Delle
braccia pronte
ad
accoglierti, un petto caldo con un cuore che batte forte per te, una
voce dolce
che ti sussurra all’orecchio:
“Bentornato”.
Alessio
non aveva mai
preteso molto in diciassette anni di vita. Era un ragazzo come tanti,
dai
capelli e gli occhi castani, né bello né brutto,
senza ambizioni. Una sola cosa
desiderava.
Un
amore che lo
avrebbe fatto sentire speciale. Desiderava una ragazza.
Nonostante
fosse
relativamente presto e il sole stesse rischiarando con i suoi raggi
tutto ciò
che in un bel mattino si poteva ammirare con tranquillità,
lui si sentiva
fiacco come quando correva lungo il sentiero vicino casa e
ciò che più bramava,
dopo la doccia, era il letto, il vero migliore amico
dell’uomo.
Il
cortile della
scuola era racchiuso dalle sue pareti, agli angoli crescevano delle
piante che
nessuno si prendeva la briga di curare e per terra, lungo il perimetro,
erano
state tracciate delle strisce bianche. Due porte con le rispettive reti
segnavano l’inizio e la fine del campo da calcio.
Per
quanto lo riguardava,
era fuori da tutto quel trambusto che si era creato dietro alla palla,
seduto
per terra, schiena al muro, la voglia di guardare quella noiosa partita
pari a
zero.
“Fra,
guardalo! È
spocchiosissimo quel Leonardo”.
Alessio
era intento a
sorseggiare il caffè prelevato, poco prima, dalla
macchinetta della scuola,
quando Giò gli premette una mano sulla spalla destra
invitandolo a guardare al
centro del campo.
Guardò
in quella
direzione e, tra i corpi che si muovevano a destra e a manca per
prendere il
pallone, lo vide. Il più bello e atletico della scuola, il
vip dei vip:
Leonardo Russo.
Spiccava
col suo
metro e ottanta, i suoi muscoli, i capelli neri in disordine, gli occhi
verdi
concentrati sul pallone.
Leonardo
era quanto
di più lontano ci fosse da lui: un ragazzo esile, asociale,
pessimo con le
donne, ma sicuramente più bravo nello studio. Quel ragazzo
era letteralmente il
più desiderato del liceo, eppure, si ricordò
Alessio, non era mai stato con una
ragazza, o perlomeno così Leonardo aveva dichiarato.
Inizialmente,
aveva
pensato fosse una mossa per avvicinare quante più ragazze
possibili. Quale
ragazza avrebbe rifiutato di essere il suo primo bacio o la sua prima
volta?
È
furbo,
incredibilmente furbo.
Sin
da quando si era
presentato a settembre, non aveva fatto nulla per catturare
l’attenzione delle
ragazze. Erano bastati il suo sorriso e tutto quel ben di Dio che aveva
come
corpo a farle letteralmente cadere ai suoi piedi.
Lo
aveva notato nei
suoi gesti: era una persona prevalentemente estroversa, con i suoi
piccoli
segreti – quando gli domandavano della sua vita sentimentale,
si faceva sempre
indietro –, parlava con chi gli rivolgeva la parola ed era
anche educato. Non
era stupido, o almeno credeva; non poteva non aver mai udito uno dei
commenti
sprezzanti di Giò, eppure non sembrava essergli ostile.
Anzi, forse nemmeno gli
importava di lui, ma non capiva ancora se ciò fosse dovuto
al suo immenso ego o
al suo carattere, probabilmente era la seconda opzione, ma gli piaceva
pensare che
fosse la prima.
In
realtà, era stato
Alessio a figurarselo come un nemico naturale. Non perché
avesse successo,
questo non gli importava, ma perché aveva successo ed
era single come lui.
In parole povere, gli faceva rabbia che uno che poteva avere
ciò che lui si
sarebbe sognato lo rifiutasse. Chissà perché poi.
Fu
in quel momento
che l’oggetto delle sue attenzioni segnò in porta,
accompagnato dagli
schiamazzi delle ragazze lì presenti.
