La
palazzina si sta svegliando: al piano di sotto c’è
una TV
accesa, qualcuno scende le scale, una porta sbatte. Nova ascolta, e
intanto contempla il soffitto della sua camera. La sveglia ha suonato,
come ogni mattina, alle cinque e cinquanta ma
lei è rimasta a letto, a scivolare dentro e fuori il sonno,
tra
sogni agitati e una realtà in cui anche respirare
è faticoso. Sposta le coperte, poggia i piedi nudi sulla
moquette e infila una mano tra i capelli spettinati. Walty. Palmer.
Anderson. Malone. È successo tutto veramente?
Quando finalmente trova la forza di separarsi dal materasso, si
avvicina alla
finestra. Reprime un gemito: ogni centimetro del suo corpo, dalle
palpebre alle caviglie, è impastato di un dolore
acuto e bruciante, come se avesse passato una settimana tra i Navy
Seal. E sbircia tra le lamelle
della tenda. Un’alba grigia e ovattata si allunga su Wade
Street
e un piccolo spazzaneve automatizzato ripulisce l’asfalto
davanti
al negozio dei Cheng; i cumuli bianchi ai lati della strada sono
più alti: ha nevicato tutta la notte.
Quasi
un’ora più tardi, è impossibile
indovinare che Nova sia reduce da
un pianto sotto la doccia. Si muove svelta
tra frigorifero e macchina del caffè;
indossa un paio di jeans neri e un maglioncino alla marinara; i capelli
sono raccolti in una coda alta e
una ciocca solitaria cade leggera sullo zigomo in lenta via di
guarigione; gli anellini d’acciaio, sapientemente distribuiti
tra le dita, battono contro la ceramica bianca e pulita di una mug
ancora vuota. Nova ha chiuso il rapporto della polizia nel
cassetto della scrivania e ha controllato il telefono soltanto per
assicurarsi che non ci fossero messaggi
e notifiche importanti. Ma non ci sono news riguardo
all’omicidio sulla State Street: la caccia ai
devianti dello Zenosyne dev’essere ancora in corso.
I cerali tintinnano nella scodella. Lei li innaffia con il latte
rimasto nell’ultimo cartone; poi, toglie la caraffa dalla
macchina per il caffè e riempie la mug. Di solito, adora il
profumo di caffè appena fatto al mattino e nemmeno il lavoro
al
John’s Coffee è riuscito a toglierle quella
minuscola fonte di felicità. Ma non
questa mattina. Questa mattina, Nova fissa le bollicine di latte lungo
i bordi della scondella, sente lo stomaco borbottare per la fame e le
tempie pulsare per un mal di testa che non se ne è mai
davvero andato, e pensa a Walty. Un cadavere martoriato, chiuso in un
obitorio.
Inspira. Inghiotte a vuoto. È il suo ultimo giorno
libero e ha promesso a sé stessa di trascorrerlo in
casa, e
di affrontarne ogni minuto con calma, con buon senso, con indulgenza
verso sé stessa. Si fa forza, e con i cereali in una mano e
il caffè nell’altra, raggiunge
il divano.
La TV è accesa: gli ospiti di un talk show sulla KNC
stanno dicendo qualcosa sulla presidente Warren, sul consenso
elettorale sceso al trentatré per cento e sul più
alto
livello di disoccupazione degli ultimi dieci anni. Per Nova
è
semplice rumore bianco di sottofondo, mentre guarda il cuscino accanto
a sé, lo spazio vuoto, e una piccola parte di lei si
rammarica che Connor non sia più
lì. È un desiderio sciocco ma, in questo
momento, non ha la forza di imbrigliarlo nella razionalità;
proprio come la notte precedente non è riuscita a sedare il
desiderio, e la curiosità, di baciarlo. Già, lei
lo ha baciato. Ma
perché diavolo le è venuto in mente di baciare un
androide, poi? Che cosa si aspettava? Che si trasformasse, per magia,
in un uomo?
«Non sono un deviante, Nova. Sono una macchina, e niente
altro.»
