PRIMO PREMIO per Ainsel con “Pozzanghere”.
Meritata vittoria e ancora: ganza, donna.
________________________________________
“Ecco, vedi,
ci sono tante cose che ho pensato e che non ti avrei mai detto nemmeno con una
spada puntata alla gola, seriamente. E non è che te le voglia dire ora
perché pensi di doverti qualcosa, non diciamo stronzate. Non ti devo assolutamente
nulla. Te l’ho detto, se non fossi stato tu a far fuori il pazzo sarebbe
stato un altro. Magari io stesso, per esempio. Quindi no, non è
questione di riconoscenza, perché tanto sarebbe una finta. E non
c’entra nemmeno il fatto che grazie a te la mia collezione di spade si
è allargata, avvicinandomi di un paio di passi all’obiettivo.
Anche questo l’avrei potuto far da solo. E no, non è perché
Hebi, o Taka che dir si voglia, è stato come
ritrovare un senso alla vita, perché ancora una volta ci sarebbe stato
un altro modo. Forse è proprio tutto lì il punto, decerebrato: io
non avevo bisogno di te né tu di me. Non sei stato una presenza
epifanica e, comodità a parte, avrei potuto lasciarti perdere e
andarmene per i fatti miei continuando la mia vita nello stesso modo in cui
l’ho continuata comunque con te e gli altri, improvvisando. E anche tu
avresti potuto trovarti un’altra spalla qualunque, che non fossi io: non
ci sarebbe stata differenza. Ecco, non siamo mai stati indispensabili
l’uno all’altro, eppure se ci penso adesso nessuna persona prima di
te, e probabilmente nessuna in futuro, mi è mai diventata tanto
naturale. Come se in qualche modo tu fossi sempre stato lì nei paraggi e
non ci fosse stato nulla di strano nel vedere la tua faccia da psicolabile
tutte le mattine svegliandomi. E sì, lo so che oggi sono troppo serio e
che tutta questa profondità non è da me. Ma è che alla
fine ti ho imparato a stimare, e molto altro, e penso che sarà persino
difficile tornare al vecchio me. Per giunta le lapidi sono schifosamente
deprimenti, sai, e questa che ho davanti, così bianca e insignificante,
non ti rende giustizia. Avrebbero dovuto costruirti un altare circondato da
pire infuocate, come per i grandi re del passato. O spingerti a mare steso su
una gigantesca piroga come fanno con i Kage della mia
terra. Perché non eri uno shinobi qualunque, Sas’ke, non lo sei
mai stato, e so che era importante per te e che spiccare dalla massa costituiva
una priorità assoluta di cui tu stesso forse non eri del tutto
consapevole, anche se la modestia non era proprio la tua qualità
più marcata. Quindi è questo quel che ti volevo dire, sacco di
boria, tutto lì: non eri uno tra i tanti, e non sei morto come uno tra i
tanti. Contento? Ah… E l’altra cosa che ti volevo dire e che
nonostante tu sia uno stronzetto tirannico e completamente fuori di testa mi
mancherai. Bene, adesso è meglio che vada, prima che mi si consumino le
corde vocali a forza di dire più idiozie del solito.”
Si gira senza
più guardare la lastra di pietra e prende stancamente a camminare,
gettando invece un occhiata vaga al cielo sempre più nuvoloso con una
smorfia sarcastica. Su Konoha si sta preparando un temporale di quelli che
restano negli annali e le nubi gonfie e nere continuano ad ammassarsi davanti a
un sole sconfitto, gravide d’acqua e fulmini.
Le prime gocce
leggere picchiettano sulla pelle del suo viso quando già ha oltrepassato
la soglia d’accesso al villaggio, senza salutare nessuno né
ringraziare i ninja medici che l’hanno salvato. La spada gli rimbalza
sulla schiena ed è l’unica cosa che riesca a sentire mentre si
lascia, definitivamente, il villaggio della Foglia alle spalle insieme a tutti
i suoi abitanti.
Tutti, tranne uno.
Incrinature
Bastano pochi
istanti, qualche decina di metri nella foresta, prima che il cielo prenda a
buttar giù acqua a secchiate, con un vibrante sottofondo di tuoni che si
susseguono quasi ininterrotti. A Suigetsu piace la pioggia, lo rigenera
fisicamente e gli ha sempre dato l’impressione di diventare un
tutt’uno non solo con l’acqua, com’è ovvio, ma con la
natura stessa. Ma oggi non trae nessun gusto nel sentirsela scorrere addosso
inzuppandosi i vestiti, che gli pesano sul corpo accrescendo il senso di
oppressione che gli grava sulle spalle. I capelli gli s’incollano al viso
e alle tempie oscurandogli la visuale intanto che avanza rapido, di ramo in
ramo, trascinandosi avanti controvoglia.
