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Autore: fiona3    25/06/2020    1 recensioni
Il tempo e lo spazio possono creare dubbi, incertezze e paure che spesso impediscono di vivere la vita pienamente
Genere: Erotico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Due anni

Sfogliava le pagine di un libro. Tentava di leggerlo, ma la sua mente non riusciva a concentrarsi.

Anche quella notte, continuava a vagare sugli stessi ricordi che avevano alimentato le sere di quei due, interminabili anni. Aveva ripensato ogni giorno a quelle mani frementi e calde sul proprio corpo. Le carezze e i graffi. Alle labbra ruvide che si scontravano con foga sulle sue, mordendole a sangue per farle schiudere e farsi accogliere. A lui dentro di lei. Al sudore e i corpi che si stringono. Agli abbracci alle spalle e il respiro sul collo. Ai sospiri che racchiudevano tutte quelle parole che, in quegli incontri, non pronunciavano mai. Al calore che diventa fuoco e cenere, subito dopo. Alla propria testa, pesante, che trovava casa sul suo petto. Alla propria guancia che si muoveva ad accarezzare quella cicatrice.

Due anni.

Due anni, durante i quali era persino arrivata a dubitare di aver davvero vissuto quegli attimi di vita così assurdi. Due anni, trascorsi a contare i giorni, a ripensare all’impossibile, a bramare di riviverlo e temere di ingannarsi. Due anni, durante i quali potevano essere cambiate tante, troppe cose: lei, lui.

Aveva tentato più volte di immaginare come sarebbe stato ritrovarlo e non si era sbagliata: un saluto rapido, quasi freddo, insensibile. Come l’intero loro rapporto agli occhi del mondo. Ma non poteva non domandarsi se anche lui fosse divorato dalla stessa impazienza che albergava in lei: dell’arrivo del buio e del loro vero rincontro.

Durante la giornata, non aveva avuto molte occasioni per studiarlo e quel poco che aveva visto era bastato a rassicurarla sul fatto che, nonostante quella importante metamorfosi esteriore, dentro fosse sempre lo stesso: un testa a testa con Sanji, un insulto a denti stretti a Nami, una carezza a Chopper… Ma quando, superata l’ora consueta con cui soleva farle visita nelle notti che tuttora dubitava fossero esistite in un mondo diverso da quello della sua fantasia, lui non si era mostrato, i dubbi avevano cominciato a farsi più insistenti.

Riprese a cercare distrazione in un libro, ne scelse un altro, lo chiuse e lo riaprì.

Avvertiva una sensazione spiacevole ma indefinibile farsi strada fra il petto e la bocca dello stomaco, che la rendeva inquieta e la spinse a togliere la giacca ed appuntarsi i capelli: anni addietro l’avrebbe definita fastidio, ma ora sapeva trattarsi di sofferenza, generata da malinconia, amara consapevolezza dell’incedere della vita, senso di sconfitta e inferiorità. Tuttavia, pur stentando ad ammetterlo, riconosceva che mancava qualcosa alla lista delle spiegazioni che riusciva a trovare.

Così immersa nelle proprie riflessioni, non si era accorta che la maniglia si era abbassata, la porta silenziosamente aperta e subito serrata di nuovo ed una figura imponente aveva iniziato a farsi strada nella sua direzione. Improvvisamente percepì dei passi pesanti che avanzavano con una lentezza estenuante. Si voltò di scatto, cominciando a osservare quel volto con aria confusa, nel tentativo di leggere cosa esprimesse.

Un tuffo al cuore le dimostrò che, in realtà, non aveva nulla di quel che ricordasse. Quello sguardo, ora dimezzato, non era preda della bramosia e della libidine che lo portavano quasi a correrle incontro, sollevarla saldamente e schiacciarla contro il primo ostacolo che incontrava, mentre le mani tremanti cercavano ogni modo per allontanare la stoffa che le separava dalla morbida carne di lei. Al contrario, l’occhio era appena visibile, stretto fra le palpebre, da cui traspariva un’umidità che, se si fosse trattato di chiunque altro, le avrebbe fatto giurare che fosse il residuo di un recente pianto. Indugiò su ogni ruga che gli solcava il viso, sulle labbra serrate come a cercare di trattenere l’intero suo essere da una resa vergognosa. Era svanito anche il timido rossore che sempre gli imporporava le guance quando, per l’ennesima volta, la passione aveva sconfitto orgoglio, pudore e senso del dovere, trascinandolo da lei in preda a una volontà istintiva, che la ragione falliva nel giustificare.

A tale constatazione, avvertì anche le proprie congiuntive pizzicare e inumidirsi e la vista si fece più nebulosa.

A lui non sembrò sfuggire: chiuse gli occhi, sporse la testa all’indietro, inspirò profondamente e rilasciò un lungo sospiro, mentre le rughe iniziavano a distendersi.

Dopo qualche istante, riprese ad avvicinarsi a lei.

Le si pose alle spalle, poggiando le mani sui braccioli della poltrona in cui sedeva. Istintivamente, entrambi abbassarono le palpebre. Gli orecchini tintinnarono, mentre la testa si piegava per tuffare il naso fra quei setosi capelli corvini. Indugiò. Inspirò attraverso di essi, provocandole brividi che la percorsero fino alla punta dei piedi. Lo sentì scendere, accarezzandola con la punta del naso fin dietro l’orecchio e sollevò un braccio per accarezzargli la nuca e intrecciare le dita affusolate tra quelle ciocche smeraldo. Ispide. Ma mai quanto la guancia che avvertì farsi strada in avanti, andando a sfiorare la sua con lentezza disarmante. La barba era un altro dettaglio sopraggiunto in quel periodo di separazione e si concentrò per memorizzare l’ondata di sensazioni nuove che le suscitava. Non ebbe molto tempo però, perché fu sostituita dalla punta del naso, che riprese a scenderle lungo il collo. Le fu naturale piegare la testa dalla parte opposta, per fargli spazio e invitare lui a continuare in eterno e il tempo a fermarsi.

Fremette quando avvertì quelle labbra tanto bramate che si adagiavano finalmente sulla sua pelle, in un lungo e delicato bacio sulla spalla, su cui indugiò per svariati istanti, quasi ad assicurarsi, lui pure, che quello non fosse l’ennesimo sogno. Il fremito divenne un lieve tremito quando, senza che la bocca se ne separasse, le mani presero ad accarezzarle la schiena, fino ad abbassare le spalline.

Una sensazione di freddo, dove fino a quel momento erano rimaste posate le sue mani, l’avvertì che Zoro si era allontanato.

Aprì gli occhi, allarmata, voltandosi nella sua direzione. Lo trovò accoccolato al suo fianco, coi gomiti poggiati stancamente sulle ginocchia e la testa rivolta in alto, a fissarla, con l’espressione più triste che gli avesse mai visto addosso. Si fissarono per degli attimi interminabili finché, sporgendosi verso di lei, si fece spazio fra le sue gambe, accarezzandole le cosce e risalendo, fino ad avvolgerle i fianchi. Tuffò la faccia sul suo ventre, restando lì immobile.

Robin ricambiò l’abbraccio stringendo le ginocchia al suo torso e cominciò ad accarezzargli i capelli.

Forse, era mancata da impazzire anche a lui.

  
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