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Autore: Roiben    06/07/2020    0 recensioni
[Arsène Lupin] L'Ispettore Capo della Sûreté di Parigi Justin Ganimard ha un fastidioso problema per le mani, uno che non sembra intenzionato a essere risolto.
Quello che invece non sa, Ganimard, è che il suo fastidioso problema non è neppure il peggiore. E forse, dopo tutto, non è nemmeno un problema, quanto piuttosto una soluzione.
Genere: Angst, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Arsène Lupin, Justin Ganimard, Nuovo personaggio, Victoire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nell’attesa di un nome



Sono già trascorsi quattro giorni da quell’orrenda notte. La notizia positiva è che il ladro è ancora vivo (da quel poco che ha potuto apprendere seguendo gli sproloqui del chirurgo, il proiettile ha colpito il femore, fratturandolo, ma nessun vaso sanguinino importante). Quella negativa… A voler essere onesti le notizie negative abbondano: la prima è che quel furfante non si è ancora risvegliato; la seconda che, nonostante gli sforzi dell’Ispettore e della sua squadra, coloro che hanno messo in atto l’attentato erano e rimangono ignoti; e poi la terza, ovviamente, è che il prefetto Machaux è molto scontento di lui, perché non solo si è lasciato sfuggire il ladro, con la banda al completo e tutta la refurtiva annessa, ma ha persino coinvolto civili ed esterni nella sua disavventura, rischiando di lasciarsi alle spalle qualche morto, e l’opinione pubblica non avrebbe preso bene tale notizia.


Sì, certo, l’opinione pubblica” pensa con cinica acidità. Come se fossero quelli i suoi peggiori problemi. E la gente poco raccomandabile munita di fucili che voleva fargli la pelle e che è ancora in giro a piede libero? Ne vogliamo parlare? Ganimard, sinceramente, dubita che abbiano cambiato idea. Troveranno di sicuro un’altra occasione o un altro metodo per cercare di stanarlo e mandarlo al campo santo. Di fatti negli ultimi giorni, se non va a spasso con i suoi uomini, fa in modo di restare bene in vista e in luoghi sicuri, così da non offrire troppi spiragli né opportunità. Non che il prefetto sia particolarmente in pensiero per l’incolumità del suo Ispettore Capo, sia chiaro; ma ci pensa il suddetto a essere in pensiero per sé stesso, e tanto basta. Così ha finito con il dare qualche settimana di ferie alla sua governante, e il tempo che non passa di pattuglia con i suoi gendarmi idioti, lo trascorre dietro la scrivania del suo ufficio alla Sûreté, e all’Hôtel-Dieu naturalmente.


La sua scusa ufficiale, per tutti compreso il personale dell’ospedale, è che si sente responsabile per le sorti del ragazzo che ha portato lui stesso da loro. Che è poi la sacrosanta verità. Ha solo omesso un piccolo, infinitesimale particolare: quello ricoverato non è affatto un illustre sconosciuto capitato per caso e sfortuna in mezzo alle grane dell’Ispettore, come invece crede il novantanove percento della popolazione francese attualmente a conoscenza dei fatti. Il problema è che non se la sente di spifferare in giro il nome del ragazzo; probabilmente finirebbe in qualche cella minuscola e umida decorata di sbarre, in buona o cattiva salute che sia, e dato che considera già un puro miracolo che respiri ancora, non intende sfidare la sorte con il rischio che glielo facciano secco sotto il naso. Quindi, fino a nuovo ordine, è e resterà un ignoto molto sfortunato e al momento sotto la ferrea tutela dell’Ispettore Justin Ganimard.


In quel momento sono da poco passate le nove di sera e il suddetto Ganimard si trova giusto di fianco al giaciglio neppure troppo comodo che ospita il suo ladro. Non ha idea di come chiamarlo, quindi non lo chiama affatto e ha dato a intendere che non ne conosca il nome, pertanto dovranno rassegnarsi tutti ad attendere che si risvegli per chiederlo direttamente a lui. In fondo, conoscendo il soggetto, un nome vale l’altro; non è certo la prima volta che se ne va in giro con nomi presi a prestito (vedi: rubati) per passare inosservato.


