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Autore: RosaRossa_99_    03/07/2020    1 recensioni
"Vado in camera mia…"
Dissi alzandomi dalla sedia
"È un invito?"
Lo guardai malamente
"Ti ringrazio per avermi fatto passare una 'splendida' mattinata"
Virgolettai 'splendida' con le dita, per poi girarmi e andarmene
"Vedrai il pranzo allora!"
Era assolutamente, estremamente odioso.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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POV esterno

Cinque anni dopo

 

Eccoci qui, cinque anni dopo quel giorno che aveva cambiato le vite dei due ragazzi.

Oggi Stefan sarebbe stato libero, libero di poter tornare dalla sua amata Sophie, perché in fondo, anche se in quella lettera la aveva pregata di andare avanti, lui sperava che lei lo avesse aspettato. Era stato meno doloroso il tempo passato in cella, con la foto della ragazza a cui aveva consegnato la chiave del suo cuore, stretta al petto. Stefan passava le notti a guardare quella foto, accarezzando il viso ritratto e immaginando di sentire la soffice pelle sotto le sue dita, i capelli morbidi e quelle labbra, che in quella foto non rendevano giustizia. Ma lui le aveva ben impresse nella sua mente, quelle labbra che aveva baciato così tante volte da conoscerle sotto ogni aspetto. E allora lui si passava le dita sulle sue, di labbra, immaginando di sentire quelle di Sophie lasciargli dolci baci.

Il suo amore verso la ragazza era cresciuto ogni giorno, come se l’attesa di rivederla, di poterla toccare e sentire il calore della sua pelle, avesse amplificato quel suo unico sentimento.

Lei non era mai andato a trovarlo, ma gli andava bene così. Forse la ragazza lo aveva dimenticato, accantonandolo in un angolino della sua mente e rifacendosi una vita, una vita senza di lui. E in quel caso Stefan non avrebbe potuto far altro che perdonarla, perché, anche se la colpa non era sua, lui non era stato presente in quegli otto lunghissimi anni.

Ma a lui bastava sapere che Sophie stesse bene e fosse felice. Perché amare vuol dire anche questo, gioire della felicità della persona amata, anche se questo vuol dire lasciarla andare.

 

Una guardia gli andò ad aprire la cella, lanciandogli uno sguardo di ammirazione. Il ragazzo infatti si era fatto una certa fama, chiunque lì conosceva la sua storia, il sacrificio che aveva fatto, ed era ammirato e guardato con invidia dagli altri compagni di cella.

Uscito da lì, aveva fatto patti con i Servizi Segreti Italiani e avrebbe iniziato a lavorare per loro. Si era reso conto che poteva essere utile, usare tutti gli insegnamenti del padre in maniera corretta, aiutando il prossimo, e i SSI conoscevano le potenzialità del ragazzo, e non avevano esitato a prenderlo sotto il loro comando. Sarebbe potuto diventare il prossimo Elia, il ragazzo.

 

Mentre Stefan raccattava i suoi averi, che non erano poi tanti, fuori dal cancello del carcere che li aveva tenuti separati per otto anni, una Sophie nervosa camminava avanti e indietro, torturandosi le mani sudate e toccandosi continuamente i capelli.

La ragazza era andata avanti, proprio con quel Leo del suo palazzo, ma un pezzo del suo cuore era rimasto al ragazzo che aveva sacrificato la sua libertà per la sua salvezza. Aveva amato Leone, ma niente in confronto a quel sentimento che continuava a provare per Stefan, non lo aveva mai dimenticato, forse accantonato per quei pochi anni in un angolino, cercando di concentrarsi su quello che aveva in quel momento, perché si, qualcosa di importante era successo e le aveva stravolto la vita.

Sophie continuava a camminare, pensando se avesse fatto la scelta giusta a presentarsi lì, magari il ragazzo la aveva dimenticata, o peggio, si era pentito di aver messo la sua libertà dopo la vita della ragazza e ora la odiava. E come biasimarlo? Lei non lo aveva mai chiamato, mai una visita. Non aveva mai fatto niente per mostrargli la sua gratitudine. Ma questo perché lei, in Italia, si era trasferita solo dopo aver finito gli studi a Vienna, e subito dopo aveva incontrato Leone, con cui si era fatta una vita.

