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Autore: Cassandra caligaria    11/07/2020    3 recensioni
Tutti umani, trentenni. Le vicende narrate saranno ambientate per la maggior parte nella Boston dei giorni nostri.
La narrazione sarà tutta dal punto di vista di Edward, con qualche extra dal punto di vista di Bella.
Dal primo capitolo:
Mi guardai intorno ammirando l’eleganza dell’ambiente quando ad un certo punto rividi la ragazza del parcheggio che parlava con Rosalie vicino all’ascensore.
«Lei lavora qui?» domandai a Jasper.
«Chi?»
La indicai con un dito e proprio in quell’istante i nostri sguardi si incrociarono.
«Oh, lei! È l’amministratrice dell’azienda» rispose Jasper divertito.
«Merda.»
«Non conosce altre parole?» mi domandò divertita lei. Ma quando si era avvicinata a noi?
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Emmett Cullen, Isabella Swan, Jasper Hale, Rosalie Hale | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie, Leah/Sam
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film, Contesto generale/vago
Capitoli:
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«Ci sarebbe la possibilità di portare con me un collaboratore da Boston per aiutarmi. Sarebbe solo per pochi giorni, dopo Capodanno. Tu saresti disponibile?»
«E me lo chiedi?» le domandai incredulo. «Certo che sì!» sorrise per il mio entusiasmo.
«Bene», commentò compiaciuta. Temeva davvero che potessi rifiutare un invito del genere?
«Ovviamente l’azienda pagherà tutto: viaggio, vitto e alloggio e ti sarà retribuita la trasferta» specificò pratica.
«Guarda che ci sarei venuto anche se avessi dovuto pagare io. Adoro New York» dissi gongolando.
E adoravo trascorrere del tempo con lei, aggiunsi nella mia mente.
«Allora, appena mi daranno conferma ti fornirò tutti i dettagli» fece per entrare in macchina quando si ricordò che doveva dirmi ancora qualcosa.
«Edward», mi chiamò, «scusami se ho spulciato il tuo fascicolo personale per prendere il tuo numero di telefono. Spero non ti abbia dato fastidio» disse facendosi timida a un tratto.
«Domani farò un reclamo alle risorse umane per violazione della privacy» risposi fingendomi serio.
Il suo volto diventò cianotico.
«Ehi, sto scherzando!» mi affrettai a dirle, toccandole una spalla.
«Anzi, se non ti dispiace, ho salvato il tuo in rubrica», le dissi cercando il suo sguardo. Sembrava essere tornata in sé, annuì e mi sorrise.
Che battuta idiota, Edward, mi rimproverai mentalmente.
 
 
La mattina seguente mi chiamò nel suo ufficio per informarmi che le avevano dato conferma dall’Italia: poteva portare con sé a New York un collaboratore da Boston.
Io quella notte non ci avevo dormito su per la gioia, ma il mattino aveva insidiato in me il tarlo del dubbio e dell’inadeguatezza, due vecchi amici che purtroppo conoscevo fin troppo bene.
«Ma sei proprio sicura di voler portare me? Insomma, sono l’ultimo arrivato, magari in azienda c’è qualcuno più adatto di me che può tornarti più utile lì…» dissi improvvisamente insicuro.
«Non vuoi venire?» mi chiese apprensiva.
«No! Certo che voglio venire, è che magari potrebbe farti più comodo qualcuno con più esperienza di me o con capacità migliori delle mie…» avevo paura di deluderla una volta lì, temevo di non essere all’altezza dei compiti che mi sarebbero stati assegnati.
«Edward, ti ho chiesto di venire con me perché sei l’unico con cui riesco a lavorare. Quindi, o vieni tu con me o vado da sola. E poi ti sottovaluti troppo, sei estremamente capace, credimi» e non ebbi la possibilità né la voglia di replicare. Ero lusingato dalle sue parole. Lei credeva in me più di quanto facessi io stesso.
«Va bene, allora, se ne sei sicura» le sorrisi.
«Più che sicura» rispose convinta.


