File 14.
“ C'è poco ossigeno in questa stanza, gradirei che ti allontanassi. ”
Il
senso di oppressione che lo imprigionava e soffocava da oltre un
mese, lo rendeva un pezzo di carne svuotato dell'anima. Il
sovrintendente dovette ricordargli che i problemi della vita privata
non potevano intaccare quella lavorativa, perché in ballo vi
erano
altrettante vite. Perché, per gli altri sembrava tutto
così
semplice? Perché gli altri riuscivano ad andare avanti?
Gregory
Lestrade vedeva tutto nero e questa volta nemmeno il lavoro riusciva
a rattoppare quel senso di vuoto. Era come se lo stessero uccidendo,
molto, molto lentamente. Ma come era potuto accadere, come poteva
l'affetto per una persona distruggerne lentamente un'altra? Dal canto
suo però sapeva che se Mycroft lo avesse visto in quello
stato, lo
avrebbe rimproverato e non poco, perché preoccuparsi non era
mai un
vantaggio. Ma la vita, la nuova vita, che si stava costruendo con
cura, si stava sgretolando e la cosa peggiore era che non poteva
farci niente di niente.
E
Mycroft aveva ragione, preoccuparsi non
era mai un vantaggio, specialmente se sei soltanto un comune
mortale.
*
Ti
va una birra questa sera?
J
SMS
da John W. — 5.31PM
No,
John.
SMS
da Greg — 5.47PM
Grazie.
SMS
da Greg — 6.00PM
*
Cercando
di distrarsi come meglio poté, con la visione dell'ennesima
registrazione della partita di calcio del '72, o con il concerto dei
Clash ascoltato a volume moderato, si accorse effettivamente di
trovare un minimo di conforto, quantomeno psicologico. Con la
sigaretta alla bocca e sdraiato sul divano in panciolle,
pensò
proprio alla parola “conforto”, gli venne in mente
Karen, poiché,
volente o nolente, lo conosceva meglio di chiunque altro. Sapeva che
non avrebbe dovuto farlo, ma la tentazione in quel momento era
più
forte di lui: prese il telefono e cominciò a scrivere un
messaggio
di testo, che prontamente cancellò subito. Il mattino
seguente si
prese la giornata, facendo la cosa più stupida che un essere
umano
potesse fare in quelle circostanze.
Il
posto di lavoro di Karen
era come lo ricordava: sterile. Non era brutto, era fastidiosamente
sterile: pareti bianche – quasi luminose, stile minimal
bianco e
nero, e una grossa finestra che dava sul Matitino. perfino l'odore
era fastidioso. Ricordava ancora i suoi orari, o per lo meno, quelli
che voleva fargli credere; si presentò a sorpresa nella hall
del
palazzo in cui lavorava, mascherando quanto più
poté quel dolore
che tanto lo attanagliava e non fu facile, ma a giudicare dal
sorriso a 32 denti di Karen quando lo vide, non stava cavandosela
più
così male.
«
Greg! A cosa devo la tua visita qui, e il messaggio di ieri sera,
poi? »
Già...
A cosa dovevi la visita lì, con quella persona?
Non era parte del tuo passato ormai?
«
Mi chiedevo se ti andasse
un drink. Un ultimo drink. »
Karen
era stata infida con lui ed i
suoi sentimenti, ma era sempre stata sveglia. Il sorriso a 32 denti
scomparve lentamente dal suo volto. L'Ispettore... anzi no, Greg quel
giorno si trovava lì, perché aveva bisogno di
aiuto.
Il
drink
si trasformò poi in un tè pomeridiano sotto gli
occhi della Regina,
nell'edizione pomeridiana del notiziario, lì in quel di
Harrington
Rd.
«
Greg? – chiamò Karen, scrollandogli delicatamente
il
braccio. »
Quello
si destò, come se stesse sognando ad occhi
aperti: si era imbambolato a guardare il liquido color ambra girare a
ritmo del cucchiaino. Guardò Karen e la fissò
diversi istanti: era
invecchiata un po'. Forse lo stress le aveva procurato quella piccola
ruga accanto agli occhi, o forse il troppo lavoro? Si chiese come
fosse andata la sua vita, da quando si erano lasciati.
Poi,
schiarendosi la voce, si fece serio, abbassando lo sguardo dopo pochi
istanti.
