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Autore: lightvmischief    03/07/2020    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 33

KAYLA

E così, siamo di nuovo in marcia.

Lancio un ultimo sguardo dietro di me alle tre figure rimaste sull’aereo, sorridendo appena al ragazzo in centro. Ci siamo abbracciati per la prima ed ultima volta, anche se Lynton era molto speranzoso e ci ha salutato con un “la prossima volta che ci vedremo, sarò con la cura in mano!”.

Nuha e Riley ci hanno dato qualche litro d’acqua e qualche busta di carne secca che, sommate alle provviste rimaste, ci basteranno  per una settimana e mezza, se tutto andrà bene. Nonostante l’attrito iniziale, causato da molte incomprensioni, sono sicura che tratteranno Lynton con cura. Il pensiero mi rende più tranquilla.

Elyse tiene Margaret per mano, la prima con il fucile d’assalto che le pende sul lato sinistro della schiena e il suo zaino portato davanti. Saremmo andati ad Ovest, seguendo il nostro istinto, sperando di ritrovare le loro persone, la loro famiglia.

Calum è pochi passi più avanti rispetto a me, ha bisogno dei suoi spazi per metabolizzare la morte di Travis. Ha bisogno di silenzio e di rimettere in ordine i suoi pensieri. Lo so bene, purtroppo.

Mi dispiace vederlo così affranto; prima c’era quel fuoco che ardeva nei suoi occhi, non appena abbiamo lasciato quella stanza. Ora, quell’incendio si è un po’ affievolito. Credo che stia considerando la terribile idea che possa trovare sua sorella e sua madre morti o che non li riesca a trovare affatto.

Vorrei poter fare qualcosa per alleviare il peso della perdita, ma del resto non ho imparato nemmeno io a farlo, non so di che aiuto potrei essergli.

Un brivido mi percorre la pelle al sollevarsi del vento: è una bella giornata, ma ci sono delle brutte nubi all’orizzonte e con quest’aria non ci metteranno molto a raggiungerci, motivo per cui dobbiamo trovare un rifugio prima del calare del sole. Per fortuna abbiamo tre paia di occhi per questo.

Stiamo percorrendo la strada parallela alla tangenziale, tra i campi umidi e la strada dissestata con più terra che asfalto, ormai rovinato dalla mancata manutenzione. Il paesaggio è sempre uguale e non mi aiuta a distrarmi dalla mia mente e dai miei pensieri, che sono tutto ciò che voglio evitare al momento; troppi “se” e troppi dubbi mi annebbiano la mente da quando Nuha ci ha rivelato tutto. Non voglio cadere nel pozzo profondo di cosa avrei fatto se avessi saputo prima quelle informazioni o di chi avrei potuto salvare, perchè non posso tornare indietro nel tempo e non posso cambiare le cose.

È così. Devo solo accettarlo.

Più facile a dirsi che a farsi.

«Cammineremo finchè Margaret non è stanca» ci avvisa Elyse, camminando all’indietro per far arrivare l’informazione alle nostre orecchie. Alzo il pollice per darle un segnale positivo, Calum fa lo stesso.

Cominciano a dolermi le spalle per il peso dello zaino ma, dato che non abbiamo intenzione di fermarci nei prossimi minuti, dovrò abituarmici. Non sarebbe la prima volta. Ho imparato a convivere con tutti i dolori del mio corpo, ma ancora non sono riuscita a domare i morsi della fame in tutti questi quattro anni; se non verrò uccisa dai Morti o da qualche altro Sopravvissuto, morirò per colpa della fame e della sete. Non che ora sia un problema, grazie a Nuha e Riley.

Oppure per il sonno.

Sento già le palpebre pesanti. Non sono riuscita ad accumulare molte ore di sonno questa notte: i gemiti dei Morti infilzati come spiedini alla bocca dell’aereo non hanno di certo aiutato. Ma più che altro era il pensiero di dover partire di nuovo con una bambina a carico e con altre due vite. Uno dei tanti motivi per cui ho soppesato così tante volte l’idea di abbandonare il gruppo e tornare ad affrontare il mondo per conto mio è sempre stata la responsabilità: mi sento sempre il peso delle loro vite sulle spalle, non vorrei che se qualcosa di brutto mi capitasse, tornassero indietro rischiando le loro per la mia e magari perdendola nel frattempo.

Ho così tanto sangue sulle mie mani che non sopravviverei al pensiero di perdere qualcun altro. Non più.

Ancora nessun cenno di abitazioni. La strada continua fino a dove può vedere il mio occhio.

