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Autore: heliodor    12/07/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il figlio del mercante
 
Prima di entrare in casa si assicurò di aver asciugato gli stivali. Suo padre sarebbe stato capace di picchiarlo o rinchiuderlo nella stalla, se avesse saputo che con il fango aveva rovinato il suo prezioso pavimento di legno laccato. E Cormie e le altre serve che lavoravano al suo servizio sarebbero state ben liete di riferirgli tutto, fosse solo per compiacerlo.
Cercando di fare meno rumore possibile salì le scale fino al secondo livello destreggiandosi tra i mobili di ogni fattura che riempivano le sale al livello inferiore.
Solo quando arrivò davanti alla porta della sua stanza, nella parte più buia e isolata della magione, si concesse un attimo per riflettere sulle ultime cose che erano accadute quel giorno.
La mattina era iniziata come tante altre, alzandosi poco dopo l’alba e scendendo di sotto per fare colazione. I suoi fratelli erano già usciti e nessuno sapeva dirgli per dove e suo padre era in già in giro per trattare i suoi affari con i fornitori al mercato.
C’erano solo lui e le serve in casa. Cormie, la più giovane una ragazza sui ventidue anni e altre tre donne più anziane che erano con loro da quanto potesse ricordare.
Rose aveva mangiato senza entusiasmo il pane avanzato dal giorno prima e bevuto un bicchiere di latte. In quel momento desiderava solo tornare nella sua stanza per proseguire la lettura che aveva iniziato la sera prima.
Il Trattato sulla storia di Valonde e dei suoi primi Re, di Loran Colvin era rimasto per troppo tempo su quello scaffale. Ogni tanto lo osservava da lontano, come se volesse sfidarlo e alla fine, come spesso gli accadeva, aveva accettato quella sfida e l’aveva iniziato.
E come altrettanto spesso gli accadeva, la lettura lo aveva assorbito a tal punto da fargli dimenticare qualsiasi cosa.
Persino l’appuntamento che aveva quel giorno alla locanda del Serpente Morto, l’unico posto di Cambolt in grado di accogliere in maniera dignitosa un visitatore venuto dall’esterno.
E il visitatore che lì lo attendeva quella mattina veniva davvero da lontano.
La lettera che lo aveva preceduto recava il sigillo dell’Accademia di Valonde.
Valonde.
Aveva fissato a lungo la stella a cinque punte impressa nella ceralacca, chiedendosi se non fosse tutto un sogno.
O uno scherzo dei suoi fratelli maggiori.
A volte capitava che gliene facessero, ma erano davvero poco elaborati, poco più di marachelle da bambini. Quello sarebbe stato troppo anche per loro.
No, si era detto rigirando la lettera tra le mani. È vera. Deve essere vera.
Una lettera con quel sigillo poteva voler dire una cosa sola. Che qualcuno aveva deciso di dargli la possibilità che da tanto attendeva.
Era raro che un’accademia così prestigiosa convocasse un questuante sconosciuto come lui, ma aveva passato l’ultimo anno a inviare missive a tutte le accademie del Grande Continente e anche qualcuna di quello Antico.
Valonde era solo una di queste, insieme a Taloras, Belliron, Luska, Akrodar e tante altre minori.
Quella mattina era uscito dopo avere indossato una mantellina leggera per proteggersi dal vento che si era alzato, insolito per quella stagione e si era diretto alla locanda del Serpente Morto.
Anche se vi era stato poche volte, conosceva bene l’edificio. Come tanti altri di Cambolt, aveva due livelli, di cui uno di pietra e l’altro, di solito quello superiore, in legno.
Davanti alla locanda c’erano pochi avventori, un paio di donne e tre uomini che parlavano tra di loro e non lo notarono passare con un mezzo sorriso sulle labbra.
Nessuno notò nemmeno il leggero tremore delle mani quando varcò la soglia e gettò un’occhiata ai tavoli pieni solo a metà.
Nella lettera era indicato il nome della persona che doveva incontrare e una sommaria descrizione del suo aspetto, compresi i vestiti che avrebbe indossato quel giorno.
