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Autore: chemist    03/07/2020    0 recensioni
Un gruppo di ragazzi si trova ad una festa quando il cielo della cittadina in cui vivono viene solcato da qualcosa di incredibile, che cambierà la loro vita…e tutte quelle a venire.
Storia basata su un sogno particolarmente bizzarro che ho fatto un po' di tempo fa.
Genere: Introspettivo, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5: Conversazioni notturne
 
Provai un intimo senso di disagio mentre la ragazza alla porta mi squadrava dalla testa ai piedi con un sorrisetto appena accennato.
Aveva i capelli castano scuro raccolti in una treccia, occhi chiari (non se ne distingueva il colore esatto per via della scarsa illuminazione) e altezza nella media (qualche centimetro in meno di me); indossava una felpa e una tuta, indumenti comodi per la casa.
Se non altro, dopo tanta tensione, quella era una bella vista.
Incrociai le mani dietro la schiena e inspirai con forza. Intorno a noi non si udiva altro che il verso roco di qualche gufo.
Poi d’un tratto lei si scostò di lato, permettendo ad una terza persona di prendere il suo posto sull’uscio.
Eccolo, finalmente. Il caro, vecchio, dispotico professor Hughes.
Esclusi i pochi e arruffati capelli grigi, era in condizioni non molto diverse da quelle in cui si presentava a lezione: piccoli occhiali a lenti rettangolari, camicia bianca sotto un’impeccabile cardigan blu, jeans sobri, scarpe classiche e l’immancabile orologio con cinturino in pelle nera che fissava ogni minuto. Sul viso, però, aveva delle rughe di spossatezza che suggerivano che, nonostante l’orario, stesse facendo tutto tranne dormire.
“Price?”, mi chiamò per cognome, sbarrando gli occhi.
“Proprio io, professore, ehm…buonasera” confermai, grattandomi la nuca in balia dell’imbarazzo. “Spero di non averla disturbato…”.
“In realtà ho un bel da fare” ammise lui a braccia conserte. “Stavo ricontrollando delle relazioni importanti, e credo che ormai tu sappia quanti errori banali siano capaci di fare certi studenti”.
A quell’affermazione vidi sua figlia sghignazzare e scuotere la testa.
Okay, ricevuto. Non ero il benvenuto.
“Ah, capisco…le chiedo scusa, davvero, ma vede…ci sono alcune cose seriamente urgenti di cui dovrei parlarle”.
Portò il pollice e l’indice a massaggiarsi l’attaccatura tra fronte e naso, in un gesto di concentrazione che gli avevo visto fare milioni di volte: “nulla che si possa rimandare a domattina?” propose, cercando di apparire un po' più cordiale.
“Temo di no” dovetti rispondere.
“Allora entra” concordò, non prima d’aver sbuffato (e neanche troppo celatamente).
 
Dall’interno, casa Hughes sembrava molto più stretta di quanto apparisse fuori, probabilmente per la notevole moltitudine di mobili, scaffali e librerie sparsi qua e là. C’erano anche molti quadri, che mi ricordarono di quando il professore disse che sua moglie era un’appassionata d’arte. Aveva sempre avuto la tendenza a raccontare piccoli dettagli della sua vita privata durante le lezioni.
Mi stavo ancora guardando intorno incuriosito quando la voce di Hughes mi riportò al presente.
“Per prima cosa, vorrei veramente sapere come hai fatto a sapere dove abito”.
“Oh, certo…beh, me lo disse Martin qualche tempo fa”.
Tyler Martin era un mio ex collega, laureatosi l’anno prima, che aveva lavorato in un paio d’occasioni come assistente di Hughes.
“Dovevo immaginarlo” riconobbe infatti il professore. “Ebbene, mettiti comodo” aggiunse poi, facendomi strada in cucina dove c’era un tavolo con delle sedie. “Cos’è questa cosa tanto urgente di cui mi volevi parlare?”.
Ero ansioso di metterlo al corrente dei fatti, ma innanzitutto feci un colpetto di tosse e spostai furtivamente lo sguardo su sua figlia, sperando che capisse che preferivo restare in privato con lui.
Evidentemente però il professore se ne accorse prima di lei: “giusto, hai già avuto modo di conoscere mia figlia Evelyn”.
“Molto piacere” le dissi educatamente.
“Piacere mio” rispose lei, dunque suo padre tradusse a parole il significato del mio comportamento: “Evelyn, potresti lasciarci parlare un po' da soli?”.
Evelyn si limitò ad annuire e ad andarsene in corridoio.
 