 

Scosse la testa, facendo retromarce verso la macchina, pentita di essersi presentata lì, ma nel momento esatto in cui lei aprì lo sportello della sua macchina, il cancello arrugginito con un ringhio si aprì, permettendo al ragazzo di uscire e prendere il suo primo respiro di libertà, che gli morì in gola non appena il suo sguardo incrociò quello della ragazza che si era bloccata

 

“Sophie...”

 

Sussurrò lui, incredulo di averla lì, e pensando per un momento che se la stesse immaginando, tanto era la voglia di rivederla. Ma lei era lì, eccome se era lì.

La ragazza si riprese dallo shock, immergendosi e perdendosi nel verde dei suoi occhi, che non ricordava essere così belli. Era cresciuto, Stefan, e il suo viso era più da adulto, perfino con qualche ruga vicino gli occhi dovuta alla stanchezza, e si era fatto anche più muscoloso, più grosso. Ma era sempre il ragazzo che era capace di rubare battiti del cuore della ragazza.

 

“Stefan...”

 

Sussurrò in risposta lei, accennando un sorriso timido.

Stefan la guardò bene. La sua Sophie non era più una ragazzina, ma una donna. I capelli che ricordava lunghi fino alla schiena, ora corti alle spalle, con una frangetta ad incorniciarle quel viso dalla pelle di porcellana. Le sue curve ora erano morbide, i suoi fianchi candidi coperti da quella giacca dal colore blu scuro, e quei pantaloni a sigaretta del medesimo colore che le fasciavano perfettamente le gambe. Era più bella di quanto si ricordasse e riusciva ancora ad emanare quel calore che lo faceva sentire a casa.

Anche lui le sorrise, percorrendo cautamente ma con una certa fretta quei pochi metri che li separavano, fermandosi a meno di un metro da lei, e allungando una mano verso il suo viso, sfiorandole una gote che si colorò subito di rosa, facendolo sorridere ancora di più. Era sempre la sua Sophie

 

“Sei più bella di quanto mi ricordassi”

 

Sussurrò lui, tirandola stretta tra le sue braccia. Il suo corpo che quasi riusciva a nasconderla dal mondo esterno, proteggendola.

In quel momento Sophie fece un respiro di sollievo, Stefan non la odiava e non provava rammarico, così anche lei si lasciò andare tra quelle braccia, poggiando l’orecchio sul suo petto e sentendo il battito del cuore di entrambi aumentare. Quelle braccia le aveva sognate così tanto da ricordarsi ogni singolo dettaglio, ogni singolo neo o tatuaggio. Il corpo del ragazzo aveva ancora quella capacità di calmarla. E così si lasciò cullare, cercando di respirare il più possibile il profumo della pelle del ragazzo e di assimilare il suo calore.

Quando lui la lasciò andare, si guardarono negli occhi, leggendovi dentro l’amore provato e mai esaurito

 

“Ti va un caffè?”
 

Gli chiese Sophie, imbarazzata da quel lungo scambio di sguardi. Il ragazzo ridacchiò, annuendo.

Così si infilarono entrambi nella macchina di Sophie, che iniziò a guidare verso la città, in silenzio. Ma mentre lo sguardo suo era concentrato sulla strada, quello di Stefan era su di lei, cercando di cogliere quanti più dettagli possibili, perché non sapeva se quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe rivisto la ragazza

 

“Uhm… scendiamo?”

 

La voce timida della ragazza lo risvegliò dalla trance, e lui arrossì sentendosi uno stupido per essersi fatto cogliere in flagrante ad osservarla.

Entrarono nel bar poco affollato, prendendo due caffè al volo e sedendosi in un tavolo separato dagli altri.

Sophie sorseggiò la sua bevanda, cercando di non scottarsi la lingua, e cercando di pensare a come dire quello che era successo in quegli anni, perché non era una cosa semplice.

Stefan invece teneva il bicchiere tra le mani, osservando la ragazza torturandosi il labbro, perché sapeva che lei doveva dirgli qualcosa, ma non sapeva come farlo. Così prese parola, sorridendole teneramente

 

“Allora… cos’hai fatto in questi anni? Sei rimasta qui in Italia o…?”
 