“Guarda
fra!”
Alessio
intercettò
subito il punto che Giovanni stava osservando: Laura, la cotta di
sempre del
suo migliore amico, che stava sbavando per quel bellimbusto.
Gli
diede una pacca
sulla spalla, prima di andarsene in classe, dove avrebbe potuto
sorseggiare il
suo caffè senza interruzioni, mentre Giò lanciava
imprecazioni contro Leonardo.
Pensava
che, lontano
da Leonardo, i pensieri sarebbero evaporati nell’aria
mattutina. Che errore.
La
classe era un
luogo tranquillo a quell’ora: tutti erano fuori a sbavare
allegramente su
Leonardo o a rodere vedendolo in azione, nessuno sarebbe rientrato
prima della
fine del modulo.
Bevve
ciò che
rimaneva del caffè con quella convinzione, godendosi i raggi
solari che
penetravano dalle finestre.
Si
sforzò di non
pensare a niente, di concentrarsi sul caffè e non su Russo.
Per qualche motivo,
pensava più a lui che alle ragazze. Nessuna fino a quel
momento era riuscita a
catturare la sua attenzione, eppure ciò non era servito a
spegnere il desiderio
che ardeva in lui. Aveva sempre invidiato l’amore che i suoi
genitori nutrivano
l’uno per l’altra e voleva emularli a tutti i
costi. Nel suo futuro, voleva ci
fosse una donna pronta a confortarlo, a farlo sorridere, a farlo
piangere per
poi fare la pace e l’amore.
“Pensieroso,
vedo”.
Sussultò
non appena quella
voce giunse alle sue orecchie. Leonardo Russo era in piedi
sull’uscio della
porta con un sorriso smagliante. Fu sorpreso di notare che era solo.
Si
strinse a sé come
se volesse proteggersi, anche se non capì esattamente da
cosa. Fu un gesto
istintivo, come quelli che faceva da piccolo quando aveva paura. Non
che
Leonardo gli facesse paura, solo che… era strano essere da
solo con lui. Gli
faceva paura la situazione.
Leonardo
cambiò
espressione quando lo vide quatto quatto. Il sorriso scomparve e lo
guardò con
sguardo severo.
“Scusa,
io… penso di
dover andare in bagno”, furono le parole di Alessio.
Si
alzò con uno
scatto fulmineo dal banco in cui, poco prima, si era seduto.
Aveva
sempre visto
Leonardo circondato da tante persone e non aveva mai avuto modo di
parlare da
solo con lui. Per qualche motivo, quella situazione lo metteva a
disagio.
Lo
oltrepassò in
fretta e furia, quando si sentì afferrare per il braccio.
Lentamente,
si voltò
nella direzione dell’altro, fino a quando la sua visuale non
fu piena di lui,
di ogni sua caratteristica.
Lo
guardò stupito.
Non era mai stato così vicino a qualcuno prima di allora.
Poteva scorgere delle
lentiggini che non aveva mai notato in lui, così come il
colore intenso dei
suoi occhi. Era dannatamente bello.
Sentì
le guance
infiammarsi. A cosa stava pensando? Leonardo non solo era un ragazzo,
ma era
anche furbo. Non doveva cadere nella sua trappola.
Fu
quando gli parve
che anche sulle gote di Russo ci fosse del rossore, che si
staccò dalla sua
presa veementemente.
Prima
di fuggire, lo
guardò un’ultima volta: sembrava ferito e
continuava a guardarsi la mano che
poco prima lo aveva stretto.
Fu
chiedendosi il
perché di quel gesto, che se ne andò correndo
verso l’esterno.
La
luce
lunare penetrava dalla finestra rischiarando la pelle abbronzata, gli
occhi
verde smeraldo, i capelli del colore dell’inchiostro di
Leonardo. Il mare che
si intravedeva dalla finestra cullava Alessio col rumore delle sue
onde, mentre
l’altro era intento a giocare con una ciocca dei suoi capelli.