Quando fui sicuro che si fosse allontanata abbastanza, mi rivolsi infine a Hughes.
“Professore, poco fa è accaduto qualcosa di inspiegabile e se sono corso da lei è perché so quanto la sua mente sia flessibile e aperta ad ogni possibilità”.
Gli riportai ogni cosa che sapevo, tralasciando soltanto le strane immagini intraviste da Ben nel portale perché avrebbero potuto minare irrimediabilmente la credibilità di un discorso che poggiava su basi già troppo instabili. Dapprima mi parve svogliato e poco interessato: tamburellava le dita sul tavolo producendo un ticchettio snervante, e pensai che non mi stesse nemmeno ascoltando; tuttavia quando arrivai alla parte in cui Ben diceva d’aver incontrato una copia esatta di sé stesso focalizzò improvvisamente tutta l’attenzione su di me e si chinò in avanti come per sentire meglio.
“Price, se è uno scherzo è meglio chiuderlo qui. Non ho altro tempo da perdere” mi interruppe a quel punto.
“Se fosse stato uno scherzo lo avrei chiuso già da un bel pezzo e certamente non sarei venuto a farlo a lei, men che meno a notte fonda”.
Hughes rimase silenzioso per qualche istante, poi portò la mano destra al mento: “non riesco a crederci. Allora era tutto vero…”.
Non era più né scettico né spaventato: sembrava piuttosto che gli fosse stato riportato alla memoria un episodio di molti anni fa che aveva completamente scordato.
“Che vuol dire, professore? Sa già di cosa si tratta?”, domandai confuso ma speranzoso.
“Forse si” dichiarò lui; quindi, schiarendosi la voce, riferì: “quando avevo grossomodo la tua età iniziai ad appassionarmi all’astronomia, perché ero affascinato da tutto ciò che avesse a che fare col cielo o, più macroscopicamente, col cosmo. Un giorno mi ritrovai fra le mani un vecchio libro, che avrei definito privo di valore e decisamente poco affidabile rispetto ai rinomati volumi che avevo letto in precedenza; eppure gli diedi comunque una chance, aprendolo e iniziando a sfogliarlo. Ricordo che alcune pagine parlavano di un fenomeno anomalo, che niente e nessuno mi avevano mai citato: una specie di anello che volteggia nel cielo alterando la percezione della realtà di chi vi guarda dentro. Ho sempre pensato che fosse una bufala, una fantasiosa bugia messa lì per stuzzicare la curiosità del lettore, ma sembra coincidere con quello che mi hai appena descritto e, ad essere schietti, dubito che tu abbia letto quel libro…o un qualunque altro libro d’astronomia”.
“Infatti no” assentii, con un ghigno che non recava però alcun segno di divertimento. “Ricorda qualcos’altro di quel che c’era scritto nel libro? Potrebbe essere più specifico?”.
“Sinceramente rimembro ben poco” confessò Hughes, “se non che si tratti di un evento ancora pressoché sconosciuto, e che forse coinvolge l’interconnessione fra più universi”.
 
Boom. Quella frase fu come l’esplosione di una bomba a orologeria nel mio cervello.
Passi per Ben, che era ancora praticamente un estraneo per me ed aveva i suoi problemi, ma se anche Dell Hughes parlava di fantascienza…beh, c’era da preoccuparsi.
Fu in quel momento che realizzai che, volenti o nolenti, eravamo invischiati in qualcosa di grosso. Addirittura epocale.
“Sta dicendo che tutta questa faccenda potrebbe potenzialmente verificare la teoria del multiverso?” chiesi sbalordito.
“Non ne ho idea” replicò Hughes, alzando le mani come per stoppare le mie troppo affrettate conclusioni. “Ma in compenso so dove possiamo andare per vederci più chiaro. Quel libro si trova nella biblioteca comunale, poco distante da qui”.
“È un’ottima notizia, ma…è quasi l’una di notte, credo che ormai sia chiusa…” obiettai, dando per scontato che pure lui volesse fare qualcosa subito, senza attendere il mattino seguente.
“Di questo non ti devi preoccupare, ci penso io” disse semplicemente, afferrando un giubbotto. “Sei venuto in macchina?”.
Annuii.
“Bene, ti faccio strada”.
Chi l’avrebbe mai detto, fino a qualche ora prima, che il professor Hughes si sarebbe seduto nella mia auto?
“Aspettate! Voglio venire anch’io!” ci chiamò poi una voce dal corridoio.
Dalla penombra si fece avanti Evelyn, con espressione furba.
Hughes roteò gli occhi: “stavi origliando di nuovo?”.
“Non ho potuto farne a meno” ridacchiò la ragazza. “Ha tutta l’aria di essere una storia assurda”.
Suo padre sospirò; quindi, rivolgendosi a me, asserì: “Evelyn è una ragazza in gamba e potrebbe esserci d’aiuto. Portiamo anche lei?”.
“Sicuro, nessun problema”.
“Evviva!” esclamò lei elettrizzata; quindi tutti e tre ci avviammo verso la macchina parcheggiata di fronte al vialetto.
   
 
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