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Autore: Alexa_02    04/07/2020    1 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Julianne


“Ma Halloween è il prossimo weekend” puntualizzo “Come pensi di organizzare una festa, quanto meno decente, in meno di cinque giorni?”.
Chastity sbuffa, buttando la testa indietro. “È da mezz'ora che ti spiego il piano, mi stai ascoltando?”.
La verità? No, non la sto ascoltando.
A mia discolpa si è infilata nella mia camera nel momento peggiore di sempre. In realtà, prima che facesse la sua trionfate entrata, era il momento migliore della giornata. Aaron e io stavamo guardando un film.
Bugia.
È entrato in camera mia con l'intenzione di vedere un film, ma poi il dolore alla spalla e al fianco si è fatto sentire e il mio senso civico mi ha imposto di farlo sentire meglio.
Sì, possiamo dire così. 
Stava andando tutto benissimo, finché la mia amica non ha deciso che era il momento giusto per bussare alla mia porta. Ora sto cercando di ascoltare i suoi vaneggiamenti e di non pensare al fatto che Aaron è sotto il mio letto con solo i boxer.
“Julianne” brontola “Mi stai ignorando di nuovo. Cos'hai per la testa? C'entra qualcosa con il fatto che sei in mutande? Ho interrotto qualcosa?”.
“No, non stavo facendo nulla”. Mi abbasso la maglietta lungo i fianchi.  “Fino a prova contraria questa è ancora camera mia, quindi posso starci vestita come voglio”.
Mi lancia un'occhiata di sbieco. “Come siamo sulla difensiva...”.
“Senti” sbotto “Parliamone domani a scuola”.
Cerco di spingerla verso la porta, ma lei si impunta. “No, dobbiamo decidere adesso. Domani sarà troppo tardi”.
“Allora decidiamo in fretta” mormoro.
“Non dobbiamo stabilire nulla” puntualizza “Devi solo dire sì”.
Sospiro. “Sì a cosa?”.
“Al mio pazzesco e perfetto piano a prova di proiettile” risponde tronfia.
“Sono un sacco di p” afferro i pantaloni della tuta “Perché non me ne parli mentre andiamo in cucina?”.
Si guarda intorno “E vuoi lasciare il tuo bocconcino nascosto in qualche anfratto? Sei un'amante davvero pessima”.
Infilo la felpa. “Non so proprio di cosa parli”.
Arriccia le labbra. “Vuoi basare la nostra amicizia nascente su una bugia?”. La fisso seccata. “Se è così, allora ne parliamo proprio qui”. Si siede sul letto e accavalla le gambe. “Vieni”. Da una pacca sul materasso. “Sono più testarda di te, Jay. È una battaglia persa in partenza”.
Irritata come non mai, mi siedo al suo fianco. “Parla velocemente”.
“Ho pensato a quello che mi hai detto e mi è venuta in mente un'idea strepitosa” dalla borsa tira fuori un opuscolo e me lo porge “Ho scovato un ritiro spirituale che si terrà a Logan questo week-end”.
“E?” chiedo.
Aggrotta la fronte. “Oggi sei poco perspicace”.
“Chissà come mai”.
Mi sventola la mano davanti alla faccia. “Il ritiro si terrà da venerdì pomeriggio a domenica pomeriggio. Si faranno escursioni lungo Logan Peak, preghiere al chiaro di luna e si dormirà in orrende tende da campeggio”.
“E ne siamo felici perché?”.
“Perché è la scusa ideale per tenere i nostri genitori lontani e fuori dal campo dei cellulari per tutto il week-end”.
“E cosa ti fa pensare che ci andranno?” domando scettica.
Si liscia i capelli. “Il fatto che sono un genio del male. Stamattina, prima della messa, ho distribuito su tutte le panche questi opuscoli e ora metà della comunità vuole andare. Hanno tirato in mezzo il reverendo, che non ha potuto dire di no e i miei genitori non posso sfigurare e ci devono andare anche loro”.
Ogni tanto mi fa paura. “E non pensi che vorranno portarsi anche noi?”.
Sorride come il Joker. “Ho pensato anche a questo. Quando me ne hanno parlato, ho detto loro che venerdì ho gli allenamenti delle cheerleader e lunedì mattina un compito super importante di biologia e che devo studiare per tutto il week-end”.
La osservo colpita. “Sei quasi spaventosa”.
Ridacchia compiaciuta. “Lo so. Ora l'unica cosa che devi fare è trovare una scusa molto plausibile per restare a casa e possiamo organizzare la festa”.
Annuisco. “Va bene, tutto chiaro. Ora vai via?”.
“Non ancora” afferma “Dobbiamo discutere di altri dettagli”.
“Cioè?”.
“Alcolici, inviti e tema. Ovviamente sarà una festa in maschera, è Halloween. Io pensavo di occuparti di spuntini e decorazioni varie. Puoi occuparti tu dell'alcol?”.
Una brutta sensazione mi stringe lo stomaco. “No”.
