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Autore: _justabibliophile_    10/07/2020    4 recensioni
Tra poco probabilmente il Sole sorgerà di nuovo e tu forse aprirai gli occhi, sbattendo le palpebre un sacco di volte e cercando a tentoni gli occhiali sul tuo comodino, occhiali che non troverai perché come sempre io te li avrò nascosti in un posto troppo lontano per la tua mente ancora annebbiata dal sonno.
Ma io non sono così sicuro di voler restare qui quando ti sveglierai. [...]
Perché quella che ti hanno fatto, James, è Magia Oscura. E se pensavo che questa guerra l'avremmo combattuta fianco a fianco, andando allo sbando come nostro solito e senza un piano ben preciso a cui attenerci, ora devo arrendermi di fronte alla consapevolezza di non esserne più così sicuro. Perché se credevo che ormai non potessi più provare sulla mia pelle il dolore dell'abbandono, del tradimento, dell'assenza di chi ero convinto non se ne sarebbe andato mai, oggi devo gettare la spugna e rendermi conto che non esiste più nemmeno questa certezza.
Perché il Sole sorgerà di nuovo, l'alba rischiarerà un'ennesima giornata e tu aprirai gli occhi.
Ma di te, di lei, di noi, tu non ricorderai più nulla.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Ordine della Fenice | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Peter.

Ho aperto gli occhi questa mattina e ho subito pensato che ci fosse qualcosa di storto nella quotidianità che mi circondava.

Va bene, ammettiamo pure che, nel momento in cui la fedele sveglia di Remus trilla per svegliarci, le mie percezioni non sono propriamente quel genere di cosa su cui fare particolare affidamento. Però, ecco, la mia è stata una sensazione che mi ha colpito proprio in pieno petto e mi ha obbligato a spalancare gli occhi con un'angoscia pazzesca addosso, come se il problema principale non fosse quello di dover affrontare un ennesimo, noiosissimo lunedì mattina.

Ho scalciato le coperte appallottolandole ai piedi del letto, cercando di seguire i contorni degli oggetti che si stagliavano al buio della mia stanza e individuando perfettamente la sagoma di Moony, già naturalmente in piedi, mentre prendeva la sua divisa dal baule e partiva alla volta del bagno prima che chiunque altro potesse precederlo. Questo, chiaramente, rispecchiava in tutto e per tutto la mia perfetta normalità.

Mi sono tirato su a sedere e ho spostato lo sguardo sul punto in cui si trova il letto di Sirius, scorgendo le tende del baldacchino naturalmente scostate e il mio amico sistemato in una posizione assurdamente scomposta: era aggrovigliato nelle lenzuola e sdraiato quasi in obliquo, il cuscino stretto tra le braccia e la testa che oscillava pericolosamente sul bordo del letto. Anche questo non è stato un dettaglio poi così inusuale ai miei occhi ancora annebbiati dal sonno.

Ma è bastato spostare appena lo sguardo di pochissimo e puntarlo proprio sul letto di fronte al mio, accanto alla finestra, per rendermi conto una volta per tutte di ciò che stonava nella banalità del mio risveglio.

E non è solo il fatto che le coperte non erano buttate per terra, che il cuscino era perfettamente al suo posto e che le lenzuola apparivano fresche, immacolate. È che le mie orecchie non sono state attraversate dal familiare suono di un verso scocciato e di una mano che sbatte sul comodino alla ricerca degli occhiali - un gesto che lui compiva abitualmente da sette anni a questa parte - né i miei occhi si sono posati sulla maglia del pigiama che James indossava sempre al contrario e su quei capelli che, all'alba di un nuovo giorno, erano sempre all'apice della loro confusione.

Non c'era niente di niente, se non il vento che entrava dalla finestra e smuoveva le tende del suo baldacchino in un modo che, di dolce, non aveva neanche un retrogusto. E ho provato sul serio un freddo sconcertante, mentre mi sono imposto di tirarmi su a sedere e fingere che fosse tutto al suo posto. Fingere, quanto suona estranea adesso alle mie orecchie questa parola, sebbene fino a pochi giorni fa facesse parte della mia vita di tutti i giorni.

Se sei un Malandrino è logico che prima o poi devi imparare, volente o nolente, a dissimulare e ad acquisire sempre più abilità nell'arte del mentire. È la regola, è quella caratteristica indispensabile che ci ha sempre permesso di cavarcela nelle situazioni scomode e di uscirne più o meno illesi. Con qualche punizione di troppo, certo, ma quantomeno illesi.

Quando però la sfera del fingere arriva a toccare le tue stesse emozioni, ecco, niente è più semplice e naturale come dovrebbe essere. Perché convincersi che vada tutto bene, che questo lunedì mattina sarà estenuante come al solito ma che comunque lo affronterò con il sorriso - sapendo che ci saranno tutti e tre ad alleggerirlo - oggi non è più possibile. Perché non posso far credere di non aver sentito il sospiro affranto di Remus non appena si è chiuso alle spalle la porta del bagno, non posso mentire affermando di non aver intercettato gli occhi di Sirius aperti nel buio, fissi sul soffitto e intrisi di un disorientamento che mi ha tolto, per un attimo, il respiro - sembrava che avesse perso la sua bussola, il suo posto nel mondo.

Semplicemente, fingere tutto questo va contro ogni mia volontà. Perché il mondo va avanti, la vita continua frenetica come al solito e noi non possiamo fermarci. 
Ma il vuoto causato dall'assenza di James, in questa prima mattina ufficiale senza di lui, pesa per davvero più di un macigno.

***

Remus.

«Non sono mai arrivato in anticipo a lezione.»

La constatazione di Sirius si perde nel fitto chiacchiericcio dell'aula di Trasfigurazione, mentre lui si siede sul suo banco e manda così all'aria sette lunghissimi anni di "Signor Black, non pensavo di dover specificare che gli oggetti creati appositamente per sedersi sono le sedie", urlati a gran voce dalla McGranitt ogni volta che piomba in classe e lo trova in questa esatta posizione. Ma, ancora una volta, è di Padfoot che stiamo parlando e le sue abitudini sono sempre più che dure a morire.

«Suppongo che allora io e Pete dovremo ringraziare Prongs, tra un mese.» replico, sistemandomi al mio posto come qualunque persona normale e civile farebbe e cominciando a sfogliare distrattamente i miei appunti risalenti all'ultima lezione. 

«Che intendi dire?»

Sollevo lo sguardo e inarco un sopracciglio, puntando gli occhi sul volto sconcertato di Sirius.

«Vuoi dirmi che non ci hai trascinati fuori dalla Sala Grande perché non sopportavi di vedere James seduto vicino ai Serpeverde?» domando, continuando a fissarlo con la solita espressione che sfodero quando devo obbligare i miei amici a confessare qualcosa che già so.

Padfoot sbuffa e scaccia con la mano un insetto immaginario, mentre Peter si lascia persino andare ad una minuscola risata.

«Non ero geloso.» si giustifica, continuando a sbrindellare quella che una volta era la sua piuma. «È che ci tengo ad arrivare in classe prima di lui.»

Sospiro sonoramente e scuoto la testa, pensando che forse il fatto che James sia passato momentaneamente a Serpeverde è la cosa migliore che potesse succederci. La mattinata è trascorsa in maniera quantomeno tranquilla - strana senza di lui, certo, ma sorprendentemente tranquilla - e penso che il motivo principale sia il fatto che non avevamo alcuna lezione in comune con i verde-argento.

