Gare vinte e occasioni mancate
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Quel
lunedì H si sentiva come al
primo giorno di scuola e, dal corridoio del secondo piano
dell’ala est,
osservava nervosa la porta dell’aula del corso di dibattito.
“Sicura
di volerlo fare?”
Christina le si affiancò mentre spostava il peso da un piede
all’altro.
“Voglio
provare” ammise, come se
fosse una confessione.
Alcuni
ragazzi e il professor
Sweeter entrarono nella stanza, senza chiudere la porta.
“Allora
vai. Sicuramente stare
qui non servirà a niente.”
H
annuì. “Se non mi piace, è uno
scherzo o mi trattano male, vengo via” disse, più
a se stessa che all’amica.
“Se
ti trattano male o è uno
scherzo, saprai metterli tutti in riga”. La mano
dell’amica si posò sulla sua
spalla e leggermente la spinse in avanti.
H
percorse lentamente tutto il
corridoio e si avvicinò alla porta in questione. Si
voltò verso Christina e lei
le fece un cenno con il capo invitandola a entrare. La sua migliore
amica era
l’unica che sapesse esattamente cosa nascondesse H sotto la
superficie di
ragazza dura e sicura. Si conoscevano da una vita e con lei non aveva
mai avuto
bisogno di nascondere la vera se stessa. Era l’unica che
sapesse dei suoi dubbi
o delle sue paure.
Spinse
appena appena la porta
socchiusa e sbirciò all’interno: due ragazzi erano
su un piccolo palco, dietro
a due finti pulpiti e parlavano con toni accesi senza gridare, mentre
altri
ragazzi e il professore erano seduti su delle sedie a guardarli.
Prima
di entrare osservò ancora i
due ragazzi e ascoltò quello che si dicevano: stavano
discutendo se fosse
meglio retribuire gli insegnanti in base alle capacità o
basandosi sugli
standard della legge. Stranamente, H trovò
l’argomento interessante, ascoltando
quello che dicevano.
Il
ragazzo a destra, sul palco,
era un ragazzo di colore, anche lui del terzo anno come lei, con una
folta
capigliatura e i denti storti: si chiamava Steve Terrent e lei lo
conosceva
perché facevano arte insieme.
A
sinistra, invece, il motivo per
cui H era lì: Helios. Si fermò a osservarlo anche
se conosceva a memoria la sua
testa spettinata e i suoi occhi scuri, che da lì non poteva
vedere, ma semplicemente
perché tante volte se lo era ritrovato davanti. Conosceva a
memoria anche la
forma degli occhiali che indossava. In quel momento, però, H
non si incantò a
guardarlo, effettivamente non era mai successo, ma si perse ad
ascoltare la sua
voce. La voce del ragazzo, sicura e forte, le rimbombava nel petto e
lui
sembrava veramente convincente e sicuro di sé.
H
fece un passo avanti e si
sedette su una delle sedie in fondo all’aula. Per qualche
minuto non si rese
neanche conto se respirasse o meno, troppo presa da ciò che
stava ascoltando:
era interessante. Il dibattito stava avvenendo in modo molto
‘maturo’, loro
sembravano dannatamente adulti e sicuri di quello che dicevano. Anche
lei
avrebbe voluto, un giorno, riuscire a essere così: a
sostenere un discorso
lungo e a far valere la propria ragione senza perdere la calma o
agitarsi.
A
un certo punto Helios, che
aveva sempre guardato il suo interlocutore, lanciò uno
sguardo alla piccola
platea davanti al palco, continuò a guardare lungo la stanza
e la vide.
Nonostante
avesse continuato a
parlare anche quando il suo sguardo si era allontanato dal pulpito e
dal
rivale, quando la vide seduta in fondo all’aula, il suo
discorso si interruppe
e Helios perse il filo. Imbarazzato, il ragazzo abbassò lo
sguardo sul foglio
di appunti e cercò di rimediare alla gaffe. Non si accorse
che Bettany, la
ragazza bionda seduta in prima fila, si era girata e quando aveva visto
H, sul
suo viso si era dipinta una smorfia di disappunto che non era sfuggita
alla
ragazza in questione.
Helios
riuscì a non distrarsi
più, semplicemente evitando di guardare il fondo
dell’aula e forse, se fosse
stato meno preparato sull’argomento, si sarebbe perso ogni
volta che si era
imposto di non girare il viso. Furono i dieci minuti più
lunghi della sua vita,
ma riuscì, come al solito, a nascondere il tutto molto bene.
Quando
il professor Sweeter
schiacciò il tasto sul cronometro, esclamando a gran voce:
“Stop!”, tutti
applaudirono e Helios si avvicinò a Steve per stringergli la
mano, mentre il
ragazzo si complimentava con lui.
Scesero
dal palco insieme e anche
gli altri si avvicinarono. Bettany gli gettò le braccia al
collo e lo baciò
sulla guancia per complimentarsi con lui, dicendogli che aveva fatto
un’ottima
interpretazione. “Sei veramente stato bravo, He!”
Helios
la guardò un po’ stranito,
in quanto non era mai successa una cosa simile, ma non se ne
preoccupò e, dopo
averla scostata da sé, guardò verso il fondo
dell’aula e sorrise nel vedere che
la ragazza fosse ancora lì. Era contento del fatto che H si
fosse presentata e
che fosse rimasta per tutto il tempo. Sperava che non facesse qualche
battutina
sul fatto che si fosse emozionato quando l’aveva vista e si
avvicinò a lei.
“Sei
venuta davvero” disse, mentre
la raggiungeva. H si rese conto di arrossire dall’imbarazzo e
annuì.
