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Autore: Dragonfly92    27/06/2020    1 recensioni
Tobia è un uomo che ha trovato, nella solitudine, la sua felicità.
Yuri è un bambino che, invece, non l'ha mai conosciuta.
Un passato ingombrante, un ricatto, la forzata convivenza e la scoperta di un'infanzia mai esistita: pelle livida, cuore cianotico.
Piccoli, faticosi passi per arrivare a capire, scoprire, disinfettare le emozioni.
E difenderle, quando il passato torna a reclamarne la potestà.
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(La storia è legalmente protetta da copyright)
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Uno Orizzontale - Acuto e persistente senso di ripugnanza fisica e morale

 

 

“Cosa. Diavolo. Ci fai. Qui.”

Il ringhio di Tobia è carico di rancore.

Rabbia.

Il viso si infiamma, i muscoli si tendono.

 

“Devi prenderlo!”

Ma l’interlocutore è troppo occupato a guardarsi le spalle per cogliere l'assenza di una nota interrogativa.

Lo stato d'allarme muove parole e mani, che passano frenetiche nei capelli fino a far diventare i palmi lucidi e appiccicosi di brillantina.

 

“Senti, l’hanno arrestata e…”

“Non mi interessa!”

 

Un colpo secco alla porta.

Rimbalzo.

Lo scarponcino ne impedisce la chiusura.

 

“Dovrebbe, invece.”

Il nervosismo abbandona d'un tratto il corpo dell'uomo che, raddrizzandosi, scrolla dalle spalle gli ultimi granelli d'agitazione.

 

Le sue parole puzzano d’avvertimento.

E a giudicare da quell'espressione nauseata, Tobia deve averne colto il sentore.

 

Gli sguardi si trovano.

 

“Non credo che sarebbe una bella pubblicità per te, non trovi? Il proprietario di una delle attività più proficue e benemerite del paese che si rifiuta di prendersi cura del povero nipote! Sarebbe proprio…”

 

Il monologo viene interrotto da una mano arpionata al colletto della polo.

La nuca cozza contro il muro.

Un rumore secco, poi, la pressione.

 

Tobia ghigna di fronte al vano tentativo di sottrarsi alla sua presa.

Il braccio preme sulla giugulare.

 

“Adesso sei meno spavaldo, vero Corrado?”

 

I nasi si sfiorano.

Sguardi assottigliati dal risentimento.

 

“Sai…

Sai bene che ho ragione…”

 

La presa non si allenta.

Corrado si aggrappa alle mani che lo imprigionano contro il muro.

 

“Mi stai soff… cando…”

 

Un sorrisetto compiaciuto.

Un temporeggiare calcolato.

 

La stretta si scioglie violenta, la caduta è scomposta.

 

“Silvia ha ragione.

Hai dei modi di merda!”

 

Corrado, a distanza di sicurezza, gonfia il petto e la bocca di spavalderia.

Ma le parole si afflosciano all'avvicinarsi di Tobia, mutando in rassicurazione.

 

 

“Uscirà presto.

E verrò a riprenderlo.”

 

Tobia stringe la mascella fino a produrre uno scricchiolio.

 

Non può permettere che quella feccia getti ancora fango sul suo nome.

Non dopo tutto ciò che è successo.

 

La sua attività, il suo Orto Sociale, ha impiegato anni per tornare ad esser considerato per l'effettivo valore.

 

Perché le visite riprendessero e le persone smettessero di considerarla l'azienda della famiglia del tossico.

Di quello morto per overdose.

Di quello che era un così bravo ragazzo.

Di quello abbandonato al suo destino.

Di quello che si vedeva, che si sarebbe rovinato.

 

L’attività di coloro che aiutano e non si accorgono dei propri cari.

Dei negligenti, degli ipocriti.

Di coloro che in tutti i modi hanno cercato di aiutare il figlio, il fratello.

 

Ha impiegato anni, per riuscire a scrollarsi di dosso tutte le etichette contrastanti.

Sentite.

 

Vere.

 

E Tobia non può tornare indietro.

Non può permetterlo.

 

“MUOVITI!”

 

Il vociare lo scuote.

Il disprezzo gli macchia lo sguardo; altre due figure stanno scavalcando il muro.

 

Un tonfo annuncia l’entrata in scena di un ragazzo.

Dai capelli scuri e dalla quantità di gel che li tiene all'indietro, Tobia suppone essere il figlio di Corrado.

Stessa appiccicosa acconciatura.

Viscida, come ogni membro della famiglia Giunta.

 

Il secondo tonfo, più tenue, è simultaneo ad un breve guaito, soppresso da una sequela di offese.