Ed è logico che avere svariate distrazioni di mezzo - un compito in classe di Incantesimi, una lezione particolarmente divertente di Erbologia in cui un paio di Corvonero hanno rischiato di confondere il Frullobulbo con il Tranello del Diavolo e, di conseguenza, hanno scatenato il panico in tutta la serra - è stato utile per distoglierci dal constante pensiero di James, del modo in cui loro si sono attaccati a lui e sembrano non volerlo mai lasciare da solo, del suo sguardo che non incrocia il nostro nemmeno per sbaglio, se non per lanciarci quelle occhiate così cariche di disprezzo da fare male.

Ma la prima lezione pomeridiana è proprio Trasfigurazione e ora non c'è niente da fare, perché non basterà nessunissimo diversivo: lui sarà qui a pochi passi da noi, seppur distante come non lo è stato mai, e solo Merlino sa cosa dovremo aspettarci da questa situazione così nuova e imprevedibile.

«L'allontanamento di Prongs sta facendo emergere il tuo lato diligente e responsabile? Sul serio?» chiedo, sforzandomi di imprimere la solita vena sarcastica nel mio tono di voce.

«Non credo sarà fiero di te, quando glielo racconteremo.» mi dà man forte Peter, annuendo con una finta aria greve che mi fa sorridere.

Perché è assurdo, è tutto maledettamente assurdo, ma non potrebbe essere più giusto di così: James al momento non è qui, ma tutti i lati del suo carattere che l'hanno reso nostro fratello, una parte integrante delle nostre anime, sembrano essersi riversati sul serio in ciascuno di noi. Come se Prongs si fosse diviso in tutti e tre, come se per compensare la sua assenza ognuno di noi avesse volutamente acquisito la sua incapacità di mentire, quell'innata abilità di convincere gli altri che tutto stia andando per il verso giusto, o ancora la capacità di alleggerire la tensione come solo lui sapeva fare.

Per l'appunto, Sirius ci fissa per un istante con gli occhi socchiusi e un angolo della bocca arcuato all'insù - è probabile che anche lui, come me, abbia rivisto per un solo frangente James in ognuno di noi tre - prima di riscuotersi e sorridere apertamente.

«Possiamo coordinarci tutti e tre, per favore? Dovremmo riuscire a essere allegri e positivi in contemporanea.» stabilisce con finta serietà, alludendo probabilmente al fatto che oggi sembra essere lui quello sottotono e non particolarmente ottimista della situazione. «Sarà il nostro obiettivo mensile.»

«In verità è giusto così. Sai, un giorno sei abbattuto tu, quello dopo io, poi Wormtail e così via.» spiego con aria pragmatica. «In modo da compensarci e alternare perfettamente ogni nostro stato d'animo.»

Padfoot ha appena sbuffato e alzato gli occhi al cielo e lo so cosa sta per dirmi, lo so benissimo, perché è sempre lui quello che mi ripete che devo smetterla di parlare con lui usando questo tono, come se stessi facendo un ragionamento matematico anche quando mi limito a spiegare perché è giusto che noi tre ci solleviamo vicendevolmente il morale. Ma poi non fa in tempo ad articolare nessun insulto più o meno di senso compiuto, dal momento che tutti e tre scorgiamo una furia dai capelli scarlatti marciare proprio nella nostra direzione.

«Adesso finalmente ho trovato una degna alleata per compensare il vostro assurdo buonumore.» borbotta Sirius, mentre Lily lascia cadere la sua borsa sul banco adiacente al nostro e si volta verso di noi con un cipiglio piuttosto infuriato.

«Se un'altra persona osa fermarmi per i corridoi e chiedermi che cosa diamine sia successo a James, giuro su Merlino in persona che lo Schianto.» asserisce convinta, mordendosi il labbro inferiore e scostando con rabbia una ciocca che le era caduta davanti agli occhi.

«Non sarebbe una cosa poi così strana. Schianti persone innocenti per i corridoi più o meno dal secondo anno, sai.»

«Questo non è assolutamente vero, Sirius. Sarà successo soltanto una volta.» risponde di nuovo, fulminandolo con un'occhiataccia. Per tutta risposta, Padfoot inarca un sopracciglio e indossa la classica smorfia di chi sa che stai mentendo, alla quale Lily replica con uno sbuffo rassegnato. «E va bene, magari un paio più del necessario.»

«Comunque è vero, è tutto il giorno che assillano anche noi.» conferma Peter, stringendosi nelle spalle. «Persino i primini hanno il coraggio di chiederci perché James sembra essere impazzito.»

«Io non ho comunque la minima intenzione di rispondere a nessuno.» ripete ancora la rossa, sospirando contrariata e voltandosi poi verso Sirius. «Bella trovata quella della mezza rissa in corridoio con James, comunque. Lo sapevo che in un modo o nell'altro avresti trovato un pretesto per passare un po' di tempo con lui.»

Ci sono dei dettagli che registro in maniera quasi automatica, merito forse del fatto che ho imparato a conoscere Lily come le mie tasche e tutto, di lei, non mi è più così misterioso ed estraneo come qualche anno fa. Ad esempio ho notato benissimo che è rimasta perfettamente immobile, salvo far ruotare gli occhi da un lato all'altro dell'aula con il chiarissimo intento di scorgere l'eventuale presenza di James seduto da qualche parte. Oppure ho individuato il suo sguardo comprensivo posarsi su Sirius, il tono di voce sorprendentemente calmo e pacato da lei usato, che non ha celato una lampante sfumatura materna e protettiva che farebbe sciogliere chiunque.

E sono particolari decisamente teneri per un animo forte come il suo, tanto che denotano una fragilità che raramente le è capitato di mostrare davanti a noi tre, ma c'è comunque un dettaglio di fondo che sovrasta tutto il resto e ci obbliga a scoppiare a ridere praticamente in simultanea.

Sirius getta la testa all'indietro e la osserva con uno sguardo che di derisorio non ha nulla, quanto piuttosto esprime una tenerezza davvero inusuale per uno come lui. Peter sta ridendo talmente forte che per un attimo ha rischiato di cadere dalla sedia su cui si stava dondolando con un equilibrio decisamente precario, mentre io stesso mi ritrovo mio malgrado a seguire a ruota i miei amici.

«No, fatemi capire, perché davvero non vi seguo.» asserisce lei cercando di sovrastare le nostre risate, mentre fa vagare degli sguardi piuttosto basiti su ognuno di noi.

«Lily, ma davvero pensavi che la mia fosse una tattica?» domanda Sirius, riemergendo da quella sghignazzata che già aveva catturato qualche sguardo sconcertato dei ragazzi presenti.

«Non lo era?» Lily sbatte piano le palpebre, appena prima che il lampo della comprensione le attraversi lo sguardo e lei, quasi in automatico, si ritrovi ad afferrare il mio pesante libro di Trasfigurazione per sbatterlo non troppo delicatamente sulla spalla di Padfoot. «Davvero non avevi già premeditato di finire in punizione con lui? Vi siete picchiati perché tutti e due lo volevate? Sirius!»

Sarebbe nel manuale del Buon Migliore Amico l'obbligo di impedire a Lily di continuare a ferirlo gravemente - rischiando di rompere la copertina intonsa di un volume che appartiene a me, oltretutto - ma la verità è che lei ha irrimediabilmente ragione. Forse Sirius si merita questo genere di maltrattamenti dopo lo spettacolo che lui e James hanno offerto ieri a tutta la scuola.

«Smettila di agitarti, ci stanno guardando tutti.» dice Padfoot tra le risate, passando amichevolmente un braccio intorno alle spalle della rossa e impedendole così ogni movimento.

