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Autore: Akainatsuki    11/07/2020    0 recensioni
Aki Ross è una giovane kitsune e vive come fattorina e tuttofare del Tampopo, il ristorantino di udon che richiama i tanti mutaforma che gironzolano nella città di Hillside. Una vita tranquilla e quotidiana per gli standard di una kitsune adolescente, fino a quando qualcuno dal suo passato non decide di ritornare al piccolo locale.
***
Di mezzi asiatici con i capelli colorati ce ne erano a bizzeffe in giro, ma quello che ora sedeva accanto a lei, osservandola sottecchi, era tra i più ricorrenti nomi delle chiacchiere in aula.
“Kozaki” borbottò, toccandosi il cerotto che aveva sulla fronte. “Buon pomeriggio anche a te.”
Si erano incrociati spesso dal suo ingresso alla Hillside High School, ora davanti allo studio del preside per l’ennesima ramanzina, ora a farsi sistemare il naso in infermeria. Non si erano mai davvero parlati, qualche occhiata derisoria o sbuffo di stizza esclusi, dato che non avevano mai nemmeno avuto nulla da dirsi. Inoltre, parlare con un ragazzo significava che c’era qualcosa sotto, e Aki voleva evitare di avere altri problemi oltre ai suoi casini quotidiani.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Tampopo era il nome del piccolo locale di udon dove la famiglia Kisaragi aveva concentrato i suoi sforzi dopo l’approdo nel nuovo continente e quindi a Hillside. La pasta spessa e morbida servita in grosse ciotole fumanti lo aveva reso nel tempo il punto d'incontro di molti degli abitanti del periferico quartiere in cui era stato incastrato dai suoi fondatori, tra i condomini e i negozietti che si affastellavano verso il centro della città e i suoi palazzoni.

Ada Kisaragi era la rappresentante dell'ultima generazione che si era affaccendata tra i tavoli del Tampopo, cucinando e servendo dietro al suo bancone: affiancata da suo marito, Tadao, e dal loro unico figlio, Alan, aveva portato avanti l'attività di famiglia giorno dopo giorno, efficiente e instancabile.

Erano ormai trascorsi quindici anni dalla notte in cui aveva lasciato frettolosamente il locale per salire sul taxi in attesa fuori dalla vetrina ancora illuminata e correre all'ospedale dove la sua migliore amica, Yōko, era morta dando alla luce la sua bambina. 

“Mia sorella forse l’avrebbe cresciuta ancora peggio” borbottò l’uomo seduto dall’altra parte del tavolino stretto, lanciando un’occhiata alle sue spalle, in direzione del trio che si era radunato attorno al bancone durante la chiusura pomeridiana. 

“Era sempre stata selvatica rispetto alle altre ragazze, ma quella lì ha preso la parte marcia di tutti e due i genitori. Non so molto del padre, quel Ross - lo avrò incontrato un paio di volte all’epoca, ma non credo fosse proprio del genere topo di biblioteca, non so se mi spiego.”

Ada scosse il capo, incontrando lo sguardo scuro di Yōji, il fratello maggiore di Yōko, comparso improvvisamente all’ingresso del Tampopo in quel pomeriggio di primavera: “Stai parlando di tua nipote, non di un’estranea. L’hai avuta sotto il tuo tetto per abbastanza tempo e non penso sia così-”

“Molto peggio di quanto tu possa immaginare, Kisaragi. Molto peggio. Non hai idea del numero di sospensioni, richiami e disastri che sia stata in grado di collezionare da quando ha iniziato a mettere piede fuori casa.” 

L’uomo si strinse la radice del naso tra le dita, sospirando stizzito. “Dalle medie la situazione è diventata intollerabile, è un miracolo che le abbiamo trovato un posto alle superiori e non ci abbiano rifiutato a calci: la scuola è tra le più di serie B sulla piazza, ma forse troverà pane per i suoi denti se vuole ficcarsi nella prossima rissa.”