“Jay...”.
“No, Chastity. Non posso comprare gli alcolici” mormoro.
“Perché? Hai un documento falso, e immagino non sarebbe la prima volta”.
Mi alzo. “Non posso. Se mi beccano, finisco in un mare di guai. E non guai da un colpetto sulle mani, non posso avere problemi con le forze dell'ordine. Non posso”.
“Okay, allora magari...”.
“Non possiamo nemmeno averli qui, se arriva la polizia cosa facciamo? La festa è mia, non tua” sto iperventilando “Non possiamo, non posso...”.
“Okay. Okay”. Mi mette le mani sulle spalle. “Non svalvolare, ora penso ad una soluzione. Tu inventati una scusa con i tuoi e pensa ad un bel costume, al resto provvedo io”.
Annuisco. “Va bene”.
“Ora devo andare, ti scrivo più tardi”. Raccoglie la borsa. “Ciao, ragazzo misterioso”. Quando finalmente chiude la porta, posso respirare.
Con un grugnito poco piacevole, Aaron rotola fuori da sotto il letto. Cerco di aiutarlo ad alzarsi. “Stai bene?”.
Si sistema il reggibraccio. “Questa relazione mi sta uccidendo, è almeno la quinta volta che mi butti giù dal tuo letto come un cuscino di troppo”.
Gli passo la maglietta che avevo nascosto dietro la lampada. “Mi dispiace, non mi aspettavo certo che si facesse viva o non avrei iniziato il discorso di prima”.
Saltella per infilarsi la tuta. “Discorso che mi stava appassionando, tra l’altro”.
Ridacchio. “Ci scommetto”.
Si siede al mio fianco e mi accarezza la guancia. “Ti va di dirmi perché la storia dell’alcol ti ha messa così in difficoltà?”.
“Hai visto cos’è successo l’ultima volta che mi sono avvicinata ad un drink, non mi va di ripetere l’esperienza. Non voglio mandare al diavolo tutti i progressi che ho fatto per una stupida festa di Halloween”.
Annuisce comprensivo. “Lo capisco, Jay. Però Chastity l’ha descritta come la mossa decisiva per l’inizio della campagna di detronizzazione, non vuoi almeno pensarci?”.
“Non sa quello che dice” bofonchio “Poi non ho mai detto che voglio soverchiare Giselle, non voglio il suo posto”.
Inclina la testa. “Io credo che saresti un’ottima rappresentante del corpo studentesco. Sei una leader, ti sai far rispettare, hai idee pacifiche e, soprattutto, sei stupenda”.
Non posso far a meno di sorride. “Non credo che l’ultimo sia un requisito significativo”.
Si china per baciarmi lentamente. “Lo è per me”.
“Stai cercando di ammorbidirmi?” sussurro contro le sue labbra.
“Un pochino” sospira per poi darmi un altro bacio “Funziona?”.
Il cuore mi batte all’impazzata nel petto. “Solo un pochino”.
Sorride, sfiorandomi il naso. “Ci rifletterai almeno?”.
Annuisco. “Va bene”.
La sua mano mi risale sotto la maglietta. “Ora, riprendendo il discorso di prima…”. Mi spinge contro il materasso. “Mi sembrava che stessi dimostrando un punto molto interessante”.
Mentre lo tiro verso di me, l’occhio mi cade sulla sveglia sul comodino. “Merda”.
“Non credo che…”.
Lo scosto con delicatezza e rotolo giù dal letto. “È tardissimo”.
Lancia uno sguardo all’ora e si acciglia. “Non è vero, le prove sono tra più di quaranta minuti”.
Infilo la testa nell’armadio alla ricerca di qualcosa decente da mettermi. “Ma quali prove, ho il colloquio di lavoro al negozio di musica”. Infilo i jeans il più velocemente possibile. “Arrivare in ritardo non è il miglior modo per farsi assumere”.
Si mordicchia il labbro nervosamente. “Quindi salti anche queste di prove?”.
Mi sfilo la felpa. “Aaron…”.
“Ho capito che sei ancora arrabbiata con Matt e che quello che ha fatto è davvero terribile, ma sei sicura che la tecnica del Fantasma sia il modo migliore per affrontare la situazione?”.
Infilo una t-shirt. “Non lo sto punendo con il silenzio, ho avuto molte cose da fare”.
“Mi sembrava avessimo un accordo riguardo alle bugie” brontola.
Infilo la camicia e mi giro per guardarlo male. “Perché fissi il soffitto?”.
Incrocia il braccio sano al petto. “Sto cercando di farti capire il mio punto di vista e lo spogliarello mina la mia capacità di attenzione”.
Cerco di non ridere e di non sembrare compiaciuta. “Sono arrabbiata, è vero, ma non sto cercando di farlo soffrire. Si sono presentate un serie di vicende che mi hanno impedito di venire alle prove, tutto qui”.
Abbassa lo sguardo per incrociare il mio. “Quindi finito il colloquio vieni ad aiutarci?”.
Non voglio mentirgli, perciò mormoro la cosa più simile alla verità. “Ci proverò”.
 