Ho sempre creduto alle coincidenze della vita, al destino e a tutte quelle situazioni che sembrano nascere ed evolversi in un certo modo semplicemente perché devono andare a finire così, a prescindere dalle conseguenze che possono trascinare con sé. Ed è proprio per questo esatto motivo che non sono sorpreso di vedere James entrare nell'aula in questo preciso istante, quando la schiena di Lily è avvolta dalle braccia di Sirius in una maniera che per noi è assolutamente normale, ma che agli occhi di un estraneo - o di qualcuno che non ricorda più niente, per l'appunto - potrebbe apparire decisamente fraintendibile.

***

James.

So che Nicholas stava dicendo qualcosa di importante, lo so per certo, perché è vero che abbiamo cominciato a conoscerci da appena un giorno, ma ci sono dei dettagli della sua personalità che ho già colto in maniera quasi automatica. Ne è un esempio il suo modo di camminare sempre un passo davanti a me, come se volesse proteggermi da qualcosa che mi è ignoto o, ancora, quasi volesse lui stesso precedermi e farmi strada ovunque andiamo. C'è il suo modo di abbassare la voce quando deve dirmi qualcosa di estremamente interessante e delicato - cose che riguardano perlopiù dritte sulle persone degne della nostra frequentazione, qui a Hogwarts - o ancora la sua costante mania di voler catturare il mio sguardo, di non volerlo perdere per neanche un secondo, per assicurarsi che io lo stia ascoltando quando parla.

Il problema, adesso, è che però non riuscirei a seguire il suo discorso nemmeno impegnandomi.

Varchiamo la soglia dell'aula di Trasfigurazione e subito li vedo lì, quattro puntini in mezzo al chiasso che regna tra queste quattro mura, mentre ridono per qualcosa che nemmeno mi interessa sapere. Ci sono loro e tutto sembra ridursi a questo, come se il mondo fosse uno stupido contorno, un ridicolo fronzolo, mentre tutti e quattro ne sono la vera, inafferrabile essenza. Ed è una sensazione che mi attraversa per un solo frangente, quasi fosse una scarica elettrica che mi folgora all'istante, ma è talmente forte da indurmi a credere che c'è qualcosa di sbagliato.

C'è qualcosa di sbagliato in me, nel luogo in cui mi trovo, nelle persone che camminano al mio fianco e nei miei occhi, che per l'appunto li guardano da lontano. Tre di loro stanno ridendo e poi c'è lei, ancora una volta, con questi occhi da bambina troppo verdi e l'espressione corrucciata, a tratti imbronciata, mentre si lascia circondare le spalle da Black e non oppone nemmeno resistenza all'abbraccio forzato in cui la sta imprigionando.

È ancora una volta un pensiero che mi fa male, come se nel mio stomaco, nel mio cervello o giù di lì ci fosse una lama che comincia a tagliuzzarmi da dentro e non ha pietà per me, ma è l'unico ragionamento sensato che attraversa la mia materia grigia: ciò che vedo in loro è maledettamente giusto. Ad essere sbagliato, sono solo io.

«Damian ha lasciato Trasfigurazione dopo i G.U.F.O., non ha la testa per seguire la McGranitt ed è sempre stato una frana nella sua materia.» sta ancora cianciando Avery, trascinandomi verso i banchi evidentemente da lui prescelti. «Non che gli serva particolarmente, considerando che suo padre gli ha già trovato un posto a Notturn Alley.»

Non mi prendo nemmeno la briga di fingere di ascoltarlo, ma mi limito anzi a passare accanto a loro e a preoccuparmi di tirare a Black una spallata non troppo involontaria. Dopo il mio gesto, tutti e quattro si voltano verso di me e non so cosa sia peggio, se il dolore che riesco a leggere negli occhi di lei oppure la mano di Lupin che si posa sul braccio di Black, quasi volesse impedirgli di compiere un gesto troppo avventato. 

Per l'appunto lui si limita a scuotere la testa, rivolgendomi un ghigno serafico che, se possibile, è capace ancora di più di mandarmi fuori dai gangheri. 

«Non cercare sempre lo scontro con me, Potter. Per quello ci si vede venerdì sera.»

Vorrei fermarmi e prenderlo a pugni un'altra volta - so che sarei capace di farlo, perché quel braccio è ancora intorno alle spalle di lei e continua ad esserci qualcosa di sbagliato e ingiusto, in tutto ciò - ma ancora una volta è Nicholas a trascinarmi lontano. 

«Non devi rispondere alle loro provocazioni, fanno sempre così.» mi dice infatti, arrivando accanto a quel gruppetto di Serpeverde che ho capito essere la sua cricca personale. 

«Non ci riesco, è più forte di me.»

«La tua natura da attaccabrighe è davvero indelebile, Potter.» mormora Piton, già seduto al suo posto, senza nemmeno curarsi di staccare gli occhi dal libro che sta leggendo e lasciando che quei capelli fastidiosamente unti gli cadano ancora davanti al volto pallido. «Nemmeno la più potente delle fatture riuscirebbe a esimerti dal litigare con la gente.»

«Non mi pare di essere l'unico.» mi limito a sillabare, arrendendomi all'evidenza che Severus Piton sia destinato a rimanere l'unico Serpeverde non particolarmente intenzionato ad accogliermi a braccia aperte come gli altri. Non che mi importi un granché, comunque: lui ha questa natura piuttosto solitaria e va bene così, Nicholas me lo dice sempre che, molto spesso, nemmeno lui sa bene come prenderlo. 

«Venerdì sera in ogni caso ti toccherà gestirlo.» constata Elizabeth Greengrass, con un sorriso che intuisco essere vagamente divertito. «Intendo Sirius Black e tutto il resto.»

«È solo una punizione.» ribatto in risposta, scrollando le spalle. «Non ho intenzione di finire in guai più grossi. Se lui non mi darà fastidio, non avrò motivo di non fare altrettanto.»

Vedo chiaramente Nicholas aprire la bocca per controbattere un'altra volta, ma l'arrivo improvviso della McGranitt lo obbliga a tacere e a limitarsi ad un veloce gesto della mano, con cui sembra volermi invitare a sedermi accanto a lui. Lancio un'ultima occhiata verso l'altro lato dell'aula, dove tutti e quattro sono sempre lì e sono sempre vicini, quasi fossero un'entità unica e indivisibile.

Poi deglutisco e scuoto la testa, assecondando Nick senza troppe cerimonie. Se c'è qualcosa di me su cui devo assolutamente lavorare, è di certo l'effetto devastante che mi assale non appena i miei occhi si posano su di loro.

***

Remus.

«Si può sapere cosa avete oggi?»

La domanda della McGranitt squarcia il fitto chiacchiericcio in cui era immersa l'aula, mentre fa un rapido giro di ispezione tra i banchi con un'espressione satura di disappunto stampata in faccia. Lily, esattamente davanti a me, mi lancia un'occhiata di incoraggiamento e mi sorride appena.

«È un incantesimo difficile.» mormora piano, forse intuendo lo sconforto che ho nello sguardo. «Guarda soprattutto in che condizioni siamo.»

«Tu e Sirius ci siete riusciti.» constato candidamente, indicando il piccolo specchio sul mio banco che, a conferma delle mie parole, riflette le mie iridi di un insolito viola.

«Sì, ma se ti guardi intorno vedrai che tutta la classe sta impazzendo. La trasfigurazione umana non è mica una passeggiata.» asserisce con convinzione, appoggiando la schiena al suo banco e, inconsciamente, lanciando un rapido sguardo nel punto della classe dove si trova James.

Sta ridendo dei disperati tentativi di Evan Rosier di far sparire quel ridicolo color prugna dal suo naso - Daisy Warrington non è precisa né delicata abbastanza da saper confinare l'incantesimo solo nella zona occhi del suo compagno - e muove distrattamente la bacchetta, cambiando il colore delle iridi di Avery con una rapidità e una destrezza disarmanti.

