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Autore: beavlar    11/07/2020    4 recensioni
Fili e Kili sono morti, hanno sacrificato tutto per il loro re, per la loro gente, ora anche Thorin dovrà rinunciare a tutto, ai suoi pregiudizi, alle sue idee, alle sue alleanze, per il suo "tesoro" e il suo popolo.
Dall'altra parte una mezz'elfa divisa tra due razze, dovrà invece fare i conti con il suo oscuro passato, accettando se stessa e accettando accanto a se il re di Erebor.
Due animi carichi di dolore e rimorsi, in cerca del loro posto al di sotto della Montagna e al di sopra delle stelle.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Preghiere inascoltate


 






 

Una voce in lontananza comparve leggera.
 
Cantava.
 
Una voce cristallina come l’acqua sulla sabbia e triste come l’appassire degli alberi.
 
La voce si spezzava tra una parola e l’altra: martelli e onde gli si sovrapponevano.
 
Una luce accecante la investì.
 
Delle mani le accarezzano il viso: così dolci.
 
Dei ciuffi argentati le solleticarono il naso facendola ridere di gusto.
 
“Gadril.”
 
Due labbra gentili le si poggiarono sulla fronte e lacrime calde le caddero sulle guance.
 
No, non piangere, ti prego.
 
“Mamma ti ama, mamma ti ama tanto.”
 
La luce cominciò a spegnersi.
 
No non te ne andare via.
 
“Aule a Yavanna lothron tegi- cin, nin dilthen tinu… Amin mela lle.”
 
Il buio poi arrivò.
 
Era di nuovo sola.
 
No basta ti prego non voglio piu’ rimanere sola.
 
Dimmi chi sei.
 
Dimmi cosa vuoi.
 
Dimmi chi sono io.
 
Non voglio piu’ combattere.
 
“Ti prego Durin, ti prego…”
 
Un sussurro, roco e familiare, così lontano da lei, ma così vicino al suo orecchio da farla voltare nel buio: ma non c’era nulla.
 
 “…ienile il …cio.”
 
Delle voci cominciarono a interrompere il silenzio che saldo tentava di rimanere tale, tanto pressante da farla quasi soffocare: una miriade di voci, una diversa dall’altra che sembravano sia urlare che bisbigliare allo stesso tempo.
 
“Pass… quelle bende.”
 
“Come… arrivata fi… ui?”
 
“E’ stata una sciocca, il come non cambia il risultato.”
 
“Spostati lascia fare a me: è congelata”
 
Una finalmente le arrivò chiara: una voce femminile, profonda e ferma che le risuonò nella testa deformando le parole che aveva appena detto rendendole simili ad una preghiera, a un’invocazione. Era sicura di non averla mai sentita prima ma nei suoi pensieri si formò chiaramente un viso di una nana con una lunga treccia nera e gli occhi azzurri impauriti con la schiena poggiata sulla fredda roccia.
 
 “Thorin, devi farti vedere quella ferita sul volto.”
 
Quel nome ebbe la forza di scuoterla facendo agitare il buio pesto che la circondava rendendolo ancora piu’ freddo, avvertendo quella mancanza costante che le era appena stata fatta notare.
 
No, non poteva essere lì, lui era così lontano da lei, ma lei dov’era, via lei era via, la neve, il freddo, il sangue, tanto sangue e quel dolore, no, no lei non sentiva piu’ nulla, no, lei non c’era piu’, eppure sentiva, riusciva a sentire.
 
Frammenti le si cominciarono a presentare davanti, infrangendo l’abisso; alla neve e al freddo si andarono ad aggiungere nuovi tasselli: i mannari, la sua corsa disperata, la schiena che batté contro la dura roccia, le urla e gli ululati e poi il suo nome, urlato a squarciagola e un mantello blu che le coprì la vista.
Era morta vero?
 
“Sto bene, pensate a lei.”
 
Questa volta lo sentì chiaramente, era lui, era davvero lui, ma se lui era lì, perché non lo vedeva? Perché non riusciva a vederlo?
 
Urlò con tutta la forza che aveva in corpo era qui che era lì che lo sentiva, lei era lì, lo cominciò a supplicare al vuoto sotto di lei, all’immensa oscurità che la celava e che la sormontava immensa opprimendola e schiacciandola.
Provò a urlare il suo nome, un’altra volta, squarciando l’aria in un urlo silenzioso: se ci fosse stato avrebbe dovuto sentirla, doveva vederla, lei lo sentiva.
 
Il nulla continuava a inghiottirla.
 
Forse era morta veramente.
 
Non sentiva piu’ nulla, non un’emozione, non un battito del suo cuore, non un filo di vento, solo quelle voci, la sua voce.
Lo aveva promesso, aveva promesso che sarebbe tornata con lui, che sarebbe stat a Erebor con lui, che gli avrebbe detto tutto, tutto su chi era, su cosa sarebbe stata, di come l’avesse fatta sentire in ogni momento, di come volesse stare al suo fianco, di come avrebbe finalmente forgiato una spada come le aveva insegnato, di come non sarebbe piu’ stata petulante nelle loro lezioni, di come d’ora in poi sarebbe sempre uscita su quel balcone, di come casa sua era lui, e sarebbe sempre stato lui, che l’aveva fatta sentire degna di essere viva facendo crollare tutti i muri che si era costruita per difendersi.
 
Ti prego, ti prego so che ci sei ti prego non lasciarmi… non di nuovo… ti prego ti prego.
 
 Urlò nell’oscurità con tutto il fiato che aveva in corpo, lasciando che si svuotasse del tutto, ma tutto quello che le uscirono dalla bocca furono poche sillabe, ma che per la prima volta le arrivarono alle orecchie stracciando l’oscurità che la tratteneva lì.
 
“T-thorin.”
 
Un gemito sommesso le uscì tra le labbra esalando un breve respiro e subito le fece male il petto: lo sentiva schiacciato su di se come se un macigno le ci fosse posato; l’oscurità che l’aveva trattenuta cominciò a dilatarsi ma con il diminuire di questa comparirono anche i suoi sensi: cominciò a sentire caldo, tanto caldo, un odore opprimente di legno bruciato, sangue ed erbe le entrò nelle narici disgustandola nel frattempo che gli occhi si aprirono lentamente, che provavano a chiudersi ogni volta che tentava di guardare oltre le ciglia nere.
Fu abbastanza però da intravedere i primi colori sopra di lei: una luce rosa e arancio arrivava dalla sua destra illuminando la roccia grigia che riusciva a intravedere seppur offuscata; non era piu’ sotto il cielo stellato e quasi sicuramente non era piu’ notte nemmeno.
 
“Si sta svegliando, avrò bisogno che qualcuno la tenga ferma.” Una voce dura risuonò profonda nella penombra rimbalzando da una parte all’altra delle pareti rocciose che solo flebilmente era riuscita a distinguere facendole male alle orecchie tanto da stringere sotto di se lievemente i palmi dal dolore percependo una pelliccia calda sotto le sue mani.
 
“Dis… va. Rimango io qui.”
 
La sua voce ancora, profonda e roca le giunse alle orecchie, un richiamo che non avrebbe mai scordato, che le cominciò a scavare nel petto facendole mancare il respiro che continuava a sentire debole e piu’ tentava di prendere aria piu’ questo le diventava lieve.
Inaspettatamente arrivò l’aria di nuovo: sentì la sua testa essere sollevata e poggiata su qualcosa di soffice e poi una mano poggiarsi sulla sua fronte delicatamente; un palmo ruvido e irregolare le accarezzò leggermente la fronte prima di premersi su questa con fermezza.
Era già stat toccata così, si era aggrappata tra le lacrime in una mano così, ne aveva solcato ogni cicatrice e ogni callo ruvido, ne aveva desiderato il tocco, aveva sognato quel tocco tante volte.
 
“T-thorin.” Come guidato il pensiero prese forma e la accompagno nell’aprire finalmente gli occhi lasciando una flebile luce accompagnarla a mettere a fuoco ciò che aveva davanti: dapprima vide come prima solo macchie scolorite, sovrapposte l’un’latra, un misto di blu, grigio e nero poi i contorni si fecero piu’ nitidi e come un disegno che si completò riuscì finalmente a guardare sopra di lei.
Seguì il tessuto scuro della manica della cotta che avvolgeva il braccio sopra la sua testa, oltrepassò una pelliccia chiara macchiata di sangue e neve, salì ancora piu’ su’ dove ciocche di capelli neri e grigi si andavano a intrecciare l’un l’altra a concludersi in una treccia fina; spostò ancora di piu’ lo gli occhi e un rivolo di sangue rappreso solcava la lunga barba scura formatosi dal un taglio che spaccava a metà il labbro dal quale risalì studiando i tratti duri fino a incontrare quegli occhi.
Thorin le teneva la testa sulle sue ginocchia con la mano ferma tra l’attaccatura dei suoi capelli e la fronte, studiandola con lo sguardo trasmutato in un misto di rabbia e apprensione, che aumentò  solamente nell’istante stesso che si accorse che lo stava guardando.
 
“Non ti muovere, sta ferma.”
 
Non ebbe neanche la forza di annuire, quando ci provò la testa le cadde nuovamente piu’ giù, verso il tessuto delle sue brache: la testa le girava vorticosamente e nel suo girare la portava sentirsi sempre piu’ stanca e farle formicolare ancora di piu’ il corpo che sembrava essere totalmente straccato dalla sua coscienza ma il cui dolore era vivido e pulsante.
 
“T-thorin.” Mormorò ancora sentendosi cadere nuovamente nell’oscurità, voleva dormire, aveva tanto sonno, le faceva male il petto, le faceva male il braccio, doleva tutto; poggio di più’ la guancia verso i suoi pantaloni andando a cercare quel calore, cullata come quella notte dai battiti impercettibili del suo cuore, dalla mano che ora invece che sotto la sua guancia le teneva la fronte.
 