Il
cielo
venne presto oscurato e un fulmine illuminò la stanza
semivuota, che ospitava
solo delle tavole da surf, un letto e due corpi aggrovigliati tra di
loro.
“Ti
va?”
fece Leonardo, mostrando un sorriso irresistibile.
Il
cuore
di Alessio prese a battere a mille mentre lo guardava con occhi che
sapeva
essere vogliosi quanto i suoi.
Leo
gli
tolse il costume, così lentamente che più la
stoffa sfregava in basso, più
Alessio si eccitava.
“Non
vale
se sono il solo ad essere nudo”.
Prima
di
togliergli il costume, morse la parte superiore di esso, aumentando
l’eccitazione dell’altro.
“Ale,
ti
voglio”.
Anche
lui
lo voleva.
Impiegarono
poco tempo a prepararsi, tanto era il desiderio reciproco. Alessio era
pronto
per lui.
Sentì
un
dolore familiare, poi il piacere lo investì come
un’onda. Il rumore del mare e
l’odore di salsedine accompagnavano le spinte di Leo e i
gemiti di entrambi,
una melodia che Alessio amava.
Man
mano
che le spinte aumentavano, il suo desiderio cresceva sempre di
più.
Voleva
di
più. Voleva tutto di lui.
Di
più.
Di
più.
Di…
Si
svegliò di
soprassalto, tutto sudato e eccitato come non lo era mai stato da che
ne aveva
memoria. Un’evidente erezione faceva bella mostra di
sé. Un’erezione che aveva
avuto sognando di fare sesso con Leonardo Russo.
Corse
sotto la doccia
e cercò di lavarsi via il sudore e i pensieri, ma gli ultimi
non se ne andarono
via, anzi, lo accompagnarono fino alla sua classe.
Era
presto, il sole
era coperto dalle nuvole e un fresco venticello scompigliava i capelli
delle
ragazze alle finestre, che furono prontamente chiuse.
“Hai
visto Leonardo
ieri? Che figo pazzesco!”
“Ha
stracciato i
nostri compagni praticamente da solo! Bello e pure bravo!”
I
commenti delle
ragazze gli facevano venire i brividi. Quella mattina aveva meditato
circa il
venire o meno a scuola, ma alla fine era giunto alla conclusione che
Leonardo
Russo era comunque meglio delle ciabatte della mamma piantate dritte in
faccia.
Cosa
diamine gli era
preso? Perché aveva pensato a lui? Perché in quei
termini soprattutto?
Da
quando Leonardo
Russo era entrato nella sua vita, non aveva fatto altro che pensare a
lui, che
fosse invidioso o voglioso. Il fatto che fosse voglioso era una
novità,
probabilmente sorta dopo quell’episodio in classe. Eppure
Leonardo non aveva
fatto nulla se non fermarlo, perché diamine avrebbe dovuto
eccitarsi? Per un
maschio, poi!
Giovanni
gli si
sedette accanto, posando la cartella sotto al banco, nonostante fosse
vietato
dalle norme di sicurezza.
Lo
guardò confuso,
come se stesse osservando un volto nuovo.
“Fra,
che ti
succede?”
Nulla,
aveva solo
sognato di scoparsi il nemico numero uno di tutte le forme di vita
maschili
presenti in quella scuola.
“Ho
solo avuto un
incubo, niente di che”.
Giò
non sembrava essersela
bevuta, ciononostante non gli chiese più nulla.
“Oggi
quello
interroga in greco, ne sono sicuro! Ma se ti chiede la grammatica tu la
sai?”
Francamente,
la
grammatica greca era l’ultimo dei suoi problemi. Il primo
problema, invece,
varcò la soglia della porta in quello stesso istante; i
capelli neri arruffati
attirarono l’attenzione delle ragazze.
“Ecco
lo spocchioso”.