Non che ci sia molto da stupirsi, comunque: James e Trasfigurazione viaggiano davvero a braccetto e lui ha sempre avuto una spiccata predisposizione per questa materia. Non è un caso se dal primo anno la sua media non è mai stata al di sotto del consueto Eccezionale, e non è nemmeno un caso se è stato proprio lui il primo dei miei amici a riuscire a diventare Animagus. Potrebbe essere merito della sua perseveranza e della sua tenacia - indispensabili per questa disciplina - ma il punto resta che lui è per davvero il migliore e la stessa McGranitt non può mai fare a meno di complimentarsi costantemente con la sua spiccata abilità.

«Riproviamo ancora una volta, ti va?»

La voce di Lily mi riporta con i piedi per terra e in un istante mi volto verso di lei, scontrandomi con i suoi occhi così carichi di dolore da fare male, che appaiono adesso velati di una piccola sfumatura gialla dovuta alla semi-riuscita del mio incantesimo.

Si morde il labbro e distoglie subito lo sguardo, ma io lo so meglio di chiunque altro che vedere James così distante da noi - e vederlo ridere, condurre una vita apparentemente normale pur senza la nostra vicinanza - è quanto di più straziante esista al mondo.

«Signorina Greengrass, non so più come dirle che il movimento da fare con il polso non è quello.» La McGranitt prova a riprodurre davanti agli occhi della Serpeverde la corretta impugnatura della bacchetta, ma quando la ragazza prova a imitarla, ciò che ottiene è un inaspettato dilatarsi delle pupille di Piton. «Basta, per oggi basta così.»

Poso la mia bacchetta sul banco e mi passo una mano tra i capelli, vedendo la professoressa marciare verso la cattedra, mentre scuote impercettibilmente la testa e indossa una delle espressioni più severe del suo vastissimo repertorio. Io stesso non sono un asso nella sua materia, ma credo che a rendere più difficile il raggiungimento di una parvenza di concentrazione sia l'imminente luna piena, che mi rende davvero distratto e non particolarmente incline alla calma. E si sa, questi sono due fattori essenziali quando si tratta di mettere in pratica un nuovo incantesimo.

«Sono abbastanza delusa, ragazzi. Di tutti voi, solamente tre ragazzi sono riusciti a eseguire l'incantesimo con successo.» comincia, sedendosi al suo posto e sondandoci al di là dei suoi occhiali. «E non vi rendete nemmeno conto che siamo a febbraio, gli esami sono in avvicinamento e non potete presentarvi con questo livello di preparazione.»

«Professoressa?»

«Sì, signor Black, ho aggiunto a Grifondoro i dieci punti da lei guadagnati.» lo interrompe all'istante, alzando gli occhi al cielo e facendomi sorridere: è incredibile come persino la McGranitt conosca il mio migliore amico così bene da precederne addirittura le domande. Per l'appunto, mi volto verso Sirius e lo vedo ghignare soddisfatto. «Ma ciò non toglie che dobbiamo riprendere di nuovo con la teoria.»

«Ancora?» chiede una voce chiaramente esasperata, mentre qualche bisbiglio di protesta si diffonde tra le pareti.

«Ancora, signorina Vance, considerando che due settimane intere di spiegazione non sono state sufficienti.» ribatte aspramente la professoressa, prendendo le sue pergamene e sistemandole velocemente. «Voglio un approfondimento teorico su questo incantesimo per mercoledì. E non dite che è troppo presto, perché ci lavoriamo su da un tempo esageratamente lungo.»

«E...»

«Sì, signor Longbottom, è un lavoro da fare a coppie. Che naturalmente stabilirò io stessa.»

Non so se il disappunto rintracciabile negli sguardi infastiditi e negli sbuffi di tutti noi sia dovuto alla consegna così imminente da lei stabilita, oppure se a rendere la cosa ancora più tragica sia il fatto di avere un'elevata possibilità di concludere una ricerca con chi, naturalmente, non gode della nostra piena simpatia. Succede sempre così, più o meno dall'alba dei tempi: i nostri insegnanti sembrano avere un radar o qualcosa di simile, o forse sono solo particolarmente bravi a leggere i nostri sguardi. Il punto è che sanno sempre esattamente quali sono le persone che più detestiamo e, chissà perché, sono puntualmente le stesse con cui ci ritroviamo a dover collaborare per eventuali lavori di gruppo.

La McGranitt comincia così a formare le coppie a suo piacimento, con quel sadismo che da sempre contraddistingue tutti i professori, mentre io mi volto verso i Serpeverde che, dall'altro lato dell'aula, sfoggiano delle espressioni contrariate speculari alle nostre.

«Vance con Piton, Minus con Greengrass, Evans con Warrington...» Appoggio la testa sulla mano e sbuffo, intercettando l'espressione rassegnata di Lily di chi sa che poteva decisamente andarle peggio, finché dalle labbra della McGranitt non esce proprio il mio nome. «Lupin con Potter.»

So che in un'altra situazione io e il mio migliore amico avremmo fatto i salti di gioia, così come so per certo che oggi è tutto talmente diverso da lasciarmi destabilizzato. Perché James non userà questa ricerca come un pretesto per ridere e scherzare tutto il giorno, ma anzi sarò io stesso a dover fare i conti con una giornata intera da passare accanto a una persona che mi odia, che non mi riconosce più e a cui, comunque, non posso fare a meno di volere un bene dell'anima.

Intercetto lo sguardo di Sirius e lo vedo annuire comprensivo - perché lui lo sa bene, che alla fine la mia idea di passare del tempo con Prongs sfruttando eventuali ricerche scolastiche non era poi così stupida - per poi spostare gli occhi proprio su James. Non sono poi così sorpreso di trovare le sue pupille già fisse su di me, ma certamente quello che mi stupisce è il fatto di vederlo alzarsi, non appena suona la campanella, e dirigersi esattamente verso il sottoscritto.

«Domani pomeriggio ho un allenamento con la squadra.» scandisce con serietà, appoggiando le mani sul mio banco e guardandomi dritto negli occhi.

Registro appena il fatto che Lily si è dileguata da qui in un attimo e persino Peter e Sirius mi hanno fatto cenno di aspettarmi fuori dall'aula, limitandomi invece a raccogliere i libri ancora sparsi sul mio banco.

«Suppongo che rimanga solo oggi come alternativa, allora.» dico, sforzandomi di rimanere indifferente nonostante questa freddezza che sono obbligato a ostentare mi stia distruggendo.

«Sei perspicace, Remus Lupin.» ribatte James, inarcando un sopracciglio forse nel tentativo di mettermi in soggezione. «A meno che tu non voglia fare tutto il lavoro per entrambi.»

«Temo di dover rifiutare l'offerta.» rispondo a mia volta, sostenendo il suo sguardo ma non riuscendo a impedire all'angolo destro delle mie labbra di arcuarsi all'insù.

James aggrotta la fronte e mi fissa per qualche secondo in silenzio, facendo vagare le pupille su ogni centimetro del mio volto, quasi stesse ancora soppesando le mie precedenti parole. Non c'è odio nel suo sguardo, c'è solo un distacco che pesa come un monolite, una freddezza destabilizzante che ha il potere di farmi sentire come se avessi di fronte uno sconosciuto.

«Bene.» acconsente infine, sondandomi al di là di quegli occhi nocciola che ho sempre saputo interpretare come un libro aperto. «Tra un'ora in Biblioteca. Non fare tardi, Lupin.»

***

James.