Karin e Juugo lo
aspettano in direzione del confine, là dove giorni fa tutti e quattro
sono rimasti appostati aspettando il momento opportuno per muoversi e colpire.
Non ha nessuna, nessunissima voglia di sopportare il tragico dolore di Karin e
l’espressione smarrita e ansiosa di Juugo che continua, con sguardo
fremente, a cercare occhi che non lo calmeranno più.
Succede
all’improvviso, mentre atterra dopo un balzo: il cielo per un secondo diventa
luce accecante e un suono d’esplosione crepita secco, assordante, quindi
Suigetsu rotola a terra perdendo l’equilibrio nell’istante in cui
il suolo trema e l’albero a pochi metri da lui prende fuoco, attraversato
dal fulmine.
È
decisamente un segno, decide rialzandosi in piedi con le orecchie che fischiano
e le ginocchia tremanti, e i suoi occhi si posano sul tronco fumante e
carbonizzato che la forte pioggia sta già liberando dalle ultime fiamme.
Si guarda rapidamente intorno e s’arrampica sui rami d’una quercia
cercando di guadagnare visibilità; a qualche centinaio di metri, il
declivio aspro e roccioso della montagna promette un riparo occasionale: vi si
dirige di fretta, inerpicandosi sul fianco del monte fino a scovare
un’apertura tra i massi e le radici selvagge, una sommaria caverna grande
appena abbastanza da accoccolarsi lì dentro e restare
all’asciutto, riparato da folgori e tempesta.
Suigetsu si passa
la mano sul viso per spostare i capelli, senza smettere di osservare
distrattamente la foresta che sussurra un mormorio piovano, le fogli lucide che
sgocciolano, il terreno che si fa scuro e fangoso. Li scruta immobile fino a
sentire il dolore che sale da dentro lo stomaco, percorre i nervi e tutti
muscoli, scivola nelle vene e su per la gola ed esplode nella testa
spezzandogli quasi il fiato.
Pioveva anche
quella sera.
~~~~~~~~~~~~~~
“Non ho
capito una cosa, un piccolo dettagli tattico che forse dall’alto della
tua intelligenza superiore puoi svelarmi,” inizia, issandosi su per la
scaletta silenziosamente.
“E’
estremamente probabile,” commenta Sasuke atono, con indifferenza.
E’ accovacciato davanti alla vallata addormentata, sullo strapiombo nato
di un dirupo verticale. Sì è sistemato poco al di là del
tetto naturale fatto dalla sporgenza di una lastra di pietra e i capelli neri
bagnati, confusi col buio notturno, per una volta sono appiattiti e cascanti
sulla nuca, scendono verso il basso accarezzando il suo collo.
Suigetsu lo osserva
per un istante, studiando la sagoma della sua schiena con un sorrisetto
velenoso, ma pensa che a volte Sasuke sia proprio stupido, di quella
stupidità disarmante dei bambini piccoli. Forse perché, dentro se
stesso, sotterrato dal peso dell’odio e della durezza della vita, il
bambino che Sasuke ha rinunciato ad essere troppo presto sta ancora piangendo
il suo lutto. Dopotutto è davvero un ragazzino, lo si vede ancora meglio
adesso a guardarlo inghiottito dalla cappa dell’Akatsuki.
“Sei sempre
di un’umiltà esemplare, non c’è che dire,” lo
schernisce con insolenza, abbassandosi per sedersi a sua volta sotto la
pioggia, di appena qualche centimetro arretrato rispetto a Sasuke. Poggia le
mani a terra per reggere il proprio peso, piegando il collo indietro per
esporre il viso all’acqua. Sasuke rimane immobile senza voltarsi a
guardarlo, da quel che s’intravede del suo volto sta semplicemente
fissando il vuoto.
“Juugo
russa,” annuncia lui, distrattamente ma con vago fastidio.
“Anche tu mi
stai dando noia, pozzanghera, ma non per questo io mi lamento,” risponde
Sasuke freddamente, con disinteresse.