 
 
La campanella di metallo tintinna quando apro la porta del Paradise City. Lunghi scaffali pieni di cd e vinili separano la stanza in settori, le pareti sono quasi completamente oscurate dagli strumenti ad esse appese e il soffitto è coperto di poster di band famose e sconosciute.
“Posso aiutarti?”.
Smetto di fissare il soffitto e osservo la donna che mi sta difronte. Faccio un passo incerto in avanti. “Mi chiamo Julianne, sono qui per il colloquio”.
La donna mi lancia una lunga occhiata di sbieco. I capelli castani le arrivano quasi fino all’ombelico, gli occhi a mandorla sono circondati da una generosa riga di eyeliner e indossa un vestito grigio un po’ sfalsato e degli anfibi che sono sicura di avere uguali.
Indica lo stereo appoggiato al muro. “Metti su un vinile, Joel”.
“Julianne” sospiro.
Lei si mette a sistemare uno scaffale. “Sì, uno qualsiasi”.
Scorro tra la vasta raccolta di musica e faccio la mia scelta. Alzo il coperchio, colloco il disco sul piatto, lo accendo, sollevo il braccio e lo posiziono sulla canzone che voglio. Dead! dei My Chemical Romance fluisce fuori dalle casse e inonda il negozio.
Dopo un minuto circa, la donna si gira verso di me con aria sorpresa. “Devo essere onesta, non pensavo fossi nemmeno in grado di accenderlo” mi osserva “Però a quanto pare ci sei riuscita, e hai pure gusto”.
Mio padre mi faceva sempre scegliere la musica quando dipingevamo insieme e l’unico tipo di musica che riusciva a concepire era quella che proveniva da un vinile. “Le prime impressioni non sono sempre affidabili” mormoro.
Annuisce con aria criptica, mentre mi studia nei dettagli. “Vaniglia o cioccolato?”.
Cosa? Colta di sorpresa, balbetto. “C-cioccolato”.
“Metropolitana o autobus?”.
Okay, sono confusa. “Metropolitana”.
“Coccodrillo o squalo?”.
Questa donna è fuori di testa. Che razza di colloqui è? “Coccodrillo”.
AC/DC o Guns N’ Roses?”.
Guns N’ Roses” asserisco.
Mi guarda negli occhi e di punto in bianco sorride. “Come hai detto che ti chiami?”.
“Julianne”.
Mi allunga la mano. “Benvenuta a bordo, Julianne. Io sono Astrid”.
 
Dopo il giro completo del negozio, Astrid mi mostra il soppalco dei dipendenti e mi tira su un divano dai colori psichedelici con lei. “Questo conclude il tour di assunzione, sei ufficialmente una dipendente in prova”.
Sto cercando di celare la mia eccitazione. “Quanto durerà la prova?” domando.
Giocherella con una ciocca chilometrica. “Di solito un mese, ma tu sembri avere il giusto sound. Magari per te durerà di meno, chi lo sa”.
Non vedo l’ora, finalmente non dovrò più chiedere neanche un centesimo a mamma. “Cos’è successo all’ultimo dipendente?”.
Appoggia gli anfibi sul tavolino di metallo davanti a noi. “Brody” fa un verso di scherno “Ha confuso Halsey con Kesha”.
“Oltraggioso” mormoro.
Astrid alza le spalle. “È stato tanto tempo fa. Dopo di lui mi sono rifiutata di assumere altri dipendenti incompetenti, non volevo ripetere l’esperienza. Ma ora…beh, avrò bisogno di una mano”.
Non siamo abbastanza in confidenza perché le chieda dei chiarimenti riguardo la sua pragmaticità, perciò mi limito ad annuire.
“Forza, delineiamo i tuoi orari” afferma tirandosi in piedi.
 
Varco la soglia senza troppo entusiasmo ed entro in salotto. “Sono tornata” annuncio al vuoto. Non ricevendo risposta, mi avvio verso le scale. “Siamo in metà di mille in questa casa e non c’è mai nessuno”.
“Eccoti, finalmente” sospira Lip dalla cucina. Mi viene incontro con passo deciso, mi afferra per la vita e mi tira su come se fossi un trolley. “È più di un’ora che ti aspettiamo”.
“Lip? Cosa fai? Mettimi giù” brontolo. Non provo neanche a divincolarmi, sarebbe inutile.
“Dobbiamo provare, ti metterò giù in garage” afferma.
“No!” ribatto “Il tempo delle prove è finito”.
Entra in cucina. “Dobbiamo ancora cominciare, ti abbiamo aspettato”.
Gli artiglio un braccio. “Fermati, Lip. Sono seria”.
Mi deposita vicino al frigorifero. “So che sei arrabbiata con Matt, dolcezza, però abbiamo bisogno di te. Quindi metti da parte l’orgoglio e porta il tuo bel culetto di là”.
“Lip…”.
“Aaron non riesce a suonare con la spalla conciata in quelle condizioni e non potrà farlo per le prossime due settimane. Il contest si avvicina sempre di più e l’ansia si sta facendo sentire. Ti prego, Jay”.
Il senso di colpa mi attanaglia le stomaco in una morsa gelata. La spalla di Aaron è messa così male solo per colpa mia, se non lo avessi distratto con il mio solito modo da stronza ora starebbe bene. Rovino ogni cosa che tocco.
“So che guardarlo ti fa andare il sangue alla testa” continua Lip “So che per colpa sua non stai passando un bel periodo. Però puoi mettere da parte il risentimento per un paio di ore?”.
Che razza di amica schifosa sarei se non lo facessi? “Va bene”.
Le sue enormi spalle si rilassano. “Sei un angelo”.
“Mi fai una promessa?” chiedo.
Lip annuisce con sicurezza. “Quello che vuoi?”.
“Impediscigli di mettermi all’angolo. Se viene a parlarmi di qualcosa che non sia la band, placcalo” sospiro.
Lip sorride. “Sì, signora”.
 