Nicholas me l'ha ripetuto all'incirca un centinaio di volte, che la McGranitt e tutti gli altri professori faranno il possibile per costringermi a passare del tempo con quelli che una volta erano i miei compagni di Casa. Non so perché dica così, lui ha tutte le sue teorie strambe sul fatto che a nessuno sia andato particolarmente giù il fatto che io sia passato a Serpeverde e che dunque me la vogliano far pagare per questo, ma onestamente non so quanto credergli.

È paranoico, ma in un modo davvero esagerato. Non mentivo quando dicevo che vuole avermi sempre sotto controllo, tanto che ha persino proposto di accompagnarmi a fare questa dannata ricerca di Trasfigurazione insieme a Lupin. Credo che non gli abbia fatto molto piacere la mia battuta sul non avere più bisogno di una balia, ma poco importa: apprezzo la sua compagnia e tutto il resto, ma ho ancora bisogno dei miei soliti spazi.

Chi sembra avermi compreso alla perfezione, al contrario, sta salendo proprio insieme a me le scale dei Sotterranei per andare in Biblioteca, là dove lo attende un noiosissimo saggio di Pozioni insieme ad altri Tassorosso del suo anno.

«Lupin è...una brava persona.» mi sta per l'appunto dicendo Regulus, gli occhi chiari fissi davanti a sé e l'aria di chi sta scavando nella sua mente per cercare le parole giuste. «Non che io abbia mai avuto una particolare confidenza con lui, sia chiaro, ma è un ragazzo gentile. Di sicuro poteva andarti peggio.»

«Il peggio in questione, per esempio, potrebbe essere tuo fratello?» gli domando, azzardando forse per la prima volta a pronunciare il nome di Sirius Black in sua presenza.

Tra le tante cose di cui Avery mi ha parlato, c'è anche naturalmente il rapporto burrascoso dei due fratelli Black, le cosiddette facce opposte della stessa medaglia. Non si è dilungato troppo sull'argomento - nonostante sono certo abbia captato il mio evidente interesse al riguardo - ma da quello che mi ha raccontato ho potuto comprendere che la causa di questo distacco è stata una sostanziale differenza di ideali.

Il maggiore dei due è un ribelle, non ha mai condiviso le convinzioni della sua famiglia e pare persino che sia scappato di casa a soli sedici anni. Regulus è al contrario più mansueto, più docile, più in linea con il pensiero condiviso da tutti i Black e certamente non ha mai avuto voglia di giocare a fare l'adolescente indomito e trasgressivo.

Finisco di pronunciare la mia frase e lui sorride impercettibilmente, in un modo che ha il potere di lasciarmi spiazzato e farmi di pensare di aver toccato il tasto sbagliato. C'è una malinconia spaventosa in quel sorriso, una rabbia repressa mischiata a un'autocommiserazione che non credo di avergli mai visto prima addosso.

«Sirius è particolare.» mi risponde semplicemente, la mascella contratta e lo sguardo fisso davanti a sé, mentre varchiamo la soglia della Biblioteca. «Non lo considero come il peggiore termine di paragone possibile, comunque. Dico solo che non tutti sanno farci, con lui.»

Potrei stare ore e ore a fargli domande su suo fratello e sui reali motivi che li hanno spinti all'allontanamento che forse ha fatto più scalpore qui a Hogwarts negli ultimi anni, ma la sua espressione è il primo fattore che mi obbliga a restare con la bocca chiusa e a rimangiarmi ogni mio quesito. Regulus Black non si apre mai troppo con le altre persone: non voglio dire che sia diffidente, ma di certo non passerebbe mai giornate intere a raccontarmi nel dettaglio la sua vita e quella delle persone che ci circondano, a differenza di un certo Nicholas Avery.

E io, sinceramente, lo preferisco così.

«Ci vediamo a cena.» lo saluto velocemente, ricevendo un cenno del capo in risposta e osservandolo mentre sparisce nella prima corsia.

Prendo un respiro profondo e mi dirigo verso il punto stabilito da me e Lupin per l'incontro, trovandolo già lì seduto e con una consistente mole di volumi aperti a circondarlo. La Biblioteca è molto affollata questo pomeriggio, ma lo spazio che si è ritagliato - tra due altissimi scaffali, illuminato dai raggi di Sole filtrati da una finestra che quasi mi fanno venire voglia di mandare tutto al diavolo e volare con la mia Tornado nell'aria invernale - è piuttosto isolato dal resto degli studenti.

Sbatto il libro di Trasfigurazione davanti a lui e lo vedo all'istante sollevare lo sguardo, per poi fissarmi con quegli occhi luminosi che non mostrano nessunissimo stupore per la mia improvvisa comparsa.

«Sei in anticipo.» gli faccio notare aspramente, lasciandomi cadere sulla panca davanti a lui e passandomi distrattamente una mano tra i capelli.

«Anche tu.»

Fa un cenno con il capo verso l'orologio che troneggia sul mio polso e che, neanche a dirlo, è la testimonianza innegabile del fatto che manchino ancora dieci minuti alle cinque - l'orario che entrambi avevamo scelto per incontrarci.

«Ma tu hai già iniziato a lavorare.»

«Volevo portarmi avanti.» replica con una scrollata di spalle, tornando a incidere qualche parola sulla sua pergamena.

«Dici bene: prima finiamo, meglio sarà per entrambi.»

Solleva ancora una volta gli occhi dal suo foglio, puntandoli su di me e aggrottando la fronte in un'espressione che ha qualcosa di insopportabilmente beffardo. Non ha bisogno di troppe parole ed è questa, forse, una delle cose che mi spingono a non sopportarlo praticamente a pelle: sa catalizzare nel suo sguardo tutto quello che tace, come se per lui bastasse poco per rispedirmi al mio posto. Gli è sufficiente ostentare quell'assurda pacatezza che si porta sempre dietro - forse l'unica arma di difesa che gli permette di girare costantemente insieme a un impulsivo come Black - per apparire subito come quello che ha ogni dannata cosa sotto controllo.

E sarebbe maledettamente bello farlo uscire un po' fuori di testa.

«Dimmi un po', Remus Lupin,» comincio, appoggiando la testa sul palmo della mano e sporgendomi un po' verso di lui. «come mai non c'eri anche tu insieme al tuo amico, quando si trattava di prendermi a pugni?»

«L'argomento è a pagina centosette.» mi risponde invece, ancora una volta senza nemmeno guardarmi negli occhi.

«O forse è così che funziona tra voi: Black è il braccio e tu la mente.» insinuo ancora, condendo il tutto con un ghigno sardonico che, se solo mi guardasse, sono certo basterebbe per fargli fare qualcosa di molto stupido e avventato.

«Pensavo di iniziare con qualche accenno ai primi maghi che usarono questo incantesimo per cambiare il colore degli occhi. Sai, quando nel periodo della Gloriosa Rivoluzione...»

«Sì, sono convinto che sia proprio andata così.» continuo io, senza dare la benché minima impressione di ascoltarlo e beandomi invece di quell'impercettibile contrarsi della sua mascella. «Tu devi essere quello che ha ideato il piano, mentre Black l'ha messo in atto.»

«E poi potremmo spiegare la parte teorica del corretto movimento del polso.» ribatte lui, evidentemente convinto di poter stare al mio stesso gioco. «Per quella potresti pensarci tu, visto che sei molto bravo.»

«Qualunque cosa tu abbia contro di me, Lupin, sono qui. Basta parlare.»

Non so perché io abbia questa voglia impellente di provocarlo: forse è questa pacatezza che ha nel tono di voce, forse è il fatto che la sua mancata impulsività è persino peggio delle reazioni avventate di Black. O forse, più semplicemente, è perché anche lui è uno di loro.