Lei scosse la testa, abbassando lo sguardo e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio

 

“Dopo che papà… insomma, dopo che lui se n’è andato sono ritornata a Vienna e ho finito gli studi. Poi sono ritornata qui, in Italia, e ho iniziato a studiare per diventare professoressa di letteratura inglese. Mi sono laureata due anni fa e sono stata assunta a tempo pieno all’Università”

 

Stefan le sorrise, la vedeva proprio bene seduta su una di quelle cattedre, mentre spiegava i grandi classici ai ragazzi, facendolo con passione. Quando lei parlava era impossibile non pendere dalle sue labbra, beh forse su questo lui era un po' di parte… ma non c’era dubbio che Sophie avesse una grande passione verso la Letteratura Inglese e di sicuro sarebbe stata capace di passarla anche al più testardo dei testardi.

Sophie continuò a parlare del suo lavoro, raccontando dei suoi studenti e di come ogni tanto le facessero perdere la pazienza, ma lei era buona, e sapeva di certo come comportarsi con loro. Il ragazzo le sorrideva, guardando le sue labbra chiudersi e aprirsi e perdendosi nella sua voce e nelle sue parole. Beh, questo fin quando una terza voce non giunse alle orecchie dei due ragazzi, ormai non tanto ragazzi

 

“Mamma! Mamma!”

 

Un bambino di circa quattro anni corse verso il loro tavolo, rischiando quasi di far cadere un cameriere. Sophie si bloccò, guardando il piccolino con la bocca mezza schiusa e uno sguardo pieno di paura sul viso. E lì, Stefan capì chi fosse quel bambino, e le sorrise teneramente, per tranquillizzarla che tutto andava bene, anche se dentro si sentiva morire.

Sophie si alzò dal tavolo, accucciandosi accanto al bambino che la abbracciò

 

“Elia! Vi avevo detto di aspettare fuori, dov’è Anna?”

 

Gli chiese, scostando i ricciolini ribelli che gli scendevano sulla fronte. Ma quella domanda si rispose da sola, perché poco più indietro una donna trafelata sulla sessantina, si faceva strada tra i tavoli, tenendo per mano una bambina dai capelli lunghi e biondi

 

“Elia! Quante volte ti ho detto di non scappare in questo modo! Mi farai morire di infarto!”

 

La donna disse, arrivando al tavolo e portandosi una mano sul petto. Sophie prese in braccio il piccolo, rivolgendosi alla donna con sguardo dispiaciuto

“Anna, scusami se ti fa disperare…”

 

Ma quella frase fu interrotta da quella curiosa e piccolina della bambina, che si era avvinghiata al braccio della signora

 

“Sei il nostro papà?”

 

Sophie sbiancò di colpo, sentendosi morire dentro. Povero Stefan, non avrebbe dovuto saperlo così di quei due bambini, ma Sophie si era fatta prendere dal racconto del suo lavoro e non si era resa conto dell’ora. Stefan le sorrise tristemente, perché avrebbe voluto avere dei figli un giorno con la ragazza amata, ma questo non sarebbe stato possibile, perché lei era andata avanti

 

“Lucy, amore mio, perché non aspettate fuori con la tata? Ora vi raggiungiamo”

 

La bambina annuì, facendo svolazzare i suoi capelli dorati

 

“Va bene mammina”
 

E così uscirono. Il ragazzo guardò Sophie che si mordeva un labbro, non riuscendo a sostenere il suo sguardo. E lui le prese una mano, per rassicurarla che tutto andava bene

 

“Non volevo che lo venissi a sapere così...”
 

Annuì, sorridendole con tristezza

 

“Sophie, non sono arrabbiato con te… ti avevo chiesto io di andare avanti. E sono felice che tu l’abbia fatto”
 

Lei alzò lo sguardo, lasciando vedere quelle due gemme preziose ora lucide dalle lacrime

 

“Quanti anni hanno?”

 

Lei sorrise, con lo sguardo pieno di amore, un amore che solo una mamma può capire

 

“Sono gemelli, hanno quattro anni”

 

Stefan le sorrise, perché la vedeva felice

 

“Dov’è il padre?”
 

Ma a quella domanda gli occhi castani si velarono improvvisamente di tristezza

 

“Lui… si chiamava Leone. È morto due anni fa in un incidente stradale”

 

E così anche il sorriso del ragazzo si spense, anche se, egoisticamente, era sollevato dal fatto che non ci fosse nessun altro. E quel pensiero lo fece sentire male, perché Sophie soffriva, e aveva dovuto crescere i gemellini da sola, lavorando pure

 

“Sei così forte, Sophie...”

