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Autore: Sian    12/07/2020    2 recensioni
Raccolta di One Shot su momenti speciali della coppia Miwako Sato e Wataru Takagi.
Ispirata ai colori. Come primo capitolo vi è l'indice delle one shot: troverete lì la trama di ognuna.
#1. Rosso, Natale. "Il rosso. Trovava che stesse particolarmente bene sulle sue guance."
#2. Verde, Quadrifoglio. "Il verde. La speranza di aver trovato un po’ di fortuna nella vita."
#3. Giallo, Birra. "Il giallo. L’allegria di certi momenti indimenticabili." / lime
#4. Nero, Lutto. "Il nero. Forse solo il silenzio avrebbe potuto rappresentare questo colore." / contenuti forti, tematiche delicate
#5. Rosa, Pelle. "Il rosa. Il complice desiderio di aversi accanto, per sempre." / lemon, erotico
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Miwako Sato, Wataru Takagi
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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*Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate*

All the colors that remind me of you

* Nero *
* Lutto *

Il nero. Forse solo il silenzio avrebbe potuto rappresentare questo colore.

***

«Sato-keibu! Si sente male?»

Non riusciva a capire cosa le stessero dicendo i suoi sottoposti. Sentiva tutto ovattato, ad eccezione del dolore che provava dentro di sé. Stringeva le braccia sul grembo dolorante. 

«Chiamo un'ambulanza!»

Si appoggiò ad una parete del corridoio per non cadere. Era appena rientrata alla centrale dopo aver condotto le indagini con la sua squadra investigativa. Non aveva fatto nessuno sforzo particolare, eppure era come se qualcuno la stesse stritolando dall’interno.

«Vado a cercare Takagi-san!»

«Dovrebbe essere nel suo ufficio della sezione rapimenti.»

I crampi non sembravano voler cessare, si sentiva sempre più debole.
Scivolò verso il pavimento: le gambe non la reggevano più. Ora sentiva il freddo delle piastrelle a contatto con la pelle. Nonostante quella temperatura le provocasse ancora più tremori, la aiutò a restare ancora vigile per qualche minuto. Giusto fino al momento in cui si poté accertare che la persona che amava più di chiunque al mondo era arrivata per stare al suo fianco.
Solo in quel momento la sua coscienza abbandonò il corpo sofferente in cui si trovava, lasciandosi cadere ormai a peso morto.


«Miwako!» Takagi si precipitò verso di lei, con il panico negli occhi.
Cosa le era successo? Era lì, a terra. I colleghi gli avevano riferito che si stringeva le braccia attorno al grembo. E quest'informazione non lo rassicurava per nulla.

Decise di starle il più vicino possibile. La alzò dal pavimento freddo. I corti capelli corvini le cadevano scompigliati sul viso, corrugato dal dolore.
Non riusciva a sopportare di vederla in quello stato. La sua Miwako Sato era coraggiosa, forte, impavida, sicura. Quell’espressione sul suo viso non le doveva appartenere. In quel momento si sentiva come se tutta la vita gli stesse scivolando dalle dita, incapace di potersi aggrappare ad essa.

Ma l’unico oggetto che poteva afferrare in quel momento era la barella su cui i paramedici avevano adagiato l’ispettrice della sezione omicidi. Era salito insieme al paramedico sull’ambulanza che correva verso il pronto soccorso dell’ospedale.

Takagi lo informò sulle condizioni della donna di cui solo lui era a conoscenza. Miwako gli aveva chiesto di non dire nulla a nessuno momentaneamente.

E poteva capirla. La quotidianità di entrambi era cambiata solamente da pochi mesi.
Non era più una relazione occasionale: ogni mattina si sarebbe svegliato assieme a lei e ogni sera si sarebbe addormentato assieme a lei. Condividevano ogni spazio. E lo avevano desiderato entrambi.

Il tempo era passato così in fretta da quel lieto giorno. Non si erano nemmeno ancora abituati ai nuovi ritmi, al non essere più nella stessa squadra investigativa, al dover indagare su casi separati.
Sembrava quasi tutto un sogno, una sua fantasia.

Invece era reale. Tutto ciò era reale, anche la porta della sala operatoria che in quel momento li divideva. Non le era stato abbastanza vicino da capire che c’era qualcosa che non andava.

Nell’ansia frenetica che in quel momento lo stava divorando, i suoi occhi incrociarono un’infermiera appena uscita dalla sala operatoria. Lo stava chiaramente cercando per parlargli.

«Buongiorno, lei è il marito di Miwako Sato. Giusto?»

***

Aprì gli occhi.

Cos’era successo? L’unica cosa che si ricordava era il viso preoccupato di Wataru.

Dove si trovava? Era sdraiata su un letto con lenzuola bianche. Era tutto così silenzioso. Poteva osservare un tubicino che proveniva da una sacca piena di liquido. Si trovava apparentemente ricoverata in ospedale.

Ma... Per cosa esattamente? Perché Wataru aveva un’espressione così preoccupata mentre correva verso di lei? E perché correva? Seguì quel tubicino: era attaccato al suo braccio sinistro. Mentre nella mano destra sembrava stringere qualcosa.

Stava correndo verso di lei perché... era scivolata sul pavimento gelido del corridoio della centrale di polizia. Ed era caduta a terra perché...?