“No, no, devi aprire gli occhi mi hai capito, Ghìda guardami.”
 
Guardami maledizione!
 
La sentì urlate nell’aria, si rivide in quella biblioteca con le lacrime che spingevano per uscirle dagli occhi, ma questa volta si era voltato, perché si era voltato? Il viso era solcato da un profondo taglio e le sue mani erano sotto il suo mento la tenevano su, la invitavano a guardarlo.
 
La realtà con i ricordi si andarono o nuovamente a sovrapporre in una tortura talmente piacevole che volle non finisse mai.
 
“Tieni la testa alta e guarda me.”
 
E così fece: lo guardò, tentando con tutta la forza che aveva tentò di mantenere gli occhi aperti il più’ che riuscisse, lottando con quel desiderio di lasciarsi andare un'altra volta. Passò gli occhi oltre i ciuffi neri dei capelli che si alternavano con quelle simile a cenere attaccati al volto sudato e macchiato di sangue.
Le sembrò di risentire i martelli in lontananza, i battiti del suo cuore che si andavano a fondere con gli svapi delle fucine e la fuliggine che gli macchiava il volto come la polvere e i grumi di sangue lo macchiavano in quel momento.
 
“Ora riesco a prenderti piu’ sul serio re sotto la montagna.”
 
Tentò di alzare la mano che riusciva a muovere, quella che ancora riusciva a percepire come reale e viva, distesa accanto al suo corpo: l’unica barriera che ancora divideva lei e Thorin dal potersi toccare. Un lieve gemito di dolore le uscì dalle labbra quando, con cautela e lottando con le fitte, alzava sempre di piu’ il braccio incapace di staccare i suoi occhi dai suoi.
Come era già successo  il mondo cominciò a scomparire frantumandosi, lasciandola sola con lui in un’infinità di nulla che non fossero i due pozzi blu che non fecero altro che far comparire di nuovo quella forza nel ventre che aveva pensato si sarebbe attenuata con il tempo, che aveva percepito attenuarsi giorno dopo giorno, ma in quel preciso istante capì di essersi sbagliata.
 
Si era sempre sbagliata.
 
Lei era una guerriera e lui era la battaglia che mai sarebbe stata in grado di vincere.
 
Le sembrò per qualche attimo la cosa piu’ bella che il mondo avrebbe mai potuto regalarle, un dono che non sentì di meritare ma che sentiva di aver cercato per tutta una vita non sapendo neanche che cosa fosse, come un cieco che cercava la luce non conoscendone neanche la provenienza.
Thorin tentò di dire qualcosa ma si bloccò immediatamente quando riuscì a poggiare le sue dita sulla sua guancia: il solo muoverle le provocò un dolore lancinante.
Anche se non era il braccio ferito lo percepì come bruciare a contatto con l’aria fredda e le dita sgretolarsi l’una sull’latra mentre accarezzavano con la loro punta la mandibola spalancata;
la collera scomparve all’istante dal suo viso e lo vide socchiudere lievemente gli occhi mormorando silenzioso qualcosa tra le labbra ma non riuscì a sentirlo, riusciva malapena a sentire ciò che le accadeva intorno, come il mormorio burbero che seguì accompagnato dall’odore di erbe, che prima era solo leggero nell’aria, farsi sempre più acuto misto improvvisamente a un odore di bruciato.
 
Lo sguardo di Thorin saettò via dal suo ridestandola da quel tepore in cui stava di nuovo cadendo e lo puntò di lato verso la fine del suo corpo dove il freddo pungente le premeva sulla pelle e dove sentiva quel macigno spingerla giu’,rendendole impossibile anche solo pensare di muoversi; lo vide annuire con il mento e poi la guardò di nuovo in un modo strano: la bocca era lievemente aperta e il viso sembrò essere spaccato a metà tra la tristezza piu’ profonda e una decisione inevitabile.
 
Sentì la mascella scattare sotto le sue dita e con un movimento lento ma inesorabile le lasciò la fronte e spostò la mano verso la sua poggiata sulla sua guancia insinuando le dita sotto di esse e portandola giù verso la parte della sua coscia libera imprigionandole la mano: il calore del suo viso aveva fatto spazio al freddo del cuoio e dei lacci di pelle dei paranocche che sembrarono diventare piu’ rigidi quando chiuse il pugno intorno al suo palmo.
 
“Stringimi la mano e non lasciarla sono stato chiaro, non lasciarla per alcuna ragione.” Le ordinò dapprima rigido ma la sua voce andò a modificarsi, a metà frase suonandola alle orecchie come una supplica mal celata dalla sua autorevolezza.
Avrebbe voluto rispondergli ma la gola si chiuse su se stessa rendendola incapace anche di mormorare una sillaba; per tutta risposta quindi fece l’unica cosa che riuscì senza problemi, forse l’unica se sarebbe stata sempre di compiere senza problemi.
Staccò gli occhi dai suoi abbassandoli vero le loro mani l’una nell’ altra: seppur la forza che stava impiegando Thorin a stringerle il palmo era notevole, questa diminuì quando comincio a muovere le dita in mezzo alle sue che si aprirono alla sua minima forza permettendole di congiungerle in una morza che con suo enorme stupore lui ricambiò stringendole le dita con egual ardore quasi a farle male.
 
Thorin probabilmente se ne accorse perché diminuì leggermente la presa permettendo però alle sue dita di insinuarsi ancora di piu’ la tre sue nel frattempo che queste venivano tirate sempre piu’ verso la cotta blu del re vendo poggiate tra la pelliccia candida e calda e il freddo delle zecche di ferro che costellavano l’armatura.
 
Una leggera pressione sull’addome le fece socchiudere gli occhi  di nuovo portandola a mordersi il labbro impaurita, non riusciva a vedere cosa le stava succedendo, ma sentiva chiaramente delle dita poggiate sul suo fianco che le provocarono un sordo formicolio che si espanse per tutta la schiena.
E poi un rumore secco, come uno schiocco e una seconda mano poggiata ben piu’ sotto all’altezza del suo ventre che con forza la comincio a tenere giù’ e una paura incontrollata la fece scattare rendendola nuovamente lucida.
L’istinto di sopravvivenza prese il sopravvento e con tutta la forza che le rimase aprì ancora di piu’ gli occhi tentano di tirarsi su o di voltare la testa verso il basso e quello che vide la fece irrigidire: Dwalin era inginocchiato accanto a Thorin ed era la sua mano quella che le teneva il ventre, mente l’altra era all’interno della sua bocca da dove tirò fuori un composto verde e viscido nel frattempo che manteneva il viso fisso sul suo ventre che lei però non riusciva a vedere.
Il respirò le accelerò e appena questo accadde la mano libera di Thorin le si andò a poggiare sul petto in mezzo allo sterno facendo pressione tenendola ferma come faceva l’altra mano, impedendole di alzare ancora di piu’ il petto.
Terrorizzata cercò il suo sguardo per una risposta ma questo era fermo, di ghiaccio, scavato da uno sguardo che le chiedeva silenziosamente perdono.
 
E poi accadde: un dolore lancinante la fece irrigidire e urlare con tutto il fiato che avesse in corpo, dilaniata da un fuoco che dal ventre arrivò fino alla mano stretta a quella di Thorin che strinse con tutta la forza che possedeva.
 
BASTA!
 
Avrebbe voluto urlare ma quello che le uscì dalla gola fu solo un ennesimo urlò che dilaniò l’aria; inarcò la schiena tentando di divincolarsi dalle mani dei due guerrieri  che glielo impedirono trattenendola giù ferma e rigida: l’unico modo che ebbe per sfogare quella tortura fu attraverso delle lacrime che cominciarono a solcarle il viso.
Tentò di trattenere un terzo urlo che però fu il piu’ alto di tutti, che fece irrigidire tutto l’accampamento che li circondava e anche Thorin: se avesse potuto fermare tutto l’avrebbe fatto, in quel momento se avesse potuto farsi carico di quello che stava patendo l’avrebbe fatto, lui lo aveva già sopportato e troppe volte e il solo pensiero che ora lo stesse patendo Ghìda lo uccise; allargò le dita permettendole di stringersi con ancora piu’ forza alla sua mano e aumentò la forza sul suo petto chinandosi con tutto il peso su di lei.
 
“Sta ferma e respira!” Ruggì in un dilaniante ordine a chiunque negli astri stesse guardando quella scena e a lei, che imperterrita sembrava ignorare i suoi ordini:  infatti sembrò non ascoltarlo perché un ennesimo spasmo del suo corpo gli fece aumentare così tanto la forza che ebbe paura di spaccarla in due.
 
Dwalin inginocchiato accanto a se la spinse un alta volta giù insinuando le dita nelle ferite aperte sul suo corpo, passando piu’ volte l’impasto di matricale e saliva sulla sua superfice delle ferite infette, ma per quanto tentasse di procurarle meno dolore possibile, questo era inevitabile: le ferite erano troppo gravi, talmente gravi che si chiese piu’ volte se ne valesse la pena, se avesse senso farla soffrire in questo modo, ma la disperazione negli occhi di Thorin quando l’aveva portata tra le braccia all’accampamento di fortuna grondante di sangue e neve gli era stata troppo familiare, e nel nome di Durin non lo avrebbe fatto soffrire così un'altra volta, non ora che quell’orgoglioso idiota sembrava dare segni di vita di nuovo.
Non dopo tutto quello oche avevano passato insieme, non dopo quel sorriso sciocco e infantile che aveva donato al terreno sotto di lui mentre parlava di lei.
L’avrebbe salvata, avrebbe salvato una mezz’elfa, un essere che avrebbe dovuto odiare e che avvolte si ritrovava a disprezzare con tutto se stesso, ma se lei era l’unico modo di salvare Thorin allora l’avrebbe tenuta in vita a costo di far sentire le sue grida fino all’altro capo del mondo.
 