Trascorremmo quella e altre sere insieme a lavorare. Stavo imparando moltissime cose grazie a lei, non solo lavorativamente, ma anche su di me. Stavo acquisendo una maggior consapevolezza delle mie capacità e di conseguenza stavo diventando anche più sicuro di me. Stavo ricominciando ad essere l’Edward di una volta che sembrava perso e lontano nel tempo.
Mi aveva fatto stilare alcuni report e avevo preparato alcune presentazioni per New York che aveva apprezzato particolarmente. Si era complimentata per la qualità del lavoro svolto e soprattutto per la mia notevole capacità di scrittura. In effetti, scrivere mi veniva naturale, anche se avevo smesso dopo il mio anno New York, quando era sfumata la possibilità di realizzare il mio sogno di lavorare nel giornalismo sportivo.
Glielo raccontai in una di quelle sere, visto che ormai aveva capito che amavo follemente quella città che mi aveva dato tanto e tolto altrettanto. Le raccontai del mio tirocinio trascorso in una redazione giornalistica sportiva, delle trasferte, di quanto mi appassionasse scrivere e raccontare quello che vedevo durante le partite e della cocente delusione quando mi dissero che non c’era posto per me lì, che ero bravo a scrivere ma non ero tagliato per fare il giornalista sportivo.
Mi ascoltò come non aveva mai fatto nessuno, sinceramente interessata, e mi suggerì di ricominciare a scrivere e magari di prendere contatto con qualche giornale online, perché, invece, secondo lei ero particolarmente dotato. Le confessai che avevo già scritto qualcosa, mi sembrò sinceramente felice della notizia e mi disse delle frasi così incoraggianti che quasi mi commossi.
 
 
Durante una sera di metà novembre mi informò che avrebbero prenotato a breve i voli e l’albergo. Le avevo già detto che avrei trascorso le vacanze di Natale dai miei genitori a Chicago, quindi sarei partito da lì e non da Boston il 2 gennaio.
«Avrei una richiesta, se è possibile».
Ci stavo pensando da tempo e non ero sicuro di poter chiedere tanto, ma allo stesso tempo non volevo pentirmi di non averlo fatto, così mi buttai.
«Ti serve una camera doppia» era un’affermazione, non una domanda. Ne era proprio convinta.
«No!» replicai quasi disgustato. Come poteva pensarlo?
«Ok, scusa» disse ridacchiando e alzando le mani in segno di resa.
«Se non chiedo troppo, vorrei partire prima di Capodanno. Se ci sono problemi, posso pagare io la differenza per le notti in più in albergo e per il volo che sarà sicuramente più costoso prima di fine anno».
«Vuoi passare il Capodanno a New York? Credevo volessi trascorrere le feste con la tua famiglia».
E adesso cosa le dicevo? Che trascorrere il Capodanno con due coppie non era proprio il Capodanno dei miei sogni? La verità era che volevo trascorrerlo con lei, ma non potevo mica dirglielo così su due piedi. Doveva essere una sorpresa. Una sorpresa che sognavo e progettavo da tempo.
Così annuii in risposta alla sua domanda, sembrava un desiderio abbastanza plausibile voler trascorrere il Capodanno a New York e, in effetti, ero euforico all’idea del viaggio per diversi motivi.
«Lo sai che adoro New York, specialmente nel periodo delle feste» risposi.
«Va bene, non credo ci saranno problemi. Nel caso dovessero fare storie, li minaccerò raccontandogli di tutti gli straordinari non retribuiti che hai fatto negli ultimi mesi» mi fece l’occhiolino.
«Grazie» le dissi sinceramente riconoscente.
«È il minimo che possiamo fare, per ripagarti di tutta la tua disponibilità» replicò convinta.
 
