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Autore: hirondelle_    05/07/2020    1 recensioni
[Mai/Zuko] [accenno alla Katara/Aang] [TEMATICHE DELICATE] [gravidanza, parto, tematica dell'aborto]
Sapeva di averla innervosita, perché nella sua espressione contrita si fece largo una smorfia di rabbia. “Già, il bambino…” mormorò Mai, “Che senso ha tutto questo, se poi sono costantemente costretta a scegliere tra lui e Zuko?”
Katara scosse la testa. “Non ti viene chiesto di scegliere.”
“Hai ragione. Non avrebbe senso, in ogni caso.” Il braccio di Mai scattò e il frusciare delle sue vesti sembrò nascondere per un momento il tremore nella sua voce. I suoi occhi gelidi si piantarono su quelli di Katara, quasi a sfidarla. “Sacrificherei qualunque cosa per Zuko, fosse anche questa vita.”
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aang, Katara, Mai, Zuko | Coppie: Mai/Zuko
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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A TALE OF LOVE, BIRTH AND DEATH
Birth 1/2
 

Ad Aang ci erano voluti degli anni per imparare a bussare; e ancora di più per spiegare a Katara e a Sokka che no, non lo faceva intenzionalmente, semplicemente nel tempio dell’aria non c’erano porte. Il Palazzo, invece, sembrava esserne pieno. E aveva smesso di contare le volte in cui era andato a sbatterci; per il semplice fatto che si spostava con il suo pallone d’aria ovunque andasse e a volte non teneva conto del fatto che fosse l’unico a corte a usare un metodo di trasporto così bizzarro e così caotico.
Per raggiungere l’infermeria, comunque, si era limitato a camminare; più che altro perché non voleva rischiare di disturbare Zuko, che sicuramente stava riposando dopo il trambusto della scorsa notte. Ricordava di aver sentito da Katara che aveva ripreso conoscenza un paio di volte, prima di risvegliarsi del tutto verso sera inoltrata; di sicuro non aveva riposato a sufficienza, perché si era assopito subito dopo.
Aang si sentì un buon amico: era riuscito ad attraversare il Palazzo senza disturbare nessuno e nel massimo rispetto di ogni norma esistente tra quelle quattro mura (era inevitabile ormai che ne infrangesse qualcuna ad ogni suo movimento). Quando si trovò davanti alle enormi porte di legno, verniciate di quel rosso cupo e nauseabondo, alzò religiosamente il braccio… Per poi mettere il broncio non appena la stanza si aprì di fronte ai suoi occhi, ancora prima che potesse toccare la superficie.
Di fronte a lui, Mai sembrava ugualmente sorpresa, ma presto la sua espressione tornò ad essere arcigna e indispettita, come se la sua sola presenza la disturbasse. Aang ci era talmente abituato che quasi non ci dava peso. “Ciao Mai! Stavo giusto passando per vedere come stava Zuko”.
“Zuko sta benissimo, quasi troppo” ringhiò lei, sbattendo la porta dietro di sé. Si incamminò verso i giardini dandogli le spalle con fare impettito, quasi altezzoso. “Anzi, fammi sapere quando avrà intenzione di scendere dal pero e darmi retta, una buona volta!”
Aang la guardò allontanarsi stupito, e si grattò la nuca con fare perplesso. Non capiva bene quello che la regina volesse dire, ma sapeva che Zuko e Mai litigavano abbastanza di frequente per cose che lui non avrebbe nemmeno considerato; ma questa volta aveva notato nella donna un atteggiamento strano, un furore e una frustrazione che non le aveva mai visto. Titubante, si rivolse di nuovo verso la porta e batté tre colpi secchi, non aspettandosi realmente una risposta: se davvero avessero litigato, forse Zuko avrebbe preferito non essere disturbato. Eppure quando l’amico lo invitò ad entrare, la sua voce suonò sorprendentemente tranquilla.
Aang entrò nella stanza accompagnandosi con il bastone e osservò l’uomo seduto di fronte a lui, affondato tra le lenzuola pulite come se fosse stato il suo nuovo mondo. Sembrava occupato a leggere qualche documento, come se Mai non fosse mai stata lì. Appena ebbe fatto qualche passo verso di lui, Zuko si voltò e gli rivolse un sorriso che l’Avatar avrebbe definito quasi troppo radioso per i suoi standard. “Aang! Come stai?”
“Uuuuh…” mormorò solo Aang, sbattendo le palpebre un paio di volte.