Aveva osservato ogni tavolo con attenzione, cercando tra quei visi anonimi uno che rispondesse alla descrizione che aveva, ma non ne aveva trovato nessuno.
Forse non è ancora sceso per pranzare, si era detto.
Ros si era diretto al bancone, dove un ometto di mezza età stava pulendo la superficie di legno con uno straccio lurido.
Conosceva bene quell’uomo. Si chiamava Nilus Neelstrom e la sua locanda era una delle poche attività che suo padre non aveva ancora comprato.
E sapeva che Myron Chernin non gli era simpatico e il sentimento era reciproco.
“Io vi saluto, signor Neelstrom” aveva detto avvicinandosi.
Nilus gli aveva rivolto un’occhiata fugace. “E io saluto te, Ros. L’unico Chernin che non mi fa vomitare quando lo vedo. Sei qui perché tuo padre ti ha cacciato di casa o te ne sei andato tu?”
“Nessuna delle due cose.”
“Strano, avrei giurato che quell’idiota di Myron ti avesse messo fuori dalla porta. È da un po’ di tempo che va in giro dicendo che vuole liberarsi di te.”
Ros sapeva bene cosa dicesse suo padre sul suo conto, ma in quel momento non aveva voluto parlarne con Nilus. “Sto cercando una persona” aveva detto.
“E la stai cercando qui?”
“So che ha preso alloggio alla tua locanda. Il suo arrivo era previsto per ieri.”
“Ieri sono arrivate sei persone e cinque sono andate via.”
“Quella che sto cercando io è un uomo di mezza età, alto poco più di me e con folti capelli neri. Indossa una tunica grigia e una mantellina blu e ha l’accento di Valonde.”
Il viso di Nilus si era illuminato. “Ma certo, l’erudito. È arrivato proprio ieri.”
“E sa dove è adesso? È nella sua stanza?”
“Non ha dormito qui” aveva risposto Nilus. “È arrivato e se ne è andato subito dopo.”
“Dove era diretto?”
Nilus si era stretto tra le spalle. “Non ha lasciato detto niente. A parte una cosa.”
Si era chinato e aveva preso qualcosa da sotto il bancone. Tra le mani aveva una busta sigillata con della ceralacca. L’aveva messa sul bancone.
Ros aveva riconosciuto subito il sigillo di Valonde. Ed era intatto, prova che Nilus non l’aveva toccata.
“È per me?” aveva chiesto?
Nilus aveva annuito. “Mi ha detto di consegnartela quando saresti venuto a cercarlo.”
Ros non riusciva a spiegarsi quel comportamento. Sapeva che gli eruditi erano persone strane, a volte bizzarre e quasi mai del tutto comprensibili, ma non si era aspettato quello.
Aveva allungato una mano verso la lettera ma Nilus l’aveva ritratta.
“Sono dieci monete” aveva detto il locandiere.
“Devo pagare per la mia corrispondenza?”
“È la tassa per la custodia della lettera, figliolo. So che te le puoi permettere.”
Rose aveva tirato fuori un sacchetto pieno di monete e ne aveva contate dieci. Le aveva messe sul bancone allungando la mano verso la lettera, ma Nilus si era ritratto di nuovo.
“Cosa c’è adesso?”
“Sono altre dieci monete. Per la camera.”
“Io non ho alloggiato qui.”
“Ma l’erudito sì.”
“Hai detto che è andato via subito.”
“È vero, ma ha affittato una camera fino a domani mattina. Ha detto che avrebbe pagato la persona a cui avrei consegnato la sua lettera.”
“Non è giusto” aveva protestato.
“Niente monete, niente lettera.”
Ros aveva tirato fuori altre dieci monete e le aveva messe sul bancone.
Nilus le aveva fatte sparire con un gesto veloce della mano e gli aveva consegnato la lettera.
“Spero che ne sia valsa la pena” aveva detto uscendo dalla locanda.
 
Mentre tornava a casa aveva incrociato Rezan, Blenn e Loyan. Tutti e tre erano scuri in volto e parlottavano tra di loro.