«
Mi sto vedendo con un'altra persona. »
Non
sapeva
quale reazione aspettarsi da Karen e si chiese se non avesse
confermato l'ovvio. Quando rialzò lo sguardo, vide in lei
un'espressione quasi preoccupata. Non ci fu bisogno di confermare
chi, né cosa, tanto meno quando, come se Karen se lo
aspettasse, o
magari, aveva letto qualche tabloid su chi aveva cominciato a
frequentare chi.
«
Quella persona mette i brividi, Greg, ti ha
sempre messo i piedi in testa e ti ha sempre obbligato a - »
«
Sta morendo, Karen. Io - »
La
voce si spezzò.
Non
riuscì a
ricordare come, né quando fosse successo, di ritrovarsi a
letto tra
le braccia di Karen a piangere come fosse un neonato, a stringerla,
come se avesse paura di perdere la persona che amava.
Le
raccontò
tutto, da quando aveva notato i suoi strani atteggiamenti, ai mal di
testa, fino al giorno prima, quando era andato a trovarlo in ospedale
e a stento riusciva a rivolgergli la parola. Fu un attimo, prima un
bacio che parve innocuo, poi un altro che non lo era affatto. Quando
si riprese dal torpore sotto le coperte, si accorse di essere solo in
casa; tirò però un sospiro di sollievo, quando
sotto le coperte si
scoprì vestito.
Sulla
porta d'ingresso notò un foglietto, con
l'inconfondibile grafia di Karen:
Greg,
Mi
dispiace veramente.
Le
dispiaceva. Per cosa? Per la sua situazione? Per aver accettato
l'invito? Per aver quasi cornificato l'attuale compagno con... il
marito? Perché sì, sulla carta erano ancora
sposati.
Gregory
prese piena coscienza in sé tutt'a un tratto. Questa volta
l'aveva
combinata grossa anche lui, aveva appena tradito Mycroft con la sua
stessa moglie ed era certo che non appena si fosse ripreso, quello lo
sarebbe venuto a sapere in tempi fulminei. Se non prima. Si
sentì
ancora più stronzo, perché per un attimo aveva
pensato di
tenerglielo nascosto, comportandosi così come lei, e questo
Mycroft
non se lo meritava.
Un
vecchio saggio disse ai suoi discepoli che
non tutte le lacrime erano un male, infatti, dopo aver pianto come un
bambino per due ore filate e sfogandosi nemmeno fosse un'adolescente
in crisi ormonale, si sentì completamente rinato. In colpa,
ma
rinato.
Si
vestì e con la sigaretta si diresse verso la clinica,
e con il permesso che John gli diede tempo addietro, riuscì
ad
entrare in reparto senza troppi problemi.
“Solo
pochi minuti”,
disse l'infermiere di turno.
Quando
Greg entrò, Mycroft stava
dormendo. Prese quindi una sedia in silenzio, mettendosi al fianco
del compagno e gli sfiorò le dita delle mani più
e più volte,
reggendo con l'altra mano la cartella clinica del giorno:
scoprì che
da lì a breve avrebbe subito un'operazione,
poiché stava
rispondendo bene alle cure, vi erano scritti anche tutti i rischi che
avrebbe potuto correre, della chemio e della radio terapia, in caso
ce ne fosse stato bisogno; non sapeva poi così tanto di
queste
ultime, se non che, lentamente, avrebbero intaccato anche le cellule
sane, causando effetti collaterali spiacevoli. Non ci sarebbe stato
bisogno della chemioterapia pre-operatoria, e di questo ne era
sollevato: Mycroft nella sfortuna, era davvero fortunato.
Gli
passò una mano sul viso, dormiente.
«
Ehi... – sussurrò, con voce tremante –
Mi dispiace tanto... Ho
fatto veramente una cosa squallida. »
Si
sentì di nuovo uno schifo, come quando lesse le stesse
parole di
Karen su quel bigliettino, poche ore prima. Andò via
mortificato,
questa volta però, verso Pall Mall.
*
Si
svegliò con
lo squillo del cellulare: era John. Rispose più in fretta
che
poté.
«
Greg? Ho parlato con i dottori. Opereranno Mycroft alle
2 di questo pomeriggio. »
Restò
in silenzio alcuni attimi per
metabolizzare, prese un gran respiro e poi rispose a John,
ringraziandolo. Nello stesso momento, squillò anche il
cellulare del
lavoro: triplice omicidio in meno di un'ora e mezza, era richiesta la
sua presenza, ed anche velocemente.