 
 
Non so di chi sia la faccia più sorpresa di vedermi. Matt si raddrizza come fuso e mi punta gli occhi addosso. Scende dal palco incespicando nei fili e con qualche falcata mi si para davanti. “Julie…” sospira.
Prima che possa dire qualsiasi cosa, Lip gli appoggia una mano sulla spalla. “Scusami amico, ma la signorina è qui solo come coach. Per sistemare il casino che hai fatto, dovrai cercarla in un altro momento”.
Matt lo guarda storto. “Fai sul serio?”.
Lip lo fa indietreggiare di qualche passo. “Assolutamente. Ho anche il permesso di placcarti se non ti comporti bene”.
Matt fa per ribattere ma Aaron interviene. “Avanti, Matt, torna qui. Hai promesso che se si fosse presentata l’avresti lasciata stare”.
Al tono fermo e deciso di Aaron, Matt scuote la testa e si rimette al suo posto. Lip mi da un buffetto e raggiunge la batteria.
“Quando è pronta lei, coach” mormora Aaron.
Il suo sguardo carico di affetto e orgoglio mi dà la forza di sedermi alla mia sedia, come se nulla fosse, e aiutarli a provare.



Alla fine, le due ore le passo sul palco con la chitarra di Aaron tra le braccia. Il dolore alla spalla e la fasciatura gli impediscono di suonare, così si accomoda su uno sgabellino al mio fianco e segue i miei movimenti come falco.
Proviamo tutte le canzoni di repertorio almeno un paio di volte e per tutto il tempo Aaron mi sfiora cautamente e, invece di concentrarsi sulle mie mani, mi guarda negli occhi. È davvero difficile concentrarsi e non lasciare che la mia mente svolazzi via, in pensieri tutt’altro che casti.
Ogni tanto si alza, mi si mette alle spalle e appoggia la mano sulla mia per copiare gli accordi. La vicinanza con il suo corpo mi rilassa e rende la situazione con Matt un po’ più accettabile.
Ogni qual volta i nostri corpi restano un po’ troppo attaccati e la situazione si fa imbarazzante, Lip tira un colpo di tosse o svia l’attenzione facendo rumore.
A prove concluse batto in ritarata così velocemente, che Matt deve fare uno scatto per afferrarmi il gomito. “Julie, aspetta”.
Mi scrollo le sue mani di dosso. “Avevamo un patto”.
Il suo sguardo si riempie di tristezza. “Lo so. Vorrei solo parla un paio di minuti con te”. La sconforto nella sua voce fa vacillare la mia rabbia. “Per favore”.
Non posso evitarlo per sempre. È fisicamente impossibile e mi risulta davvero fastidioso dover scappare ogni volta che lui è nella stanza. Dobbiamo mettere un punto a questa faccenda. “Va bene”. Gli faccio cenno con la testa verso la porta del garage e lui mi segue.
Una volta fuori, alzo la mano prima che possa aprire la bocca. “Non voglio sentire altre scuse o altre giustificazioni, sono stufa” asserisco “Hai fatto una cazzata e vorrei metterci una pietra sopra”.
“Anche io, totalmente”. Espira, visibilmente sollevato. “Sono così felice che tu…”.
“Non ti sto perdonando” lo interrompo “Sto solo dicendo che non ho più intenzione di parlare di questa cosa”.
“Julie…”.
“Sai cosa penso della fiducia e delle menzogne, quello che hai fatto ha disintegrato qualsiasi amicizia ci fosse tra di noi. Non mi fido di te e non penso che ricomincerò a farlo in tempi brevi, quindi di prego smettila di cercare di sistemare l’insistemabile. Ho bisogno di tempo e spazio, e vorrei davvero che tu lo rispettassi”.
Sembra completamente spaesato. “Non siamo più amici?”.
Raddrizzo le spalle cercando di ostentare sicurezza e nascondendo la sensazione di disagio che mi causa bruciare i ponti con lui. “No, per ora no. Vi aiuterò per il contest e ci vedremo a scuola, ma oltre a questo non voglio altro da te”.
 