 

“Stupido idiota.”

 

Corrado si dirige a passi veloci verso la causa della sua attuale irritazione.

Il figlio gli dedica un sorrisetto compiaciuto nel vederlo trascinare in piedi il ragazzino, afferrandolo per la maglia.

Sorrisetto che si spegne nel preciso istante in cui la mano del padre schiocca sulla sua nuca.

 

“Ahia!

Ma perché, papà?”

Si lamenta offeso massaggiandosi la testa.

 

“Dovresti prendertela con quello...”

“Vedi di chiudere la bocca, Toni!”

 

L'ammonimento risulta efficace.

Il ragazzo tace all'istante.

 

Tobia rimane immobile, per tutto il tempo.

Le braccia conserte, la maschera di nuovo in posizione.

 

Si è sforzato, in quei minuti, nel cercare una plausibile soluzione.

Potrebbe chiamare le forze dell'ordine.

Ma sarebbe incapace d'impedire le scontate conseguenze.

La donna ha organizzato tutto.

Un ‘No’ e lui si ritroverà di nuovo con un mirino proiettato in faccia.

Sul petto.

 

 

“Perché non lo tieni tu?”

La domanda è plausibile.

La risposta sbrigativa.

 

“È meglio se io ed i miei figli spariamo per un po'…” dice strattonando il ragazzino.

 

Tobia distoglie lo sguardo, cercando di reprimere un nuovo moto di irritazione.

 

Il figlio di lei.

È il figlio di lei.

 

Che sia anche il figlio di lui è soltanto un dettaglio irrilevante.

 

Tobia sa, nel momento in cui tre paia di scarpe entrano nel suo campo visivo, di non avere più scelta.

Il suo viso si fa, se possibile, ancor più contrito.

 

Il figlio di lei.

Di lei.

Di lei che lo ha trascinato di nuovo nel baratro.

Della scansafatiche.

Sanguisuga.

 

Una scarica d’odio represso lo porta ad alzare il volto.

E, di nuovo, la maschera s'incrina.

 

“Non dovrebbe avere sette anni?” sputa all'improvviso, perforando con lo sguardo l'erede del suo risentimento.

Basso, testa china.

Un maglione consunto, talmente slabbrato da lasciar intravedere le spalle.

Un groviglio di capelli chiari, sudici.

 

La stessa scarsa igiene della donna, evidentemente ereditaria.

 

“Sei sordo?

Sta parlando con te!”

 

Yuri si sbilancia quando qualcuno lo spinge.

Incespica fra i lacci sciolti delle scarpe e per poco non finisce disteso ai piedi dello sconosciuto.

Facendo forza sulle mani, si rialza, spolverando i palmi insieme.

 

“I-Il, i-il…”

 

Il cuore batte talmente veloce che teme di poter disturbare gli adulti, col ritmo impazzito.

Ma si costringe a provare, nonostante l'agitazione, la paura, il terrore di farsi scoprire dallo sconosciuto alto e vestito di nero.

 

“I-Il…”

E ci riprova, deglutendo forte e conficcandosi le unghie nei palmi sudati, sforzandosi di mettere insieme una frase in poco tempo.

E più spinge la voce, più questa si incastra nella gola, esce frammentata, disobbediente.

 

Frustrazione, ansia, consapevolezza d'esser tremendamente deludente.

Sbagliato.

Difettoso.

 

“Ti vuoi muovere!” “Non mi interessa!”

 

Il bambino incassa la testa nelle spalle, mortificato dalla rabbia simultanea.

Meritata.

 

Vorrebbe tanto scusarsi, ma l'uomo sulla soglia ripete a gran voce il suo disinteresse.

 

“Sparite!” ordina Tobia, liquidando la faccenda.

 

“Avete ottenuto quello che volevate, adesso fuori dai piedi!”

 

La sua voce fa paura.

Yuri si affretta a seguire il Signor Corrado, quando il più giovane si volta facendolo pietrificare.

 

“Sei stupido o cosa?

Tu rimani con lui!”

 

“S-Signore…”

“Ti diverti a farci perdere tempo?”

“N-No, Signore.”

“Tieni la bocca chiusa.

E forse tua madre potrebbe anche decidere di venirti a riprendere…”

 

L'irritazione di Tobia si impenna ad ogni parola sprecata, ad ogni secondo di forzata attesa.

 

“Se non ti decidi ad entrare, dormirai in giardino!

Mi sono spiegato?”

 

Un brivido percorre la piccola schiena.

Le risate di Toni si allontanano.

 

Non vuole dormire in giardino.