Thorin all’ennesimo urlo socchiuse gli occhi e le fissò il viso solcato dalle lacrime e compì un gesto che mai si sarebbe aspettato di compiere, dettato da una paura incalzante che aumentava ogni minuto: le poggiò la fronte sulla sua insinuando il naso nei suoi capelli e poggiandole le labbra sulla tempia.
Che lo avessero perfettamente visto tutti non gli importò, non gli importò neanche delle conseguenze di quel gesto, di tutto quello che avrebbe significato farsi vedere così debole dagli altri intorno a lui che lo avrebbero visto senza armatura alcuna, delle domande che avrebbero ricevuto una risposta dopo quel gesto o alle allusioni che sarebbero state fatte.
 Le sussurrò nell’orecchio delle parole che non seppe neanche lui da dove uscirono se dalla paura o dal dolore che quella situazione gli riportava alla mente, ma alla fine la bocca sulla sua pelle fredda e sporca di sudore freddo mosse quelle parole che in quei giorni gli erano sembrate impossibili, ma che ora gli sembravano l’unica cosa importante da dirle.
 
“Ghìda… rimani con me…ascoltami e rimani con me.”
 
Rimani con me.
 
Quelle parole risuonarono nella testa di Ghìda svegliandola e dandole quel minimo di forza che le mancava per trattenere l’ennesimo urlo che questa volta non uscì, rimanendo bloccato nella sua gola; le lacrime varcarono per l’ultima volta le sue palpebre andando a insulari nel collo, fondendo il dolore e il piacere che dal suo ventre si fermava sulla su fronte dove una pressione calda e gentile andò ad annullare tutte le fitte.
Ma appena questo sparì, sentì anche se stessa sparire: l’ oscurità che si faceva sempre piu’ reale, sempre piu’ vicina e infida, si frappose tra le sue dita e quelle di Thorin, fra quella sensazione di colore e la sua fronte e si sentì cadere di nuovo.
Le dita scivolarono inesorabili via dalle sue, il viso cominciò ad abbassarsi di nuovo verso i suoi pantaloni poggiandosi su questi lasciando che la stanchezza prendesse il sopravvento, lasciando che venisse cullata via da lì, che quella sensazione irradiasse tutto il suo corpo: non sentì piu’ nulla, né Thorin, ne Dwalin, né le pellicce sotto di lei, né il calore dell’alba, solo una parola segnò il suo scivolare di nuovo via dalla realtà.
 
Erebor.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Aprite le porte, fatelo subito.”
 
La voce di Balin risuonò come un monito per tutto il bastione facendo irrigidire immediatamente le guardie poggiate sulle immense colonne verdi che all’ordine fecero partire un eco di voci che dal balcone arrivò fin sotto le scale riecheggiando da guardia a guardia, da muro a muro mettendo tutto l’atrio del regno in allerta.
 
Il vecchio nano strinse con forza la pietra del pinnacolo sotto le sue mani affacciandosi ancora meglio facendosi forza con le mani, sempre piu’ angosciato dalla scena che si ergeva tra la distesa di neve e pietra sotto le mura di Erebor: tre erano i pony, ma quattro i cavalieri.
Dovette piu’ volte sbattere gli occhi prima di distinguere le forme del fagotto trattenuto tra i teli che Thorin stringeva al petto tra le redini del pony e se stesso: era da giorni che sperava che quello non sarebbe accaduto e invece era proprio quello che era successo.
Se l’era auspicato dal primo istante in cui la sua mancanza era stata notata, da quando le guardie reali gli avevano riportato che il cibo non veniva toccato e lasciato fuori l porta e da quando un gruppo di bambini era rimasto per ore fuori dalle sale del palazzo in attesa.
Fu proprio quello a mandarlo in allarme, eppure era una cosa che si sarebbe dovuto aspettare e si sentì uno sciocco a non averlo previsto, al non aver neanche lontanamente immaginato, dopo quella discussione urlata a pieni polmoni dalla biblioteca, che la ragazza non avrebbe ignorato gli ordini di Thorin: era metà nana dopotutto;  se c’era una cosa che accumunava tutte le nane legate dal sangue dei sette padri era la loro lealtà e la loro insubordinazione anche al minimo ordine se questo le avesse intralciate nei loro obbiettivi.
 
Lo scricchiolio degli ingranaggi e il successivo strusciare delle travi dorate della porta principale gli fecero voltare lo sguardo dietro di se e frettolosamente si incamminò oltre colonne di pietra seguito dal manipolo soldati rimasti al suo fianco imboccando a passi veloci le imponenti scale che si aprivano sull’atrio dorato dell’ ingresso.
 
L’ordine del fidato consigliere del re e l’agitazione delle guardie nell’eseguirlo aveva bloccato il via vai di nani nel colossale corridoio ammutolendoli all’istante e rendendoli degli spettatori increduli alla visione di ciò, o meglio di chi entrò dall’entrata dorata che si spalanco con un basso cigolio ; ma lo stupore generale si trasformò ben presto in un’angoscia silenziosa, quando a tutti fu palese chi il re stesse trattenendo tra le braccia mentre il sui pony, seguito dai due guerrieri di scorta, varcò la soglia.
Avvolta in una pelliccia chiara, sulla sella del pony del re e sporca di sangue, la futura regina era provata e priva di sensi con il viso poggiato nell’incavo del collo di Thorin Scudodiquercia: questo al teneva stretta a se con un braccio a se mentre con l’altra mano tratteneva le redini; il manto del pony attraversato da sporadiche macchie di sangue nero, così come le sue vesti e il viso, mischiato però anche a quello del re che, rappreso, gli macchiava il taglio sulla bocca e la fronte.
 
Le guardie dietro Balin furono repentine: accelerarono il passo e andarono a bloccare le redini, liberandogli la mano dai lacci di cuoio e permettendogli di portare la mano sotto le gambe del corpo debole che ancora teneva tra le  braccia.  Lo sguardo autoritario si poggiò sulle guardie accanto a lui e gli fece un cenno con il mento ad avvicinarsi nel frattempo che faceva scivolare le gambe di Ghìda oltre il collo del pony.
 
“Portatela nelle sue stanze, ha bisogno di cure urgenti, e fatelo ora.” L’ordine di Thorin fu diretto e preciso abbastanza da non far indugiare nessuna delle guardie intorno a lui che si avvicinarono abbandonando le picche ad altri compagni allungando le mani verso quelle del re prendendola tra le braccia e tirandola giù dalla cavalcatura.
 A sorpresa delle due guardie, a sorreggerla ancor di più e a rendere quella operazione piu’ semplice, si intromise uno dei due nani , dai folti capelli rossi, che avevano accompagnato il re che silenziosamente si avvicinò dietro di loro e li aiutò a tenerla dritta nel processo ricevendo un gesto  con la testa di ringraziamento.
 
Balin si affrettò giù dagli ultimi gradini della scala correndo verso Thorin e l’insieme di guardie che gli si era formato intorno, non riuscendo a controllare gli occhi che saettarono sulla ragazza avvolta nel mantello sorretta dalle guardie e poi verso di lui che ne seguiva attentamente ogni movimento.
 
“Thorin, cosa è successo?” Gli chiese avanzando verso il fianco del suo passando lo sguardo attento tra le sue ferite sul viso voltato di lato che non osava staccarsi da lei neanche per un istante, neanche quando gli pose quella domanda, sembrò totalmente estraniato da ciò che gli stava accadendo intorno.
 
Thorin scostò lo sguardo dalla ragazza e lo puntò verso di lui rimanendo in sella al pony. “Quello che ci eravamo aspettati.” L’affermazione lasciò poco a l’immaginazione, specialmente quando sapevano entrambi cosa avesse smosso Thorin al di fuori del palazzo dunque i corvi avevano detto il vero. Questa sua constatazione sbrigativa però non rispose all’assenza dei restanti membri della compagnia o ancor peggio, del gruppo di nani e soprattutto, di Dìs.
 
“Tutti gli altri dove sono?” A quella domanda lo vidi incupirsi sempre di piu’, distogliendo lo sguardo esitando nel rispondergli prima di essere scosso da un brivido e cominciare a scendere dal pony muovendo le gambe di lato alla sella.
 
“Sono a due giorni da qui, Dwalin, Nori e Bofur sono rimasti con la carovana.”
 
“Dìs…”
 
“E’ viva.” Rispose netto il re poggiando i piedi sul pavimento di pietra verde socchiudendo gli occhi  di scatto come se una fitta improvvisa lo avesse attraversato dalla testa ai piedi schiacciandolo.
 
“Thorin...”
 
“No.” Sputò talmente rabbioso da far voltare verso di lui ogni capo nell’androne, per lo meno quelli che già non lo fissavano da quando era entrato nella Montagna, non dandogli neanche la possibilità di dibattere, ma lasciando trasparire una fitta di dolore negli occhi seguito da un suo appigliarsi alle redini del pony accanto a se quasi perdendo l’equilibrio.
 
Balin lo notò solo ora: il mantello in cui era avvolta la ragazza era il suo, aveva cavalcato con quel gelo senza protezione alcuna e solo grazie a questo riuscì a notare gli strappi sull’armatura o come questa fosse coperta di sangue purpureo e fresco, molto fresco, troppo, quel sangue non era solo della  ragazza, era anche il suo; la bocca gli si aprì osservando il profilo ansimante che seppur contrito non riusciva a non voltarsi verso il corpo di Ghìda steso su una lettiga di fortuna, usata per i soldati feriti rientrati dalle brevi spedizioni fuori da Erebor, scosso dai respiri irregolari e dai brevi vagiti di dolori tra questi.
 
Cosa le era successo per essersi ridotta così?
 