“Giusto,”
ribatte Suigetsu con vago scherno. “Tu non ti abbassi a condividere, tu
te ne resti nel tuo angolo a tormentarti,” aggiunge irriverente,
sfoggiando il suo tipico sorriso appuntito.
Sasuke volta
leggermente la testa verso di lui, finalmente, e il suo sguardo glaciale sembra
un preludio di violenza. Naturalmente, però, il genio si limita a
fissarlo per qualche istante e tornare ad omaggiarlo della sua superiore
indifferenza.
“Ti consiglio
di trovarti un altro passatempo, se non vuoi farti infilzare,”
suggerisce, altero.
Suigetsu,
implacabile, si lascia sfuggire un risolino esilarato, masticando
ostilità. Provocare Sasuke, il ragazzo di marmo che qualche volta
d’improvviso prende fuoco, è sempre fonte di grande soddisfazione
e infinito spasso. Ma stasera si sente più maldisposto, quasi desideroso
di toccarlo davvero e fargli del male. Sarà perché sono le tre di
notte e il miope come al solito non dorme, sarà perché in qualche
modo assurdo sembra più piccolo e schifosamente indifeso del solito
– Sasuke, che può quasi uccidere anche solo con quella lingua
spietata che si ritrova - sarà perché fa un freddo porco e piove
forte e Sasuke ormai dev’essere assiderato,
sarà che non sopporta di essere rimasto sveglio ed essere uscito
lì anche lui a causa di questo, sarà perché si sente
stupido e non gli piace.
“Non starai
davvero pensando che potresti mai battermi come spadaccino?” gorgoglia
strafottente. “Avrai anche quei tuoi portentosi occhi da freak, ma con
quella tua piccola spada ridicola…”
“La mia
katana è più che sufficiente per un niente come te,
Suigetsu,” lo interrompe Sasuke tagliente. Un tuono segue quasi
immediatamente la sua frase, cupo e lontano.
“Io
sarò anche un niente,” risponde lui sordo, scrollando la testa
senza far trapelare il violento fastidio, “ma almeno non mi comporto da
eroina e non sto qua a piangere nel mio cantuccio.”
Percepisce
distintamente il corpo di Sasuke irrigidirsi, la schiena tendersi e le spalle
raddrizzarsi, mentre le mani si stringono a pugno.
“Cosa cavolo
stai dicendo?” ringhia Sasuke
ostile, con sprezzo. “Non sto piangendo,” aggiunge fiero, vibrando
sdegno e tracotanza.
Suigetsu ha
un’esitazione che dura appena un secondo tra misura ed eccesso, e come
sempre propende d’istinto per il secondo. Scrolla le spalle con
noncuranza, sorridendo di sbieco.
“Fa davvero
differenza che a bagnarti la faccia siano lacrime tue o di pioggia?”
chiede beffardo, immediatamente compiacendosi tra sé di quella bella
sparata.
Sasuke ha un
fremito di tensione, la sua mano si punta al suolo e le dita distendendosi si
aggrappano ad esso. Per qualche secondo di sente soltanto il suono spezzato del
suo respiro irregolare.
“Sai
ch…”
“Stai zitto.”
E’ un sibilo
minaccioso, glaciale.
“Colpito?”
s’informa innocentemente Suigetsu.
“Ho detto sta’ zitto, specie
di…”
“Io faccio
quello che mi pare,” replica Suigetsu risoluto
E’ un
secondo, poi la mano di Sasuke non è più al suolo ma avvolta
intorno al suo collo, il peso del suo corpo lo inchioda a terra mentre il nero
devastato e quasi folle dei suoi occhi lo sfida in silenzio. Suigetsu
però vede soltanto la linea sottile e dritta delle sue labbra strette
tra i denti. Fin troppo facile, ormai l’ha capito, Sasuke. Ci sono quelli
come lui, capaci di massacrare un’intera leva di studenti shinobi per
mettersi alla prova, di guardare la vita dall’alto di uno spontaneo
disprezzo verso l’umanità intera, impermeabili al sentimentalismo,
e ci sono quelli come Sasuke. Quelli che si snaturano e si strappano da dentro
tutta la bellezza di un essere spontaneamente generoso e fondamentalmente
buono, o sciocco secondo i punti di vista. Ma è una durezza di facciata,
sempre sul punto d’incrinarsi.
“Ti avevo
avvertito, Suigetsu,” mormora Sasuke astioso.
Sciocco, conclude
lui trattenendo un sorriso senza respiro. Ma bello, no?