La notte fa freddo e l'erba diventa tutta bagnata.

Ed è buio, ci sono i rumori e a lui viene da piangere e…

 

“ALLORA?”

 

Stando attento a non inciampare si affretta verso casa.

L'ombra dell'uomo è alta.

Copre quasi tutta la luce proveniente dalla stanza.

 

Con gli occhi bassi, si ritrova di fronte a lui.

Ad osservare le sue scarpe lucide che sembrano così dure e dolorose.

 

Stringe gli occhi, cercando di domare tutti i pensieri che lo fanno agitare, spostarsi da un piede all'altro, mordersi le guance per trattenere i respiri che sa, sarebbero troppo.

 

“Tua madre non ti ha insegnato nemmeno le basi dell'educazione, eh?” ringhia l'uomo.

 

Cosa deve rispondere?

Si o no?

Cosa deve fare?

 

“Alza quella dannata testa, quando ti parlo!”

 

Il comando viene eseguito all'istante.

Una condanna auto inflitta.

 

Gli occhi, quegli occhi.

 

 

Caratteristica somatica dettante differente colorazione di parti del corpo omologhe: Eterocromia.

 

Secondo te, sto meglio con gli occhi azzurri o castani?”

Una mano copre l'occhio destro.

Poi, il sinistro.

Un sorriso si riflette nello specchio, ad ogni profilo.

Secondo me avrebbero dovuto darti meno colore e più cervello.”

Diego ride.

Tobia si sforza di rimanere serio.

Potrei inventarmi una storia, sai?

Tipo un incidente…

Anzi, no!

Un incendio, il mio tentativo (riuscito, ovviamente) di salvare una povera famigliola!

Che mi è costato un occhio!

Ho perso il colore e…

Ok, non regge.”

Rimani sulla storia dell'incidente.

Quello spiegherebbe molte cose.”

Stronzo.”

Narciso.”

Occhio bionico.”

Naso da provincia!”

Bastardo.”

Lo penso anch'io! Non si spiega una bellezza come la mia in questa famiglia, altrimenti.”

Occhi al cielo, un braccio gli circonda il collo, stringendolo in una presa fraterna.

Puoi sempre essere il fratello intelligente, Tobi”

Se mi chiami Tobi sarò l'unico, fratello.

Sappilo.”

 

Tobia vacilla.

E col suo corpo, il suo impeccabile autocontrollo.

 

Gli occhi.

Quegli occhi.

 

Gli occhi di suo fratello, nel volto di quella cagna.

È un oltraggio!

Un affronto.

 

Il bambino abbassa velocemente il viso, alla sua reazione.

Per poi rialzarlo, memore dell’intimidazione di poco prima.

 

Si muove a disagio, insicuro.

Il Signore alto gli ha detto di guardarlo.

 

Ma poi…

Poi lo ha fatto e lui ha sbattuto veloce le palpebre, come quando il sole ti ferisce gli occhi.

Ed ha fatto quell'espressione…

Che fanno tutti.

Tutti.

Tutti.

 

“M-Mi d-dispiace, Signore.”

 

È così alto.

Così grande e…

Spaventoso.

 

Come le sue mani chiuse a pugno.

Che fanno così tanta paura che Yuri proprio non ci riesce, a stare fermo.

E a non far traballare le gambe.

 

“Mi d-dispia…” “Entra!”

 

Un lieve senso di soddisfazione sfiora Tobia, nel notare il sobbalzo del ragazzino.

 

Non permetterà alla donna di rovinargli la vita.

Nemmeno per vie traverse.

Non un'altra volta.

 

 

Il tonfo della porta, chiusa alle sue spalle, lo fa rabbrividire.

Ancora.

A giugno l'aria dovrebbe essere più mite.

Ma è notte.

Piena notte.

 

In un breve momento di coraggio, Yuri si prende la libertà di pensare che probabilmente la casa è sempre così fredda.

Gelida.

 

Anche di giorno.

 

Forse però, con la luce del sole farà un po' meno paura.

Tutto, fa un po' meno paura di giorno.

Quasi, tutto.

 

“Non muoverti di lì!”

“S-Sì, Signore!”

 

La riposta tempestiva, inaspettata.

Tobia lo fissa con disprezzo.

 

“Ti credi divertente?”

“N-No, Signore!”

 

Urgenza.

L’uomo si è avvicinato.

E Yuri non può muoversi.

 

“Te lo chiedo di nuovo: ti credi divertente?”

 

Le unghie graffiano la pelle, sotto lo strato di stoffa.

 

È arrabbiato, il Signore.

 

Preme un po’ di più, le dita affondate nella carne.