 
 
Ripenso al dolore sordo che ho visto ristagnare negli occhi di Matt dopo che gli ho messo in chiaro la situazione. Mi sembra di conoscerlo da una vita e ma ora, quando lo guardo, vedo un completo estraneo.
“Julie?” esala mamma al mio fianco “Vuoi altri broccoli?”.
Allungo il piatto verso di lei. “Grazie”.
Mi lancia un’occhiata. “Sei triste? C’entra qualcosa con l’espressione desolata di Matthew?”.
I nostri genitori sono rientrati nel momento esatto in cui i ragazzi stavano andando via. Mamma gli ha domandato se volessero restare per cena ma hanno declinato tutti, soprattutto Matt. Lui non ha neanche risposto, è salito in macchina ed è sparito.
Ignoro la sua domanda e lo sguardo preoccupato di Aaron e cambio argomento. “Oggi ho fatto un colloquio di lavoro”.
Jim si ridesta dai suoi pensieri. “Ah, sì? E dove?”.
Paradise City, il negozio di musica in centro” affermo “Mi hanno assunta”.
Lui sorride, per la prima volta in modo quasi orgoglioso. “Ben fatto, Julianne. Avere un lavoretto è un’ottima cosa, sia per te che per la tua domanda per il college”.
Sì, questo lo sapevo anche io. “Sono molto contenta, sì”.
Mamma sorride. “Anche io, tesoro”.
Per un nano secondo sembriamo quasi una vera famiglia.
Solo per un secondo.
Cole sbuffa sonoramente spingendo i broccoli per tutto il piatto. “Io non ci voglio venire in campeggio con la chiesa, devo proprio?”.
Henry guarda confuso la mamma. “Quale campeggio?”. Sentire la sua voce mi fa strano, sono tre giorni che siamo in silenzio stampa.
Jim si allunga verso il mobile, tira su un dépliant e glielo porge. “Questo week-end andremo tutti insieme ad un ritiro spirituale a Logan. Farà bene a tutti, quindi sì, Cole, devi venire per forza”.
Aaron e io ci scambiamo uno sguardo. “Questo week-end? Papà io non posso. Venerdì ho gli allenamenti”.
Jim aggrotta la fronte. “Non puoi di certo allenarti con quella spalla”.
Aaron tentenna. “Devo comunque andare per imparare le strategie e le azioni”.
Jim scuote la testa. “Per un giorno puoi anche saltarli, ti farà bene staccare un po’ dopo quello che è successo alla partita”.  
La bugia di Aaron non regge e il suo sguardo vacilla. Mi metto in mezzo prima che venga trascinato al raduno. “Questo week-end dobbiamo assolutamente studiare francese” indico Aaron con la forchetta “Gli sto dando ripetizioni e lunedì c’è il primo compito importante, non possiamo saltare così tanti giorni di studio”. Jim sembra ancora incerto, così rincaro la dose. “Penso proprio che riusciremo ad alzargli la media, se continuiamo così”. Il compito c’è veramente, non ho mentito, ho solo enfatizzato un po’ più l’importanza che il mio contributo potrebbe dare alla sua media.
Jim si illumina come un cartellone pubblicitario. “Sarebbe meraviglioso, soprattutto in vista del college. Voi due siete esclusi” sentenzia “Qualcun altro ha qualche compito importante?”.
Andy alza la mano. “Io”.
Jim lo guarda dubbioso. “E quale?”.
Andy esita. “Mhmm, fisica?”.
Jim inclina la testa con uno sguardo sprezzante. “Lo stai chiedendo a me? Perché se lo stai chiedendo a me è no, anche perché poi lo voglio vedere questo fantomatico compito”.
Andrew sbuffa sonoramente. “Che palle! Non ci voglio venire al tuo stupido ritiro, cazzo”.
Mamma squittisce. “Andrew!”.
“Modera il linguaggio” brontola Jim “Stiamo parlando con toni civili, quindi abbassa la voce. Verrai con noi, fine della discussione”.
Andrew sbatte la mano sul tavolo. “Non è stata una conversazione, ci sei solo tu che parli e che decidi ogni cosa! Perché dobbiamo fare sempre quello che vuoi tu?!”.
Jim alza la voce. “Perché finché vivrai sotto il mio tetto sarà io a decidere, ecco perché!”.
Andy si alza di scatto, buttando indietro la sedia. “Andate tutti al diavolo!”.
Sale le scale come se gli andassero a fuoco le scarpe. Jim si alza per andargli dietro, ma Aaron si infila nella sua visuale. “Ci parlo io, papà. È un periodo che ha la testa da un’altra parte, sono sicuro che non volesse essere così impertinente”. Gli posa le mani sulle spalle accompagnandolo verso il tavolo. Sta cercando di evitare che Andy finisca in un mare di guai, anche se lui ultimamente è sempre molto scorbutico. “Vado io, voi finite di cenare”.
È strano, per una volta, non essere il centro dell’uragano di problemi.
Strano ma alquanto piacevole.
 