E quella domanda parve non porsela solo lui: diversi furono gli sguardi apprensivi dei nani che avevano fermato il passo, che a dire la verità non si sarebbero mai immaginato, non per lei. Mai da parte del popolo di Durin che invece avevano i volti tutti voltati verso di lei: chi aveva la bocca spalancata oltre le barbe ispide e decorate o chi respirava affannosamente che facevano tremare i lunghi pendagli nei capelli delle nane.
 
Solo un rumore fu piu’ alto dei respiri pesanti: un correre veloce di piccoli passi alternati uno all’altro rimbombante per le colonne che divenne sempre piu’ netto e deciso, fino a che non si interruppe di botto, seguito solo da un respiro profondo e da uno strillo.
 
“Ghìda!” La voce fu altra, acuta…infantile: spezzò il silenzio tra le colonne di marmo facendo voltare gli sguardi o ancora piu’ sul corpo dilaniato o verso la provenienza della piccola vocina che aveva urlato quasi sul punto delle lacrime.
 
Le braccia forti di Lòni trattennero la piccola Nìm che dopo l’urlo aveva cominciato a correre, ma prontamente era stata bloccata dalle sue braccia che la stringevano da dietro impedendole di muoversi oltre l’norme braciere dove si erano affiancati insieme a tutti gli altri.
Suo fratello aveva la bocca spalancata, Drel e Trel invece tenevano stretta alle loro gambe la piccola Mar risparmiandole quella vista che per tutti e sei fu atroce: è morta vero?
Questa la paura che attanagliò le viscere della piccola nana puntando gli occhi verso la mano di Ghìda che pendeva giù dalla lettiga e prontamente tirata su dà una mano che conosceva: lo guardò in viso cercando una certezza che però gli occhi di suo padre, nascosti dalla paura e dalle trecce rosse che gli scesero sul viso, non riuscì a darle, facendola stringere tra le braccia di Lòni ancor di piu’.
 
Balin si affiancò velocemente a Thorin trattenendogli il braccio repentinamente quando lo vide  tentare di muovere qualche passo, reprimendo un lamento, dandosi un ennesimo slancio per cominciare a camminare verso l’entrata del palazzo: ridotto in quel modo sarebbe stato perfino difficile per lui arrivare perfino oltre le alte colonne della volta.
 
“Thorin sta fermo.”
 
“No, sto bene.” Si allontanò ansimante lasciando andare le redini del pony e compiendo un paio di passi in avanti forzandolo a lasciare la presa. “Manda un corvo agli Ered Luin, fallo subito, la strada sud non è sicura.” Ordinò sbrigativo ma autorevole il re muovendo qualche passo in avanti facendo rimbombare le sue parole nel silenzio che si era venuto a formare, e appena fu notato da tutti i presenti quanto fosse in realtà inopportuno, ripresero i loro passi e le loro strade, non riuscendo però a trattenere qualche occhiata lanciata dietro di loro.
 
Tranne quei bambini, loro rimasero fermi, osservando il re solo di sottecchi, vegliando da lontano sul corpo della ragazza, ricevendo da un rapida occhiata, che no riuscì a vedere, ma fu sicuro che non fu delle piu’ rassicuranti, perché il piu’ grande di loro che fino a quel momento aveva mantenuto gli occhi azzurri seri si lascio andare a un sospiro sommesso, simile a quello che esalò Thorin quando si dovette fermare per un ennesima fitta.
 
 
“No tu non stai bene, dobbiamo portarti nelle tue stanze.” Insistette tentando un'altra volta di afferrargli il braccio con la mano ma questa nuovamente venne spinta via da un suo scossone e da un’occhiata infuocata che mai gli era stata rivolta, specialmente da lui: non, Thorin Scudodiquercia non era in se, quello che aveva davanti era un altro nano.
 
“Posso farlo da solo.” Sputò e cominciò a camminare sopprimendo nella gola i gemiti che però rimbombarono nel silenzio piu’ assoluto dell’androne facendo aprire le guardie a ventaglio quando passava e alcune tra queste aprirono anche la bocca per offrirgli il loro aiuto, ma con tutta probabilità il loro parlare era stato bloccato dalle fiamme che sembravano divampare dal corpo del re di Erebor.
 
Avanzò dritto per diversi piedi trascinandosi con passi pesanti e sofferti a stento con una mano sul fianco e l’altra dritta verso il basso, attraverso le due enormi statue rappresentanti antichi guerrieri, illuminato dalle torce calde che rendevano a tutti palese la vera gravità delle sue ferite, ma nessuno, rispettando i suoi voleri lo interruppe, neanche quando si piego su se stesso cadendo in ginocchio gemendo di dolore afferrandosi con ancora piu’ forza il fianco.
 
Ma a Balin del suo dannatissimo orgoglio da re in quel momento non interessava affatto: si mosse veloce e si chinò su di lui afferrandogli il braccio per aiutarlo a tirarsi su e far smettere quella sciocchezza.
 
“Vieni ragazzo, vieni, ti accompagno io. Devi stenderti.”
 
Lo guardò severamente, ma ben presto le sopracciglia contrite fecero spazio a un’espressione carica di gratitudine; non si scostò lasciando che gli potesse passare il braccio sotto le spalle e trattenergli con l’altro che adagiò debolmente sulla sua spalla permettendogli di alzarsi con calma da terra e di rimettersi in piedi con il minimo sforzo.
 
Balin cominciò a muoversi in avanti ma i piedi del re rimasero bloccati e il suo sguardo estraniato al suo fianco, verso la barella che veniva alzata con delicatezza da terra sorretta da quattro guardie sulle spalle: con il viso pallido, i capelli macchiati di sangue e sciolti lungo il bordo della barella, sembrava quasi un talamo funerario. Un pensiero che annebbiò anche i pensieri di Thorin facendolo scattare.
 
Sentì i muscoli del re irrigidirsi di colpo e un respiro tremolante oltrepassargli le labbra. “Che nessuno lasci la sua stanza, controllatela a vista.”  Sibilò glaciale, un misto di autorevolezza e furia che non gli era mai appartenuta, ma che adesso sprigionava con ogni parola e ogni gesto. “E mandate a chiamre Òin, che presieda ogni singolo momento.” Mormorò piu’ basso cercando una calma ormai perduta e distogliendo lo sguardo dal viso pallido di Ghìda per poi muovere i primi passi seguendo l’esempio di Balin.
 
Con il braccio cinto sotto le sue spalle, Balin si fece largo tra la folla di nani che senza neanche un ordine si dilatò all’istante lasciandogli lo spazio per poter proseguire verso le sale del palazzo, ma l’essersi fatto spazio tra loro, non volle dire far smettere anche i loro sguardi preoccupati verso la figura del re che zoppicante continuava a camminare imperterrito con il busto alto ma con il volto perennemente abbassato celando i guizzi di dolore sotto i capelli neri.
 
A ogni passo che compivano per le scale di marmo verde poté sentire chiaramente dei sussulti strozzati attraversare la gola del re al suo fianco che tentava in tutti i modi di trattenere  cingendolo ancora di piu’ con il braccio ma per Balin fu facile sentire invece i suoi spasmi dei  muscoli della schiena.
Non si sarebbe mai mostrato debole, in difficoltà forse, ma il suo orgoglio gli aveva sempre proibito e vietato di mostrarsi debilitato a compiere i suoi doveri, sin da quando era un principe e non saltava un consiglio accanto a suo padre pur essendosi allenato il giorno prima tanto da far sanguinari palmi delle mani, o nelle Montagne Azzurre, dove della disperazione dei primi tempi lui era sempre stato l’unico a mostrarsi forte per dare forza a tutti quanti, mese dopo mese, anno dopo anno.
 
Gli sguardi preoccupati delle guardie e dei nani a ogni scalino che salivano non facevano altro che rendere Thorin ancora piu’ rigido a fargli alzare ancora di piu’ la schiena costringendolo a stringere il braccio intorno alle sue spalle ancora piu’ fermamente, vedendosi costretto anche a fulminare con lo sguardo qualsiasi guardia tentò di avvicinarsi vedendolo in quello stato. In ogni caso però i mugugni sommessi rimbombavano per il silenzio creatosi al loro passaggio facendo rizzare le spalle a ogni donna, uomo e bambini che incontrassero e che scavalcassero, fino a che questi cominciarono a scomparire a ogni rampa di scale giungendo sui piani del palazzo, diventando solo un  mormorio di fondo.
 
Arrivarono all’entrata delle sue stanze, sorvegliate da due corvi incoronati da stelle e fu lì che il passo di Thorin si fermò : puntò gli occhi verso la ragnatela di gradini, oltre le grate dorate e il baratro solcato da immense colonne che divideva la sua scala da quella per l’ala delle stanze dei principi e delle regine. Su di queste infatti si poterono vedere già, guaritori e guardie, che rumorosamente facevano avanti e indietro per portando bende, erbe e barili colmi di acqua, preannunciando l’arrivo imminente della ragazza.  Thorin passò gli occhi attentamente su ogni nano che nastrava e usciva dalla porta non pronunciando una parola, serrando solo la mascella quando riuscì a intravedere il manipolo di guardie che trattenevano la lettiga.
 
“Devi convocare in assemblea tutti entro domani all’alba, dobbiamo discutere di ciò che è successo, li voglio tutti.” Interruppe il silenzio Thorin con tono monocorde slegandosi dalla sua stretta e con un movimento netto si poggiò con il peso sulla ringhiera dorata trattenendo un ennesimo gemito, prima di digrignare la mascella e con una spinta muoversi nuovamente oltre la soia del corridoio delle sue stanze.
 
“Ora l’unica cosa che devo fare è aiutarti a rimetterti in sesto e poi invierò io corvi verso la carovana così che possano seguirli e domani penserai al resto.”
 
A quel sottolineare la parola Io, Thorin lo fulminò con lo sguardo oltre la spalla, si andò ad addolcire in un silenzioso ringraziamento seguito da un gesto della testa che lo invitava a seguirlo verso le sue stanze ma ancora mantenendo con lui una distanza netta, piu’ che fisica, emotiva: aveva tirato su tutte le sue difese, un'altra volta.
 