Ma i tremiti.

Quelli non riesce ad impedirli.

E sentendo i denti iniziare a cozzare fra loro, stringe forte la mascella.

 

Non.

 

Deve.

 

Fare.

 

Rumore.

 

Tobia guarda.

Gli occhi del ragazzino fuggire dai suoi.

Dalla sua figura.

 

E gioisce silenzioso, decantando la sua prima vittoria.

Non occorrerà ripetere l’ammonimento prima di lasciare la stanza.

 

Un passo.

Due passi.

Tre.

 

Quattro.

 

Scalini.

 

Le scarpe emettono un suono diverso, quando salgono dei gradini.

Ed ecco infatti che il rumore si sposta sopra la sua testa.

 

Più lontano.

 

Le braccia sciolgono la stretta convulsa.

Yuri avverte il vuoto, il freddo provocato dall'allontanamento.

 

Ma gli bastano pochi secondi.

Vuole soltanto, ecco.

Le dita strigliano i capelli, che si sono spostati scavalcando il muro.

Li stropicciano velocemente, appiattendoli contro la fronte, sul viso.

Sugli occhi.

 

A sinistra i capelli sono più lunghi, ed è più facile.

D'altronde, basta coprire uno.

 

Passi.

Scalini.

 

Le braccia tornano al loro posto.

Attorno al piccolo busto.

A stringerlo forte.

 

Perché così è più semplice, Yuri lo ha imparato.

È molto più semplice rimanere fermi.

 

Passi veloci; il Signor Corrado – no, stupido, stupido! – il Signore Alto ha scordato qualcosa.

 

Il bambino si guarda intorno, svelto.

Forse se riesce a capire cosa il Signore ha dimenticato…

Forse può dare una mano e…

 

 

Ancora lì, in quel punto preciso.

Tobia passa a rassegna ogni superficie, per cogliere il minimo spostamento.

Sembra che niente sia stato toccato.

Sembra.

 

O forse, il suo essere truce ha sortito l'effetto sperato.

 

Probabile.

Madre Natura è un personaggio generoso ma sbadato.

Ha abbondato in centimetri, come altezza e naso possono testimoniare.

Ma si è dimenticata di condire il tutto con un pizzico d'armonia.

 

Non che Tobia se ne faccia un cruccio, anzi.

Il suo aspetto impone soggezione e detta distanza.

 

E lui non può che bearsene.

 

“Seguimi.”

 

Sì, è riuscito nel suo intento: obbedienza istantanea, rispettoso silenzio.

Durato troppo poco.

 

“S-Signore, d-dove…”

 

Tobia assottiglia gli occhi, incrocia le braccia.

 

“S-Signore…

D-Dove d-dev…”

 

Si morde l'interno delle guance per non ordinargli di darsi una mossa.

 

“D-Dormire?”

 

Tobia sbuffa, una mano ancora sul pomello della porta che ha aperto.

 

“Se il letto non è all’altezza delle tue aspettative, prova con l'armadio, ragazzino!” commenta sarcastico, sopprimendo la voglia di rispondere con uno scappellotto al Sì, Signore che segue.

 

Sta cercando di provocarlo, questo è evidente.

Ma non cederà.

La porta sbattuta sul nascere di una nuova, stupida domanda.

Le spalle voltate ad una stanza che adesso racchiude troppe cose.

Troppe spiacevoli cose.

 

 

Yuri fa per aprir bocca, ma il Signore se n'è andato.

 

Vorrebbe sospirare di sollievo, ma c'è qualcosa, nella sua gola, che lo impedisce.

Un qualcosa di conosciuto, doloroso.

Di difficile da ignorare.

Da ingoiare.

 

La porta è chiusa.

 

I passi lo distraggono dal male.

 

Attesa.

 

Si stanno allontanando.

Yuri li conta ed è un pochino più facile, adesso.

Respirare, respirare è più facile.

 

Dieci passi.

Dieci è un buon numero.

 

Yuri abbassa piano la maniglia.

Piano piano, col cuore che sembra essersi fermato.

Con lo stomaco che brucia.

Come gli occhi.

 

Lucidi di apprensione, poi di sollievo.

 

Si apre.

La porta, si apre.

 

Il sospiro, adesso, esce naturale, gradito.

 

È stato gentile, il Signore.

Ha anche lasciato la luce accesa.

 

La tensione cala, l'energia scema insieme ad essa.

I sensi stanno allentando lo stato d’allerta, scacciando la nebbia che offuscava tutto il resto.

 

La pulsazione del basso ventre, è la prima cosa a rendersi nitida.