Sospira, stanco morto perché sono per lo meno cinque giorni che non riposa come si deve e mangia quello che capita. Fissa il volto ancora mortalmente pallido e ora anche più magro di quanto sia normale del ragazzo disteso e, suo malgrado, spera che si svegli in fretta. Lo sa bene che è una sciocchezza, ma non riesce a fare a meno di pensare che, se esiste qualcuno in grado di ritrovare quei tizi armati di fucili, ebbene quello si trova proprio lì, accanto a lui. Ma dorme, o per lo meno è privo di sensi, e l’agitazione dell’Ispettore non fa che crescere. È cosciente di essere ingiusto nei suoi confronti; dopo tutto Lupin non è certo responsabile dei suoi attuali guai, anzi, semmai il contrario.


«Che cosa devo fare?» chiede, a nessuno in particolare.


E pagherebbe dieci volte il suo stipendio per poter ascoltare la voce del ladro che si burla di lui con qualche frecciatina e battuta della sua lingua affilata. Ma l’unico suono che ode è quello dei loro respiri e dei suoi pensieri opprimenti. Dopo lunghe ore passate a rimuginare sulle loro disgrazie, senza neppure volerlo, si assopisce, mezzo steso sulla poltrona che non è certo molto più comoda del letto lì accanto e che, come souvenir dell’ennesima, pessima giornata, gli lascia un torcicollo con i fiocchi che lo accompagna per gran parte del mattino seguente, con gli omaggi dell’Hôtel-Dieu.


***


La mattina del sesto giorno, poco meno di un'ora prima della pausa pranzo, viene raggiunto in ufficio da un portalettere con un messaggio urgente indirizzato all'Ispettore Capo Justin Ganimard, inviatogli dal direttore del reparto lunghe degenze dell'Hôtel-Dieu. Si rimette in piedi di scatto e annaspa, zoppicando incontro al portalettere con un doloroso crampo al polpaccio, quasi strappandogli la missiva di mano e borbottando una mezza imprecazione alle sue inutili e irritanti lagne per avere una firma di ricevuta.


«Silenzio!» sbotta nervoso, cercando di capire che diamine voglia significare quel maledetto messaggio, scritto dal maledetto direttore ospedaliero nella sua stramaledetta scrittura che somiglia più ad aramaico piuttosto che francese. «Sono l'Ispettore Ganimard, potete chiedere a chi vi pare qui intorno e vi diranno tutti la stessa cosa. E ora zitto, che sto decifrando».


In seguito a immani sforzi di fantasia e logica, Ganimard deduce che il direttore gli stia chiedendo, con poca gentilezza e minor pazienza ancora, di raggiungerlo nel più breve tempo possibile poiché pare ci siano problemi con il ricoverato. L'Ispettore si lascia sfuggire un paio di bestemmie ben mirate e recupera in fretta il cappotto, pronto a uscire e pregando tutti i santi che non gliel'abbiano accoppato mentre era occupato a sorbirsi l'ennesima tirata del prefetto sui doveri cittadini della Sûreté e altre simili amenità, o non risponderà delle sue azioni.


Quasi un'ora dopo, ché il traffico parigino all'ora di pranzo è proibitivo, Ganimard entra come un tornado imprecante nella sala principale dell'Hôtel-Dieu, scansa l'addetta al ricevimento e altri tre volenterosi ragazzoni che cercano di rallentarne l'andatura con futili domande, e quasi di corsa raggiunge l'ufficio del succitato direttore, tale Berthélot e qualcos'altro che Ganimard non ha recepito né lo interessa in modo particolare.


«Mi dica che è vivo» ringhia con la pazienza sotto i tacchi.


Il direttore Berthélot lo fissa di rimando, apparendo molto poco comprensivo, e arriccia il naso, sembrando schifato. «Vivo e, purtroppo, sveglio, signor Ispettore».


«Oh!» si sorprende Ganimard, sgranando gli occhi e non potendosi evitare un accenno di sorriso all'inaspettata buona notizia. «Bene» esclama, consolato di tutto quel che ha passato negli ultimi, terribili giorni.


«Bene sarà per voi, signore. Senza offesa, ma questo è un luogo in cui vengono curate le ferite del corpo».


«Chiedo perdono, direttore, ma non vi seguo» ha l'impudenza di interromperlo Ganimard.