***

«Dovremmo sbrigarci» suggerisce Calum, accartocciando nel pugno la confezione vuota della carne essiccata. 

Il buio incombe su di noi e se siamo riusciti a sventare un acquazzone questo pomeriggio, ora non credo che avremo la stessa fortuna. 

L’umidità si insinua tra le ossa, così come il terrore di ciò che può nascondersi qui fuori. Non voglio uscire viva per miracolo da un’altra nebbia fitta o da un altro scontro con i Morti. E vorrei evitare di passare una nottata all’aperto con il serio rischio di ammalarci, cosa che nessuno di noi può rischiare, soprattutto se con noi abbiamo solo degli antidolorifici, bende e qualche goccia di alcool. Zero paracetamolo.

Abbiamo sorpassato lo scheletro di una fattoria qualche chilometro fa, sapendo che sarebbe stato un rifugio inutile: le sole travi non sarebbero riuscite a proteggerci da nulla. Adesso siamo decisamente ai bordi della periferia di Horner - ho visto il cartello stradale poco prima che ci fermassimo a fare una pausa -, se così si può chiamare: ci saranno sì e no tre case in croce davanti a noi, l’una ben distanziata dall’altra. Non credo ci sia nemmeno un centro abitato effettivo ed è decisamente meglio così: più case ci sono significa più Morti.

«Per quanto dobbiamo camminare ancora?» chiede Margaret, strofinandosi le mani sulle palpebre. Credo sia abbastanza distrutta, abbiamo camminato per quasi tutto il giorno.

«Ti prendo in spalla.» Calum le fa cenno di alzarsi. Lui si sistema lo zaino davanti e poi si mette sulla schiena Margaret, che si aggrappa senza problemi a lui. «Andiamo?» ci sprona con una certa fretta, notando che sia io che Elyse siamo ancora sedute sull’asfalto.

«Sì» risponde Elyse, lasciandosi scappare uno sbuffo subito dopo. Non deve essere riferito a Calum, visto che ha annuito ed è già ripartito. Alcune volte mi sfugge dalla mente che questi due si conoscono bene ormai: dopo quattro anni hanno imparato i gesti l’uno dell’altra, come approcciarsi, i loro comportamenti… Praticamente qualsiasi cosa.

Alcune volte mi chiedo se riuscirò mai a tornare la persona di prima. Ma la risposta mi arriva veloce al petto.

Mia madre aveva ragione.

Meno ti affezioni e meno soffri; meno ti affezioni, più sopravvivi.

***
«Non la lascio dormire su questo cazzo di lerciume,» appura Elyse risoluta, mettendosi le mani sui fianchi, prendendo una postura sicura di sé. Butta la sua giacca per terra senza troppe cerimonie, rimanendo solo con la sua felpa.

«Preferisci morire di freddo?» chiede retorico Calum, non aspettandosi realmente una risposta.

Continua così da almeno cinque minuti e, nonostante stia facendo il mio meglio per starmene in disparte e distrarmi con il conteggio delle provviste - so di averlo fatto solo poche ore fa, ma mi fa sentire meglio -, la mia pazienza si sta esaurendo.

Elyse questa volta lo ignora e fa sdraiare Margaret sulla sua giacca. «Faccio io il primo turno di guardia,» dice, infilandosi di nuovo in spalla il fucile, «così non muoio di freddo» conclude, scimmiottando Calum e lanciandogli un’occhiataccia. 

Abbiamo deciso di passare la notte nella rimessa del fieno di un casolare completamente diroccato perchè l’unico presente nel raggio degli ultimi chilometri dai noi percorsi; siamo parzialmente riparati dal freddo - grazie alle due pareti di cemento -, ma completamente dalle intemperie grazie al tetto sopra di noi. Non è esattamente molto igienico, dato che ci tocca dormire su un pavimento sporco di futili rimasugli di fieno, fango e molto probabilmente sterco secco. Anche se è solo per poche ore, sono sicura che mi sveglierò con il costante bisogno di dovermi fare una doccia. Avrei fatto lo stesso per Margaret, di certo non l’avrei lasciata dormire su tutto questo schifo.

Cerco di pulire con le scarpe ma trascino solo lo sporco da una parte all’altra. Mi arrendo e appoggio a terra lo zaino, mentre Elyse comincia a fare avanti e indietro per tutto il perimetro della rimessa.

Margaret è tutta raggomitolata sul giubbotto di Elyse, le mani sotto alla guancia e gli occhi serrati mentre cerca di prendere sonno; Calum è seduto a terra che si massaggia le piante dei piedi con le scarpe al suo fianco.