Il punto è che desidero che reagisca, voglio che anche lui mi dia prova del fatto che mi odia davvero, che non mi sopporta esattamente come io non devo sopportare lui e che la smetta, la smetta per sempre di essere affabile e calmo di natura, perché è una cosa che mi manda in bestia.

Non voglio che sia buono. Non con me.

«Senti,» scandisce ad un tratto, posando la piuma con un gesto secco e tornando a fissarmi. «io non sono Sirius Black, va bene? Non ho intenzione di rispondere alle tue provocazioni, tantomeno di provocarti io stesso. Voglio solo finire questa benedetta ricerca e andarmene da qui.»

Parla velocemente e, al contempo, con quella solita placidità che lo contraddistingue, ma è solo adesso che mi rendo conto che è più pallido di quanto sia umanamente concesso e che, non appena ha chiuso bocca, il suo respiro si è fatto decisamente più ansante.

«Cos'hai, Lupin?» mi ritrovo a chiedergli con una cordialità che stupisce me per primo, mentre lo osservo serrare di scatto le palpebre e aggrapparsi al tavolo come se temesse di crollare a terra.

«Niente.» si affretta a ribattere, stringendo i denti. «Continua a cercare altre informazioni sul manuale.»

«Puoi andare via, se vuoi. Io non ho intenzione di soccorrerti se dovessi svenire.»

Evidentemente Lupin interpreta le mie parole con una certa ironia, perché le sue labbra si arcuano in un sorriso accennato e lentamente apre gli occhi, puntandoli dritti sul sottoscritto.

«Sto bene.» mormora infine, prendendo dei respiri profondi. «Non mi avrai sulla coscienza, te lo posso garantire.»

Passa appena una manciata di minuti, durante i quali Lupin sembra riprendere il controllo delle sue volontà e io vado avanti con il lavoro da lui iniziato. È preciso e attento ai dettagli, questo devo riconoscerglielo, motivo per cui lascio quasi del tutto intatto quello che ha scritto e comincio con la mia parte di lavoro.

C'è silenzio tra noi, ma non uno di quelli scomodi e carichi di tensione. C'è un silenzio strano, come se anche questa assenza di parole mi facesse bene e fosse anzi indubbiamente migliore di mille, inutili parole pronunciate da qualunque altra persona. Forse avevo ragione, forse la mia prima impressione non sbaglia mai per davvero: Remus Lupin non ha bisogno di troppi discorsi contorti, quando in un semplice silenzio è in grado di racchiudere tutto quello che è necessario sapere.

Sollevo ancora una volta lo sguardo dalla mia pergamena e lo punto su di lui, trovando di nuovo i suoi occhi intenti a scrutarmi con un'eccessiva dose di apprensione, finché qualcosa non muta nella sua espressione. Lupin impallidisce improvvisamente, borbottando qualche parola tremendamente simile a "emicrania" e chiudendo una seconda volta le palpebre di scatto. E io non rifletto più ma il mio cervello sembra anzi aver messo il pilota automatico, perché senza che nemmeno io lo voglia impartisce alle mie gambe il comando di farmi alzare e, in un solo frangente, la mia mano va a posarsi sul suo braccio.

«Stai bene?»

Pronuncio queste due parole in maniera involontaria, ma non è come se adesso potessi controllare il modo in cui il mio corpo pare muoversi. Niente risponde ai miei comandi, tutto mi sembra anzi susseguirsi in maniera rapida e confusa intorno a me e di colpo sono io quello in preda ad un mal di testa allucinante, mentre mi lascio cadere sulla panca con un'espressione sofferente stampata sul volto.

«James, James!»

Scaccio con violenza quella parte del mio cervello che vorrebbe indurmi a chiedermi perché diamine Remus Lupin si prenda una confidenza tale da spingerlo a chiamarmi per nome, limitandomi a cercare di regolarizzare il respiro per darmi una calmata. Ma tanto lo so già, questa è la chiara sensazione che provo appena prima di perdere i sensi.

L'ultimo dettaglio che registro con coscienza, per l'appunto, sono gli occhi di Lupin pregni di preoccupazione fissi su di me e la mia mano ancora aggrappata al suo braccio.

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19 ottobre 1972

«Avete visto che presa pazzesca ha fatto Fabian? Eravamo sotto di 20 punti ed ecco che lui arriva con quella capriola spaziale e...wow.»

Non sono sufficienti le due coperte in cui sono avvolto, il cuscino premuto sulla testa e le tende tirate del mio baldacchino per impedirmi di sentire la voce di James, che arriva dritta alle mie orecchie come se fosse il più acuto e fastidioso dei rumori. Non che lui abbia una voce fastidiosa, anzi: sono certo che, per avere solo dodici anni, la voce del mio amico è molto profonda. Non ai livelli di Jordan, quello del settimo anno che sembra avere un contrabbasso al posto delle corde vocali, però anche quella di James è una voce dignitosamente bassa.

«L'hai ripetuto dieci volte, James. Dacci un taglio

Il punto, comunque, è che sono le mie orecchie a non andare bene. Non sto dicendo che non ci sento piùanzi, è proprio questo il problema: ci sento troppo. È che sono appena le undici del mattino, la prima partita di Quidditch dell'anno è già terminata e io sarei dovuto andare  insieme ai miei amici, a sostenere la mia Casa mentre affrontava i temutissimi Serpeverde e a sorbirmi nel dettaglio la telecronaca emozionata di James.

Avrei potuto farlo, se fossi stato un dodicenne normale.

«Però ha ragione, Montague è rimasto per davvero a bocca asciutta.»

«Lo so Pete, ma capisci che dopo venti minuti di urletti imbarazzanti un po' ci si stufa.» Sento chiaramente il rumore di un materasso che rimbalza e, anche se non posso vederlo, sono certo che Sirius si sia appena lasciato cadere sul suo letto. «Hey James, non è che ti piace Fabian?»

«Ma che razza di domande fai

«Dai, sei sempre  a idolatrarlo come se fosse Merlino in persona...»

«Solo perché è un diavolo di Cercatore, idiota. E io il prossimo anno prenderò il suo posto.»

«...perché nel caso, ti informo che dovresti smetterla di cercare di sollevare la gonna di Lily Evans ogni volta che passa. Sai, non sarebbe molto carino da parte tua illuderla in questo modo.»

Un fruscio sommesso e qualche lamento mi fanno presupporre che sia appena cominciata una lotta di cuscini con i fiocchi, ed è la risata divertita di Peter a darmene la conferma definitiva.

No, non voglio dire che il mio amico abbia un modo di ridere particolarmente acuto e snervante, ma ancora una volta è colpa delle mie orecchiePerché alla luna piena mancano ancora parecchie ore, ma oggi il dolore fisico mi ha colpito prima del previsto, ogni mio senso - in particolare l'udito - è acuito in maniera spaventosa e io non ho fatto in tempo ad accampare nessunissima scusa sulla presunta malattia della mamma, che potesse dunque giustificare la mia assenza.

Sono solo rimasto qui, sdraiato sotto le coperte in preda a un dolore allucinante, mentendo ai miei amici e dicendo loro che non stavo un granché bene per colpa di un'ipotetica influenza. Ma ora loro sono tornati in dormitorio - non prima di averle provate tutte per convincermi ad andare a vedere la partita insieme a loro - e, come è giusto che sia, riempiono quel meraviglioso silenzio di prima con le loro voci, le urla, gli schiamazzi e tutte quelle cose che, tra noi, sono all'ordine del giorno.

E io non posso fare a meno di stringere i denti e sperare che passi tutto, che passi in fretta.