Il sorriso di Zuko si spense un po’, ma la sua espressione serena non mutò di una virgola. “Mi sto allenando a scrivere con la mano che mi resta. Non è molto divertente,” spiegò.
Aang non poté trattenersi dal ridacchiare a quella battuta, e si avvicinò al letto. “Vedo che ti sei ripreso in fretta. Sicuro di non aver sbattuto la testa?”
Zuko scosse il capo; “Sono solo un po’ indolenzito. Voglio recuperare le forze il prima possibile.”
L’Avatar si sedette accanto a lui, affondando nel materasso. Trovava fosse più morbido di quello che era stato messo nella sua stanza e la cosa lo indispettiva. “Abbiamo mandato una lettera a Toph per chiederle un consiglio. Forse potrebbe ricostruire il tuo braccio”.
Il re annuì: “Sì, ne ho già parlato con Katara; ma non c’è tempo da perdere. Non voglio rimanere con le mani in mano”.
“Conoscendola, sarà già in viaggio. Stravede per te!” sorrise Aang, osservando attentamente l’amico. Mai non aveva torto: era lucido e reattivo, ma soprattutto si comportava come se niente fosse realmente successo. Forse ha un vuoto di memoria, pensò tra sé e sé, e non ricorda la battaglia, ma anche se fosse… “Senti, non… non pensi che ora le cose saranno più difficili per te?” borbottò, grattandosi il retro della nuca. “Insomma per il braccio… credi che… sarai ancora capace di utilizzare il tuo dominio?”
Il fare imperturbabile di Zuko non cambiò nemmeno a quelle parole. Forse una volta sarebbero bastate per mandarlo fuori dai gangheri. Forse, pensò Aang, è maturato più di quanto pensassi.
“Non ne sono sicuro; immagino che lo saprò una volta che mi sarò rimesso in sesto. Per ora mi sento come se fosse stato bloccato”.
“Forse è stata l’esplosione,” osservò l’Avatar, “magari ha colpito un tuo punto vitale. Sei sicuro di stare bene?”
Zuko rimase in silenzio per un po’ e sul suo volto si dipinse un’espressione strana, come se l’idea lo scocciasse. “Aaah…” sospirò, e per la prima volta Aang lesse nei suoi occhi una profonda malinconia. Lo vide toccarsi la cicatrice, come ogni volta che cercava un po’ di conforto. “Voi ragazzi vi preoccupate troppo”.
L’avatar lasciò che passasse qualche secondo, prima di avvicinarsi a Zuko e appoggiargli una mano sulla gamba. Era un gesto intimo che faceva spesso anche con Katara: il contatto fisico era una delle cose che lo aiutavano a comunicare più di quanto non riuscisse a parole. Era contento che gli altri lo capissero e infatti Zuko non si mosse, anzi lo invitò in un abbraccio, che per la prima volta Aang sentì solo a metà. Appoggiò il capo sulla sua spalla e sospirò. “Come puoi chiedermi di non preoccuparti per te dopo una cosa simile?”
“Non te lo sto chiedendo, è solo che… prima Mai, poi tu. Non mi piace vedervi così”.
Aang si accomodò meglio su di lui, cercando di non pesargli sul lato del braccio amputato e spostandosi invece dall’altra parte. Alzò gli occhi sul suo volto sfregiato e contemplò per un attimo se entrare o meno nell’argomento. Infine disse: “L’ho vista uscire, poco fa. È successo qualcosa?”
Zuko sbuffò e rise. “Sai com’è fatta. Pensa che non mi stia occupando abbastanza di quanto è successo. Pensa che dovremmo rafforzare le difese del Palazzo, ma non sono di questa idea”.
“Non sappiamo cosa sia successo dopo l’esplosione, i ribelli potrebbero essersi già organizzati per un nuovo attacco,” osservò l’avatar; ma ammise a se stesso che gli piaceva sentire quando Zuko aveva un’idea. Sapeva che non era stupido come si poteva pensare; aveva solo un approccio differente, che puntualmente cozzava con quello metodico e militare di Mai.
“Hanno subito un colpo bello tosto, non ne sentiremo parlare per un po’. Tu eri nello stato dell’avatar, quindi non puoi ricordare, ma… c’erano diversi cadaveri a terra, quando siamo scappati”. Ad Aang non sfuggì il singulto che seguì a quella frase, e continuò ad accarezzargli la gamba, aspettando che proseguisse. “Preferirei usare le finanze che abbiamo per ricostruire la zona circostante. C’erano molte famiglie di innocenti che vivevano nei pressi”.