Forse tutto si
può incrinare. Anche la genuina fortezza del suo egoismo e della sua
assenza di rispetto verso l’umano. Dev’essere
Sasuke, dev’essere qualcosa di lui che lo
destabilizza. La voragine su cui cammina troppo incoscientemente, o forse i
suoi occhi o ancora il profilo sottile del suo viso. O altro, vai a sapere.
Ma è sciocco
anche questo.
“Lasc…” esala, divincolandosi.
Sasuke lo molla di
scatto, spintonandolo via e tornando a dargli le spalle.
“E tu
piantala di dire stronzate,” intima, atono.
“Oh, no. Io
dico quel che si vede, e a differenza di te non sono cieco come una talpa. Io
sono scomodo, ma in fondo ti sta bene,” sorride di nuovo sbilenco,
ironicamente. “Che ti piaccia o meno sono l’unico che ti dice le
cose come stanno, e che non ti adula per approfittarne. Sono il tuo unico
alleato, Sas’ke, e lo sai.”
“Alleato?”
ripete Sasuke scettico, con aperto sprezzo. “Credi davvero che mi fidi di
te, Suigetsu?”
Lui ride
un’altra volta, scrollando i capelli fradici.
“Non puoi
farne a meno. Nessuno può contare soltanto su se stesso,” ribatte
sfrontato. “Sai, Sas’ke, ieri Madara mi
ha chiesto di ucciderti dopo lo scontro col jinchuuriki di Kyuubi, quando sarai
troppo indebolito per difenderti.”
L’altro si
volta di scatto, la fronte aggrottata. Lo squadra diffidente per qualche
secondo, grave, poi arriccia appena il naso.
“Perché
me lo sta dicendo?” chiede a voce bassa, senza intonazione.
“Te l’ho
appena spiegato, bimbo.”
Sasuke lo guarda
ancora per qualche secondo senza cambiare espressione, poi china lo sguardo e
storce il viso,corrucciato.
“Bene,”
borbotta controvoglia, così piano che sentirlo è un vera impresa.
“Ma non ci riusciresti, comunque,” precisa altezzoso.
Suigetsu si limita
ad annuire, mentre cala il silenzio. un silenzio denso, spigoloso, non quello
ilare per lui e indifferente per Sasuke che condividono di solito. Un silenzio
scomodo, colorato di fastidio e riconoscenza, di tutte le cose che non ci si
può dire, perché in fondo loro sono due estranei e va bene
così. Nemmeno lo sa, Suigetsu, perché mai gli abbia detto della
proposta di Madara. Forse perché con Taka si
è sviluppato in lui un inaspettato spirito di squadra.
Forse perché
non vuole che Sasuke perda. Dopotutto
è uno che non si risparmia, il ragazzino, e forse a lui piacerebbe
vedere per una volta che cosa diventano i suoi occhi neri quando sono
illuminati di gioia e soddisfazione. Dev’essere
uno spettacolo non da poco. Chi lo sa: per il momento, resta il silenzio.
“Oggi
è il ventitre luglio,” mormora Sasuke poi, assorto.
Suigetsu ci ragiona
un attimo su senza interesse, prima di annuire scrollando le spalle.
“Vado a
dormire,” aggiunge Sasuke piatto, alzandosi d’improvviso. Gronda
acqua e trema di freddo, alla luce della lampade che lui ha lasciato accanto
alla finestra si vede il blu delle sue labbra cianotiche.
Suigetsu lo segue
all’interno, si leva in silenzio almeno gli strati esterni degli abiti
bagnati. Juugo continua a russare piano e Karin dorme della grossa, con la bocca
aperta e la faccia appoggiata alla mano. Dietro di lui Sasuke si toglie i
sandali, la cappa, il kimono, la cintura. Si sfila via i pantaloni marci
d’acqua con movimenti bruschi, inginocchiandosi accanto al suo giaciglio
provvisorio. Suigetsu lo imita, dopo aver spento la candela con un soffio
rumoroso.
S’infila nel
calore della sua coperta, ma prima di allungarsi la sua naturale
curiosità ha il sopravvento. Si poggia sui gomiti, buttando
l’occhio su quel che si intuisce della sagoma allungata di Sasuke.
“Cosa succede
il ventitre di luglio?” sussurra.
“Fatti i
cazzi tuoi.”
“Cosa
succede?”
Sasuke sospira
profondamente. Un fruscio segnala il suo rotolarsi, prima che si decida a
parlare.