Il modo in cui il direttore assottiglia gli occhi dovrebbe risultare minaccioso, ma per Justin Ganimard sembra piuttosto comico, quindi deve trattenersi a forza dal ridergli in faccia e, con tutta la diplomazia di cui si sente capace, spiega «Mi rincresce per le mie cattive maniere, ma credevo gli fosse capitata qualche altra disgrazia e sapere che invece è sveglio e in buona salute mi rinfranca non poco».


«Ho detto che è sveglio, signore. Non ho mai sostenuto che fosse in buona salute, né fisica né... mentale».


Molto bene. E con questo il precedente buon umore dell'Ispettore sprofonda in un buco nero di disperazione. «Cosa state cercando di dirmi, per l'esattezza?».


«Il ragazzo ha evidenti problemi. Abbiamo tentato, non appena messi al corrente del suo risveglio, di accertarci delle sue effettive condizioni. Naturalmente era nostro dovere informarci…» si dilunga il direttore.


Ganimard, nel mentre, crede di aver intuito il problema, così per accorciare i tempi che da subito gli paiono biblici, interviene di nuovo. «Gli avete posto domande, immagino».


«Mi sembra ovvio, signore» replica Berthélot, piccato.


Sì, sarà di certo ovvio e logico per voi”. Sospira, tenendo per sé i propri pensieri. Nessun dubbio, ora, sul problema. È già un puro miracolo che non abbia dato di matto. D’accordo, a quel punto dovrà proprio cercare di salvare il salvabile. Pertanto si rivolge una volta di più al direttore, accennando perfino un cordiale sorriso, o quello che reputa tale. «Se voleste permettermelo, posso provare a parlarci io stesso. Sapete, con il mio lavoro credo di essere idoneo ad avere a che fare con certa gente» insinua, intendendo tutto e niente al contempo.


Nonostante le premesse, il direttore appare indicibilmente sollevato da tale proposta. Se non fosse ciò che è, ovvero il responsabile di un reparto ospedaliero, scommette che si metterebbe a piagnucolare inutili ringraziamenti. Tanto meglio se può risparmiarseli. Berthélot gli offre di farlo accompagnare da un'infermiera, ma sono giorni che percorre la medesima strada e dubita di necessitare di una guida, pertanto rifiuta con fermezza e lascia il direttore alla sua direzione, dirigendosi invece a passo svelto verso la camera che ospita il suo ladro.


***


Di fronte alla porta della camera del suddetto, con un certo stupore da parte dell’Ispettore, vi staziona una sorta di assembramento, o forse, date le circostanze, sarebbe più idoneo definirlo crocchio di vecchie pettegole. Seccante. Vorrà dire che dovrà farsi largo con una certa autoritaria decisione. Un piccolo ghigno, non d’uso sulla sua persona, compare per pochi istanti sulle sue labbra, mentre a braccia incrociate scruta dal fondo la piccola folla assiepata a perdere tempo e curiosare in fatti che non riguardano nessuno di loro. Aggrotta le sopracciglia e assume un’espressione severa e categorica.


«Sgomberate, signori. Immediatamente» intima, spargendo sopra i pettegoli occhiate raggelanti.


È soddisfacente notare quanto a volte basti poco per ottenere la collaborazione delle persone, per quanto recalcitranti possano essere. Le pecore… cioè, il personale di servizio dell’ospedale, tra sbuffi e mugugni, si affretta a eseguire l’ordine impartito e a sgomberare l’entrata. Una volta ottenuta la via libera si infila nella stanza e richiude la porta alle spalle, badando bene a che non possa essere aperta dall’esterno fino a che non abbia terminato la sua attuale missione. Missione che, stando all’espressione rabbuiata del paziente, non dà l’idea di presentarsi agevole.


«Non vi agitate. È tutto a posto» assicura, mettendo le mani avanti.


Lupin, nonostante l’aspetto emaciato che lo fa apparire più di là che di qua, solleva un sopracciglio con fare scettico e sarcastico. «Il vostro concetto di “tutto a posto” lascia molto a desiderare, Ispettore» fa notare con pesante acidità. «Potreste non averlo notato, ma sono attualmente bloccato in questo… letto, in un luogo che mi è ignoto e fino a un minuto fa in compagnia di gente altrettanto ignota. E ora, di grazia, vi dispiacerebbe spiegarmi cosa mi ha portato qui?».