Aang sorrise: c’era un modo di fare in Zuko che non lo deludeva mai. “Hai avuto un pensiero molto nobile,” osservò, calmo.
“Già, ma lei sembra proprio non capirlo,” sbuffò il Signore del Fuoco, e ricadde all’indietro, trascinandoselo dietro. “Mi ha dato dell’egoista e sfacciato”.
Il suo tono era ferito e Aang lo intuì subito. Si strinse al suo fianco e mormorò: “Non c’è bisogno che io te lo dica ma… penso che dal suo punto di vista tu sia più importante di qualsiasi altra cosa. Tiene alla sua famiglia, ecco tutto”.
Zuko lo guardò per qualche secondo, poi rivolse gli occhi al soffitto. La sua mano scivolava leggera sulla spalla di Aang, come se inseguisse un pensiero. “Il fatto è… che ci tengo anche io”.
L’avatar sorrise. “Credo che in fondo lo sappia anche lei. Avete solo due modi di fare molto diversi. Ma questo lo sai da te”.
“Hai ragione,” sospirò il re, e sul suo viso tornò a splendere un sorriso timido. “La amo troppo per essere davvero arrabbiato”.
Aang ridacchiò. “Sei più tenero di quanto vuoi far credere, sappilo”.
Zuko sbuffò, stizzito e divertito assieme. Non poteva davvero nascondere quel suo lato ad Aang.
 
L’arrivo di Toph fu uno dei più annunciati: chiunque avrebbe potuto avvistare e sentire il suo passaggio lungo il crinale della montagna, mentre procedeva maestosa e prepotente, facendosi strada usando il suo dominio per creare imponenti scalini di roccia che si alzavano e si abbassavano uno dopo l’altro, incessanti e violenti come mine. La ragazza impiegò pochissimo per risalire il vulcano che ospitava la capitale del regno del fuoco, non trovando nessuno a ostacolarla: poteva notare lei stessa, con un certo compiacimento, che nessun militare osava mettersi in mezzo al suo passaggio. Del resto, la sua fama di dominatrice della terra si era estesa ormai in tutti gli angoli del mondo.  
Sulla cima, ad attenderla, c’era Katara accompagnata dalle sentinelle; anche se erano passati mesi dal loro ultimo incontro, poteva percepirla con molta chiarezza da chilometri di distanza. “Toph!” esclamò la dominatrice dell’acqua andandole incontro, e lei la raggiunse a grandi falcate, sul volto un’espressione serissima. “Toph, sei venuta da sola?! Hai fatto prestissimo!”
“Avevi dei dubbi forse?” la sfidò la ragazza, “In realtà no, non sono venuta da sola. Quei lumaconi delle mie guardie del corpo sono rimaste laggiù,” affermò poi, puntando il dito verso valle. Dal fondo si levavano i richiami e i lamenti dei malcapitati che avevano preso servizio presso la sua famiglia, e che probabilmente avrebbero chiesto le dimissioni di lì a poco se avessero tenuto davvero alla loro pelle.
Quasi poteva sentire lo sguardo di disapprovazione che Katara le lanciò: “I tuoi genitori non sarebbero contenti se…”
“Pensi che me ne importi qualcosa?” borbottò Toph, superandola a passo spedito. “Sbrighiamoci, non abbiamo tutto il giorno”.
Katara corse al suo fianco e ordinò sbrigativamente alle sentinelle di accogliere le sue guardie; per quanto Toph non fosse cresciuta molto in quegli anni, notava con piacere che la dominatrice stentava a tenere il passo. Avrebbe attraversato la città persino volando, se fosse stato necessario.
“Toph, Toph…” si sentì chiamare un paio di volte. “Toph, ascolta, non c’è bisogno di… Zuko sta bene, benissimo! Cioè, non dovresti… Ah, dannazione.”
La ragazza la ignorò, ma quando giunsero ai piedi del palazzo dovette darle un certo credito. In effetti, Zuko le aspettava in cima alle scalinate di marmo, sorretto da Aang. Quando li individuò, Toph si trattenne a malapena: corse verso Zuko e lo abbracciò, facendo attenzione a non stringerlo come a suo solito. Premette il naso contro le sue vesti e gli cinse la schiena con le sue braccia tozze e rudi, sorprendendosi come sempre di quanto fosse magro.
Sentì che Zuko le stava passando una mano tra i capelli. “Toph, come stai?” chiese in un sorriso, e a quel punto la ragazza alzò il volto, quasi a guardarlo. I suoi occhi così pallidi e spettrali erano un po’ lucidi, ma era una cosa che sarebbe rimasta tra loro due. Sulla testa portava un diadema in feltro verde che si era sporcato di terriccio, e anche il suo viso doveva essere un po’ sporco. Non se ne curò minimamente.