Non disse nulla quando gli aprì la porta della sua camera, tenendo solo gli occhi bassi a ogni passo che compiva trattenendosi il fianco con la mano e trascinandosi a stenti verso la stanza illuminata solo dalla luce del giorno che filtrava dalla finestra, con il camino mantenuto acceso, seppur il re non avesse dormito in quelle stanze da giorni: decisone dovuta al freddo gelido che filtrava tra le pareti della montagna, aumentando solo di piu’ notte dopo notte.
 
Arrancando Thorin si avvicinò verso il letto al centro della stanza, coperto di pellicce e coperte nere e dorate così come i tessuti che arredavano le pareti, arricchendo ancora di piu’ lo sfarzo delel venature d’oro che scendevano tra le pareti e il soffitto.
 
Balin rimaneva in silenzio scrutandolo attento che non lo perse di vista neanche un secondo quando chiuse la porta delle stanze del re dietro di se, rendendo ancora piu’ confidenziale la situazione, sicuro che Thorin al rumore dello sbattere della porta si sarebbe lasciato andare ma questo non accadde: neanche un sospiro di sollievo uscì dalle sue labbra.
 
Continuando ancora a dargli le spalle armeggio con  i lacci della cotta sul fianco, mentre una fitta gli attraversò la schiena quando mosse le braccia all’indietro per sfilarsela e la stessa cosa accadde quando si slacciò i para braccia gettandoli sulla sedia canto al letto: ogni movimento gli sembrava una pugnalata inflitta con estrema violenza, l’adrenalina era scesa, e il freddo che gli aveva almeno in parte addormentato il dolore era svanito, facendolo bruciare dal tormento.
 
All’ennesimo gemito, quando Thorin tentò di togliersi la camicia da solo scoprendo anche solo per metà l’enorme segno violaceo sulla schiena,  Balin dovette trattenersi dal roteare gli occhi al cielo e avanzò deciso  verso di lui tentando di reprimere la frustrazione che gli montava tutte le volte che lo si vedeva autodistruggersi.
 
Non dandogli neanche la possibilità di ribattere o anche di vederlo in volto si avvicinò al lato del letto e gli alzò i lembi della camicia scura macchiata di sangue rappreso tanto da potergli permettere di afferrarla con le mani che insistentemente tentavano di scendere oltre le spalle ma senza successo.
“Se vuoi soffrire come una bestia sei sulla strada giusta ragazzo.” Commento piccato non giustificando il suo comportamento infantile e scellerato, ma lo disse con abbastanza calma da fargli rendere conto che il suo era solo un gesto di gentilezza, di fatti annuì con la testa in ringraziamento e mosse nuovamente le mani per sfilarsela del tutto.
 
Avrebbe dato qualunque cosa in quel momento per entrare nella sua testa, sapendo che non avrebbe mai messo a nudo tutta la verità, anche se non ce n’era bisogno.
Eppure gli mancavano dei frammenti, il frammento fondamentale è perché Thorin fosse così fuori di se, avrebbe compreso se fosse stato silenzioso, freddo, perfino amareggiato, ma l’ira incontrollabile che sprigionava da quando era arrivato non riusciva a spiegarsela.
 
“Cosa è accaduto laggiù?” Gli chiese infine senza troppi giri di parole facendo qualche passo indietro e sorreggendosi con la mano alla colonna del letto continuando  a fissargli la schiena segnata da tagli freschi mal rimarginati e svariati ematomi che uniti ne formavano uno sempre piu’ grande che gli attraversava la schiena da parte a parte.
 
“Erano braccati, a sentire le poche parole che sono riuscito a scambiare, già da un paio di giorni: li abbiamo raggiunti al confine con le Terre Brune.” Spiegò serio passando la testa oltre il collo della camicia blu trattando un ennesimo facendo schizzare i muscoli della schiena “Erano troppi, non un branco solo…no…” Per un attimo gli sembrò stesse parlando piu’ con se stesso che con lui, poteva perfino immaginare gli occhi chiari schizzare da una parte all’altra del pavimento. “Quegli orchi erano troppi per essere un branco solo. Tra le carcasse Dwalin ha contato una decina di orchi e il triplo di mannari.”
 
La notizia lo confuse e non poco, così come e fargli salire un terribile presentimento. “Perché dovrebbero piu’ brachi di orchi unirsi insieme?“
 
“E’ questo che non riesco a spiegarmi e che ho bisogno di comprendere al piu’ presto.” E con un ruggito sommesso si tolse finalmente la camicia scura mostrandogli tutte le ferite di striscio sovrapposte a vecchie cicatrici e bruciature che gli attraversavano la schiena, fino alle spalle e al petto mostrate solo quando Thorin si mise seduto sul bordo del letto esalando un sospiro tremante.
 
“Sei riuscito a ridurti peggio di quanto mi sarei mai aspettato ragazzo.” Mormorò preoccupato Balin e scuotendo la testa si diede una spinta sulla colonna del letto e avanzò verso di lui superandolo parendo il primo cassetto della cassettiera accanto al letto, cercando in fondo ad esso ed agguantando con i guanti scuri un rotolo di garze pulite e un sacchettino di velluto rosso, che sapeva che Thorin tenesse sempre a portata di mano, specialmente quando rientrava dagli allenamenti con suo fratello, oppure ancor peggio, quando si presentava con delle ferite autoinflitte a causa della rabbia, come la mano quasi rotta di alcune settimane prima.
 
“Almeno ragazzo fatti pulire quei tagli sulla schiena e sulle spalle.” Thorin lo guardo strappare alcuni frammenti di garze senza ribattere, capendo forse la gravità della situazione in cui riversava anche lui e rimane in silenzio incurvando solo la schiena poggiando entrambe le mani sulle ginocchia in attesa.
 
Balin portò il sacchetto con se verso il letto e gli stralci di bende che aveva creato, sedendosi al suo fianco; con attenzione si sfilò i guanti e li poggiò dietro di se, prima di aprire il piccolo sacchetto e estrarre piccole foglie essiccate tenendole nel palmo della mano, contando poi la quantità in modo accurato, prima di inserirne un pizzico nella bocca studiando prudentemente il taglio da quale cominciare.
“Tu lo sapevi?” Gli chiese nel piu’ completo silenzio spostando gli occhi di lato per guardarlo attentamente nella sua risposta: non servi specificare il soggetto, sapevano entrambi a chi si riferissero quelle parole.
 
“L’ho saputo il giorno dopo che siete partiti ma anche se avessi mandato un corvo sarebbe arrivato troppo tardi.”
Gli rispose tirando fuori dalla bocca la mistura scura e viscida e premere le dita sula schiena di Thorin che non disse nulla  chiudendosi come sempre ancora di piu’ sulla difensiva appena la ragazza venisse nominata, e ai suoi occhi sembrò come se quell’ultima settimana si fosse totalmente annullata.
Aveva compiuto qualcosa di così grave da annullare quel suo scintillio negli occhi quando parlava di lei.
Eppure quando l’aveva visto con lei tra le braccia, il modo in cui l’aveva guardata prima di darla alle guardie subito dopo, la tenerezza con cui l’aveva cercata lo fece subito ricredere.
Ma quello sguardo, non lo vedeva da tempo e aveva pregato Durin di non vederlo piu’ sul suo volto.
 
“Cosa le è accaduto?”
 
“Le è accaduto che è un incosciente, una sciocca ragazzina inco… AH!” Un gemito di dolore acuto interruppe la frase a metà quando premette con decisione l’erba nel bel mezzo di una ferita rimasta aperta all’altezza della spalla, spostando una mano sulla schiena per bloccarlo nel caso si fosse mosso, continuando a spalmare i grumi di foglie per tutto il taglio.
 
“Avresti dovuto prevederlo, dopo quello che le hai detto le hai solo acceso la scintilla che l’ha infiammata: è una guerriera non meno di quanto lo sia tu e forse proprio per quello che è, lo è anche piu’ di te.”
 
Gli occhi azzurri si appannarono immediatamente, perso nei ricordi che quella affermazione aveva richiamato, ricordi che per Thorin erano dolci quando devastanti, un insieme di desideri di una donna e le parole di un signore dei nani sputate come veleno su una figlia; ma durò un attimo perché le iridi blu bruciarono ancora. “Quello che le ho detto era la verità, lei doveva rimanere a Erebor è insubordinata e non pronta quello che c’è la fuori, il suo sangue non attenua i suoi sbagli, nemmeno… nemmeno ciò che era prima di venire qui”
 
“La donna che è entrata qui quel giorno è la stessa che ne è entrata oggi.”
 
“Come non era pronta allora non è pronta neanche adesso!”
 
“Se fosse stato un qualsiasi altro nano ora ne staresti tessendo le lodi e ne avresti ammirato l’onore e la lealtà che ha dimostrato.” Constatò severo.
 
“Ma lei non è solo un nano, lei stava per morire maledizione!” L’inizio della frase gli fece bloccare le mani, sicuro di aver sentito male, sicuro di aver udito una parola per un l’altra, ma quando Thorin serrò la mascella furioso non fece altro che confermargli di aver sentito. “Ha disobbedito a un mio ordine, non c’è onore in questo, non c’è fiducia che io possa donarle se non è non grado di obbedirmi.”
 
Balin ci mise qualche attimo prima di ricominciar a curargli le gli ultimi tagli che gli rimanevano: a facendo sua quella piccola informazione, unendola alle parole di Ghìda nella biblioteca, la rabbia di Thorin quando la lasciò lì e quella che provava in quel momento mal celata dal viso piegato in avanti : allora era così.
Un misto di gioia e malinconia gli si andò a mischiare nel petto, sovrapponendosi l’una all’altra non riuscendo a fargli formulare un pensiero logico che fosse in linea con quello che avrebbe dovuto provare per il re, per quello che gli era sfuggito dalle labbra: per come gli fosse sfuggito forse anche da se stesso.
 