Cos’era successo? Girò la testa verso la direzione opposta, per esaminare quello che si trovava nella sua mano. Wataru era lì con lei, seduto accanto al letto dove stava riposando. Le stringeva la mano insistentemente. 

Cos’era successo? Gli occhi di Wataru erano lucidi. La stava osservando, da chissà quanto tempo. Sembrava voler comunicarle qualcosa. Lo guardò, aspettando che parlasse. Sembrava essere a conoscenza di qualcosa di importante, ma che non riuscisse a trovare quel tanto che bastava per poter dare una risposta ai suoi sguardi confusi e indagatori.

Sembrava molto scosso dalla situazione. Passarono forse svariati minuti in silenzio, a guardarsi negli occhi. Avrebbe voluto asciugare le lacrime che gli rigavano il viso, ma non poteva alzare le braccia. Il sinistro era collegato alla flebo, mentre il destro era tenuto forte da Wataru.


«Wataru-kun...? Cos’è successo?» Eccola, la domanda a cui non avrebbe mai voluto rispondere. Forse era meglio avvisare l’infermiera che Miwako si era svegliata, e far spiegare dal medico cosa le era successo.

Gli occhi di Miwako cercavano spiegazioni. No... Era lui che doveva farle sapere tutto. In quel momento era disorientata, confusa... Nonostante lui fosse in dovere di evitarle sin da subito ulteriori preoccupazioni. Ma non riusciva a fermarle, le lacrime.

La voce, anche se avesse avuto il coraggio di uscire, sarebbe stata poco più di un sussurro. Si rese conto che non riusciva a muovere un singolo muscolo. Anzi, l’unico movimento che non era bloccato gli permetteva di accarezzarle dolcemente la mano con il pollice. Forse sarebbe stato meglio che fosse stato lui a dirglielo. D’altronde il suo compito in quel momento era di starle il più accanto possibile, per aiutarla, per aiutarsi a vicenda.


Bastò lo sguardo di Wataru a farle capire ciò che era successo. Era pur sempre un'investigatrice e lui era sempre stato un libro aperto per lei. 

Quegli occhi pieni di lacrime erano rivolti verso il suo ventre.

La presa sulla sua mano si fece ancora più insistente, come a dirle che doveva essere forte, che lui era lì con lei e che mai l’avrebbe lasciata da sola. Il lento movimento del pollice che le sfiorava il dorso della mano le stava comunicando quanto l'amava, quanto desiderasse non separarsi mai da lei e quanto avrebbe voluto che crescesse...

Bastò quello sguardo per farle capire che era successo qualcosa... Al loro futuro figlio.

Ora che si soffermava a pensarci, non aveva sensibilità dal ventre in giù. Era stata anestetizzata localmente per poter garantire il successo dell’operazione d’urgenza.

E l’unica operazione possibile era... 

«Non c’è più?» Non voleva crederci. Ma era la sola spiegazione per cui si trovava in quel letto di ospedale. Glielo confermò il suo cenno del capo. La vita che stava crescendo dentro di lei si era spenta ancora prima di nascere. Forse per causa sua.


Fece ritorno con lo sguardo verso il viso di Miwako. In quel momento avrebbe voluto solamente stringerla a sé in un abbraccio, ma non voleva procurarle ulteriori dolori in seguito all’operazione.

Il suo viso si era rabbuiato. Il suo sguardo quasi assente. Poteva tastare la disperazione che la stava inghiottendo. Le strinse dolcemente ancora di più la mano. Si sentiva così inerme di fronte ad una disgrazia così grande.

Si ricordava ancora le parole esatte con cui Miwako gli aveva comunicato di essere incinta, quelle stesse parole che avevano dato inizio a momenti di pura gioia: «Non c’è più.»
Gli aveva assicurato quella volta che l’oggetto scomparso non era nessuna spilletta andata persa. I momenti passati con lei, a fantasticare sul fatto che stavano diventando genitori a tutti gli effetti ogni giorno che passava, erano stati così felici. Fino a quella mattina era stato il loro grande segreto, e tale sarebbe rimasto finché non fosse stato evidente, anche solo a qualche occhio indiscreto che si sarebbe poggiato sulla pancia di Sato che sarebbe cresciuta piano piano ospitando il frutto del loro amore.

Ma... tutta quella felicità era sfumata in pochi minuti. Quel figlio non sarebbe più arrivato. Ed era un dolore troppo grande da affrontare da soli. Per questo non avrebbe lasciato la presa sulla sua mano, per nessuna ragione al mondo. Quella stessa mano che si sentì tirare verso il viso di Miwako.

Si alzò per seguirne il movimento.


Le lacrime erano inevitabili. Forse avrebbe voluto nasconderle, motivo per cui si portò il braccio destro al viso, trascinando anche la mano di Wataru. Si coprì gli occhi con il braccio, tenendogli stretta la mano. Sentiva che si era appoggiato al bordo del letto per poter restare in equilibrio in quella posizione con il braccio teso verso di lei.

Forse non servivano parole. Forse il silenzio era l’unico suono che andava ascoltato. Il silenzio che la morte si trascinava sempre dietro. Il silenzio interrotto da qualche singhiozzo strozzato.


Forse solo il silenzio avrebbe potuto rappresentare questo colore. Il nero.

   
 
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