 

Vorrebbe.

Vorrebbe aver avuto il coraggio di chiederglielo.

Di chiedergli di andare in bagno, veloce.

Giusto un attimo.

 

E subito si pente del pretenzioso pensiero, della richiesta che non fa altro che dar ragione a quelle voci.

Ragazzino ingrato.”

L'uomo è già stato abbastanza paziente e lui è già pronto con una nuova pretesa.

 

Apre le ante dell'armadio.

 

C'è anche una coperta, lì dentro.

 

Sì, è proprio un bambino ingrato.

 

Lo sa, Yuri.

Per questo, adesso gli viene da piangere.

 

Anche se non ne ha motivo, perché è al caldo e c'è la luce accesa.

E vorrebbe non farlo, è una cosa che fa arrabbiare i grandi e potrebbe svegliare la mamma.

Ma la mamma adesso non c'è e il Signore arrabbiato è lontano, allora…

 

Una lacrima scappa e lui non ci riesce, a fermarla.

 

“C-Cattivo.”

 

E il crampo allo stomaco sembra dargli ragione.

 

“C-Cattivo!”

 

Il viso affonda nelle ginocchia, strette al petto.

 

Strette, strette.

Come il suo piccolo cuore martoriato.

 

 

Tobia si lascia sprofondare nella poltrona.

Il liquido ambrato ondeggia nel bicchiere, dipingendo sul vetro un’impronta destinata a svanire.

Guarda la traccia dissolversi ed inclina appena il bicchiere, di nuovo, fino a provocare il whisky, pericolosamente vicino al bordo del cristallo.

Lo ruota, compiaciuto del rame che adesso lo ricopre totalmente.

Ma prima che possa svanire lo congiunge alle labbra, senza schiuderle, per riuscire a carpirne l’aroma del legno, della botte, dell’invecchiamento.

Soltanto allora, si concede l'abbandono al gusto avvolgente, amato e conosciuto.

Ritrovato.

 

Tobia si immerge, sensi e mente annegati in un bicchiere.

In un'illusione.

 

Ora posata lontano.

 

Qualche minuto, prima che la necessità di proseguire a navigare nell'oblio lo sproni ad allungare la mano.

I benefici dei pochi sorsi sfumano, accorgendosi del perfetto cerchio umido che allarga linee e lettere del cruciverba, sciogliendole.

 

Andrea saprebbe trovare il lato ironico della faccenda, magari ribattezzando le scritte piangenti un moderno Dalì.

Ma Tobia non è Andrea ed Andrea non è lì, e come se non bastasse lui odia Dalì, i suoi orologi sciolti ed anche le sue giraffe in fiamme, ed ogni dannata immagine che rappresenta il surreale.

 

Surreale.

 

Ecco cos'è tutto questo.

 

Surreale, come il ragazzino che poco prima ha sentito aprire la porta e che con cautela l'ha richiusa, troppo codardo per dar vita ad un'idea o all'esecuzione di un comando altrui.

 

Il ragazzino che da suo fratello ha ereditato soltanto gli occhi, con i quali si troverà a fare i conti per i prossimi indefiniti giorni.

 

Il ragazzino che è uno schiaffo di ricordi, di un passato che lui voleva soltanto dimenticare e che invece adesso se ne sta al piano di sopra, rilassato fra lenzuola che nessuno toccava più da anni.

E che Adele sicuramente l'indomani si prenderà la briga di cambiare e sistemare.

 

Tobia riprende fiato, come se avesse davvero dato voce al monologo rimasto però privo di voce.

E riprendere fiato, sembra un’azione tanto banale quanto utile, al momento.

 

Allenta la presa dalle pagine che non si era accorto d’aver accartocciato e torna a posare la schiena sulla morbidezza dell'amata poltrona, compagna di momenti e anni.

La schiena rigida trova sollievo e ci si adagia, come la mente, che galleggia piacevole nella nebbia donata da un terzo bicchiere.

 

Nebbia che però non dissipa il sapore ripugnante, che sente in bocca.

Quel disgusto amaro che punge la lingua.

 

Se ripensa a Corrado.

O alla donna.

O al ragazzino.

 

O a se stesso.

 

Ma, ci penserà domani.

 

Domani, sarà tutto più chiaro.

Domani, farà tutto meno schifo.

Meno

Male.





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Post-it autrice

Grazie per il tempo che hai regalato a me, al mio collage di parole.
Se ti va di lasciare un consiglio, un appunto, un parere, un abbraccio, sentiti libero.
Se non ti va, sentiti comunque libero.
La libertà è un diritto meraviglioso.


 

   
 
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