 
 
Lunedì mattina, Chastity mi tende un agguato mentre mi dirigo stancamente verso l’armadietto.
“Sono davvero felicissima che hai detto di sì!”.
La guardo spaesata. “Cosa?”.
“Per la festa” trilla agitando il cellulare “Aaron mi ha appena scritto”.
Sono sempre più smarrita. “Chas non sto capendo”.
Lei mi guarda come se fossi scema. “Aaron mi ha scritto che la festa si fa. Ha detto che lui e Lip si occuperanno degli alcolici, Peyton e Dorothea del cibo e io e te dobbiamo pensare agli addobbi”.
Ieri sera, mentre ci stavamo coccolando, abbiamo parlato un po’ della festa. Ho detto ad Aaron che non la volevo organizzare perché ho paura di tutto quello che potrebbe andare storto, dell’alcol e delle responsabilità che comporta.
Chas fa un piccolo broncio. “L’unica clausola che ha messo è che noi dobbiamo rimanere tutti sobri. È una noia ma mi ha detto che lo facciamo per te, perché così possiamo aiutarti a tenere le redini della festa”.
Non ci posso credere. Non so se essere felice o arrabbiata. “Sì, beh” borbotto aprendo l’armadietto. Però, prima che possa formulare un pensiero completo, dall’armadietto scivola fuori una valanga di profilattici. Si sparpagliano tra nostri piedi e lungo il pavimento come una macchia arcobaleno.
Chastity strabuzza gli occhi. “Hai svaligiato il distributore in farmacia?”.
Risatine e sussurri ci circondano. “Chiaramente non sono miei”.
Ci abbassiamo entrambe per raccogliere il mare di condom. “È uno scherzo stupido” commenta lei. “Con quello che costano, è più un favore che uno scherzo” sospiro.
Due enormi scarpe da ginnastica entrano nel nostro campo visivo. Luke Donovan, il cretino che mi ha lanciata in piscina e il presunto giocattolino di Giselle, raccoglie un preservativo e scoppia a ridere. “Wow. Hai in programma di darti da fare parecchio, posso unirmi?”.
Il brusio intorno a noi aumenta, fomentando la mia rabbia. Gli lancio un’occhiata e poi mi alzo. “Oh, certo” prendo il condom extra large che tiene tra le dita “Ma cerchiamo qualcosa della tua taglia. Chas vedi qualcosa che vada bene il nostro amico qui?”.
La mia amica stringe le labbra e scuote la testa. “Non c’è nulla di così piccolo, mi spiace”.
Sospiro con finta tristezza. “Che peccato”.
Le risatine dirette a Donovan lo fanno irrigidire. “Stronze” grugnisce allontanandosi.
Chas mi fa l’occhiolino. Ridacchio e mi giro verso gli studenti impiccioni. “Qualcuno vuole un preservativo? Sono gratis”.
 
 
 
“Julianne?” mormora la dottoressa Dawson “Qualcosa ti turba?”.
Smetto di giocherellare con i pesci e mi giro. “Perché lo chiede?”.
Mi fa un sorrisino. “Quando ti concentri sull’acquario, di solito, c’è qualcosa che ti ronza nella testa”. Un po’ mi innervosisce che mi conosca già così bene.
Prendo lo zaino, ci ficco la mano dentro e rovescio una manciata di condom sul suo tavolo.
Lei alza le sopracciglia nere. “Vuoi parlare di sesso?”.
Scuoto la testa. “No, sono abbastanza informata sull’argomento, grazie. Quelli erano nel mio armadietto”.
Le dà un colpetto con la penna alla pila. “E come mai hai così tanti preservativi? Sai che il sesso da dipendenza?”.
Cerco di soffocare una risata. Mi darebbe dipendenza se lo facessi. “Qualche burlone ha riempito il mio armadietto con un trilione di profilattici” li indico “Quelli non sono nemmeno tutti. Il corridoio sembrava uno stand sul sesso sicuro. Sono riuscita a distribuirne qualcuno, sa per contribuire alla sicurezza dei giovani d’oggi e per evitare che qualcuna di quelle menti così superbe rischi di riprodursi, ma ho ancora la borsa piena. Ogni volta che tiro fuori un libro, ne salta fuori qualcuno. Al professore di storia è venuto quasi un piccolo scompenso quando l’ho colpito accidentalmente con un preservativo volante”.
So che sta cercando di non ridere. “Non ho ancora capito cosa vuoi sapere da me”.
Accavallo le gambe. “Vorrei capire il ragionamento alla base di questo divertentissimo scherzo. Perché, per come la vedo, io è stato un favore. Posso farmi l’intera città e avrei ancora un eccesso di profilattici”.
Posa la sua agenda sulle ginocchia e mi scruta con cura. “Quale parte di tutto questo ti turba di più?”.
“Non sono turbata” esalo in fretta.
Lei inclina silenziosamente la testa.
“Perché se la prendono con me? So che non gli piaccio, ma perché si accaniscono così tanto? E perché l’unica cosa che fanno è darmi della poco di buono?”.
Sospira. “Vedi, Julianne, per quanto tu possa discordare, hai una personalità molto carismatica. Spesso cerchi di celarla sotto uno massiccio strano di cinismo e sarcasmo ma lei è sempre lì. Sei forte, determinata e non ti pieghi facilmente, oltretutto sei completamente diversa da loro” si sistema la treccia “Per secoli l’umanità ha condannato tutto ciò che riteneva diverso, non cambierà oggi e non cambierà qui”.
Non so se sentirmi demoralizzata oppure no. “Cosa posso fare?”.
“Puoi piegarti. Uniformarti” sospira “Oppure puoi opporti ed essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.  
La guardo di sbieco. “Sta citando Gandhi per spronarmi?”. 
Sorride. “Speravo non te ne accorgessi”.
Annuisco. “Ci penserò su”.
“Penso tu sappia già cosa vuoi fare” azzarda. Sì, lo penso anche io. “Comunque sono quasi sicura che non fosse questo quello che ti riempiva la testa poco fa, vero?”.
Sì, mi conosce bene ormai.
Le faccio il resoconto dettagliato del week-end, ovviamente tagliando le parti su Aaron.
“Sono stati tre giorni molto intensi” afferma “Come ti sei sentita dopo aver bevuto? Meglio?”.
Scuoto la testa. “Non mi sono mai sentita tanto stupida, mi è sembrato di aver buttato mesi di progressi nel cesso”.
Mi guarda comprensiva. “Uno scivolone lungo la via può capitare a tutti. Sei umana, Julianne. Devi imparare anche ad essere più comprensiva con te stessa. Hai superato i tuoi limiti, lo hai capito e sei tornata in asse. Significa che stai migliorando ancora. Hai esagerato come facevi prima?”.
“No” assicuro “Neanche lontanamente. Quello che ha detto mio padre mi ha turbato più di quanto immaginassi. Ho sempre pensato che lui non avesse colpe, che tutto quanto fosse solo dovuto a mia madre. Non credo di sbagliarmi”.
Scribacchia sulla sua agenda. “Le storie hanno sempre più di un lato, magari osservare quella dei tuoi genitori dalla parte anche di tua madre potrebbe chiarirti le idee. Hai parlato con lei?”.
Abbasso lo sguardo sulle scarpe. “Non importa quanto ci provi, lei non mi dirà mai tutto come sta”.
“Provare ad aprire un dialogo calmo e controllato potrebbe essere d’aiuto per entrambe” asserisce seria.
Mi scappa una risata senza allegria. “Calmo e controllato non è esattamente il mio stile”.
 