Ganimard sente un fastidioso prurito alle dita, ma non si sofferma a domandarsi che cosa possa essere, lo sa benissimo: è la tentazione di mettergli le mani al collo e stringere forte. Solo che… non lo può fare, per più di una buona ragione, la principale delle quali è che tutto sommato lui non ha tutti i torti. Respira a fondo nel tentativo di ritrovare la calma necessaria per trattare con quella specie di demonio.


«D’accordo» soffia, umettandosi le labbra e cercando con febbrile impegno un modo per iniziare che non sia un insulto. «Qual è l’ultima cosa che rammentate?».


Lupin assottiglia le labbra, poi gli occhi. Quando la sua espressione si fa vacua Ganimard inizia a sudare, presagendo infauste prospettive. «Qualcosa che suppongo sia meglio voi non sappiate. Il resto è piuttosto nebuloso, al momento».


Ganimard grugnisce, indispettito, poi lo fissa stolido, meritandosi di rimando un’occhiata di biasimo. «È una brutta notizia» commenta, avvertendo un principio di ulcera all’arricciarsi del naso del ladro.


«Non oso immaginare come potrei vivere senza le vostre preziose perle di deduzione».


Ganimard stringe i pugni, stringe i denti, stringe le palpebre. «Per Dio, quanto vi odio» sibila al colmo dell’irritazione. Poi ricorda: che ha atteso sei giorni il suo risveglio; che quelli con il fucile hanno sparato alla persona sbagliata; che non ha ancora pronunciato una sola parola che serva a spiegargli ciò che a quanto sembra non è in grado di rammentare con le proprie attuali forze. E forse, ancora una volta, dovrebbe essere il contrario, perché al momento l’unico con una buona ragione per odiare è disteso in un letto di ospedale.


«Capisco» replica invece quello, e nient’altro.


Quando Ganimard riapre gli occhi quelli di Lupin sono al contrario chiusi. Avverte, improvviso, un freddo gelido nelle ossa. Decide di avvicinarsi, per capire se è ancora sveglio per lo meno, e poi… si vedrà. In silenzio si siede sulla solita poltrona scomoda e osserva ancora una volta il viso sciupato del ragazzo che ha di fronte. Titubante, si allunga e ne raccoglie una mano fra le sue; quel gesto, pare, serve a sollecitare un minimo di curiosità nell’altro, che riapre gli occhi e lo fissa, interdetto e con parecchie domande nei suoi occhi chiari.


«Mi dispiace. Non… Sono un poco stanco e nervoso, in questi ultimi giorni» borbotta imbarazzato.


«Per una volta mi trovate d’accordo» commenta, perdendosi a scrutare la sua mano racchiusa in quelle dell’Ispettore. Poi sospira, e Ganimard può chiaramente avvertire il grado di frustrazione e sfinimento che v’è dietro. «Ho bisogno di sapere. Ne ho davvero bisogno» soffia, apparendo stremato.


Allora Ganimard sembra convincersi dell’idea di dover riassumere l’accaduto per Lupin e a tale scopo raduna le idee e inizia a dar loro forma e voce, lentamente ché non è sicuro di quanto potrà essere veloce nel recepire le informazioni considerata la pessima forma in cui versa.


«È un bel guaio, amico Ganimard» considera Lupin, dopo aver ascoltato con attenzione ciò che ha da raccontargli l’Ispettore. «E non avete ancora trovato tracce di questa gente?».


«No, nessuna fino a ora. Ma dovete anche tenere presente che non mi ci posso dedicare a tempo pieno, e quando lo faccio mi vengono dietro i ragazzi della Sûreté» spiega conciliante.


«Sì, che è come dire che investigate da solo» commenta Lupin, senza nascondere i suoi dubbi.


Ganimard vorrebbe protestare, ma non ne trova la forza perché sa che sotto sotto è ciò che pensa anche lui stesso, dunque a che scopo fingere offesa? Fa spallucce, rassegnato. «Ci ho provato. Speravo che vi svegliaste un poco più in fretta» ammette.


Lupin incurva un sopracciglio. «Ah, ma guarda un po’ che approfittatore. E io, povero illuso, che credevo ci teneste alla mia pelle».