“Come sto io?!” esclamò Toph, quasi infuriata. “Come stai tu, imbecille!”
Aang a quelle parole scoppiò a ridere, con grande indignazione di Katara.
“Ma che ti salta in testa, poi? Dovresti stare a letto!” continuò a rimproverarlo Toph, e si buttò al suo fianco per accompagnarlo dentro. “Dai, appoggiati a me.”
“Sto bene, Toph,” la rassicurò il signore del fuoco; “non ti sarei venuto incontro se non fosse stato così.”
“Beh, ammetto che se ti avessi trovato in catalessi mi avresti molto delusa,” rispose lei, tradendo l’emozione dietro la sua punta di sarcasmo. “Ti ho cresciuto meglio di così.”
Zuko scoppiò a ridere e si lasciò accompagnare dentro il palazzo.
Mai li aspettava sulla soglia, le braccia nascoste nel suo completo elegante e quasi pesante per quella stagione; avvicinandosi, Toph si accorse di quanto il suo corpo fosse cambiato dall’ultima volta che si erano incontrate, e soprattutto… di quanto lei fosse più tesa del normale. Toph non fece nemmeno in tempo a formulare quel pensiero fugace che all’improvviso avvertì un sussulto, appena percepibile.
Si bloccò per un attimo, come colta alla sprovvista, e alzò la testa. I suoi piedi nudi strisciarono leggermente sul pavimento in pietra lavica e il suo corpo si irrigidì, come quando il suo istinto l’avvertiva di qualche minaccia ancora prima che il suo dominio parlasse.  
“Hai sentito qualcosa, Toph?” le chiese Aang, allarmato. Katara mise mano alla boccetta che teneva alla cinta e si guardò attorno circospetta. Mai non si mosse, ma anche lei volse lo sguardo verso l’orizzonte, scrutando la città, e con quel gesto Toph avvertì un vibrare che iniziò a farsi più chiaro man mano che delineava la figura della regina: il modo in cui stringeva i pugni e li premeva sul ventre, nascosta dalla veste, e il modo in cui le sue gambe tremavano ad ogni sospiro…
Toph esitò prima di aprire bocca, stringendo la presa su Zuko. Passarono diversi attimi senza che nessuno dicesse niente, al che persino il dominatore del fuoco iniziò a tremare per il nervosismo. “Toph?” mormorò con voce flebile. Katara e Aang si avvicinarono istintivamente a lui per fargli da scudo. Impegnati com’erano a cercare con lo sguardo qualsiasi minaccia potesse esserci all’esterno del palazzo, nessuno si era accorto che l’attenzione di Toph era stata catturata da Mai.
Lei stessa non era sicura di cosa fare: non era mai stata a stretto contatto con una donna incinta oltre a quella che avevano accompagnato a Ba Sing Se anni prima. Toph avrebbe tanto voluto ricordare se avesse avuto una tale sensazione anche allora, ma le sue memorie erano molto sfumate a riguardo. In ogni caso, non ricordava che provasse un dolore come quello che la regina stava provando in quel momento, se non nel momento del parto… Però a Mai sarebbero mancati altri due mesi, se i calcoli di Katara fossero stati corretti. Ricordava vagamente di aver ricevuto una sua lettera qualche settimana prima e anche lei, che lo volesse o meno, si era ritrovata a tenere il conto.
Mai dietro la sua solita compostezza stava nascondendo qualcosa che solo lei, grazie al suo dominio, era in grado di percepire. Toph sentì montare la frustrazione non appena si rese conto di non avere idea di quello che stava succedendo. Era troppo presto. Eppure…
Mai premette più forte il pugno all’altezza dello stomaco e Toph si sentì gelare nel capire che qualcosa la stava respingendo: qualcosa le impediva di indagare oltre, di comprendere. Passarono attimi interminabili, in cui la ragazza si sentì sopraffare dall’inquietudine. “No, non è niente”, mormorò alla fine, scuotendo la testa per distogliere per un attimo l’attenzione da quei pensieri oscuri. In un attimo, il dominio lasciò la presa sulla donna e si ritirò, sconfitto.
“Non dovresti spaventarci così,” la rimproverò Katara abbassando la guardia. Aang fece lo stesso con un sospiro, mentre Mai parve non scomporsi affatto e le gettò solo un’occhiata rigida e inquieta.
