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Autore: Juriaka    10/07/2020    11 recensioni
[KageHina]
Pioggia. Scende copiosa lungo le gote, scava la pelle e brucia le ossa. È salata come l'acqua di mare.
C'è un profumo di arancia che aleggia nell'aria. È dolce, inconfondibile. È il suo.
«Non dovresti essere qui» sussurra Hinata all'improvviso, sottovoce.
«Nemmeno tu.»
«Ma io sono morto
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sottovoce



«Per quanto tempo è per sempre?»
«A volte, solo un secondo.»


Pioggia. Scende copiosa lungo le gote, scava la pelle e brucia le ossa. È salata come l'acqua di mare.
C'è un profumo di arancia che aleggia nell'aria. È dolce, inconfondibile. È il suo.
Si mischia all'odore delle lacrime e a quello del rimpianto.
La facciata della palestra del liceo Karasuno, prima tanto brillante e tiepida, s'è fatta cupa all'improvviso, ghiacciata. Pare quasi spettrale, mentre si riflette tristemente sulla superficie tremolante delle pozzanghere.
«Non dovresti essere qui» sussurra Hinata all'improvviso, sottovoce, rivolgendogli uno sguardo severo e al contempo malinconico. È pallido, ha le guance scavate e le occhiaie praticamente nere.
«Nemmeno tu.»
«Ma io sono morto. Tu, per fortuna, ancora no.»

«Ma che hai?» sbotta Kageyama, sorreggendolo mentre inciampa per la quinta volta.
«Non è niente» risponde l'altro sbrigativo, tentando di rimettersi dritto sulle proprie gambe. Kageyama gli getta un'occhiata preoccupata. Da giorni Hinata ha quel tremendo mal di testa. Le sue prestazioni fisiche sono calate drasticamente, spesso vomita in bagno, e perde l'equilibrio. Non appena Takeda-sensei lo vede barcollante dirigersi verso lo spogliatoio, con la nuca inclinata verso destra, i piedi strascicanti e le labbra serrate dal dolore, lo blocca.
«Devi andare in ospedale, Hinata» asserisce morbido, ma con un cipiglio severo, grave. «Non appena ti diranno cos'hai, e dopo esserti curato, potrai tornare sul campo ad allenarti.»
Hinata dapprima spalanca la bocca per protestare, ma poi la richiude l'istante seguente, arrendevole come Kageyama non l'ha mai visto.
«Va bene. Chiamo mia mamma e mi faccio venire a prendere» sussurra, e Takeda-sensei gli sorride incoraggiante. «Ci vediamo domani!»
Ma Hinata non è più tornato. Né il giorno dopo, né quello dopo ancora.

«Kageyama.»
Kageyama è disteso sul proprio letto, gli occhi puntati verso il soffitto. La vernice è tanto bianca da risultare quasi fastidiosa.
«Kageyama.»
Forse dovrebbe tinteggiarla di un altro colore, magari più scuro. L'angolo a sinistra, a ben guardarlo, è anche un po' ammuffito.
«Kageyama.»
«Che vuoi?» sbotta, voltandosi. Hinata è seduto per terra a gambe incrociate, i piedi scalzi che tamburellano agitati sul pavimento in legno. Appare smunto, ancor più malinconico rispetto al solito.

«Kageyama, che numero porti?» domanda Hinata, sfilandosi la scarpa.
«Quaranta e mezzo, tu?»
L'altro esala un sospiro frustrato, scuotendo la zazzera scompigliata. «Trentanove!»
«Ha!» esulta dunque, soddisfatto. «Ho vinto io!»
«Dammi qualche anno e vedrai che i miei piedi diventeranno il doppio dei tuoi!»
«Non succederà mai» risponde Kageyama, beffardo. Poi però arrossisce, non appena Hinata gli balza addosso, aggrappandosi a lui come un koala e posandogli fugace un bacio sul collo.
«Voglio starti appiccicato tutto il giorno!»


«Voglio che mi lasci andare.»
Kageyama s'acciglia, e il petto riprende a far male. Ha come la sensazione che sia successo qualcosa di agghiacciante, ma non riesce, non vuole, ricordare.
«Non capisco che stai dicendo, Hinata.»
Hinata sospira stancamente. La sua voce si fa sempre più sottile, ogni giorno che passa. Somiglia al cinguettio di un passerotto con l'ala rotta. Infine si alza in piedi e s'avvicina, poggiandogli la nuca contro il petto. Sembra fragile come cristallo, vulnerabile come polvere nel vento. Una lacrima brilla, incastrata fra le ciglia color carota. Kageyama tenta di strofinarla via con il pollice, ma è solo aria quella che accarezza.
Il suo è un sussurro udibile a malapena. «Non puoi continuare così per sempre
Kageyama esita un istante, ma poi incurva le labbra in un sorriso che di felice non ha niente. Continuare così è proprio quello che invece ha intenzione di fare. È fermamente determinato a conoscere quel per sempre che gli hanno strappato via troppo presto.