«Remus è sveglio

Il sussurro di James arriva amplificato alle mie orecchie, subito seguito da qualche passo nella mia direzione e dalle tende del baldacchino che si scostano, lasciando intravedere due occhi grigio piombo che mi scrutano curiosi.

«Volevi soffocare qua sotto o cosa?» mi domanda Sirius, gettandosi a peso morto su di me e costringendomi a smettere di fingere di essere addormentato.

«Avevo freddo.» borbotto in risposta, tirandomi su a sedere e constatando con orrore che anche James e Peter mi stanno attorniando come se fossero al mio capezzale.

«Non immagini che partita ti sei perso, Remus. Eravamo sotto di venti punti, c'era Gideon che ne urlava di tutti i colori al nuovo portiere, Finnigan, e ho davvero temuto che tirasse fuori la bacchetta e lo Schiantasse.» racconta James con particolare enfasi, sistemandosi sulle ginocchia e guardandomi con una punta di euforia al di  dei suoi occhiali tondi. «Ma poi non sai cosa ha fatto Fabian.»

«Lo sa, James.» biascica Sirius con finta scocciatura, appropriandosi del mio cuscino e costringendomi a cambiare posizione ancora una volta. «Ti avrà sentito ripeterlo un sacco di volte dal campo da Quidditch fino a qui.»

«Senza contare che l'hai urlato appena abbiamo aperto questa porta.» constata saggiamente Peter, ma non è come se James li stesse ascoltando minimamente, troppo preso com'è dal suo stesso racconto.

«...presa spettacolare, tutta la tribuna è impazzita e persino la McGranitt ha sorriso! Capisci Remus? La McGranitt!»

Mi sforzo di stirare il sorriso più falso di tutto il mio repertorio, ma so che non ho convinto nessuno. Non riesco mai a fingere, con loro tre: ci conosciamo da poco più di un anno ed è logico che sono diventati i miei migliori amici - insomma, condividiamo calzini, dentifricio e Cioccorane, quindi sarebbe anormale il contrario - ma ancora non riesco a capire come facciano a leggermi dentro con questa assurda facilità.

Non mi pare di essere quel classico tipo di persona particolarmente estroversa a primo impatto, ma con loro è semplicemente diverso: devo fare i conti con quella spiccata abilità che hanno tutti e tre, quella che permette loro di capire anche solo con un semplice sguardo quando sto mentendo, quel potere che usano per cavarmi di bocca anche ciò che non vorrei dire.

Ed è così, mentre ancora indosso questa buffa smorfia che mi sforzo di chiamare sorriso, che James posa delicatamente una mano sul mio braccio e mi guarda con quegli occhi che si sono fatti, all'improvviso, sorprendentemente seri.

«Stai bene

Non so come succeda, non so davvero spiegarmeloL'unica certezza è che queste due parole sembrano risvegliare qualcosa in me, come se fossero la combinazione perfetta che apre la cassaforte della mia anima e rende impossibile richiuderla una volta per tutte. È dall'anno scorso che James ha questi occhi carichi di apprensione quando a volte mi guarda, è dall'anno scorso che Sirius le prova tutte per farmi ridere quando sono particolarmente sopraffatto dal dolore pre-luna piena, ed è dall'anno scorso che, una volta al mese, Peter mi fa trovare le sue tavolette di cioccolato proprio sul mio comodino, proprio a seguito delle mie sospettabili assenze.

Perché siamo piccoli, abbiamo appena dodici anni, ma c'è qualcosa in noi che va al di  dell'età. Io sopporto il peso di questa condanna da quando ero bambino, mentre loro è da un anno a questa parte che, senza fare mai nessuna domanda, si sono caricati il fardello del mio dolore sulle loro spalle e adesso lo portiamo così, tutti e quattro, dividendoci equamente la portata di una maledizione che grava sul sottoscritto.

Nessuno di loro ha mai fatto domande né preteso spiegazioni, ma le due parole pronunciate da James sono davvero fatali e, senza che io possa pensarci due volte, mi obbligano a dare voce a tutto quello che ho dentro.

Racconto come un fiume in piena del primo morso di Greyback, della prima notte di luna piena, del dolore di quando il mio corpo si lacera e cambia, lasciando che il mostro che ho dentro esca fuori una volta per tutte. Racconto dei graffi e dei morsi che mi sono sempre autoinflitto, delle mattine in cui mi svegliavo e la mia cameretta era un totale disastro, della compassione negli occhi dei miei genitori e della paura negli sguardi dei nuovi vicini di casa.

Racconto dell'angoscia, della necessità di imparare a conviverci, del dolore fisico che in fondo non è persino niente in confronto a quello psicologico. Racconto del coraggio che ha avuto Silente ad ammettere un mostro nella sua scuola, del Platano Picchiatore, del timore che ho di svegliarmi un giorno e scoprire di essere diventato un assassino.

E poi la dico, quella frase che esce dalle mie labbra prima ancora che possa trattenerla tra i denti, inevitabilmente accompagnata dalle lacrime fresche che hanno cominciato a rigarmi le guance.

«Non serve che parliate, non serve che diciate assolutamente nulla. Vi capirò, qualunque sarà la vostra scelta. Vi capirò se avrete paura di avermi ancora al vostro fianco.»

Sono pronto a tutto, ormai. Sono pronto all'eventualità di lasciare Hogwarts, di perdere per sempre i miei migliori amici, l'unica cosa bella per cui valeva davvero la pena di vivere fino in fondo la magia che scorre nelle mie vene. 
Quello a cui naturalmente non sono pronto, è vedere tutti e tre scambiarsi uno sguardo che forse vale più di mille parole, per poi spostare definitivamente gli occhi su di me e guardarmi in un modo che fa cadere ogni mia resistenza.

«Sei un idiota, Remus Lupin.»

Perché i loro sguardi non esprimono paura, disgusto o rabbia, emozioni che invece mi ero preparato a scorgere nei loro occhi. Sono invece gli stessi sguardi di sempre, quelli dei miei migliori amici: l'occhiata di rimprovero di Sirius, lo sguardo dolce di Peter e quello determinato di James.

Sono loro, sono ancora loro.

«Era da un po' che lo sospettavamo, in verità.» confessa James, facendomi quasi mancare il fiato per la sua schiettezza.

«E non mi avete detto nulla?»

«Aspettavamo che fossi tu stesso ad essere pronto.» replica Peter, deglutendo piano.

«Perché sapevamo che lo saresti stato, prima o poi. Sapevamo che ce ne avresti parlato, perché non potevi continuare a tenerti tutto dentro

È la prima volta in cui mi trovo al cospetto dei miei migliori amici e mi sento io, quello piccolo e irresponsabile della situazione. Parlano tutti e tre con una maturità destabilizzante, con una convinzione che è capace persino di infondere in me un briciolo di speranza e che quasi mi fa piangere.

«Non mi merito niente. Non mi merito...il vostro appoggio, la vostra comprensione, niente

«Perché sei stato un idiota a non fidarti subito di noi? Sì, forse per questo non meriteresti niente.» replica sarcasticamente Sirius, inarcando un sopracciglio. «Ma non osare dire ancora una volta che è tutta colpa tua, perché potrei non rispondere più delle mie azioni.»

«Quello che Sirius voleva dire, magari togliendo metà delle minacce e degli insulti impliciti, è che ti devi fidare di noi.» James punta gli occhi nei miei e adesso lo so, che nemmeno volendo potrei distogliere lo sguardo dal suo. «Non intendo solo che avresti dovuto raccontarci subito di questo...di questo tuo problemino mensile, ecco.»

«Jamescosì lo fai sembrare come qualcosa di molto brutto e molto, molto femminile.»