Nova aggrotta la fronte e trattiene un sospiro. Tutto quel parlare di
fallimenti e sostituzioni sembrava
preoccuparlo, sì, ma ieri notte lei era stravolta e forse ha
visto più di quanto ci fosse in realtà. Non
dubita,
invece, del pragmatismo della Cyberlife; né ha problemi a
credere che siano pronti a cambiare Connor con un modello
più
funzionale. Lo rinchiuderanno in uno dei loro laboratori, gli tireranno
fuori tutto, come con un animale da vivisezionare: biocomponenti, dati,
informazioni. E butteranno i resti in una delle discariche fuori
città.
«È
la procedura.»
Che si fotta la
procedura, e tutta la Cyberlife, conclude Nova, buttando
giù un sorso di caffè.
In TV, il dibattito è stato interrotto da un servizio:
immagini di
repertorio della presidente Warren si alternano a riprese di proteste
in strada: New York, Boston, Dallas, Chicago. Cortei di uomini e
donne, ragionevolmente infuriati, che agitano cartelli.
‘...a pesare sul consenso elettorale della Presidente
è
anche l'indagine in corso in merito a presunti legami tra il suo
governo e la Cyberlife’ sta dicendo la voce di un reporter.
‘Warren è accusata di aver ottenuto, durante la
campagna
elettorale dello scorso anno, informazioni compromettenti riguardo ai
propri oppositori grazie alle tecnologie diffuse dalla multinazionale.
A questo proposito, si fanno sempre più pressanti e numerose
anche le accuse, rivolte da esperti del settore direttamente alla
Cyberlife, di utilizzare gli androidi in commercio per registrare le
conversazioni private dei cittadini e vendere le informazioni ricavate
ai loro partner commerciali. E ricordiamo che, secondo le ultime stime,
gli androidi sul territorio nazionale sono circa 120
milioni...’[1]
Nova ruota la mug tra le mani, sovrappensiero.
«Walton ha mollato il lavoro. Diceva che tentare di forzare i
sistemi di sicurezza dei quei laboratori è
impossibile.»
Laboratori. Malone ha parlato di laboratori.
Voleva forse che Walty trovasse informazioni proprio sulle
attività nei laboratori della Cyberlife? Ha senso, riflette
Nova. In questo
momento, i malfunzionamenti degli androidi sono il tallone di Achille
della Cyberlife.
E, improvvisamente, immagina una possibilità che la sera
precedente non ha considerato neppure per un attimo. Immagina anche che
il tenente Anderson l’accuserebbe di lavorare di nuovo di
fantasia, ma Anderson non è qui a dissuaderla, questa volta.
/ \ \ /
Appena
il taxi ha
imboccato John Street, la prima cosa di cui Nova si è
accorta,
tenendo d’occhio il percorso su display di comando,
è di
essere tornata dalle parti di Winder Street e del Gold Theater: a mezzo
miglia di distanza, per l’esattezza.
Ma lei è scesa su inizio di Erskin Street dove quelle che un
decennio prima erano graziose casette dalle tinte pastello si sono
ridotte, nei casi migliori, ad alloggi per chi non può
permettersi di meglio; e in quelli peggiori, a stamberghe con le
grondaie
a penzoloni, le finestre sfondate e cartelli con la scritta VENDESI
che spuntano delle erbacce.
Nova si ferma sul marciapiede, davanti al numero 281. Una recinzione in
rete la separa da un misero ritaglio di praticello. Quella stretta
casa,
d’un giallo sbiadito, con la tettoia sbilenca e lo
scheletro di un dondolo sul portico, le ha sempre fatto pensare alla
cabina nel bosco di The
Evil Dead.
Fu il primissimo commento con cui se ne uscì, quando vide
dove
abitava Walty. E Walty rise di gusto e apprezzò; anni prima,
era
stato proprio lui a convincerla a vedere quel film dagli effetti
speciali comicamente datati. Il fatto che entrambi abitassero in case
degne di una pellicola horror era diventata una battuta ricorrente.
Scherzavano sul fatto che, prima o poi, sarebbero crepati in quella
mezza fogna di città, proprio come in horror, e
scommettevano su
cui ci avrebbe rimesso le penne per prima. Nova puntava tutto su
sé stessa. «Le bionde sono sempre le prime a
tirare le
cuoia» gli diceva sempre.
Nova scaccia violentemente il ricordo, mentre si accanisce contro il
basso cancello, bloccato dalla neve ammucchiata dall’altro
lato.