 
Il sabato seguente eravamo tutti a casa di Jasper per festeggiare il compleanno di Alice e per guardare la partita, ovviamente.
Avevo deciso che avrei comunicato a tutti quella sera che sarei andato a New York con Bella, ma qualcuno che conosceva le mie intenzioni, vedendo che non mi decidevo a parlare e la serata stava volgendo al termine, aveva deciso di scombinare i miei piani.
«Avete sentito che il mio fratellino se ne va a New York col capo a Capodanno?»
Emmett, ovviamente, lo aveva saputo in anteprima per ovvi motivi di organizzazione familiare.
Lo fulminai con lo sguardo.
«Cosa?» esclamarono quasi all’unisono Rosalie e Jasper.
Per lo meno era riuscito a tenere la bocca chiusa con la sua ragazza, non me lo aspettavo.
Io scossi il capo mentre Rosalie venne a sedersi sul bracciolo della mia poltrona pronta a farmi il terzo grado.
«Adesso mi racconti tutto» mi intimò incrociando le braccia sotto al petto.
Omettendo parecchi particolari, come le ore piccole, le cene improvvisate e il fatto che non me sembrava comportarsi in maniera molto più confidenziale che con gli altri dipendenti, raccontai loro della proposta di Bella di portarmi a New York.
Jasper era incredulo.
«Edward, ti rendi conto che per Bella dirti che sei l’unico con cui riesce a lavorare equivale a una dichiarazione d’amore?»
«Non dire sciocchezze, Jasper» replicai sprezzante. Non mi piaceva il modo in cui la considerava.
Alice gli diede uno scappellotto e mi sorrise.
Rosalie mi fece l’occhiolino e se ne andò sul balcone con la scusa di fumarsi una sigaretta. Alice stava per raggiungerla, ma la fermai. Avevo capito che voleva che fossi io a seguirla.
«Rose» la chiamai e si voltò verso di me.
«Cosa state combinando, Edward?» mi domandò senza girarci troppo intorno.
«Niente di che, davvero. Stiamo solo lavorando» ed era vero che ci limitavamo a lavorare, ma c’era qualcosa tra noi, era innegabile.
Io ero felice con lei e lei sembrava stare bene con me. Mi sembrava di conoscerla da una vita per quanto mi riuscisse facile essere me stesso con lei.
«Qualsiasi cosa stia nascendo tra di voi sono felice per te, davvero. E per lei» mi sorrise.
«Grazie» le dissi sincero.
«Non ci mettere troppo tempo a farti avanti, sono proprio curioso di conoscerla questa Bella che - per la cronaca -, secondo me, è stracotta di te» Emmett era arrivato alle mie spalle.
«Lo sai che abbiamo tempistiche e stili diversi» lo presi in giro.
«Sì, è vero, ma siamo pur sempre gli irresistibili fratelli Cullen: cadrà ai tuoi piedi, ne sono sicuro» mi disse mentre circondava la vita di Rosalie con le braccia.
«Ci chiamavano così al college», le spiegò, «quando il signorino si faceva qualche problema in meno rispetto ad ora e si buttava di più. Quand’è che ti ho perso, fratello? Da dopo New York sei diventato così insicuro su tutto» terminò dispiaciuto.
Sospirai. Emmett aveva cercato in tutti i modi di aiutarmi a risollevarmi dopo New York, ma non ci era riuscito.
«Siamo cresciuti, Emmett. Il college è stato una vita fa. Io e Bella lavoriamo insieme, è il mio capo, è ovvio che mi faccia degli scrupoli, no? E poi lei non è come le altre, non è una qualunque. Lei è importante per me» ammisi ad alta voce senza neanche rendermene conto.
«Neanche tu sei uno qualunque per lei, Edward» mi disse Rosalie. «Non è la prima volta che si sposta per lavoro e non ha mai chiesto a nessuno di seguirla, neanche alla sua segretaria o a me. E di sicuro in quattro anni di attività non ha mai fatto le ore piccole in ufficio lavorando con qualche dipendente».
«Possiamo?» Alice e Jasper arrivarono alle mie spalle.
«Ma certo, Alice, è casa vostra. Anzi, scusateci se ci siamo allontanati» le dissi.
«Nessun problema» Jasper mi diede una pacca sulla spalla.
«Non mi dite che state parlando di lavoro, però, vi prego» disse con tono supplichevole, mentre si accendeva una sigaretta.
Rosalie mi fece l’occhiolino.
«Fammi sentire un po’, Edward, state anche programmando la formazione dei team?» mi domandò curiosa, mentre si accoccolava tra le braccia di mio fratello. Jasper alzò gli occhi al cielo mormorando con la sigaretta tra le labbra «lo sapevo» e mi scappò una risatina.
«Sì, anche se per quello probabilmente saresti stata tu la scelta migliore» le sorrisi.
«È lei la migliore, vedrai. E poi, se ha scelto te, non ho dubbi che sia tu la persona più adatta» la ammirava sinceramente, come me e tutti gli altri d’altronde.
 
