Sei libero di accettare o meno, ma devi risolverti in fretta” interloquì Dalian, placido.
“E va bene!” sbottò Talon, scuotendo la testa “Che di me mai si dica che mi sono tirato indietro! La mia Ayanna ti seguirà anche stavolta, Tsambika”.
“Benissimo” sogghignò lei, deliziata “Stasera sarete miei ospiti e avrete modo di conoscere gli uomini del reggente. Nel frattempo, chiarite ai vostri equipaggi che non ammetto iniziative personali. Non voglio guai di sorta!”.
“Sissignora!”.
 
“Molto fantasiosa come motivazione” commentò Aska Rei, ridendo, dopo aver udito la fandonia colossale che la piratessa aveva rifilato ai suoi compari.
“Voi sì che mi capite” rimandò Tsambika, ignorando l’occhiata di riprovazione che Dare Yoon le aveva scoccato al primo accenno di menzogna “È necessario evitare di perdere la faccia e la credibilità per continuare a governare uomini come quelli. In caso contrario, avrei dovuto promettere loro ricchezze che nessuno di noi possiede… e prestare attenzione a poco galanti tentativi di ammutinamento”.
“Pensate che giungeranno altre risposte?” chiese Rei, approvando l’iniziativa scaltra.
“Lo speriamo” annuì Dalian “Forniremo a tutti i convenuti la medesima, sommaria spiegazione e voi dovreste reggerci il sacco. È per la sicurezza di tutti”.
“Nessun problema” garantì il capitano elestoryano, estremamente divertito.
Tre paia d’occhi si posarono su Dare Yoon, che non aveva proferito parola e che ricambiò gli sguardi con palese disapprovazione.
“Eviterò qualsiasi commento sino all’attracco a Elestorya” ringhiò contrariato “Su qualsivoglia argomento. Perciò non paventate la mia onestà”.
“Ah, io pensavo che ti fossi arrabbiato perché la capitana ti ha descritto come un uomo di Anthos…” sghignazzò Aska Rei “Quella sì che è un’onta intollerabile!”.
Prima che il soldato potesse rispondergli per le rime, un boato echeggiò sul mare, accompagnato da un’esplosione violacea all’orizzonte che fece trasalire i presenti.
Tsambika però sorrise, mostrando di aver compreso perfettamente il messaggio.
“Ah, vanità…” cantilenò Dalian, scuotendo la testa “Solo un uomo possiede una tale faccia di bronzo da adoperare il colore che ti è riservato, mia cara”.
“Già” confermò lei “Quella in avvicinamento rapido è sicuramente la Violine. Onore al dio del Mare!”.
“E il dissennato che lancia razzi variopinti per farsi notare è il tuo dolce fidanzato” concluse il bucaniere, grattandosi la barba brizzolata “Iker…”.
   
 
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