 

Lei sorrise e prese un respiro profondo prima di parlare

 

“Stef… io non ti ho mai dimenticato. Ho amato Leone, l’ho amato davvero, e grazie a lui, grazie ai miei due figli, ho trovato la mia felicità. Ma mi mancava sempre qualcosa, qualcosa per completare il puzzle”

 

Sophie dicendo così gli stava confessando l’amore che non aveva mai smesso di provare, e si sentiva egoista, perché lei rivoleva Stefan nella sua vita, ma non sapeva se lui avrebbe rivoluto lei, sapendo che era andata avanti e ora aveva una famiglia

 

“In carcere eri tu quella che mi spingeva ad andare avanti. Sapevo che ce l’avresti fatta, che avresti combattuto. E sono così fiero di te… per la donna che sei diventata, per essere andata avanti e aver tenuto stretto i denti. Sarei voluto essere lì con te… non abbandonarti, starti accanto per stringerti e consolarti. Ma non potevo, Sophie, e mi dispiace così tanto...”
 

Stefa le confessò, perché sapeva che sei lei gli avesse chiesto di rimanere, lui non avrebbe esitato. Avrebbe amato quei due bambini come se fossero stati suoi, perché erano una parte della donna che aveva amato e continuava ad amare

 

“Ei, ei. Nulla di tutto questo è colpa tua. Sai, all’inizio, quando ho letto questa lettera”
 

Sophie gli rispose, frugando nella borsa ed estraendone il pezzo di carta, ormai ingiallito e con qualche piega, simbolo che era stato letto e riletto

 

“non riuscivo a provare niente. Pensavo che anche tu mi avessi abbandonata, ma ora so che non è così. Dovevi farlo, non avevi altro modo. E ti ringrazio per aver messo la tua libertà dopo la mia… se non fosse per te a quest’ora non so dove sarei...”

 

Lui sorrise, cercando di rompere la tensione che si era formata

 

“Siamo pari, tu hai rischiato la tua vita e io ho dato la mia libertà”

 

E lei ridacchiò, asciugandosi una lacrima che si era formata all’angolo del suo occhio

 

“Pari”

 

Stefan si riscosse, lasciando andare la mano morbida della ragazza

 

“Vuoi presentarmi i tuoi figli?”
 

Lei annuì felice, con un sorriso sincero in volto. Stefan non era scappato a gambe levate.

Uscirono trovando la donna, Anna, seduta su una panchina di fronte il bar, che cercava di tenere fermo il bambino, mentre la bambina lo guardava confusa dal suo atteggiamento.

E in quel momento Stefan si bloccò, realizzando

 

“Aspetta… Lucy?”

 

Lei lo guardò mordendosi il labbro e annuendo

 

“Ho pensato che così una parte di te sarebbe rimasta sempre con me… e so che amavi moltissimo tua madre… quindi… Lucy”

 

Lui le sorrise, mentre sentiva gli occhi farsi lucidi, e la attirò tra le sue braccia, sussurrandole un dolce grazie nel suo orecchio, e facendola annuire.

Quel gesto era una delle cose più belle che qualcuno avesse mai fatto nei suoi confronti.

I due ripresero a camminare, mano nella mano, fermandosi davanti i tre

 

“Elia, Lucy… vi voglio presentare una persona molto speciale per me. Lui è Stefan”
 

I piccolini guardarono con curiosità il ragazzo alto e tatuato che però non incuteva timore, anzi, aveva qualcosa di rassicurante.

Lui si chinò, porgendo la mano ad Elia (non ci sapeva fare con i bambini, ma avrebbe imparato) che la strinse guardandolo in cagnesco. Già così piccolo e pronto a difendere la sua mamma…

 

“La MIA mamma vuole più bene a me”

 

Il ragazzo trattenne una risata, mentre Sophie si diede uno schiaffo in fronte. Elia era sempre stato così, instancabile e protettivo verso la mamma e la sorellina, perché non essendo cresciuto con un padre si sentiva l’ometto di casa, sempre pronto a difendere le sue ragazze. Era piccolo, eccome se lo era, ma era furbo ed intelligente

 

“Ma certo, Elia. La tua mamma ti ama proprio tanto”
 

Stefan gli disse, guardando poi Lucy, che si nascondeva timida dietro il braccio di Anna, guardandolo con un occhio e cercando di capire quel ragazzo. Non avevano conosciuto il padre, troppo piccoli per ricordarselo, ma la mamma gli aveva sempre raccontato di lui, e di un altro ragazzo, che era proprio quello che ora era lì di fronte loro, sorridendogli teneramente e guardandola con amore. Perché quello che Stefan non sapeva, era che quei due bambini gli avevano già conquistato il cuore

 

“E tu devi essere Lucy… sai che hai un nome proprio bello?”