 
E lo vidi davvero che era lei la migliore, ma ormai ero convinto che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, anche in campi diversi, e sarebbe risultata sempre la migliore. Aveva la stoffa, la grinta, la tenacia e l’intelligenza giusta per adattarsi a qualsiasi situazione.
In quella settimana era in programma una riunione aziendale e per la prima volta, da quando lavoravo lì, la vidi all’opera nella sua veste ufficiale.
Tutte quelle parole che insegnavano nei corsi universitari e che sembravano vuote e astratte sui manuali, si erano perfettamente incarnate nella sua meravigliosa figura.
Public speaking, leadership, capacità manageriali, orientamento al risultato: le possedeva tutte.
Di solito durante le riunioni capitava di annoiarsi, o per lo meno era fisiologico che almeno un partecipante si annoiasse e si mettesse a guardare lo smartphone per non addormentarsi, invece lì eravamo tutti attenti e incantati, pendevamo dalle sue labbra.
Era assolutamente perfetta e non sembrava sforzarsi più di tanto per esserlo. Dietro quella naturalezza doveva esserci stato un gran lavoro e tanto sacrificio e sull’onda di questi pensieri la mia voglia di sapere tutto di lei crebbe ancora di più.
 
 
«A quanto pare, hanno bisogno di me prima del previsto. Hanno fissato una nuova riunione di tutto il consiglio di amministrazione prima della full immersion natalizia che, per inciso, inizierà il 15 dicembre per me» annunciò giovedì sera, una settimana prima del giorno del Ringraziamento.
Ma non potevano farla in video conferenza?
«Partirò mercoledì pomeriggio, quindi quella sera non potremo lavorare. Uscirò per la prima volta di qui alle 17, credo di non averlo mai fatto» confessò.
«Ma è il Ringraziamento» protestai.
«Lo so, proprio per questo ho fatto fissare la riunione in quel weekend. Non posso assentarmi da qui per troppo tempo e visto che c’è il ponte del Ringraziamento ne approfitto. Riuscirete a cavarvela con gli ordini del Black Friday, ne sono certa».
«Il Black Friday a New York, il sogno di ogni ragazza» la punzecchiai.
«Oh, certo, non desidero altro che fare file infinite davanti ai negozi o litigare per un paio di scarpe con orde di ragazzine assatanate, dopo essere stata chiusa tutto il giorno in una stanza a trattare con italiani, brasiliani e americani» replicò sarcastica.
«Scusami, non volevo farti arrabbiare» le dissi con voce colpevole.
«No, scusami tu, non volevo risponderti male. Davvero. È che mi stanno facendo impazzire» si prese la testa fra le mani.
«Non devi scusarti di nulla» le dissi accarezzandole una spalla e mi regalò uno di quei sorrisi per i quali avrei potuto fare qualsiasi cosa.
«Non vedo l’ora di tornare a New York, non smetterò mai di ringraziarti per avermi proposto di accompagnarti» le dissi grato.
«Sono io che devo ringraziare te. Sai già quando potresti partire?» mi domandò puntando i suoi occhi nei miei.
«Dopo il 25, qualsiasi data va bene.»
«Molto bene. Allora… non ti dispiacerebbe partire il 26?»
«Assolutamente no. C’è qualcosa che vorresti dirmi?» le chiesi vedendola combattuta.
«Non osavo chiedertelo, ma mi saresti di grande aiuto se potessi lavorare qualche giorno prima di Capodanno. Abbiamo dovuto riprogrammare le sessioni di lavoro e dobbiamo necessariamente sfruttare anche le ultime giornate di dicembre, subito dopo Natale. Ovviamente, sentiti libero di rifiutare, mi rendo conto che ti sto chiedendo molto.»
«Non devi farti remore a chiedere il mio aiuto, lo sai», la rassicurai. «Certo che posso lavorare. Anzi, se hai bisogno anche prima di Natale, per me non c’è nessun problema, posso partire quando vuoi». Mi sorrise.
«Non potrei mai chiederti tanto, già mi sento in colpa a sottrarti dalla tua famiglia prima del dovuto. Sicuro che a loro non dispiaccia che tu parta subito dopo Natale?»
Scossi il capo. «Ancora non lo sanno, ma tanto avranno la compagnia di Emmett e Rosalie. Sono tutto tuo» le feci l’occhiolino e mi sembrò di vedere un guizzo improvviso illuminarle lo sguardo.
 