In risposta alza gli occhi al cielo e persino io, senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovo a sorridere divertito.

«Intendo dire che devi fidarti di noi e accettare il nostro aiuto. Perché non mi importa se una volta al mese ti riempirai di peli, se le tue unghie diventeranno artigli, se vorrai lasciare davanti alla nostra stanza qualche lucertola sventrata o se con i canini che hai potresti persino bucarmi la pelle. Per me, per noi, tu resti Remus.» Non mi importa nemmeno di sembrare un idiota in questo istante, con le lacrime che ancora scivolano copiose e un sorriso di ridicola felicità stampato sulle labbra. «Resti quell'amico insopportabilmente preciso e responsabile, quello che tiene a bada tutti e tre e che potrà contare su di noi sempre, adesso ancora di più, a prescindere dall'animale represso che c'è in lui. Non sei un mostro e mai lo sarai, mettitelo bene in testa: sei destinato a rimanere per tutta la vita il nostro Remus e basta.»

Il loro Remus e basta.

Penso che potrebbe piacermi per davvero, questo nuovo nome.

Adesso c'è un'atmosfera diversa in questa stanza. È come se all'improvviso fossimo cresciuti tutti e quattro, ma al tempo stesso è come se io mi fossi irrimediabilmente alleggerito di un peso gigantesco che gravava sul mio petto. Alla fine hanno vinto loro, com'era altamente prevedibile: si sono presi il mio dolore e l'hanno reso anche di loro proprietà, plasmandolo e dandogli la forma e il peso di una piuma.

Non c'è da stupirsi, comunque. Noi quattro abbiamo sempre condiviso tutto, ed era naturale che prima o poi cominciassimo a condividere persino le reciproche sofferenze.

«Certo,» rompe ad un tratto il silenzio Sirius, sfoderando quel ghigno che ha il potere di farmi ridere prima ancora che finisca di parlare. «magari d'ora in poi ci penserò due volte, prima di infastidirti come al solito e farti arrabbiare.»

----

«James! James, maledizione, ci sei?»

Riprendere i sensi equivale esattamente a riemergere da un'apnea devastante, oppure da un sonno durato secoli. Mi ritrovo sdraiato sul pavimento polveroso della Biblioteca, con Lupin che mi tiene la testa sollevata e mi guarda con questi occhi così preoccupati da farmi male - quegli stessi occhi con cui io, fino a poco fa, sembravo guardare lui.

Non so cosa diamine sia appena successo, credevo di aver perso semplicemente i sensi ma ecco che mi ritrovo come se fossi stato catapultato in un universo parallelo, protagonista di una scena che vede me dodicenne circondato da persone con cui so per certo di non avere niente da spartire.

È tutto confuso, tutto nebuloso: Lupin stava male, c'ero io a consolarlo insieme a Black e a quel ragazzo che trotterella sempre dietro di loro, Peter Minus o qualcosa del genere. C'eravamo noi e questo sembrava bastare: una stanza, quattro dodicenni che parlavano da adulti e che si guardavano con una serietà destabilizzante, tutto il mondo che ancora ci stava nel palmo di una mano e nessuna, nessunissima preoccupazione di mezzo che non potesse essere superata insieme.

«Stai...stai meglio?»

Ma ora Lupin è qui davanti a me e non deve chiamarmi James, non deve essere in apprensione per me, non deve sorreggermi la testa come se tenesse sul serio al sottoscritto, come se la scena che ho appena vissuto fosse reale. Perché non lo è, non lo è mai stato.

«Lasciami stare.» scandisco, togliendomi le sue mani di dosso e recuperando all'istante tutta la mia lucidità.

Mi tiro su a sedere ignorando completamente la mano che mi sta tendendo, ed evitando con cura ancora maggiore i suoi occhi feriti che mi seguono dappertutto.

«James...»

«Ti ho detto di lasciarmi stare.» ripeto ancora, raccogliendo in fretta e furia i miei appunti ma senza staccare lo sguardo da terra.

Gli volto le spalle senza aggiungere altro, percorrendo quei metri che mi separano dalla porta d'ingresso e uscendo in fretta e furia dalla Biblioteca. Ho il cuore in gola e mi sento scosso da tremiti convulsi che mi offuscano i sensi, esattamente come se fossi stato nel passato per lo spazio di un secondo - il tempo sufficiente per vivere quella scena così dannatamente realistica - per poi piombare di nuovo qui, nel vero mondo, quello in cui odiare Lupin e i suoi amici è l'unica cosa ancora dotata di senso che esista.

Appoggio la schiena alla parete del corridoio e ricomincio a respirare, guardando il soffitto e sentendo le prime gocce di sudore freddo formarsi sulla fronte. Sento le mie unghie stridere sulla parete e qualcosa che mi monta nel petto, ancora una sorta di guerra feroce tra le varie parti del mio corpo, guerra dalla quale sono destinato a uscire sconfitto in ogni caso.

Respiro ancora, ed è l'unica cosa che mi resta da fare.

È successo qualcosa di spiazzante ed io lo so, l'ho capito bene, ma non era reale. Ho perso i sensi e ho sognato, non può che essere andata esattamente così.

E allora perché diamine sto soffrendo in questo modo?

Prendo il coraggio residuo che ho in fondo al petto e lo uso per aprire gli occhi, che neanche a dirlo vanno a posarsi sulla figura solitaria che sta scendendo proprio in questo frangente le scale che portano verso di me. Regge in mano una pila di libri e non guarda di fronte a sé, ben attenta a non scivolare e a non perdere l'equilibrio, lei che ancora ne ha uno. Ha questi dannati capelli rossi che le ricadono sulle spalle e sulla schiena in un modo tanto delicato quanto perfetto, che è capace di far tornare quel forte mal di testa che mi martella nelle tempie e che mi costringe, ancora una volta, ad appoggiare i palmi delle mani al muro per sostenermi.

Poi scende l'ultimo scalino, alza lo sguardo e il mondo si ferma.

Resta di fronte a me immobile per qualche secondo, il petto che si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro e gli occhi verdi ancora fissi nei miei. Sbatte le palpebre e non lo sa, non lo sa che sono appena crollato davanti agli occhi di Remus Lupin e mi sembra di dover fare la stessa cosa qui, davanti a lei, davanti a questa ragazza che più di tutti ha qualcosa che mi lacera esattamente da dentro.

Perché lei se ne sta in silenzio, lontana quanto basta dal sottoscritto, come se facesse il possibile per evitarmi e stare a una distanza di sicurezza da me. Non mi attacca come Black, non mi guarda con compassione come Minus, non risponde a tono seppur con compostezza come Lupin.

Lily Evans rimane lì, spettatrice degli eventi, sottile linea di contorno, cornice che dovrebbe sostenere il quadro ma che si ritrova a essere lei, il quadro stesso. Averla troppo vicino mi dà fastidio, sentirla distante mi fa sentire ancora peggio. È un controsenso e lo so bene, perché mi sembra di non conoscere assolutamente niente di questa ragazza e al tempo stesso di avere imparato a scandagliare ogni centimetro della sua pelle, ogni suo gesto, ogni suo movimento.

Poi lei mi guarda un'ultima volta e cambia direzione, svoltando alla sua sinistra e lasciandomi lì, con i pugni serrati, il respiro affannato e gli occhi che ancora la seguono, imperterriti. Perché posso negarlo, posso ingannarmi e provare a non pensarci, ma lo capisco solo in questo minuscolo frangente di debolezza che mi è concesso: in un modo o nell'altro, c'è qualcosa che sembra sempre riportarmi da lei.

 

   
 
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