Era lei, sarebbe sempre e per sempre stata lei dunque.
 
Dovette modellare il tono di voce in modo da non far trasparire nulla, anche se un sorriso triste gli comparì al lato della bocca. Anche nell’amore doveva soffrire, anche in quello sarebbe stato destinato a soffrire. 
 
“E’ proprio il fatto che ti abbia disobbedito ignorando ogni logica pur di seguirti che dovrebbe darti la prova che ti obbedirebbe piu’ di qualsiasi altro nano nella Terra di Mezzo, così come il fatto che sia quasi morta per farlo.”
 
Si fermò lasciando quelle parole scavare un buco nell’anima di quello che poteva chiamare un figlio, tentando di fargli capire ciò che intendesse e fu sicuro di aver colpito nel segno quando seppur toccando l’ennesima ferita aperta lui non mosse un muscolo o emise un gemito celandosi in un profondo silenzio, fatto di segreti che mai avrebbe svelato a lui o a chiunque se per questo, segreti che neanche suo fratello avrebbe mai conosciuto.
 
Balin cercò di osservarlo triandosi indietro dalle ferite ora pulite sulla schiena,  oltre le ciocche nere e grigie ma gli occhi azzurri non si spostarono dal pavimento, anzi appena staccò le mani allontanatosi da lui alzandosi dal bordo del letto, la schiena di Thorin si andò a chiudere ancora su se stessa ma libera dalla rabbia guizzante che ne tendeva i muscoli.
 
Si alzò dal letto per buttare le bende usate nel caminetto e fu lì, mentre lanciava una ad auna le bende tra le fiamme che un bussare alla porta lo destò dai suoi pensieri facendogli alzare il viso verso l’entrata e farlo camminare verso la porta che aprì vilmente riuscendo a riconoscere il profilo di Òin dietro lo spiraglio di questa e aprendola quindi del tutto.
 
“Òin.” Lo invitò a entrare ma il nano non ebbe neanche il tempo di attraversare la soglia che due parole rigide e dirette tagliarono l’aria come una lama, portando il gelo.
 
“Come sta?” Chiese Thorin osservandolo rimanendo curvo su se stesso, muovendo solo gli occhi verso il nano dalla folta barba grigia nel frattempo che questo non ebbe neanche il tempo di sistemarsi la tromba nell’orecchio sentendo chiaramente le parole del re.
 
Il vecchio nano avanzò dentro la porta all’ennesimo gesto di Balin che lo invitò nuovamente a entrare con un gesto della testa dentro la stanza: non erano argomenti da discutere con le porte aperte, Ghìda non era un discorso da affrontare con le porte aperte, specialmente in quel momento.
 
Le vesti grigie erano coperte da sangue secco, le maniche tirate fino agli avambracci, macchiate di sangue rappreso, e l’odore di bruciato che si portava dietro fecero capire immediatamente dove fosse stato sino a quel momento e la sua presenza lì non era un buon presagio.
Oìn studiò con attenzione le parole da dire, cercando con lo sguardo il supporto di Balin che però non riuscì a dargliene alcuno guardandolo con apprensione e sbigottimento pronto alla notizia.
 
“Ha perso molto sangue.” Cominciò guardando Thorin seduto sul letto, il suo profilo farsi sempre piu’ marcato quando non gli arrivò una risposta netta. “Ha la febbre alta e le ferite sono profonde e saranno dolorose da far richiudere: le stanno cambiando le fasciature e suturando le ferite rimaste aperte.”
 
“Sopravvivrà?”
 
Alla domanda si bloccò facendo calare un profondo mutismo nella stanza, guardando dapprima il pavimento insicuro e poi Thorin che lo scrutava con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta: la risposta che voleva era solo una e se avesse ricevuto quella opposta, non sapeva cosa avrebbe potuto fare, non voleva neanche immaginarlo, non poteva.
Le treccine nella barba e nei baffi si mossero in assenso lievemente lasciando un enorme respiro oltrepassargli le labbra inqueto evitando gli occhi di Thorin se non per brevi occhiate fugaci. “Se supererà la notte, tutto quello che accadrà dopo sarà certo, ma… ha delle brutte ferite… se non fossi arrivato in tempo ne sarebbe morta in poche ore.”
 
Il silenzio che cadde alla fine della frase fu devastante sotto qualsiasi punto di vista per i due nani in piedi uno vicino all’altro che incapaci non erano riusciti staccare gli occhi dal re, e quello che accadde in quei pochi attimi rimase nei ricordi di entrambi per sempre.
 
Thorin strinse con forza il tessuto dei pantaloni cercando di controllare la paura che quel se era riuscito ad instillargli nel petto che non fece altro che appesantire ancora di piu’ il rancore che si portava dietro, diventando una furia violenta.
Si alzò di scatto e senza aggiungere una parola scaravento la prima cosa che si trovò a tiro sul muro opposto ella stanza, e in quel caso, fu una brocca d’acqua poggiata sul tavolo accanto al letto, che si andò a frantumare in mille pezzi sul pavimento, facendo rimbombare un rumore carico di dolore, invadendo il pavimento di scintilli dorati, riflesso del soffitto.
 
Thorin ne osservò i cocci in mille pezzi sul pavimento rimanendo in silenzio mentre il petto si alzava e si abbassava irrefrenabile, e i pugni rimanevano chiusi frementi e il profilo rimaneva trasmutato in un misto di collera e disperazione, non provò neanche a controllarsi come avrebbe sempre fatto, ne celò solo gli effetti abbassando la testa e prendendo un respiro scosso da tremiti.
 
“Balin, Òin… non mandate nessuno sta notte, mi prenderò cura io di lei.”
 
Òin stette per intervenire come il suo dovere gli imponeva di fare: la decisione non sarebbe stata saggia, il re aveva lo stesso bisogno di riposare quanto la ragazza e soprattutto, se la peggiore delle sorti sarebbe giunta, capì da quella semplice reazione che Thorin non sarebbe stato capace di superarla, ma Balin fu veloce a stringergli il braccio con una mano invitandolo a non pronunciare alcuna parola oltre, non staccando gli occhi dalla schiena del re scossa dai fremiti non sarebbe servita e in qualsiasi caso Thorin non l’avrebbe ascoltato.
 
Il re dei nani aveva trovato la sua regina e per quanto devastante la stava già per perdere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Thorin si lasciò andare ancora di piu’ al freddo marmo della vasca socchiudendo gli occhi al dolore che dalla schiena si andava a intensificare fino al collo e a riversarsi pesante sulle spalle, il fruscio leggero dell’acqua calda si andò a sovrapporre al rumore delle urla che non riuscivano ad abbandonargli la testa, ripetendosi all’infinto in un amaro lamento.
 
Cose le era saltato in mente? Perché non lo aveva ascoltato? Pensava di essere stato chiaro, avrebbe voluto essere stato chiaro, aveva provato di tutto, si era odiato tutto quel viaggio per farla rimanere al sicuro ad Erebor: l’aveva insultata, umiliata, spezzata in due sapendo dove andare a colpire e in vece niente era bastato, lei lo aveva seguito. Si era nascosta per giorni e lui era rimasto cieco, così cieco e diviso nei suoi pensieri che non era stato capace neanche di riconoscerla nella miriade di nani, non era stato capace di fermarla e mandarla indietro, e per la sua sventatezza lei ora giaceva tra le coperte di un letto del palazzo coperta di cicatrici che mai sarebbe riuscita a togliersi.
 
Tristemente  scostò l’avambraccio dal bordo della vasca dietro di lui portando la mano portandosela leggermente sulla fronte e premendo le dita sulla cicatrice ancora ben percepibile sull’attaccatura dei capelli, percorrendola fino alla sua fine, sfiorandosi il sopracciglio  ripercorrendo e rivivendo quegli ultimi momenti che la memoria gli permetteva di ricordare, di quel giorno che si era sforzato di dimenticare, ma che prepotentemente gli ghermiva i pensieri ogni giorno.
 
Sapeva di non poterci passare ancora, sapeva che se quel minimo di felicità che era riuscito a trovare gli fosse stato strappato via sarebbe crollato su se stesso, non lo avrebbe sopportato, non poteva piu’ sopportarlo. Tutti quei giorni gli erano passati davanti in quegli infiniti attimi di terrore: dal primo momento sulla cima del colle innevato, al suo fissare le stelle sopra di loro e i raggi dorati sull’acqua sotto di lei, la sua bocca piegata in un sorriso da togliere il fiato a tutto l’universo mentre raccontava la sua infanzia nascondendone la malinconia, il suo viso piangente premuto sul suo petto, il proprio viso perso tra i suoi capelli tra le fiamme della fucina, il suo volteggiare tra i corridoi divisa a metà tra l’essere una dama e i movimenti attenti di una guerriera, sino a quel pomeriggio come ricordo solo i suoi occhi a pochi millimetri dai suoi, colmi di disprezzo e di odio. Anche lui si era odiato, e non era riuscito a biasimarla, non l’avrebbe biasimata neanche se lei ritornato non le avrebbe piu’ rivolto la parola, se si fosse ritirata ancora nell’armatura ghiacciata in cui l’aveva vista incastrata per quelle settimane, avrebbe sopportato tutto: di nuovo, i silenzi gli sguardi negati, il poterla avere solo di notte ma non il perderla del tutto, il farla diventare un altro fantasma, a trasformarla da un sogno a un incubo.
 