Pioviccica. Piano, sottovoce. L'acqua gli accarezza la fronte e le braccia nude. Anche questa volta è salata, amara come la medicina per la tosse che non voleva prendere da bambino. È stupefacente, disarmante, come d'improvviso tutto appaia tanto piccolo e stupido. Grigio. Vuoto. La palestra ora sembra per davvero uno spettro, un mostro gigantesco chinato su di lui, pronto a ingoiarlo.
«Sei ancora qui.» Hinata diviene sempre più flebile, evanescente. Sfarfalla, e il suo corpo non si riflette sull'asfalto bagnato.
Ma da quanto tempo è che non lo vede ridere?
«Kageyama, per favore
«No» sibila feroce, scoprendo i denti in un ringhio.
Non gli importa più di niente. Non importa se sia un'illusione, non gli permetterà di andare via.
Non lo perderà.
Non un'altra volta.

«Sugawara-san e Daichi-san ti hanno invitato al cinema. Perché non ci vai?»
Kageyama si rigira il pallone fra le dita. «Non ho voglia.»
Il soffitto è comunque troppo bianco, e le iridi iniziano a bruciare.  
«Ma ti divertiresti!»
''Preferisco restare qui con te'', pensa, aggrovigliandosi le lenzuola fra i piedi.
«Ma io non ci sono» dice Hinata, con le labbra tremolanti. Il suo sguardo, un tempo così vivido e caldo, è diventato buio, supplichevole.
A Kageyama non piace affatto.
«Sciocchezze» sbotta, poggiando la palla sul pavimento. Tende il braccio e flette le dita, provando a sfiorargli la guancia lentigginosa, che lui ricorda così soffice e tiepida.
Ma percepisce solo aria, sotto i polpastrelli.
Kageyama si lascia sfuggire un sospiro, che assomiglia a un singhiozzo.
«Perché non posso più toccarti, Hinata?»
«Te l'ho detto» risponde l'altro, sottovoce. «Perché sono...»
«Non dirlo.»
«Morto.»
«Sciocchezze» ribatte Kageyama, mentre il petto inizia a dolergli di nuovo. «Sei qui.»

Hinata gli getta uno sguardo apprensivo, che stona terribilmente con l'espressione gioiosa su cui è abituato a posare gli occhi e le labbra.
«Ti stai lasciando andare.»
«Non è vero.»
«Sì, invece.»
Piove forte, un'altra volta. Forse non ha mai smesso. Le gocce s'infrangono con furia sull'epidermide spoglia, intrufolandosi come vermi sotto il colletto della maglia, e Kageyama rabbrividisce.
«Così ti verrà un malanno.»
«Non m'importa.»
«Invece dovrebbe!»
Hinata balza davanti a lui, un barlume di rabbia che gli lampeggia nelle iridi un tempo ambrate, piene di vita. «La squadra ha bisogno di te!»
''Anche io avevo bisogno di te'', pensa Kageyama, mordendosi le labbra. ''Però tu sei...''
«Morto!» conclude Hinata con uno strillo, i pugni serrati in una morsa disperata. «Devi ammetterlo, Kageyama! Devi riconoscerlo, o non riuscirai più ad andare avanti!»
Perché questo incubo sta durando da così tanto tempo? Quando finisce?
L'odore del sale, delle lacrime, copre quello d'arancia. La gola gli brucia, lo stomaco è incandescente. È senz'altro finito all'inferno.
«Non voglio» risponde allora, con un sussurro che però infine s'incrina, si spezza. «Non voglio, perché appena proverò ad andare avanti, tu scomparirai di nuovo.»
«Kageyama.» Hinata s'avvicina, le sopracciglia incurvate in un'espressione dolce, buona. Per la prima volta dopo mesi, c'è un sorriso accennato sulle sue labbra. «Le persone che ci amano non ci lasciano mai veramente.»
Infine gli poggia una mano sul petto, proprio all'altezza del cuore. Adesso Kageyama riesce a percepirla, la forma delle sue dita minute che premono sulla stoffa.
Kageyama si strofina il naso, lasciando che le lacrime si mischino alla pioggia. Rimangono immobili, mentre la palestra della Karasuno veglia su di loro, custodendo per sempre le voci di due ragazzi che ridono e che bisticciano giocando a pallavolo.