 
“Non ci posso credere che le hai detto che la festa si farà” bisbiglio contro Aaron durante francese. La professoressa è troppo presa da qualcosa sul computer per controllarci. “Ieri sera ti ho detto che non volevo”.
Aaron si mordicchia il labbro, distraendomi. “So quello che hai detto, non ero totalmente distratto dal tuo bellissimo viso”.
Fingo indifferenza. “Non provare a lisciarmi, carino”.
Mi fa un sorrisetto colpevole. “Mentre tu russavi come un trombone…”.
“Non è vero che russo” sibilo contrariata.
“…Ho pensato a quello che hai detto e mi è venuto in mente un modo per farti fare la festa senza metterti in una posizione scomoda. Noi saremo tutti sobri e lucidi per affiancarti nel dare la festa dell’anno, che ti porterà alla conquista del popolo studentesco. Ho delineato tutto con Chastity. Ho bisogno che tu mi aiuti con una cosa sola”.
“Cioè?”.
“Devi aiutarmi con il costume” sospira “Non ho proprio nessuna idea”.
 Alzo gli occhi al cielo. “Non ho detto che mi va bene la tua decisione”.
Mi accarezza furtivamente la gamba. “Sì, che lo sei. So che vuoi fargliela vedere a quelle stronze e io voglio sostenerti in tutto e per tutto. Credo moltissimo in te” il cuore mi si scioglie nel petto “E poi se vinci contro di lei sarò la First Lady, un po’ come Michelle Obama”.
Ridacchio. “Ti piacerebbe”.
Intreccia le dita con le mie sotto il tavolo. “Scusa se non ti ho interpellato, se vuoi annullare va bene. Facciamo qualsiasi cosa tu voglia”.
Ha trovato un modo per rendere tutto più facile, per semplificarmi la vita.
Rende tutto migliore, indipendente se ci prova o no. Al contrario di me, lui rende tutto meno complicato.
Gli accarezzo il dorso della mano. “Acconsento solo perché sei carino”.
Mi guarda malizioso. “Solo carino? Mi sembra che l’altro giorno tu mi abbia definito una vera e propria opera d’arte”.
Spalanco la bocca. “Non credo proprio. Probabilmente eri davanti allo specchio. Vedevi un ragazzo alto, capelli scuri, occhi verdi, un po’ presuntuoso…?”.
Annuisce. “Muscoloso? Sexy? Il Dio del genere femminile? Mi sa che parliamo proprio della stessa persona”.
Sbuffo. “Spaccone”.
Lui ridacchia abbassando lo sguardo verso la mia borsa, abbandonata tra le nostre sedie. “Julianne?”.
“Sì?”.
“Perché hai lo zaino pieno di profilattici?”.
 