Si morse un labbro, volgendo il collo verso le risate che risuonavano nell’aria: Tadao stava raccontando qualcosa di imbarazzante ai due ragazzi seduti a poca distanza da loro, poteva affermarlo con certezza dalla faccia paonazza di suo figlio e dalle lacrime di ilarità che il soggetto della sua conversazione stava cercando di asciugarsi dalle guance.

Probabilmente si trattava una delle sue oyaji gyagu, quelle battute di una scontatezza e scurrilità così di basso livello che nonostante tutte le preghiere suo marito sembrava averne un repertorio pressoché infinito da sciorinare anche in presenza dei suoi giovani spettatori.

Ada tornò al suo interlocutore, che si era preso cura della bambina dopo il primo affidamento ai nonni ormai troppo anziani: poteva ben immaginare cosa significasse avere a che fare con l’avvicinarsi del momento, soprattutto se non si aveva la minima idea di che cosa stesse correndo in quel sangue sempre agitato, pronto a fare a botte con il primo malcapitato. 

“Non è tutto, inizia pure a dare di matto con queste storie di voci nella testa, visioni, incubi e quant’altro: almeno mia sorella aveva avuto la creanza a evitare certe uscite al limite dell’assurdo all’ora di cena.” Yōji si tormentò nervoso il pizzetto corto, lanciando un’occhiata storta oltre le sue spalle. “Spaventa Laura ogni giorno di più. Se non fosse per i miei genitori, l’avrebbe già sbattuta fuori di casa, al riformatorio.” 

Tamburellò con le dita sul bordo di legno, conteggiando i mesi che potevano mancare al giorno fatidico in cui tutto sarebbe cambiato e la ragazzina seduta al bancone non sarebbe più stata solo il papabile ospite di un riformatorio.

Drizzò le spalle e si guardò attorno: il Tampopo era piccolo, ma riuscivano a tirare avanti grazie anche alle ultime trovate della tecnologia. Alan inoltre stava finendo le superiori e di tanto in tanto dava una mano dividendosi tra consegne e cucina per lasciare a suo padre un po’ di quel respiro che ormai troppo spesso si mozzava e lo costringeva a fermarsi suo malgrado.

“Le abbiamo provate tutte: tranquillanti, farmaci-” continuò l’altro, rompendo il silenzio in cui si era arenata la conversazione. “Pure lo sport, ma si è messa a far casini addirittura lì e l’hanno cacciata alla prima occasione buona - tutte le maledette volte.”

Ada sapeva che si sarebbe pentita di quello che stava per dire, ma decise di aprire comunque la bocca, soppesando ogni parola: “Un lavoretto. Non ci avete mai pensato?”

Lo rivolse una smorfia di scherno, incrociando le braccia e lasciando andare un sospiro sconfitto: “È ancora minorenne e non voglio vedermi richiamato dal primo fast food perché ha lanciato un panino in faccia a un cliente solo perché l’ha guardata male.”

Si lasciò sfuggire un risolino, cercando di evitare qualsiasi commento: se temeva un panino lanciato in faccia era addirittura ottimista. 

“Può iniziare qui. Non abbiamo panini per cui nessun cliente se lo ritroverà spalmato sulla fronte. Anshin shite ne, stai tranquillo” azzardò, incrociando le mani sul tavolo. 

Avrebbe voluto mordersi la lingua alle sue stesse parole, ma quello che stava accadendo in quella manciata di secondi era l’occasione per realizzare quanto gli era stato chiesto una notte di tanti anni prima.

Far entrare la nuova kitsune nella famiglia.

Ignorare la lucina di sollievo che si accese negli occhi di Yōji non le sarebbe stato possibile, mentre un sorriso imbarazzato e al contempo grato gli si allargava sul viso, addolcendo quei lineamenti che gli anni avevano indurito come li avesse scolpiti nel legno. 