Il loro primo incontro, la loro prima veloce, il loro primo bacio. È sempre stata la palestra della Karasuno a testimoniare la rivalità, l'amicizia, e quel qualcosa in più che entrambi si sono rifiutati di chiamare per nome.
«Mi alzi la palla?»
Hinata appare più brillante, più simile al ragazzo che era in passato, quello che gli ha cambiato la vita dentro e fuori dal campo, con le guance arrossate e le lentiggini spruzzate sulle labbra.
Ma così fa molto più male.
Kageyama afferra un pallone dalla cesta, inspira, si mette in posizione e lo spinge in aria. Hinata tende i muscoli delle cosce, eccitato come un bambino, poi spicca il volo librandosi in alto, ancora più in alto, e infine schiaccia forte al di là della rete.
Per un istante, Kageyama sorride. È fiero di tutti i progressi che ha fatto, che hanno fatto insieme. Crede fermamente che Hinata diventerà un ottimo giocatore, riesce persino a immaginarselo e non sta nella pelle all'idea di confrontarsi con lui come avversario, da pari a pari, non appena saranno più grandi.
Poi però ricorda: Hinata non c'è più, Hinata è...
E allora Kageyama crolla, si frantuma in mille pezzi come ceramica, le ginocchia sul pavimento gelato. Lascia che i singhiozzi lo scuotano con violenza, mentre la disperazione s'impossessa del suo corpo.
Perché Hinata non può, Hinata non può essere morto.
«Alzamene un'altra, Kageyama! Un'altra ancora!»
Kageyama solleva il viso, la vista offuscata dal pianto. Lui è in piedi, e lo sta aspettando.

«È ora, Kageyama.»
Oramai la cesta è vuota, i palloni sono sparsi lungo tutta la palestra. Hinata s'avvicina, e gli afferra la mano. È morbida e tiepida, proprio come la ricordava.
Kageyama vorrebbe urlargli di non andare, non importa che sia uno spirito, o il frutto della propria immaginazione.
Eppure serra i denti e si costringe a rimanere in silenzio.
«Contiamo fino a dieci, vuoi?»
Uno, due, tre...
Kageyama lo avvolge forte fra le braccia e gli affonda il viso nei capelli arruffati: odorano di shampoo per bambini alla gomma da masticare. Vorrebbe solamente che il tempo si dilatasse come una bolla di sapone, che si fermasse, proprio in quell'istante.
Quattro, cinque, sei...
Tuttavia i secondi scorrono impietosi. Mentre l'altro gli strofina il naso contro il collo, Kageyama prova una rabbia tanto intensa da bruciargli le vene. Perché proprio a Hinata?
Sette, otto...
Hinata lo bacia. Si poggia leggero sulle sue labbra, e Kageyama ne percepisce la dolcezza sporcata dal sale delle lacrime.
Infine si tira indietro, e lo guarda dritto negli occhi.
«Ci arriverai, vero?» gli domanda, le iridi ambrate ed eccitate, stillanti fame e voglia di vincere.
Sulla cima del mondo.
«Ci puoi giurare.»
Hinata allora sorride, mentre diviene sempre più sfarfallante e trasparente.
«Nove.»
«E dieci.»
Fino alla fine. Per sempre.

Quando Kageyama riapre gli occhi, si ritrova sdraiato sul freddo pavimento della palestra. Ha le guance ancora appiccicate di lacrime, ma c'è un profumo di arancia che aleggia nell'aria.
È dolce, inconfondibile. È il suo.
Kageyama si sente più disperato e solo che mai.
Eppure inspira, si rialza, ordina la palestra, e un passo dopo l'altro, va avanti.


Note d'autrice

Sono una persona semplice: esce la notizia che Haikyuu la settimana prossima finirà definitivamente, allora scrivo cose tristi.
Comunque, è la mia prima storia angst/deprimente, abbiate pietà, è uscita veramente a cazz-ehm, di getto. Sì.
Vabbè, grazie a tutti di cuore per la lettura! ♥ Dimenticavo, la frase iniziale in corsivo è una citazione presa dal libro 'Alice nel Paese delle Meraviglie'.

  
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