«
Vai, Greg. Qui ci pensiamo io e Sherlock. – rispose John,
dall'altro telefono. »
E
così fece. Mycroft non se la sarebbe
presa troppo, una volta sveglio, anzi, avrebbe così evitato
di
dargli del frignone trovandolo al suo capezzale, perché in
cuor suo
sperava che l'operazione sarebbe andata bene. Non era una persona
religiosa, se non il minimo indispensabile; non andava in chiesa la
domenica, né possedeva simboli legati ad essa, ma quella
mattina si
appellò comunque a Dio, "fa che vada tutto bene.".
Si
premurò di essere lui stesso ad ammanettare Oscar Sanders,
pregiudicato quarantottenne reo di aver ammazzato in neppure mezza
giornata tre donne e si premurò di interrogarlo fino a
quando non
confessò: ennesima tempesta emotiva non giustificata. Se
avesse
potuto, lo avrebbe massacrato di botte, un po' perché se lo
meritava
e un po' per sfogarsi. Ma non era così che funzionava e
dovette
aspettare che venisse trasportato in cella a marcire, sperò.
Quando
raggiunse la clinica, era ormai notte fonda.
Vide
Sherlock nella
sala d'attesa del reparto e con lui, i genitori. Era come li
ricordava: la madre con un aspetto severo, mentre il padre
esattamente l'opposto.
«
L'intervento è terminato circa 6 ore
fa. È andato tutto bene, ma hanno preferito tenerlo sotto
osservazione ancora per qualche ora in terapia intensiva. »
Greg
si sedette tremando e tirò un sospiro di sollievo; quasi
tutto il
peso che aveva sul cuore da mesi a questa parte, sembrò
svanire,
come le nuvole di fumo della sigaretta che svaniscono una volta
aperta la finestra.
Dalla
stanza uscì Anthea, che gli disse
soltanto di entrare, accennandogli un sorriso. Prese coraggio
alzandosi, e lentamente si avvicinò alla porta.
Deglutì a fatica al
pensiero di vederlo ancora attaccato a tutti quei tubi. E se aveva
perso la memoria? No, impossibile, glielo avrebbero detto. Con somma
sorpresa però, ciò che lo aspettava era ben
diverso da quello che
immaginava.
Mycroft
era con lo schienale del letto alzato, quasi a sedere, con la testa del
tutto fasciata, un paio di flebo e il
sondino per l'ossigeno. Era vigile ed attento e scrutò ogni
singolo
movimento di Gregory, fin quando non si sedette sulla sedia al fianco
del letto. Ci fu un silenzio quasi tombale per qualche minuto.
«
Dunque, sei in questo edificio da mezz'ora, Gregory. Sono appena
uscito da un'operazione importante e tutto ciò che hai da
offrirmi è
del silenzio. »
«
Io – schiarì la voce, abbassando lo sguardo
colpevole –... devo dirti una cosa. »
Mycroft
ricambiò lo
sguardo accigliandosi per un momento e infastidendosi subito dopo:
non era ancora padrone delle proprie facoltà, mentali e
motorie, e
questo lo destabilizzò.
«
Mi hai già detto di aver fatto una
cosa squallida. Cosa potresti aver mai fatto? Bevuto tutto il mio
brandy, o rotto qualche bicchiere di cristallo? »
Gregory
fu
lieto di sapere che il sarcasmo del compagno era sempre lo stesso,
nonostante tutto; inghiottì il rospo che aveva in gola,
prendendo un
lungo sospiro guardandolo negli occhi.
«
Ho risentito Karen. E...
siamo stati insieme. »
Non
ricevette un'immediata risposta, né
uno sguardo, se non dal riflesso del vetro della finestra. Mycroft
fece un lieve cenno con la mano in cui aveva la flebo, zittendolo del
tutto.
«
In quale dei tanti sensi tu intendi, con “stare”?
»
L'altro
rimase ammutolito per qualche instante, non capendo
bene se lo stesse prendendo per i fondelli o meno. Forse l'operazione
gli aveva in qualche modo intaccato il cervello. Si sentì
subito di
aver sganciato quella bomba proprio in quel momento.
«
Sei stato
davvero così debole? »
Si
sentì lo stomaco in fondo ai piedi,
ma la buona notizia è che fosse rimasto il Mycroft di
sempre.
Forse.
«
Mi... mi dispiace. Credevo di... perderti.»
«
C'è
poco ossigeno in questa stanza, Gregory, gradirei che ti
allontanassi. »
Si
era creata una situazione talmente assurda che
Greg non poté fare altro che allontanarsi, ammutolito.
Quando
riprese pienamente coscienza di sé, era seduto sul divano si
casa
sua, davanti ad una replica della sua partita preferita
dell'Arsenal.