 
 
Mercoledì pomeriggio, scavalco il recinto che separa la mia casa da quella di Chastity con un balzo poco elegante. Uno dei passanti dei jeans si incastra in un ramoscello, aprendo uno piccolo squarcio proprio sul sedere. Impreco, cercando di abbassare la felpa in modo che non mi si vedano le mutande.
Mi infilo nella porta del garage socchiusa e salgo la scala a chiocciola.
La casa dei Rogers è fredda e priva di qualsiasi colore. Ogni soprammobile è posto con cura e precisione, ogni oggetto è perfettamente allineato al bordo e sono sicura che il pavimento sia così pulito che potrei mangiarci sopra.
“Chas?” sospiro salendo un’altra rampa di scale “È tutto il giorno che ti cerco, si può sapere che fine hai fatto? Dovevamo vederci per comprare le decorazioni e i costumi mezz’ora fa”. Spingo la porta della sua camera. “È stata tua l’idea di andarci insieme oggi. Tra un paio d’ore devo andare al lavoro, non posso fare tardi”. La sua stanza è in soffitta, proprio come quella di mia madre e di Jim. L’unica differenza sostanziale è che quella di Chastity sembra l’interno del sedere di un my little pony.
Le pareti sono così fucsia da far venire il mal di testa, il pavimento è coperto da tappetti pelosi lilla e su ogni mobile bianco c’è qualcosa di almeno una tonalità diversa di rosa.
“I tuoi sono in casa? Non mi va di imbattermi in tua madre per sbaglio, soprattutto se uso la porta sul retro” sbuffo “Okay, così suona davvero male”.  
Il suo letto è disposto sotto una grande finestra, che solitamente illumina la stanza come un faro, ma che oggi è oscurata dalle spesse tende. La figura minuta di Chastity è rannicchiata sotto un enorme piumone magenta. “Chas? Stai bene?”.
“Vai via” mugola.
Inciampo in un paio di ballerine abbandonate sul pavimento e mi avvicino. “No, non vado via. Dimmi cosa succede, perché sei mummificata lì sotto?”.
“Vattene, Julianne” brontola con un sospiro leggerissimo.
Il caos che ci circonda sembra rispecchiare il suo stato d’animo. Sono stata nella sua camera due volte, tre se contiamo questa, ma non l’ho mai vista così sottosopra. L’armadio sembra esploso, lo specchio ovale è coperto da quella che sembra un lenzuolo e ogni luce nella stanza sembra essere stata strappata dalla presa della corrente.
Ho una vaga idea di quello che le sta succedendo, ma spero di sbagliarmi.
Mi sfilo le scarpe e le poso vicino all’armadio insieme alla giacca. Alzo con cautela un angolo della trapunta e mi ci infilo sotto. Chastity è rannicchiata in posizione fetale nel suo pigiama con gli unicorni. Si stringe le braccia con le mani e tieni gli occhi bassi. “Ehi” sussurro.
Alza lo sguardo vacuo verso di me. “Ehi”.  
Se sua madre dovesse entrare in questo momento, penserebbe che un altro di noi stia tentando di irretire anche sua figlia. “Ti va di dirmi cosa succede?”.
Le trema la voce. “Fa tutto schifo. La vita fa schifo” singhiozza “Io faccio schifo”.
Al diavolo sua madre, che mi becchi pure, non posso lasciarla in questo stato. “Non è vero”.
Una lacrima silenziosa le scivola lungo la guancia. “Sì, invece. Mi hai vista?”.
So che le emozioni che la stanno sovrastando sono difficilissime da controllare, ma proprio non riesco a capire come faccia a considerarsi schifosa. “Eccome se ti ho vista. Sei riuscita a farmi venire un sacco di complessi e io ho molta autostima”.
“Mentire non ti si addice, Julianne” mugugna.  
 “Mia madre la pensa diversamente” ribatto “Ti assicuro che non sto mentendo. Sei una delle ragazze più belle che io abbia mai visto, e ne ho viste molte. Credo che tu sia anche più bella di un sacco di ragazzi con cui sono uscita, io scelgo solo il meglio”.
Per la prima volta mi guarda davvero negli occhi. “Dici sul serio?”.
Annuisco con vigore. “Assolutamente. Siamo amiche, non ti direi mai una bugia”.
“Lo siamo? Siamo amiche?” ha la voce impastata “Amiche vere?”.
Le tolgo una ciocca bionda dal viso. “Ho paura proprio di sì. Hai fatto una pessima scelta però, io sono un disastro”.
“Lo sono anch’io”.
Le faccio un sorrisino. “Allora siamo in buona compagnia”.
“Già” soffia. Restiamo in silenzio finché lei non si tende per prendermi la mano. “Possiamo restare qui così ancora un pochino?”.
Vederla così succube dalle proprie emozioni è una sofferenza. “Per tutto il tempo che vuoi” assicuro “Ma ti avviso che se torna tua madre, probabilmente mi butto dalla finestra per evitarla”.
Un piccolo e incerto sorriso le sfiora le labbra. “Non ti biasimo, cerca solo di centrare un cespuglio”.
“Ci proverò”.
Restiamo sdraiate così per quella che mi sembra un’ora, lei persa nella sua testa e io a domandarmi come sia possibile che la tua stessa mente possa essere una trappola così devastante.
   
 
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