 

Lei sorrise annuendo, e lasciando il braccio della signora, mostrando i suoi occhietti vispi. Era uguale a Sophie, ma in miniatura

 

“Mamma ha detto che il mio nome apparteneva ad una persona speciale”

 

Il ragazzo rimase scosso da quella affermazione, perché non sapeva che Sophie aveva raccontato di lui ai suoi figli, così si limitò a dire

 

“È proprio così”

 

Le accarezzò teneramente il viso, e la bambina, che solitamente non dava confidenza facilmente, trovò quel gesto così confortante da avvinghiare le sue braccina al collo del ragazzo, lasciandolo per un momento stupito. Sophie, che guardava i suoi figli rapportarsi con l’uomo che amava, si asciugò di nascosto una lacrima. Lei sapeva nel suo cuore che quella era la sua famiglia e che Stefan aveva accettato i suoi figli, e che li avrebbe cresciuti come se fossero stati suoi. Perché no, non c’era bisogno di dirlo. I gesti e gli sguardi che si stavano scambiando i due ragazzi avevano già chiarito tutto, Stefan non se ne sarebbe andato. Lui sarebbe rimasto lì, con Sophie. Avrebbe rifiutato il lavoro ai Servizi Segreti, e chissà, magari avrebbe ripreso a studiare.

Elia si avvicinò a quell’abbraccio, bussando sulla spalla muscolosa e richiamando l’attenzione del ragazzo

 

“Il mio nome è quello di un eroe. Conosci la sua storia? La mamma mi racconta sempre del mio nonno”

 

Stefan gli sorrise, allargando le braccia e avvolgendo la schiena del bambino, sollevandoli poi entrambi, ognuno su un fianco. Non aveva mai tenuto un bambino in braccio, ma sapeva esattamente come fare, era un istinto innato in lui

 

“Conoscevo molto bene tuo nonno”

 

Disse Stefan, ridacchiando e pensando a quanti battibecchi aveva avuto con l’uomo, ma in fondo gli voleva bene e lo ammirava. Elia lo guardò con ammirazione

 

“Raccontami di lui! Raccontami di lui!”

 

Disse tutto eccitato, di sapere qualche nuovo aneddoto su suo nonno. E Stefan rise

 

“Mamma, mamma! Può stare da noi? Mi piace il tuo fidanzato”
 

Sia Stefan che Sophie arrossirono, perché quel bambino ci aveva visto bene. Non era un amico speciale, ma l’uomo che la sua mamma amava

 

“Sempre se lui vuole…”
 

Disse Sophie, chiedendogli con lo sguardo di rimanere per sempre, e così Stefan la guardò con un sorrisetto impertinente

 

“Rimarrò fin quando non sarà la vostra mamma a cacciarmi di casa”

 

E poi aggiunge, avvicinandosi all’orecchio di Sophie

 

“…e spero che tu non lo faccia mai”

 

Lei gli sorrise, annuendo freneticamente. Non desiderava altro.

 

E così Stefan, con ancora i due bambini avvinghiati al suo collo, Sophie e la tata Anna, si avviarono verso la casa che da quel momento sarebbe stata riempita di amore e tenerezza, completando la famiglia che Sophie aveva creato.

E Leone? Lui dal cielo guardava quella strana famiglia, sorridendo, perché sapeva che Stefan sarebbe stato un ottimo padre per i suoi figli e un ottimo compagno per la ragazza che aveva amato. E gli andava bene così. L’importante era che erano felici, ed eccome se lo erano...

 

THE END

 

aaaaaand, siamo giunti alla fine :(

Ringrazio tutti coloro che sono arrivati fino a qui, che mi hanno sopportato e atteso i capitoli (scusate ancora), che hanno votato, commentato o anche letto in silenzio.

Per un’ultima volta vi chiedo di farmi sapere cosa vi è piaciuto e cosa no, cosa avreste migliorato e cosa avete adorato.

E adesso vi saluto, chissà magari ci rivedremo per un’altra storia :)

 

XX

La vostra -R

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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