Quando era riuscito a liberarsi dell’ultimo mannaro si era messo a correre verso di lei fuori di se, non volendo crederci, non potendo crederci, aveva gettato la spada a terra ignorando tutto ciò che gli stava succedendo intorno stringendole il viso tra le mani scosso dalla paura e fu solo quando riuscì a sentire il suo cuore battere sul collo o la sua carne ancora calda, che si lasciò andare a un sospiro disperato.
 Le aveva preso la testa portandola su alla sua altezza tirandola su dalla neve fredda cullandola dolcemente ritrovandosi a ringraziar tutti i Valar che poterono sentirlo per averla fatti rimanere lì, per no avergliela portata via; doveva sentirla su di se, vicina, doveva essere sicuro che fosse reale, che lei non fosse in realtà morta tra le sue braccia.
 
Eppure quella terribile sensazione di tristezza si era andata ad accavallare un sentimento molto piu’ terribile, un’ira che mai aveva provato in vita sua, e il vederla contorcersi dal dolore sotto le sue dita scossa dalle urla che per lui fu come l’ennesima pugnalata al petto che lo porto a odiarsi e a odiarla.
 
Un misto di collera e angoscia si era andato a insidiare nel suo corpo e tutt’ora lo stava uccidendo lacerandolo a poco a poco, e sentire ancora il suo rantolare sommesso seguito da spasmi di dolore ogni volta lo faceva aumentare ancora di piu’, fino a portarlo a bollire dalla collera come l’acqua in cui era immerso.
 
Lanciò un’occhiata alla tenda blu che divideva la sala da bagno dalla camera da letto, e fu il poter intravedere tra i drappi aperti di questo la porta a farlo scattare: risalì dall’acqua tutto di un colpo alzandosi velocemente dall’immensa vasca facendosi forza con le braccia lasciando un gemito di dolore uscirgli dalla gola per il movimento improvviso.
I quattro immensi corvi scolpiti  ai lati della stanza lo osservavano mentre  come una furia mosse  i primi passi fuori verso il suo letto, incurante del gocciolare dei suoi capelli bagnati per terra o del freddo che lo colpì in piedi il suo corpo bagnato mentre frettolosamente indossava i primi abiti che gli passarono davanti agli occhi: non gli importò minimamente se fossero sporchi, o perfino quelli luridi di sangue che si era tolto poco prima.
 
No, in quel momento non era se stesso, perché non lo era piu’ se stesso, da quel giorno lui non sarebbe piu’ stato lo stesso, e questo lo fece infuriare ancora di piu’.
Un fuoco cominciò ad ardergli nel petto che nemmeno i capelli umidi che gli si appiccicarono sulla camicia scura riuscirono ad attenuare e nemmeno le fitte di dolore che quei movimenti repentini mentre si vestiva gli causavano.
 
Non si sentiva piu’ disperato, non si sentiva piu’ dilaniato come lo era stato in quei momenti con lei tra le braccia: la paura a l’angoscia erano trasmutate in un odio per se stesso che superava qualsiasi sentimento avesse mai provato per lei o per chiunque altro.
 E’ vero non era piu’ capace di piangere, ma di soffrire come un dannato nel suo inferno personale, si quello era ancora in grado di farlo e il suo inferno personale quella notte era disteso a combattere a qualche muro da lui.
Lo aveva promesso se l’era promesso lo aveva giurato di fronte a Mahal che non sarebbe finita così che lui non si sarebbe piu’ sentito così che sarebbe morto piu’ che sentirsi così di nuovo di fronte al corpo di qualcuno che am…
 
No!
 
Un ruggito incontrollabile gli uscì dalla gola e senza rimuginare oltre si scagliò verso la porta della stanza aprendola e chiudendosela violentemente dietro le spalle e gettando dietro di se ogni briciolo di lucidità che gli permetteva ancora di fare dei pensieri coerenti e logici e di non affogare nell’ira che gli risaliva dal petto.
 
Il vederla in quello stato era la cosa piu’ dolorosa che potesse fare, la cosa che lo avrebbe fatto impazzire del tutto, che lo avrebbe potuto rigettare di nuovo nell’oblio … o forse era proprio quello che cercava, la pace, la certezza che lei fosse ancora lì, con lui, che potesse ancora fargli provare quello che provava per lei, che potesse ancora vederla sorridere, di sentire le sue parole buttate al vento risuonare per le pareti di Erebor, che potesse fissarla ancora come un ladro dietro delle balaustre dorate, che avesse potuto ancora tenerla tra le sue braccia tra il caldo delle fucine o che potessero ancora le sue labbra toccare la sua pelle e le sue mani sfiorarle i capelli.
 
Cominciò a percorrere illuminato solo le luci gialle delle torce il  grande corridoio a grandi falcate: i passi così pesanti che rimborsarono per l’intero androne del palazzo e talmente rapidi che per poco non sembrarono una corsa disperata quando giunse sull’immesso balcone che come un confine lo divideva ogni notte dalla spina che si sentiva continuamente conficcata nel collo. 
Il freddo della notte d’inverno lo investì appena mise piede, che perdurò perfino quando entrò nella sua ala delle stanze, imprecando verso se stesso quando la porta non si chiuse immediatamente dietro le sue spalle.
 
Se l’incertezza di non vederla mai piu’ dopo quella notte, se non fosse stata incosciente e ferita, se avesse avuto la certezza che non avrebbe provato niente e che lui non avrebbe provato niente, l’avrebbe urlato addosso, l’avrebbe sgridata e rinchiusa nelle sue stanze fino al matrimonio, l’avrebbe spinta via da se, gettata in un angolo, come gli aveva rinfacciato. Come un oggetto che non serviva piu’, come l’oggetto che era stata sempre costretta ad essere e che lui aveva tentato in tutti i modi di farle smettere di essere.
 
I pensieri gli si andarono a confondere in testa, così come le motivazioni che adesso lo avevano portato a stringere con forza la maniglia della sua porta, incapace di entrare, incapace di controllarsi o di sapere cosa avrebbe potuto fare, cosa avrebbe potuto farle.
Aveva paura di se stesso, una terribile paura di se stesso, ma quest’ultima si andò a confondere con l’ira e il dolore che avrebbe provocato il rimorso di non esserle accanto.
 
Le nocche gli diventarono bianche mentre la presa sulla sua maniglia aumentava e stracci di un vecchio sentimento riaffioravano violentemente annebbiandogli i pensieri: lui si era già sentito così, e pensava di non sentircisi piu’, non voleva sentircisi piu’. La stessa rabbia che aveva riversato su di lei nella sala del tesoro, la stessa rabbia di quando, la perse, di quando gli presero l’Arkengemma, di quando si era rinchiuso in quelle sale, in quella pietra, tra quelle monete, quella che lei era stato in grado di far scomparire.
Ma non poteva essere così, no, ormai lo sapeva, lei non era il gioiello del re, non faceva parte di quella avarizia, di quella follia, perché invece di ferirlo come aveva fatto quella smania di potere, lei lo faceva sentire bene, troppo bene. Ma come l’Arkengemma lei era quasi scappata via dalle sue dita, l’aveva perduta, per quei pochi istanti l’aveva perduta per sempre e il sapere che ora era solo dietro una porta di legno gemente dal dolore lo fece disprezzare, perché come in quei giorni, lui non aveva prestato attenzione e non era riuscito a fare nulla di giusto.
 
Serrò la mascella e con un movimento secco si decise e entrò nella sua stanza spalcando la porta: il fuoco del camino e delle piccole candele sparse per la stanza illuminavano di una luce calda l’intera stanza, andandosi a confondere con i raggi freddi della luna che sbattevano sulle coperte tirate del letto. Era rimasta come se la ricordava, profumava ancora  di lei come se la ricordava, imbrattato però da un odore acre di sangue fresco e erbe disinfettanti.
Fissò per qualche attimo sulla soglia il letto a baldacchino che regnava al centro della stanza e su un lato di questo nascosto dalla penombra un respiro ritmato e frenetico smuoveva le coperte.
 
Con gli ansimi pesanti che tentavano di controllare gli spasmi di rabbia chiuse la porta dietro di se non facendo il benché minimo rumore e poi cominciò a muoversi silenzioso tra i contorni dei mobili scuri della stanza che conosceva a menadito: i mobili disposti specularmente a quelli della sua, ma di un colore levante piu’ chiaro e piu’ slanciati. Oltrepassò la stanza non staccando mai gli occhi dal rigonfiamento di pellicce e lenzuola nel letto che diventava sempre piu’ nitido ogni passo che compiva, fino a riuscire a distinguere i capelli scuri scompigliati sul cuscino e il profilo a malapena accennato: avanzo a piccoli passi silenziosi, che con la mano poggiata sulle coperte fino a vedere finalmente il suo viso illuminato dalla luce della luna.
 
La rabbia accumulata svanì di colpo lasciando spazio solo a un’estrema dolcezza e malinconia che gli dilaniò in due lo sterno; si sentì come svuotato quando giunse al bordo del suo letto affianco al suo cuscino e riuscendo chiaramente a osservarne i tratti: era coperta fino al petto stretto da una serie di bende pulite che le scendevano lunghe verso le braccia tatuate poggiate in modo rigido ai bordi del suo corpo per far rimanere le suture ferme.
Le labbra erano dischiuse e il viso aggrottato in una espressione dolorante che con piccoli fremiti peggiorava e migliorava, alternandosi a dei respiri piu’ profondi, i cerchi sulle orecchie appuntite gli erano stati tolti, così come i fermagli sui capelli, lasciandoli liberi a incorniciarne il volto.
 
Con calma si mise seduto sul bordo del letto accanto a lei avvertendo il peso sul petto svanire per ogni istante che passava: sempre piu’ lenti, sempre piu’ dolci, nel quale ad osservarle il petto che continuava interrotto a muoversi su e giù donava a lui respiro.  
Un sospiro di sollievo gli lasciò le labbra rilasciando tutta la rabbia e i pensieri oscuri che aveva trattenuto fino a quel momento:  non sarebbero svaniti, in un modo o nell’altro sarebbero tornati, come tutte le volte sarebbero tornati e il fatto che ora fossero unicamente diretti verso di lei non cambiava le cose.
Sarebbero tornati piu’ irruenti e terribili, ma per quei piccoli istanti si beò nel vederli cancellati dal suo petto; non riusciva a credere che solo il vederla dormire, il vederla respirare, lo avesse calmato in quel modo, il saperla ancora viva e di come lei riuscisse sempre a calmarlo in quel modo anche solo stando solo nella stessa stanza.
 