Attraversa il minuscolo giardino e sale sul portico. Suona il
campanello: uno stridio asmatico, piacevole come una forchetta su un
piatto. Dall’altra parte della strada, un
cane abbaia furioso contro
un’automobile risale pigramente Erskin Street; da una
finestra,
una donna, furiosa anche lei, strilla al cane di stare zitto.
Nova sta per suonare di nuovo il campanello, quando da dietro la porta
arriva una voce: è maschile, e per niente di buon umore. A
nessuno piace
ricevere visite alle nove del mattino.
«Chi è?»
«Polizia.»
Il suono secco di un chiavistello, lo scatto di una serratura e due
occhi, neri come quelli di un roditore, spiano Nova dallo spiraglio tra
la porta e lo stipite.
«Tu non sei della polizia» esordisce Paszek,
coinquilino di
Walty dallo scorso luglio. Ha tre anni meno di Nova ed è
magro come lo era Walty, a parte il principio di tondo ventre da birra
e
divano che spinge sotto la maglietta color cachi. Lui e Nova si sono
incontrati una mezza dozzina di volte e parlati anche meno; a lei non
è mai piaciuto granché: le ha subito dato
l’impressione di essere un caotico adolescente infilato nel
corpo
di un maschio adulto.
«Sei l’amica di Walton. La giornalista.»
«Sì, scusa» risponde Nova, con calma.
«Non volevo pensassi che fossi qui per un altro
motivo.»
Paszek non sembra seguire il filo del discorso. Si passa una mano lungo
la calotta rasata. Stringe le labbra. «Senti, io non so come
dirtelo, ma—»
«So cosa successo.»
Paszek strofina un’altra volta la testa.
«Un gran bello schifo.»
«Senti, Tobias... Tobias, giusto? Posso chiederti un
favore?»
«Ehi... ehi, ascolta, non prenderla sul personale, ma io con
i
giornalisti non ci voglio avere niente a che fare, okay?»
«No, te l’ho detto: non sono qui come
giornalista.»
«Ah... mmh… okay.»
«Posso vedere la camera da letto di Zach?»
Silenzio. Paszek guarda Nova come se lei gli avesse appena
proposto di unirsi a una setta di necrofili.
«Ma che problemi hai?» soffia.
Nova fa appello alla pazienza. «Per favore, è
importante.»
«Pervertita del cazzo...»
«I computer, Tobias. Devo controllare i computer.»
L’espressione di Paszek passa dal sommo disgusto al sospetto.
«Non ci sono più, quelli.»
«Che vuol dire?»
«Che non ci sono più» ripete Paszek.
«Li ha presi la polizia.»
«Quando?»
«Ieri pomeriggio.»
«Perché?»
«Che ne so, non faccio domande alla polizia!»
«Ma non ti hanno detto niente? Nessuna spiegazione?»
Paszek sospira e si stropiccia per la terza volta la testa.
«Sono
venuti la mattina per dirmi che cazzo era successo, e poi si sono
ripresentanti qualche ora dopo. Hanno portato via due computer, i
datapad e pure quello stronzo di androide che avevamo per
casa.»
«Perché hanno preso l’androide
domestico?»
«Ma che cazzo ne so! Era di Walton. Io gli ho detto di
tenerselo.
Se non l’avessero portato via loro, l’avrei
smontato io con
le mie mani, pezzo per pezzo. Non voglio mai più avere uno
di
quei cosi
intorno.»
Nova fissa la faccia nervosa e immusonita di Paszek.
«Chi erano gli agenti?»
«E secondo te mi sono segnato nome e cognome?»
La testa di Nova macina domande. La polizia è interessata ai
computer personali di Walty: perché? Hanno scoperto la sua
attività di hacker? Come? Non può essere stato
Malone a
vuotare il sacco: è già nei casini. Forse qualcun
altro,
in redazione, sapeva e ha parlato? È possibile.
Però, se la polizia
ha sequestrato i computer ieri
pomeriggio, perché ieri sera
né Anderson né Connor le hanno accennato alla
cosa? Hanno omesso di proposito?
La porta sbatte.
Nova sussulta.
Poi, impreca tra i denti e si attacca al campanello.
«Paszek,
apri! Dobbiamo parlare!»
«Sparisci o chiamo la polizia!»