Inarco la schiena per allungare la colonna vertebrale e sento tutti i muscoli delle spalle e del petto dolere.  Piego la testa da un lato e dall’altro, sentendo diversi crac del collo. Bevo un sorso d’acqua, la rimetto nello zaino e mi stendo, appoggiandoci sopra la testa e cercando di non pensare su cosa sono sdraiata.

«Ehi, dammi il cambio.» Elyse mi sveglia bruscamente, scuotendomi la spalla. Mi sembra di aver dormito per un sacco di tempo.

Annuisco di riflesso, strizzo gli occhi e mi tiro a sedere, appoggiando una mano per terra per farmi da leva. La prima cosa che percepisco è il rumore della pioggia battente, infatti appena apro per bene gli occhi e accendo la torcia che mi ha dato Elyse, vedo i milioni di gocce d’acqua rimbalzare via non appena toccano terra. 

Poi mi ricordo cosa ho appena toccato. Mi alzo di corsa, mettendo subito la mano fuori dal tetto e sentendola bagnarsi in un batter d’occhio: sfrego quasi violentemente la mano contro l’altra, tenendo la torcia tra collo e orecchio.

«Vuoi farti una doccia?» 

Sobbalzo, facendo cadere a terra la torcia per lo spavento.

«Dovresti dormire, è il mio turno di guardia» rispondo, dopo che il mio cuore ha ripreso un battito regolare. Stavo per prendere il coltello e colpirlo se solo non avessi riconosciuto la sua voce ormai familiare.

Mi volto e lo vedo, in piedi proprio dietro di me, gli occhi rossi e il viso stanco. Raccoglie la torcia al posto mio e la stringe nella mano.

«Non riesco a dormire in ogni caso,» dice, facendo spallucce. «Ti faccio compagnia.»

«Non credo sia il caso.» 

Non è strategicamente una buona idea: anche se non riesce a dormire, può comunque riposare, così che domattina saremo tutti quanti in forze per continuare il nostro viaggio.

«Non te l'ho chiesto.»

 Piego la testa di lato, studiandolo per qualche istante: è molto teso, la sua corporatura è rigida ed ha le sopracciglia corrucciate. 

«C'è qualcosa che ti turba?» gli chiedo, cominciando a percorrere la rimessa, stando ben sotto al tetto per evitare tutti gli schizzi di pioggia. Almeno non c'è vento.

«Non lo so,» ribatte, alzando le spalle con nonchalance, «solo molto a cui pensare.» Si sfrega le palpebre con le dita, massaggiandosi poi le tempie.

Il rumore della pioggia che batte sulla terra mi ha sempre rilassato, anche se ho sempre preferito il sole rispetto a quest'ultima. In questo istante riempe il silenzio tra di noi in modo quasi confortante.

«So che sono solo preoccupazioni inutili,» comincia, schiarendosi la voce, «e che non posso fare nulla per cambiare ciò che è stato. Ma, forse, se fossimo rimasti in palestra tutto questo non sarebbe successo.»

Sospiro, fermandomi quando arriviamo all'estremità opposta da dove Elyse e Margaret stanno dormendo.  «Avremmo solo rimandato l'inevitabile.»

«Questo non puoi saperlo-»

«E nemmeno tu puoi, Calum. L'unica cosa certa è che la morte ci aspetta proprio dietro l'angolo ad ogni passo che facciamo.»

«È il tuo modo di dirmi che devo accettare le cose come stanno?» mi chiede con una punta di amarezza nella voce.

«Okay, senti, so che stai soffrendo per la tua famiglia e per la morte di Travis.» Stringo le braccia al petto, guardandolo negli occhi. «E so che è ironico detto da me, ma questo è il modo in cui vanno le cose, okay? Puoi provare a farne qualcosa oppure puoi semplicemente vivere come se fosse una delle cose da fare nella tua lista giornaliera.

        «Puoi provare a farti delle amici che sai saranno lì per te proprio quando ne avrai bisogno e viceversa, oppure puoi usare le persone per i tuoi singoli interessi e poi abbandonarle non appena hai finito con loro; puoi costruire la cosa che più assomiglia ad una famiglia di questi tempi oppure puoi continuare a vivere da solo, contando solo su te stesso. Puoi avere fiducia nelle persone che ti chiedono aiuto o che vogliono aiutarti senza nulla in cambio, oppure puoi ignorarle e vivere con i sensi di colpa e i rimorsi.» Sento gli occhi bagnarsi, ma non scendono lacrime.