Rezan in particolare sembrava infuriato e un paio di volte aveva addirittura mimato un affondo con la spada. L’arma era legata alla sua cintura e da quando l’aveva ricevuta in dono da loro padre non aveva fatto altro che vantarsene con gli altri fratelli.
Ros in particolare.
“Tu questa non la potrai mai avere” gli aveva detto Rezan agitandogliela sotto il naso.
Ros si era ritratto e lui aveva riso.
“Tranquillo, non la userò con te” aveva detto suo fratello. “Sarebbe sprecata.”
“Con chi allora?”
“Ci sto ancora pensando, ma non sono affari tuoi. A proposito, che ci fa ancora qui?”
Ros si era stretto nelle spalle. “Vivo qui.”
“Lo sai cosa voglio dire, idiota” aveva risposto Rezan con tono sgarbato. “Sarai anche nostro fratello, ma non sei uno di noi. Stai sempre nella tua stanza a leggere o fare di conto, almeno potresti renderti utile nel tenere i registri.”
Era più o meno la stessa cosa che gli ripeteva suo padre da quando aveva scoperto la sua abilità con i calcoli. Non c’era problema con i numeri che Ros non fosse in grado di risolvere e glielo aveva dimostrato.
“Forse non sei del tutto inutile come temevo” aveva detto Myron Chernin prima di dargli i registri della sua attività.
Ma a Ros non interessavano quel tipo di calcoli e trovava noioso dover fare di conto per amministrare le entrate e le uscite dell’azienda di famiglia.
Così era successo che il suo breve momento di considerazione e rispetto da parte del padre era arrivato e passato in fretta.
Rezan aveva marciato deciso verso casa lasciando indietro Blenn e Leyan.
Ros si era avvicinato con cautela. “Che succede?”
“È meglio per te se stai lontano da Rezan” aveva detto Blenn. “È di cattivo umore.”
Ros aveva seguito il suo consiglio e si era tenuto in disparte mentre Rezan parlava col padre e gli raccontava che cosa era accaduto.
“Testa di ferro” aveva detto suo fratello con voce irata. “Mi ha aggredito e io mi sono difeso. Non le volevo fare niente, a parte dare una piccola lezione, ma poi sono arrivati dei tizi con delle facce terribili e ci hanno minacciato.”
“Dei tizi?” aveva chiesto Myron Chernin.
“Mantelli” aveva detto Blenn.
Mantelli, aveva pensato Ros. Vuol dire stregoni.
A Cambolt non se ne vedevano spesso, ma a volte passavano da lì mentre erano diretti a Ferrador o, nel percorso inverso, andavano a Belliron.
“Amici del fabbro” aveva ringhiato Rezan. “Devi dargli una lezione a quello lì.”
“Lo farò quando sarà il momento” aveva risposto suo padre. “Per ora lasciamo le cose come stanno. I suoi debiti non si pagheranno da soli.”
“E il mio orgoglio?” aveva detto Rezan.
“Anche per quello dovrai aspettare” aveva risposto suo padre.
Rezan aveva colpito col pugno il tavolo ed era andato via scuro in viso.
Ros si era fatto avanti. “Di che debiti parlavate?” chiese a suo padre.
“Quelli del fabbro” aveva risposto lui passando una mano nel punto in cui Rezan aveva colpito il tavolo.
“Credevo che la forgia andasse bene.”
“Invece ti sbagliavi. Gli affari non vanno bene per Simm Keltel.”
Ros conosceva solo di fama il fabbro. Per lui e gli altri ragazzini del villaggio era solo lo sgarbato padre di Valya. Lei non ne parlava spesso e preferiva starsene in disparte con le sue amiche. A volte l’aveva vista impugnare un ramo caduto e fare finta di tirare con la spada.
“Se i Keltel hanno dei debiti potresti prestargli tu i soldi che gli servono.”
Suo padre aveva scosso la testa. “Proprio non capisci niente di affari, Ros. Persino quell’idiota di Leyan ne sa più di te.”