Trenta
minuti dopo,
durante le interrogazioni dei poveri malcapitati, Leonardo gli lanciava
degli
sguardi dal suo posto, fila centrale, secondo banco. Alessio, fila al
lato
della porta, ultimo banco, sentiva le gote arrossarsi sempre di
più ad ogni suo
sguardo. Forse era solo una sua impressione. Forse stava solo guardando
il muro
retrostante per cercare di combattere la noia.
In
ogni
caso, Alessio, che cavolo hai da arrossire?!
“Male,
molto male. Un
bel quattro oggi non ve lo toglie nessuno” fu il commento del
professore dopo
aver mandato a posto i ragazzi. “Dovete esercitarvi ancora.
Dividetevi in
gruppi, non mi interessa da quante persone, Rocci o GI alla mano e
traducetemi
questa versione”.
Ci
fu un attimo di
confusione dovuto allo spostamento delle sedie. Alessio sapeva
perfettamente
che sarebbe rimasto solo con Giovanni, come sempre. Dopotutto, era il
suo unico
amico in classe.
“Leonardo,
vieni con
noi!” fu Licia a parlare, dalla fila centrale.
Alessio
si sforzò di
non guardare nella sua direzione, fallendo miseramente. Quando i suoi
occhi
incontrarono quelli di Leonardo, l’idolo della classe sorrise
e parlò a Licia,
senza nemmeno guardarla in faccia: “Scusate, oggi vorrei
stare un po’ con
loro”.
Alessio
e Giovanni
sgranarono gli occhi, insieme al resto della classe, quando Leonardo
puntò
verso di loro.
Poggiò
la sua sedia
al contrario di fronte a loro, il banco a separarli, e
allargò le gambe per
potercisi sedere, gomiti appoggiati alla parte superiore dello
schienale,
sguardo puntato su Alessio.
“Allora,
cominciamo?”
Giovanni
sembrava
incredulo e schifato al tempo stesso. Alessio invece era un fascio di
nervi. Le
immagini che la sua mente aveva proiettato quella notte nella sua testa
si
sovrapponevano alla realtà che lo circondava, rendendolo
ancora più confuso.
Combatteva contro un’emozione indesiderata, che solo Russo
gli faceva provare.
“Fra,
tutto bene?”
Giò lo fece tornare coi piedi per terra.
Si
rese presto conto
che tutta la classe li stava fissando, come se stessero contemplando
dei
cagnolini che facevano amicizia con uno squalo. E che squalo,
pensò Alessio.
“No!
Sì! Cominciamo”.
I
mormorii del resto
della classe accompagnarono il suono prodotto dallo scorrere delle
pagine del
dizionario e quello della penna che lasciava segni indelebili sui fogli
del
quaderno.
Per
un po’ fu tutto
tranquillo, eccezion fatta per i battiti del cuore di Alessio, ma
presto
quell’apparente calma fu spezzata dalla voce di Leonardo.
“Allora
ehm…
Giuseppe…”
“Giovanni”.
“Sì,
ecco, ho saputo
che sei un ottimo traduttore. Sai, io mi sono trasferito
quest’anno da uno
scientifico, non me la cavo affatto bene col
greco…”
“Vai
dritto al punto”
tagliò corto Giò, seccato come l’amico
non l’aveva mai visto.
“Mi
chiedevo:
potresti darmi ripetizioni? Ovviamente ti pagherò”.
Giovanni
fece cadere
la penna sotto al banco. Alessio si abbassò per poterla
raccogliere, non
aspettandosi che anche Leonardo l’avrebbe fatto e che le loro
mani si sarebbero
sfiorate.
“Aia!”
Quando
sbatté la
testa contro al banco, una risata generale scoppiò in aula.
Il prof zittì tutti
prontamente.
“Tutto
bene fra?”
“Sì
fra” disse
massaggiandosi la testa.
L’attenzione
tornò
tutta su Leonardo.
“Mi
spiace, ma il
pomeriggio quando non sono col gruppo di scacchi vado in
palestra”.
Bugia,
Alessio lo
sapeva bene. Nemmeno sotto tortura Giò sarebbe andato in
palestra.