«Potremmo provare ad essere persone migliori o potremmo vivere come se niente importasse più, perché sembra che sia così, no? Potremmo pensare di più al presente e meno al passato, potremmo semplicemente provarci.» Prendo in respiro per calmare l'affanno e le forti emozioni che mi stanno travolgendo. «Abbiamo le nostre vite davanti, perché non provare ad essere migliori? Non abbiamo nulla da perdere, l'abbiamo già perso.»

«Per essere una che dice che non gliene frega niente, questo mi sembra tutto l'opposto, onestamente.» Incrocia le braccia al petto, il fascio di luce della torcia viene proiettato verso il muro.  «Se almeno tu ci credessi, sarebbe molto più convincente, Kayla.»

Stringo i denti e distolgo lo sguardo dalla sua figura. Non so perché ho detto tutto ciò a lui, le parole mi sono sembrate uscire dalla mia bocca come un fiume in piena: non puoi fermarlo.

Forse sono stanca di soffrire, forse sono stanca di vedere gli altri soffrire per le mie stesse ragioni. Forse voglio davvero provare a fare del mio meglio, ma è come se avessi paura di farlo. È come se vivessi in un limbo senza mai prendere la via che ne porta all'uscita per paura di soffrire di nuovo.

«Volevo solo dirti che se hai bisogno, sono qui per te. Che tu mi creda o meno.»

«E lo apprezzo, Kayla, davvero. Ma devi prima fare pace con te stessa.» Prende delicatamente la mia mano per appoggiarci la torcia, mentre l'altra sale fino alla mia guancia per accarezzarla. Scruta il mio viso per qualche istante e poi lascia scivolare la mano sulla spalla e giù fino al braccio, lasciandomi con un senso di vuoto e quasi volendo che il suo tocco non mi avesse mai lasciato.

«Aspetta.» Lo fermo proprio appena comincia a muovere i primi passi, ma dandomi la schiena. «So che è per colpa mia che vi siete dovuti separare e… mi dispiace.»

«Non potevo abbandonarti, Kayla, eri ferita. Da sola non c'è l'avresti mai fatta.»

«Forse avresti dovuto, invece. Almeno ora saresti ancora con loro e non qui a domandarti se riusciremo mai a ritrovarli-»

«Non mi pento della scelta che ho fatto.» Questa volta si gira, nessuna traccia di dubbio nelle parole che dice e nemmeno nei suoi occhi.

«Perché?»

Alcune volte mi sono chiesta se avrei fatto lo stesso: abbandonare la mia famiglia per stare accanto ad una persona ferita. La risposta è sempre stata: dipende dalla persona, dipende dalle circostanze. Poche volte sono arrivata alla conclusione che sì, lo avrei fatto anche io ad occhi chiusi, perchè so che non è così. Se avessi ancora una famiglia, non credo l’avrei lasciata andare così facilmente. 

Non sto dicendo che Calum ha preso questa scelta alla leggera, perchè so che non è così, ma per me? Io non me lo merito.

«Perché sei importante per me, Kayla! Non l'hai ancora capito?!» 

La sua risposta è arrivata così veloce che ci impiego qualche istante ad assimilare il significato delle sue parole. Sento il cuore cominciare a battere all’impazzata e gli occhi inumidirsi. Io… non so cosa dire. Lo guardo per minuti interminabili, il rumore della pioggia che batte incessantemente sul suolo sembra un rumore così lontano. È come se il tempo si fosse fermato.

Si avvicina, appoggia la sua fronte alla mia, prendendomi il viso tra le mani. Chiude gli occhi, respirando dalla bocca e credo che anche il suo cuore stia impazzendo come il mio. 

Avvolgo le mie braccia attorno al suo corpo senza pensarci due volte, stringendolo forte a me, mentre il mio corpo cerca di combattere le lacrime. «Mi dispiace.» E so che ha capito cosa intendo.

«Non c’è niente di cui dispiacersi. Va bene così.» Mi accarezza i capelli, stringendo la presa attorno a me e facendomi sentire al sicuro, riuscendo a riempire una parte di quel vuoto insostenibile dentro di me.

Mi dispiace per ciò a cui ha dovuto rinunciare, mi dispiace perchè provo le stesse cose ma non sono pronta ad ammetterlo a me stessa, non sono pronta ad ammetterlo a lui. E mi dispiace perchè, ora più che mai, ho paura di perdere anche lui.

Sto provando così tante emozioni contrastanti in questo momento che vorrei scoppiare a piangere.

Calum si stacca improvvisamente e noto un repentino cambiamento nel suo atteggiamento; volta la testa verso il lato esterno della rimessa e scruta l’orizzonte davanti a sè, con gli occhi semichiusi per cercare di intravedere qualsiasi cosa tra il buio e la pioggia battente.