 
Il giorno seguente, venerdì, iniziarono le promozioni per il black Friday e c’era il delirio in ogni reparto. Jasper, rassicurante come una nuvola nera in cielo la mattina di ferragosto, mi confidò che quello era solo un assaggio del delirio che precedeva il periodo natalizio.
Benissimo, a New York ci sarei arrivato morto.
Io non mi sentivo molto bene quel giorno, avevo un gran mal di testa e non vedevo l’ora di tornarmene a casa. Avevo lavorato tutta la notte a un altro articolo che avevo spedito alla redazione di un giornale sportivo locale. Per fortuna quella sera non ci saremmo neanche visti al Ruadh perché era chiuso: era nata Bree, la figlia di Leah e Sam. Jasper mi aveva mostrato una foto che gli aveva inviato Sam: era un fagottino dolcissimo tutto guance e capelli neri. Leah aveva avuto alcuni problemi durante l’ultimo mese di gravidanza e aveva smesso di lavorare, infatti non la vedevo da un po’. Sam appariva sempre più preoccupato ogni volta che lo incontravo.
Per fortuna, la bimba era nata forte e sana, nonostante avessero dovuto anticipare il parto per evitare complicazioni.
Avevano scelto il nome Bree che in gaelico irlandese significa “forza”, molto adatto per la piccola.
Entrambe le coppie sarebbero partite per il weekend. Alice e Jasper sarebbero andati dai genitori di lei nel Connecticut, perché avrebbero trascorso il Ringraziamento a Boston con i genitori di Jasper. Emmett e Rosalie, invece, avevano prenotato un weekend in un romantico b&b nel Vermont, approfittando proprio delle promozioni del black Friday che ormai venivano inviate quasi un mese prima della data fatidica.
I soliti regali strappa-mutande di mio fratello, come amavo definirli io, era ovvio che cadessero tutte ai suoi piedi. Anche se con Rosalie mi sembrava molto più coinvolto del solito: in genere la fuga romantica non la programmava mai prima dei sei mesi di frequentazione.
Io mi sarei goduto un bel weekend da single abbuffandomi di pizza e serie tv e magari avrei provato a scrivere qualcos’altro. Ormai mi era tornata l’ispirazione.
 
 
Erano quasi le sette. Mi avevano segnalato un problema dal magazzino, non riuscivano a trovare un documento di trasporto e l’ordine doveva necessariamente partire quella sera, così scesi a controllare. Non ero mai stato lì dentro.
Cercai l’operaio che mi aveva mandato a chiamare e controllammo tutto. Risolto il problema, mi ringraziò e si dileguò subito per affidare l’ordine al reparto spedizioni, altrimenti la partenza sarebbe slittata al lunedì mattina.
Io rimasi ancora per qualche istante per verificare anche gli altri DDT. C’era un tale disordine, era ovvio che si perdessero i documenti.
«Edward?» ormai sentivo la sua voce nella testa che mi scoppiava.
«Edward, sei qui?» dovevo farmi curare, percepivo anche il suo profumo.
«Edward!» urlò a pochi centimetri di distanza da me.
Me la ritrovai davanti. Allora non sentivo le voci in testa.
«Perché non mi rispondevi?» mi rimproverò.
«Oh, Bella, scusami, ero assorto nella lettura dei documenti. Che ci fai qui dentro?» le domandai a mia volta per non rispondere alla sua domanda.
Non ebbe il tempo di replicare perché entrambi fummo distratti dal rumore della porta che si chiudeva alle nostre spalle e dal segnale dell’allarme che si attivava.


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Buon sabato!

Il capitolo è ricco di avvenimenti, copre quasi un mese di eventi. Bambini che nascono, compleanni, viaggi e... allarmi che si attivano. Ovviamente, vi toccherà aspettare una settimana per scoprire cosa combineranno i nostri prodi eroi :D

Grazie mille a rapunzel82 e a LaurinskY per le loro splendide parole. Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Edward, ovviamente, ha accettato di andare a New York ^_^

C'è una frase in questo capitolo che ritornerà in futuro, in un capitolo molto importante. Ve lo rammenterò quando arriverà il momento, ma tanto sono sicura che ve ne ricorderete. Vediamo se qualcuno la individua già...

Buon fine settimana, a sabato prossimo!

 

  
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