“Grazie, Kisaragi.” Rilassò le spalle, appoggiandosi alla seggiola. “Non pretendo che la paghi, ma se riuscissi a stancarla di cose da fare forse avrebbe meno voglia di mettersi nei guai e filerebbe a letto subito, senza incubi e tutto il resto. Credo che anche Yōko sarebbe d’accordo.”

Annuì appena, stringendo le dita e prendendo un respiro profondo: “Possiamo dirglielo anche ora. Potrebbe iniziare nei prossimi giorni, magari con le pulizie.”

Con un cenno del capo Yōji si alzò dal suo posto: Ada lo vide avvicinarsi al gruppetto, mormorando qualcosa all’orecchio di Aki che rispose con un guizzo sullo sgabello su cui era seduta, per poi ruzzolare a terra e fiondarsi con un salto al suo tavolino.

“MI DAI UN LAVORO?!” esclamò in uno strillo gioioso, afferrandole i polsi e scuotendole le braccia, la bocca spalancata in un’espressione incredula. “MAGARI PURE DEI SOLDI?! LORO NON MI DANNO MAI DEI SOLDI DECENTI NEANCHE PER UNA LATTINA DI SUCCO!”

Rimase per un attimo imbambolata davanti a quella ragazzina saltellante, rivedendo in quell’entusiasmo fin troppo di quanto era stata sua madre in passato: ormai non aveva più dubbi su cosa le avrebbe aspettate di lì a pochi mesi.

“Regole, prima di tutto” sentenziò, riuscendo a sfuggire alla presa e nascondendo una smorfia di dolore, massaggiandosi le giunture. “Questo è un lavoretto part time, dovrai andare a scuola - senza storie, senza risse.”

Storse le labbra, lanciando un’occhiata in tralice a Yōji: “Ci posso provare. Ma se quelli alzano le mani e vogliono la guerra io non posso farci niente.”

“Scappare a gambe levate come fanno tutti?” propose Alan, pensieroso. 

Si voltò di scatto verso di lui, digrignando i denti: “Non sono mai così tanti da non poterli abbattere uno ad uno.”

Ada tossicchiò, riportando l’attenzione su di lei e mettendo a tacere di nuovo quel sangue così facilmente infiammabile: “Avrai un periodo di prova, diciamo un mese, poi vedremo per aggiungere qualche dollaro al tuo lavoro. Per adesso ti possiamo offrire la cena.”

Kitsune con doppio tofu dolce. Tagliato grosso. Con poca erba cipollina” replicò l’altra a raffica, non appena chiuse le labbra.

Alle sue spalle, Ada sentì suo marito ridacchiare, mentre Alan mugugnava qualcosa sul fatto che ora che glielo si faceva notare, non aveva mai ricevuto mezza banconota per il suo aiuto al locale.

“Affare fatto?” Tese la mano verso Aki, che l'afferrò senza troppi ripensamenti.

“E se qualcuno vi dà noie-” aggiunse, un sorrisetto sghembo che le si allargava da un orecchio all’altro, gli occhi brillanti. “Ci sono io a dargliene così tante che non ci penseranno due volte a starsene alla larga da qui.”


*** Small Talk ***
Grazie per aver letto fino a qui!

Iniziamo a introdurre un po' di ambientazione (Hillside - ma non chiedetemi dove sia per non dovervi rispondere un generalissimo "mah, America del Nord, quei posti da serie Netflix" - e il localino del Tampopo - ispirato all'omonimo film) e personaggi - alcuni inutili, altri utili, altri che si vedrà. 

L'idea è di avere a che fare con un gruppo di luoghi e persone davvero "nel mezzo" come è un po' quando si vive in un altro Paese diverso dal proprio per parecchie generazioni. Poi che in tutto questo ci stiano anche delle kitsune mutaforma, è un'altra storia.

Alla prossima! - Aka

   
 
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