L’Ispettore arrossisce e borbotta frasi smozzicate. «Mi sono espresso male» tenta di giustificarsi. «Ho perfino pregato per voi» bisbiglia, nella segreta speranza di non essere udito.


Invece, per sua sfortuna, il ladro sgrana gli occhi e accenna un faticoso sorriso. «Davvero?» soffia, apparendo emozionato.


Ganimard si limita a grugnire e a desiderare di seppellirsi sotto diversi metri di terra fertile.


«Sulla Senna a frugare non ci posso andare per ora, visto che non riesco a muovermi di un solo millimetro. Però se mi offrite qualche dettaglio in più posso cercare di trovarveli lo stesso, o almeno fare un poco di chiarezza su questa faccenda» promette volenteroso.


«Sì, è una buona idea» concorda Ganimard, annuendo convinto. «Prima però mi serve una cosa».


«Vale a dire?» si incuriosisce Lupin, cercando invano di accostarglisi maggiormente.


«Un nome con cui chiamarvi. Finora dormivate e avevo una buona scusa per non saperlo. Ora che siete sveglio non ce l’ho più e mi serve un nome da usare quando parlo di voi».


«Aspettate un momento, quindi nessuno sa chi sono?» si sorprende Lupin.


«Lo so io, ed è più che sufficiente».


«Dunque è questo il motivo per cui mi trovo qui anziché alla Santé».


Ganimard storce il naso in una smorfia afflitta. «State forse cercando di farmi sentire più in colpa di quanto non mi ci senta già di mio? Perché, caso mai lo voleste sapere, sta funzionando anche troppo bene».


Lupin lo fissa con aperto stupore, poi piano scuote la testa. «Oh, no, amico Ganimard. Non intendevo fare nulla di simile. Potete usare Raoul, è il mio secondo nome».


L’Ispettore annuisce, rigirandosi il nuovo nome nella testa e immaginando di parlare di lui ad altre persone chiamandolo Raoul. Suona bene. «E l’avevate mai usato?».


«Libero di non crederci ma fino allo scorso anno ero Raoul, per lo meno in società. Visconte Raoul d’Andrésy, per la precisione».


«Niente meno» bercia sarcastico Ganimard sollevando gli occhi al cielo.


«Se sposi una ragazza nobile devi offrirle qualcosa che valga il cambio di cognome. E comunque d’Andrésy è un cognome appartenente all’aristocrazia francese. Lo portava mia madre… prima di commettere l’errore di sposare mio padre» riflette ad alta voce Lupin.


Nel mentre Ganimard lo fissa pensieroso, cercando come può di trattenersi dal porre domande inappropriate. Un lieve tremore nella mano del ragazzo lo distoglie dai suoi crucci e lo riporta al presente e al più impellente problema. «È il caso che vi riposiate, ora; avete un aspetto tremendo» propone, sperando di suonare gentile e non scorbutico come invece gli è parso.


«Immagino di sì. Avete detto che sono qui da una settimana?».


«Sei giorni» precisa Ganimard, volendo sincerarsi della direzione presa dai pensieri di Lupin.


«Non lo so se potete, ma se riusciste a trovare il tempo e il modo, vi pregherei di un favore» tentenna il ladro.


Ganimard annuisce e rimane in attesa, ascoltando il respiro a tratti affannoso del ragazzo. «Ditemi» aggiunge a mo’ di pacata esortazione quando nota la sua indecisione.


«C’è una donna. Lei è… È stata lei a prendersi cura di me quando ero un bambino. In realtà lo fa anche ora che un bambino non lo sono più da un po’ di tempo». Offre un sorriso tremolante e incerto, spostando lo sguardo dalle mani agli occhi dell’Ispettore.


«Credete che sia preoccupata per voi? Volete che provi ad avvisarla?» comprende Ganimard.


«Potete farlo?» dubita Lupin, scrutando ancora nello sguardo del poliziotto, esitante.


«Sì, posso farlo. Ditemi dove la trovo» chiede l’Ispettore. Si avvicina, forse sperando che le incertezze del ragazzo svaniscano con la distanza. Troppo tardi si rende conto che per quel giorno probabilmente non avrà alcuna altra informazione al riguardo, dato che Lupin è sprofondato in un sonno pesante e, si augura, riposante.


  
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