*
Sei
un completo idiota, te ne rendi conto, sì?
SMS
da Mycroft – 4.45AM
Il
suono del messaggio lo fece trasalire: non stava dormendo, era in
dormiveglia. Si stupì non poco a leggere il nome di Mycroft
sullo
schermo del proprio telefono, ed era quasi sollevato anche se si
trattava di un messaggio d'insulti.
Adesso
muoviti e vieni qui immediatamente.
SMS
da Mycroft – 4.46AM
L'ossigeno
non era poco in stanza?
SMS
da Gregory – 4.50AM
Non
farmi perdere la pazienza.
SMS
da Mycroft – 4.50AM
La
paura della morte era finalmente
cessata, o per lo meno, affievolita, in compenso adesso c'era la
paura di Mycroft. Karen su una cosa aveva ragione: quando Mycroft
s'incazzava, faceva veramente paura.
Si
vestì, lentamente, come
se stesse andando verso il patibolo, ed effettivamente un po' lo era.
Qualche giorno fa la situazione era inversa: era il destino di
Mycroft ad essere incerto, ora quello di Greg. Sapeva comunque di
meritarselo, gli aveva pestato i piedi, calpestato la fiducia, e
nessuno può permettersi di farlo al Governo Britannico.
Il
reparto di Mycroft era completamente vuoto, reo il fatto che fossero
le 5 del mattino. Si avvicinò alla porta della stanza e non
fece in
tempo ad appoggiare la mano sulla maniglia che sentì
immediatamente
la voce di Mycroft.
«
Entra. »
E
così fece. Era nella
medesima posizione in cui lo aveva lasciato l'ultima volta, solo con
qualche benda in meno sulla testa: questa volta aveva solo un cerotto
a coprirgli la cicatrice fresca. Greg rimase sulla porta, e prendendo
coraggio proferì parola.
«
Posso fare qualcosa? »
«
Puoi avvicinarti, Gregory, non sono
contagioso, per Dio. » asserì severo.
Gregory
infine entrò,
prese la solita sedia, mettendosi al solito posto, Mycroft ancora
risolto verso la finestra. L'alba stava già sorgendo.
Ci
furono
minuti interminabili di silenzio, in cui si sentiva soltanto
l'Ispettore muoversi sulla sedia e deglutire, fin quando non prese
parola.
«
Sono stato un completo coglione. Mi dispiace.
Perdonami. » sbottò.
Mycroft
non rispose, continuando a guardare l'alba.
« Scusa, mi
dispiace... »
L'altro finalmente diede cenni di vita,
sbuffando.
« Finiscila di chiedere scusa. Mi hai
deluso, Gregory.
»
« Sono – »
« Fammi finire. Sei stato debole, ed
emotivamente instabile, non va bene. Se fossi morto, cosa avresti
fatto? Se questo significa renderti così, Gregory,
è meglio se esci
adesso e per sempre. Non ho bisogno di persone fiacche. »
Gregory
tacque, non sapendo cosa rispondere.
Era vero, era stato debole e
lui non lo era di natura, era sempre stato attivo, aveva sempre preso
di petto tutte le notizie terribili che gli si erano presentate in
vita sua, solo che questa volta era... diverso, questa situazione lo
aveva preso in contropiede ed era stato mesi a piangersi addosso. Si
vergognò, perché non si riconobbe più
nemmeno lui, nelle ultime
settimane, fino a quando non lo chiamò John, informandolo
dell'operazione e solo allora riprese a respirare.
« Ho perso la
ragione. »
Disse soltanto, guardando Mycroft in faccia, senza
però essere ricambiato. Dopo altri interminabili minuti,
Mycroft
schiarì la voce.
« Io stavo per perdere la vita. Forse
siamo
pari, Gregory. Ma non voglio che accada mai più. Sii forte,
qualunque cosa accada. E non scusarti più, sei fastidioso.
» Dal
canto suo Greg rimase in silenzio, limitandosi soltanto ad appoggiare
la mano accanto a quella di Mycroft e dopo mesi, lentamente si
sfiorarono.
Nota: ...non so bene cosa dire per questo ritardo lungo quasi un lusto! Purtroppo avevo perso la voglia di fare qualunque cosa inerente a Sherlock, così ho un po' abbandonato tutto, fino a quando non mi ètornata la voglia di scrivere su questi due, so, here I am again! La mia tecnica di scrittura è terribilmente arrugginita e spero di migliorare di nuovo! Ah, tengo a precisare che questa fan fiction non tiene conto degli avvenimenti della terza e quarta serie! :)
~Luna