“E’ il
mio compleanno,” annuncia, indifferente.
Suigetsu sussulta
di sorpresa, stupito. Ovviamente non ne era a conoscenza e rimane in silenzio,
per una volta privo di parole. Sasuke non è il tipo a cui si facciano
gli auguri, né la sua situazione è quella di chi abbia qualcosa
da festeggiare. Auguri, e di cosa? Una morte rapida e indolore?
Rimane lì
fermo, pensoso, mentre il fiato leggero dell’altro diventa un po’
più profondo. Poi, per nessuna valida ragione se non il fatto che, da
sempre, Suigetsu Hozuki è uno che fa quel che
gli passa per la testa, scivola delicatamente fuori dalla coperta, torna alla
finestra, accende la candela senza fare rumore. Guarda il cielo buio senza
muoversi, poi il corpo di Sasuke nella coperta. Di nuovo gli dà la nuca,
di nuovo Suigetsu ha quello strano senso di struggimento.
E infine scrolla la
testa con nuova risoluzione, cammina lieve e gira intorno a Sasuke. Ha le
palpebre calate sugli occhi, le labbra dischiuse, un paio di ciocche scivolano
sul suo viso e ne contornano la linea morbida. Quando Suigetsu si inginocchia
accanto a lui socchiude gli occhi e poi li spalanca sconcertato.
“Cosa…?”
“Stai zitto
tu, adesso.”
Non è che
abbia veramente senso – nemmeno lo si può dire insensato,
d’altra parte, è da quando lo conosce che lo guarda e ne studia la
perfezione, con quel miscuglio strano d’irritazione e interesse –
ma Suigetsu si limita soltanto a piegarsi in avanti e baciarlo d’impulso.
Sasuke non si muove per qualche istante, di marmo, e nemmeno dopo fa
granché: non reagisce a pugni né s’accende, si limita soltanto
ad abbandonare la testa indietro e lasciarlo fare, stringendosi appena per
fargli spazio quando Suigetsu s’infila sotto la coperta con lui. Ha
ancora la pelle fredda per la pioggia, i capelli bagnati. Profuma d’umido
e di fresco, nemmeno sembra vero. Ha i fianchi snelli, il segno asciutto dei
muscoli, un ombelico piccolo che sussulta al suo tocco.
“Buon
compleanno,” sussurra Suigetsu contro le sue labbra, esattamente mentre
la sua mano si avvolge sull’erezione nascente dell’atro. Sasuke
spalanca la bocca e geme sottovoce, assecondando il suo movimento con uno
conseguente del bacino mentre il suo respiro si affretta insieme al tamburellio
del cuore. E Suigetsu pensa che è strano ma va bene lo stesso, domani se
lo dimenticheranno tutti e due.
Quello che non pensa,
invece, che non può sapere, è che tra una settimana Sasuke non ce
l’avrà più, un cuore che batte.
~~~~~~~~~~~~~~
Bisogna essere
stupidi per morire a sedici anni, quando si ha la fortuna di essere il tipo di
persona che potrebbe fare qualunque cosa e arrivare ovunque. Bisogna essere
completamente idioti, ma questo Sasuke lo è sempre stato e Suigetsu lo
sa.
Accenna un sorriso
finto continuando ad osservare la pioggia.
Non è grave.
Passerà, come tutte le cose, perché Suigetsu lo sa che la vita
è acqua, e scorre via; e un giorno sentendo qualcuno parlare di Sasuke
Uchiha impiegherà qualche secondo a ricordare che fosse, e
l’immagine del suo viso resterà sfocata e confusa, ormai
dimenticata. Non come adesso, che gli sembra gliel’abbiano incisa sulle
coree, con quella faccia incazzata, quelle sopracciglia corrugate, quella
rabbia e quella solitudine. Quel bisogno disperato di appoggio, forse sarebbe
stato diverso andandogli incontro un po’ prima. Forse, se Sasuke si fosse
addormentato più spesso con la testa appoggiata alla spalla di qualcuno
– ancora la sua, magari – sarebbe cambiato qualcosa.
Comunque non
è mai stato niente d’importante, e si sarebbero divisi ugualmente
dopo questa battaglia. Nessuno di loro due è un sentimentale, del resto,
anzi ciascuno a modo suo rappresentano l’opposto di quel concetto.
Gli era anche
antipatico, il moccioso.
Passerà, un
giorno.