Ros aveva ingoiato l’offesa senza replicare. “Che cosa ho detto di sbagliato?”
Myron Chernin aveva sospirato. “L’errore è stato mio quando ho imposto a tua madre di partorire un altro figlio io volevo una femmina che ci desse una mano in casa dopo tre figli maschi e invece sei arrivato tu.” Aveva fatto un altro sospiro. “E ti sei portato via tua madre.” A quel punto, come sempre accadeva in quei casi, aveva scosso la testa affranto. “Non doveva andare così. Gli Dei sono stati ingiusti con me.”
Ros era scivolato fuori dalla stanza e si era diretto alla sua camera. Dopo aver chiuso la porta a chiave, aveva rotto il sigillo che la chiudeva e l’aveva spiegata. L’entusiasmo e l’emozione che aveva provato scemarono all’istante.
Per tutta la strada dalla locanda a casa aveva sperato che quella lettera fosse la conferma della sua ammissione all’accademia. Aveva immaginato che la persona inviata a reclutarlo avesse avuto un impegno improvviso e fosse stata costretta a ripartire subito, lasciandogli quella missiva.
Era improbabile, ma non impossibile.
Ma quello era inspiegabile.
La lettera era vuota. C’era solo la pergamena intonsa e liscia, di un bianco perlato che rifletteva la luce delle lampade a olio.
Aveva girato la lettera più volte, l’aveva messa davanti a una luce intensa nella speranza che vi fosse un messaggio segreto nascosto.
L’idea di uno scherzo crudele da parte dei suoi fratelli si affacciò nella sua mente ma subito la represse.
No, non può essere quello. Sarebbe troppo elaborato e la lettera è autentica. Nilus non si sarebbe mai prestato per uno scherzo simile.
Rifletti, si era detto. Hai ricevuto una lettera vuota da parte di una persona che ha affrontato un viaggio lungo e pericoloso per consegnartela. Non ha senso. Niente di tutto questo ha senso.
Doveva sapere. Essere certo che non fosse uno scherzo o un errore. Forse, se avesse mostrato la lettera e Blenn o Leyan, con le parole giuste, avrebbe potuto farli tradire e confessare ciò che avevano fatto.
E se non erano stati loro, chi gli aveva tirato quel colpo? Una delle serve? Suo padre?
Non lo credeva capace di tanto.
Era uscito dalla stanza sicuro di poter trovare una risposa e aveva raggiunto le scale. Stava per mettere il piede sul primo gradino, quando aveva udito la voce bassa e roca di suo padre provenire da sotto.
“… non cederà nemmeno alle minacce.”
“Forse” aveva detto un’altra voce, più pacata. “Sarebbe il caso di lasciarlo in pace e farlo riflettere sulla vostra offerta, signor Chernin.”
“Forse tu pensi che il fabbro sia una persona ragionevole, ma non lo è, Krynt. Girano certe voci su di lui…”
“Quelle voci sono vere. In parte. Simm Keltel non accetterà la vostra offerta se pensa che lo stiate minacciando. O che siate responsabile delle sue disgrazie in affari.”
“Vuol dire che stringerò ancora di più la corda sul suo collo” aveva detto suo padre rabbioso. “L’altro giorno Joni, quel maiale che gestisce il forno, ha fatto credito a quella ragazzina. Lo so perché la figlia di Joni si è lamentata della cosa con una delle mie serve. In ogni caso, deve smetterla di fare credito a quei due. Domani andrai a parlare con quel ciccione e gli farai capire che non è una buona idea.”
“Vi costerà qualche moneta in più, signor Chernin.”
Suo padre aveva sospirato affranto. “Mi chiedo quanto mi verrà a costare tutto questo. Mi conforta sapere che lo faccio per i miei figli, non certo per me.”
“Certo, certo” aveva risposto la voce ironica.
“Non mi credi?”
“Io credo solo a una cosa, signor Chernin e quando cade fa un bel suono metallico.”
“Penso che ci intenderemo noi due.”
Ros aveva atteso che si allontanassero ed era rientrato nella sua camera.

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