Appena ripresero ad avanzare verso il salone principale, le porte si richiusero dietro di loro.
 
Toph esaminò la ferita di Zuko per minuti che parvero ore. Si erano seduti in cerchio sui divanetti di raso che erano stati disposti nel salone, di solito adibito a visite di quel tipo. Alcuni servitori li osservavano incuriositi dai lati della stanza.
Quando la ragazza sfiorò il braccio mozzato di Zuko, ne ricavò un sibilo strozzato e Mai sembrò quasi sul punto di saltare per aria al posto del marito. Toph la ignorò.
“Se ti fa ancora così male dovremo aspettare un po’,” mormorò la dominatrice della terra, “Ammetto che non ho mai fatto nulla di simile”.
Katara si sporse verso di loro, esaminando la ferita. “Pensi di riuscire a costruire la protesi?”
Toph annuì, pensierosa. “Non c’è problema, ma dovrò unirla alla spalla. Non sarà una cosa semplice, ci vuole una certa precisione”, spiegò. “E soprattutto… non sono sicura che sarai anche in grado di sparare fuoco da questo braccio”.
“Credo che il trauma fisico abbia bloccato temporaneamente il mio dominio,” spiegò Zuko scuotendo la testa. “Quindi è presto per dirlo”.
“Beh, lo scopriremo strada facendo,” concluse Toph alzandosi. “Per ora pensiamo alla parte più facile. Userò il tuo braccio sinistro come modello”.
Katara annuì, soddisfatta. “Puoi trovare tutto il metallo che desideri nell’officina dell’armeria,” la informò, “Dopo la guerra molti materiali sono rimasti inutilizzati”.
A quel punto, Toph si sporse verso Aang per farlo alzare e lo prese sottobraccio. “Accompagnami tu, Piedirapidi!” esclamò allegramente. “Questo posto è enorme, non vorrai di certo abbandonare una ragazzina cieca al suo destino!”
Aang ridacchiò a quella battuta, ma non disse nulla e accolse il gesto dell’amica quasi con riverenza. Salutò i presenti con un cenno della mano e assieme alla dominatrice della terra si avviò verso l’uscita del salone. Non gli sfuggì di come il passo di Toph fosse molto veloce, tanto che non appena ebbero voltato l’angolo non riuscì a trattenersi dal chiederle: “Va tutto bene?”
Toph si portò un dito alle labbra e aspettò che si fossero allontanati frettolosamente dalla stanza prima di rispondere: “No. Devo assolutamente parlarti di una cosa”.
Aang annuì, notando subito come l’espressione della ragazza si fosse fatta d’un tratto molto seria. “Cos’è successo prima?”
Lei scosse la testa e continuò a camminare, senza una reale direzione e affidandosi a quel punto solo sul suo dominio. “Non saprei come descriverlo,” spiegò, “Ma c’è qualcosa che non va in Mai”.
“Mai?” mormorò perplesso Aang, “Credevo si trattasse di Zuko!”
“Certo che no, lo hai visto pure tu. Che le è successo?” sbottò impaziente Toph fermandosi e voltandosi verso di lui.
Aang si grattò la nuca, tenendo ben saldo il bastone nell’altra mano. Il suo sguardo vagò verso l’alto, ad abbracciare le volte del corridoio. “Credo di non capire. Immagino abbia subito un forte shock per ciò che è successo l’altro giorno, e stamattina ha litigato con Zuko. È sempre un po’ nervosa, ma in effetti capita più spesso da quando… beh…”
L’inquietudine della ragazza si fece a quel punto lampante: “Non so se sia una gravidanza normale, se è a questo che ti riferisci! Come avete fatto a non notarlo?”
Quelle parole riuscirono nell’intento di farlo sentire attaccato. Lottò contro l’impulso di mettersi sulla difensiva, a disagio alla sola idea che gli fosse sfuggito qualcosa di così importante come l’incolumità del futuro erede al trono. Qualcosa, dentro di lui, gli aveva sempre suggerito che fosse suo compito proteggerlo. “Mai si è sempre affidata a Katara e alle guaritrici della corte. È sempre andato tutto bene. Solo che negli ultimi giorni…”
Il viso di Toph si rabbuiò: “Dal raid alla sede dei ribelli, quindi”.
L’Avatar annuì.
Toph ammutolì per qualche secondo, forse persa nei suoi pensieri. Quindi incrociò le braccia e si voltò, riprendendo a camminare con più calma. “Ho un brutto presentimento,” disse soltanto.

   
 
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