Punto la torcia nella direzione in cui sta guardando, ma non riesco a vedere nulla. Provo a tendere le orecchie ma, di nuovo, sento solo il rumore della pioggia.

Calum mette un braccio davanti al mio corpo in modo protettivo, premendo leggermente per farmi camminare all’indietro. Continuo a tenere il fascio di luce della torcia puntato dritto davanti a noi. Con l’altra mano comincio ad afferrare il coltellino svizzero e tirarlo fuori, tenendolo ben stretto nella mano al mio fianco.

Cazzo.

Volto la testa a sinistra, ricordandomi improvvisamente che non c’è una parete a proteggerci da quella parte.

Mi esce un urlo strozzato dalla bocca, non riuscendo nemmeno a vedere cosa mi è venuto addosso dalla velocità con cui accade: la torcia cade ai miei piedi mentre a pochi millimetri dalla mia faccia c’è il volto putrefatto di un Morto con la bocca spalancata, mettendo in bella vista i pochi denti marci rimasti e fiatandomi in completo viso con il suo fiato nauseabondo.

Riesco a malapena a colpirlo al ventre con il coltello, il suo corpo è pesante sopra il mio e sto provando con tutte le mie forze a scrollarmelo di dosso.

Il cuore batte a mille.

Le gambe mi tremano.

Poi il corpo scivola giù pesantemente dal mio, strusciando il volto giù fino ai piedi. Mi muovo subito all’indietro, voltando la testa di lato per vedere Calum con una tubatura di ferro tra le mani. Gli faccio un cenno di assenso rapido, prima di cominciare a correre verso Elyse e Margaret.

E se sono già state attaccate? Sento la paura prendere posto alla bocca dello stomaco e corro più veloce che posso con Calum che mi segue a ruota.

Non voglio che si ripeta di nuovo il mio sbaglio; mi sono distratta durante il mio giro di ronda. Se è successo loro qualcosa, questa volta non ho via di scampo: la colpa è solo mia e non credo riuscirei mai a perdonarmelo.

La mente comincia già ad offuscarsi con tutti i possibili scenari che potrei trovarmi davanti, l’adrenalina pompa nelle mie vene. E poi le vedo, ancora addormentate.

«Elyse!» urlo, a pochi metri da loro, «Svegliatevi!»

Calum si lancia a terra, scuotendo veemente Margaret, che si sveglia di soprassalto, impaurita. Calum prende il suo zaino e la giacca di Elyse e gli faccio cenno di cominciare ad allontanarsi.

Faccio in tempo a prendere il mio zaino, appena vicino alla fine del tetto, che scorgo due Morti a pochi centimetri dal mio corpo. Faccio un balzo all’indietro, chiamando di nuovo Elyse. Perchè diavolo non si sveglia?!

È questione di secondi: se attendiamo un altro po’ ad andarcene, rimarremo chiuse in una trappola mortale tra il muro e la morsa dei Morti, che si sta stringendo sempre di più. Il mio sguardo vola frenetico da tutte le parti, mentre continuo a chiamare il nome di Elyse con insistenza.

Mi chino su di lei, scuotendole la spalla e appena vedo le sue palpebre muoversi, la tiro su di colpo con tutte le mie forze. Barcolla sui suoi passi ma rimane in piedi e proprio dopo che ha inveito contro di me, la trascino via da lì.

Solo che si divincola dalla mia presa per allungarsi verso il suo zaino.

«Lascialo lì! Andiamocene!»

Abbandona subito la sua missione non appena capisce che anche un solo istante potrebbe esserle fatale. Torna rapida verso di me e subito cominciamo a correre sotto l’acqua incessante, con la luce della torcia che salta da un posto all’altro ad ogni passo che faccio, nella speranza di vedere presto le figure di Calum e Margaret.

Sono già sulla strada, Calum si è voltato per farci cenno con il braccio di seguirli dalla loro parte, lontano dalla rimessa e lontano da quel casolare maledetto. Tengo ben salda la presa sul braccio di Elyse per non perderla al buio sotto la pioggia, dove sarebbe impossibile rintracciarla. Lo zaino continua a sbattere contro la schiena e il braccio che tiene la torcia, ma non posso fermarmi a metterlo a posto.

Calum si mette di nuovo in braccio Margaret e una volta riuniti di nuovo, continuiamo a correre, ormai già fradici, nel buio della notte in cerca di un luogo sicuro. Se ancora ne esiste uno.

   
 
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