Seguì le piccole gocce di sudore che dalla fronte accaldata le scendevano dritte fino al collo per poi insinuarsi nel petto e l’ultimo frammento di rabbia che ancora gli era conficcata nel cuore svanì del tutto lasciandolo svuotato lì con lei, con Ghìda solo come pensiero, l’unica cosa di cui si doveva prendere cura e l’unica cosa a cui avrebbe pensato e guardato quella notte. Si allungò con il braccio e con lentezza poggiò la mano sulla sua fronte distendo le dita sulla sua fronte, ritraendole subito appena sentì il calore della sua pelle sotto i polpastrelli.
Lanciò un’occhiata verso il tavolo accanto al letto e muovendosi lievemente allungo la mano verso il catino su di esso e ne prese la pezza immersa nell’acqua fredda, strizzandola con forza nella mano;  con l’altra mano le liberò la fronte e il collo scostandole i capelli mori, attaccati dal sudore, dietro al collo, sentendola fremere sotto il suo tocco: non c’era niente di inebriante in quel fremito, niente che lo avrebbe portato ad altri tipi di pensieri, solo tanta dolcezza e innocenza, e sopra di questi un immenso senso di colpa per ciò che le era accaduto e per ciò che poteva ancora accaderle.
Senza neanche pensarci le tenne il viso con una mano bloccandoglielo con gentilezza ed estrasse del tutto il panno dal catino passandoglielo sul collo, sulle guance e, infine, gliela sulla fronte calda.
Al contatto, il rantolo affannato di Ghìda divenne quasi un respiro tranquillo e il movimento del petto cominciò a diminuire per ogni movimento del panno bagnato sul suo viso. Glielo passò sulle labbra, sul e sotto gli occhi chiusi tentando per quanto fosse in suo potere di alleviare quel dolore che anche se taciuto poteva perfino sentire su se stesso.
 
Quando la vide abbastanza calma, a fatica, sfilò la mano dalla sua guancia lasciando che posasse il viso di lato sul cuscino e si alzò dal bordo del letto per poggiare il panno di nuovo nella bacinella sul tavolo accanto al letto, colmo di bendaggi puliti,  piccole fiale di vetro e sacchetti con erbe e polveri per disinfettarle le ferite. Si piegò su di esso con entrambe le mani poggiate sul bordo del tavolo lanciandole un occhiata di sottecchi assottigliando le labbra indeciso: una parte di lui gli continuava a ripetere di andarsene, una parte che temeva quella situazione, che odiava anche solo vederla così, la parte che non avrebbe retto se durante la notte avesse respirato un ultima volta; sarebbe stat in ottime mani anche se non fossero state le sue, ma una voce nella testa e nel petto continuava a dirgli che erano tutte menzogne, tutto quello che si diceva era una menzogna, nessuno poteva difenderla meglio di quanto potesse fare lui, nessuno poteva starle accanto che non fosse lui, lui non voleva che nessuno le stesse accanto che non fosse lui.
 

Un sorriso triste gli si dipinse sulle labbra riflettendo ancor di piu’ su quanto fosse ironica la situazione, su quanto quelle domande e incertezze gli si ripresentassero anche per le decisioni piu’ sciocche che la riguardavano, di come fosse tutt’ora diviso tra il re e Thorin.

“Hai detto che Thorin e Thorin Scudodiquercia non possono coesistere, ma io li ho visti entrambi e sono ottimi nani, entrambi.”

 
Esatto, non potevano coesistere, era una stupida se pensava davvero che potesse essere possibile che convivessero uno senza ferire l’altro, perché er così che si sentiva ogni stramaledetto giorno, diviso a metà, lei lo aveva diviso a metà.
 
Prese una decisione nel momento stesso in cui il viso di Ghìda contorse in una smorfia di dolore e silenziosamente afferrò con decisione la sedia accanto al suo letto portandola ancora piu’ vicino al bordo accanto al cuscino, per poi sedersi sopra lasciando andare la schiena ancora dolorante alle pellicce sullo schienale nel frattempo che il respiro ricominciò di nuovo ad accelerare:  quella notte sarebbe stato peggio degli inferi stessi, forse lo avrebbe preferito, andare nell’oblio piuttosto che risparmiarle tutto quello che avrebbe passato.
 
Un respiro piu’ pesante degli alti le attraverso la bocca seguito da un guizzò delle mani che strinsero con forza il lenzuolo sotto di se dolorante e scossa dalla febbre: un groppo gli si formò in gola osservando le nocche diventarle bianche.
Senza neanche volerci rimuginare oltre si chinò in avanti con il busto e allungò la mano insinuandola sotto la sua accaldata, creando una barriera tra la sua mano e le coperte che sarebbe finita per strappare se avesse continuato così. Fu difficile ma infine riuscì a insediare la mano sotto la sua, permettendole di aggrapparsi alla sua con la stessa forza che aveva impiegato in quella landa ghiacciata, scossa dal dolore che lui non era stato in grado di risparmiarle, così come adesso. Smosse il pollice sul dorso della mano accarezzandole la pelle morbida attraversando le nocche tirate studiandone una per una, per poi salire fino al polso dove la punta dell’ultima runa sulla sua pelle si assottigliava.
 
Sospirò pesantemente quando i brividi non cessarono e le dita intorno alla sua mano si fecero sempre piu’ strette facendogli capire come il solo starle vicino non l’avrebbe in alcun modo aiutata, era stato stupido e infantile pensare che quel semplice gesto le sarebbe servito, a qualcosa: era un re eppure in quell’istante si sentì inutile, il suo potere era inutile.
Osservò incerto dapprima le dite strette intorno al suo palmo e poi  compì lo stesso movimento che aveva svolto lei il giorno prima: infilò le dita in mezzo alle sue una per volta spaventato che si potesse svegliare per colpa di quel piccolo gesto, ma le dita presero un percorso tutto loro andandosi a insinuare ancora di piu’ chiudendole la mano in un intreccio straziante. 
A quel così futile e semplice contatto i suoi tratti si assottigliarono un'altra volta, come se sapessero che la mano fosse la sua e a quel semplice ma prezioso gesto sentì anche il suo viso distendersi in un sorriso abbandonandosi in quella veglia notturna come un silenzioso guardiano, che ci sarebbe sempre stato.
 
 
 









 Aule a Yavanna lothron tegi- cin, nin dilthen tinu… Amin mela lle: Che Aule e Yavanna possano proteggerti sempre figlia mia, ti amo.
 





Angolo Autrice
 

Bhe bhe bhe vi concedo la prima parte perché la seconda è in lavorazione e almeno così avete tempo per sentire anche il tempo che scorre un minimo senza che vi scaraventi addosso troppi avvenimenti. Da qui la storia comincia ad essere piu’ intricata, e molto piu’ dolce per i nostri amori che finalmente cominciano a scoprirsi a vicenda e ad ammettere a modo loro (vero Thorin? >.>) i loro sentimenti.
Se ve lo state chiedendo i sogni di Ghìda per ora non sono sogni, sono solo ricordi misti a visioni, per questo non sono impostati come quelli di Thorin, quelli di Ghìda per ora sono solo dei piccoli indizi di un qualcosa che crescerà e crescerà ve lo prometto e metterà anche un po' di pepe a tutta la situazione … come se già non ce ne fosse abbastanza hahahahah Si sente che è una parte 1 perché ho così poche cose da chiedervi, e poi è molto introspettivo, quindi bhe c’è poco da chiedervi. Sono stata troppo cattiva con Thorin? Con Ghìda una cifra poraccia, che poi delle volte sembra una sottona ma lei lo ama veramente sapete, cioè non solo perché sono uno l’unico dell’altra ma perché alla fine è davvero l’unico che per tutta la sua vita le ha dato fiducia…ed è bono. No vabbe a parte gli scherzi mi avete capito hahahahah Il prossimo capitolo arriverà sempre con la solita cadenza, spero anche prima in realtà :/ Ho odiato l’idea di farvi aspettare così tanto quindi prendetelo questo capitolo come un regalo.
Ho potuto anche conoscere anche altri lettori così, che non avevo mai sentito solo nominato nei ringraziamento, quindi è stat una cosa positiva alla fine <3 <3 <3
Ribes Roger , marisole e Alcalime91 grazie per aver risposto al sondaggio e invece di rispondervi in privato vi rispondo qui: avete visto come sono stat veloce? Ahahahah e sono così contenta che vi piaccia la trama, è piu’ complessa di quello che mi sarei aspettata, almeno scriverla, poi sto tentando di rendere tutti i personaggi il piu’ simili possibili agli originali, anche gli OG compresa Ghìda che noto stia piacendo (ho molta paura a scrivere di lei se devo essere sincera) che è molto complesso come personaggio da gestire, appunto perche non esiste hahahahah
Ora i ringraziamenti a NekoBlonde che recensisce sempre, e che mi fa sempre un po' arrossire devo dire, ma cerco sempre di risponderti in privato se posso <3
Invece i ringraziamenti a tutti quelli che seguono, pref ecc ecc, compresa la new entry Alcalime91,  Star_of_vespers ,Thorin78 , valepassion95, Aralinn.
E un ringraziamento sempre anche a tutti quelli che vedono ma non si fanno sentire <3 e a tutti quelli che leggeranno in seguito.
Al prossimo capitolo che arriverà presto. <3
 

 
SPOILER:
 
“Se tu fossi rimasta qui questo non sarebbe successo.”
“Se io fossi rimasta ad Erebor tu saresti morto adesso!”

 

 
   
 
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