“Però
Alessio può
darti una mano, non se la cava male”.
Sussultò.
Ora
l’attenzione della classe intera era rivolta a lui.
Guardò per sbaglio gli
occhi di Leonardo e subito capì: era anche lui a disagio.
Guardò
Giò,
disperato.
“E
me lo
dovrei accollare io per te?!”, voleva
dirgli con gli occhi.
“Allora…
mi darai tu ripetizioni?”
lo sguardo di Russo era rivolto verso il basso.
Il
professore si
intromise, scostando appena il giornale che reggeva, prima che potesse
rispondere: “Mi sembra un’ottima idea,
però adesso parlate a bassa voce!”
Perfetto,
ora ci si
metteva pure il prof. Non gli era rimasta alcuna carta da giocare. Non
sapeva
nemmeno mentire spudoratamente, a differenza di Giovanni.
“Va
bene. Se per te
non è un problema, ci vediamo a casa tua dopo
pranzo”.
“Senz’altro”
si morse
il labbro, scatenando le ragazze che buttarono giù dei
sospiri.
L’oceano
della
memoria è vasto e ricco di scogli su cui le onde sbattono
riversando su di essi
la schiuma, destinata ad asciugarsi, a scomparire per sempre. Fuori
dall’acqua,
le forme di vita che risiedono in essa sono anch’esse
destinate a morire.
Eppure sono esistite, dei piccoli ricordi nell’abisso della
memoria.
Leonardo
chiuse a
chiave la sua stanza, mentre il fastidioso rumore del campanello
riecheggiava
nella casa semideserta.
Lui
era esistito.
Dopo
l’iniziale
imbarazzo, la lezione procedette senza intoppi per oltre
un’ora. Ancora non era
buio e Alessio aveva poca voglia di camminare fino a casa. E poi
c’era un
pensiero che lo tormentava. E non era Leonardo nudo, non doveva
esserlo.
Piuttosto, credeva fosse il momento perfetto per porgli la fatidica
domanda. Un
po’ lo imbarazzava, ma non poteva continuare così.
Pensava che, toltosi quel
sassolino dalla scarpa, forse non avrebbe più pensato a lui.
Russo
tornò dalla
cucina con in mano due bicchieri di aranciata. Quando si sedette,
decise che
era il momento.
“Leonardo,
devo
chiederti una cosa”.
L’altro
lo guardò
curioso.
Deglutì.
“Tu sei il
ragazzo più popolare che io abbia mai conosciuto. Tutte le
ragazze ti adorano,
eppure tu a quanto dici non sei mai stato fidanzato. Cosa ti
trattiene?”
Sollevò
lo sguardo su
di lui, stupendosi. Leonardo, sempre solare e allegro, era cupo in
viso.
Sembrava che l’avesse ferito, forse aveva toccato un tasto
dolente. Si sentì in
dovere di rimediare.
“Aspetta,
non voglio
farmi gli affari tuoi, solo che… sono anni che desidero una
ragazza, ma non
sono mai piaciuto a nessuno, ho pensato che se nemmeno tu hai avuto
relazioni
nemmeno io… insomma, avrei avuto speranze,
ecco…”
“È
così che mi vedi?”
Lo
sguardo di
Leonardo lo spiazzò. Non aveva mai visto nessuno in quel
modo prima d’ora se
non Giò ogni volta che si sbucciava un ginocchio da bambino.
Sembrava – era
– sul punto di piangere.
“Vuoi
una ragazza? Va’ fuori e cercatela, stando qua dentro non
troverai
nulla”.
L’aveva
ferito. Non
capì dove, non capì quanto, ma l’aveva
spezzato. E anche lui si sentì triste.
“Scusami,
io…”
“Non
sto scherzando”,
si alzò dalla sedia e gli diede le spalle.
“Va’ fuori”.
L’oceano
ci allontana,
trascinati
dalle sue correnti
vaghiamo,
nell’immensa distesa
in
cerca
di un appiglio
e
magari
l’uno dell’altro.