“Avevo
detto che lo avrei fatto…”
Alzò le spalle e poi continuò. “Sei
stato…” Cercò di trovare qualche parola
da
usare al posto di ‘fantastico’ e
‘magnifico’, perché non le sembrava il
caso di
gonfiare l’ego del ragazzo più del necessario, ma
non le venne in mente niente
e le parole morirono sulle sue labbra.
“Oh,
ti abbiamo annoiato?” chiese
lui, fraintendendo le sue parole.
“No!
È stato veramente
interessante. Sei stato bravo”. Lanciò uno sguardo
dietro a Helios e vide le
facce incuriosite di tutti gli altri. Specialmente la biondina che
l’aveva
guardata male poco prima.
Anche
il ragazzo si girò e,
quando vide i compagni, le prese la mano, dicendole:
“Vieni”. H non riuscì a
reagire e si ritrovò, poco dopo, davanti agli altri e
presentata da Helios.
“Benvenuta”
le disse il prof e H
gli fece un cenno con il capo. Tutti gli altri la salutarono e si
presentarono:
Bettany, la biondina, continuava a guardarla male.
Gli
altri iniziarono a parlare di
una gara che ci sarebbe stato di lì a breve e per cui
avrebbero dovuto decidere
chi si sarebbe dovuto presentare contro chi. Sembrava una cosa di
quelle
importanti, dibatti singoli con un punteggio comune, uno per ogni
membro della
squadra.
“Viene
anche lei?” chiese Bettany
al professore. Tutti si rivoltarono verso H, ma lei alzò le
spalle. “Voglio
prima sentire com’è, prima di accettarla in
squadra e…” iniziò a dire la
biondina verso gli altri e rivolgendosi all’unico adulto.
“Ehi,
Bettany, sono qui. Non
parlare come se non ci fossi, è…
maleducato.”
Bettany
si girò verso H, rossa in
viso per l’arrabbiatura. “Scusami, cocca,
è che capirai, sono mesi che mi
preparo per questo dibattito, e l’idea di perderlo
perché la squadra ha deciso
di ammettere un elemento come te, che sei solo decorativa, con quei
vestiti…”
La squadrò da capo a piedi, ma H notò benissimo
quando il suo sguardo si fermò
sulla sua borsetta, che era di una prestigiosa stilista.
La
ragazza rise appena e disse:
“Se proprio ci tieni, cocca,
posso
vestirmi male come te. Non è un problema, dovrai solo dirmi
dove hai comprato
quella robaccia”.
La
biondina sbiancò e si guardò i
vestiti: aveva una tuta in acetato e un maglioncino con una camiciola
di un
colore orrendo. H pensò che non potesse davvero aver scelto
quell’abbigliamento: doveva per forza essere capitato un
blackout in casa sua
nel momento in cui si stava vestendo.
“Ehm…
Ragazze… che ne dite di
venire qui e facciamo un riepilogo in cui spieghiamo a Hyacinth cosa si
svolge
il dibattito?” chiese il professore, volgendo lo sguardo
verso tutti. Bettany
fece un’altra smorfia ma si avvicinò alla cattedra
ai piedi del palco e,
sorridendo, H la seguì.
Dopo
aver ascoltato quello che
facevano e la spiegazione degli altri ragazzi sul modo in cui si teneva
un
dibattito e su cosa bisognasse far forza per risultare convincenti, H
si era
gasata parecchio.
“In
più sono crediti extra per il
college. Sempre che ti interessi il college…”
disse ancora la biondina, con una
malcelata smorfia di disapprovazione.
“Ascolta…”
H alzò la voce e si
avvicinò alla ragazza, prendendola per una spalla e
spingendola lontano.
Christina lo aveva detto: ‘Se ti trattano male, rimettili in
riga’.
“Ascoltami”
disse ancora. “Non ho
intenzione di litigare. Non sono qui per toglierti il ruolo da prima
donna o
qualunque cosa tu faccia. Sono qui perché mi interessa
quello che fate e penso
che mi piacerebbe provare, ma non ho intenzione di rubarti il primato,
il posto
che stai occupando e tantomeno il tuo ragazzo, ok?” concluse,
indicando con il
pollice dietro di sé.
“Io
e He non siamo…” iniziò la
biondina, ma H la interruppe ancora.
“Non
mi interessa cosa non siete.
Non mi interessa lui, né di te, né degli altri,
ok? Voglio vedere quello che
fate qui. Devo… allenarmi in queste
cose…” La ragazza annuì e
guardò alla sua
destra. H non si girò, perché non ci fece caso,
ma se lo avesse fatto avrebbe
visto Helios vicino a lei e a portata d’orecchio.
“Però…
se ti interessa, posso
aiutarti. E non solo per i vestiti…”
mormorò, verso la biondina. Subito dopo
ammiccò e si girò per tornare dagli altri, ma si
scontrò con Helios che aveva
una faccia un po’ delusa.
Dopo
tre settimane, quando
vinsero la gara di dibattito istituita alla New Catholic High School,
Helios e
Bettany si misero insieme e H, per confermare il fatto che non le
interessava per
niente quello che facevano, quella sera entrò dalla finestra
nella camera di
Hogan Reed, il quarterback della squadra di football, e da
lì si intrufolò nel
suo letto.
*
“Ma
stai fumando?!” La voce di
Helios era stupita e i suoi occhi erano spalancati
all’inverosimile.
“Shhh!
Vuoi che mi becchi la
strega?” chiese H, tirando dalla sigaretta e sbuffando il
fumo contro i libri
dello scaffale della biblioteca. Tutti e due i ragazzi si girarono
verso la
bibliotecaria e, dopo essersi accorti che non guardava dalla loro
parte, il
ragazzo si sedette vicino a lei e H spense la sigaretta sotto il tavolo.
“Perché
stai fumando in
biblioteca?”
“Guarda!”
H lanciò sul tavolo,
verso di lui, una busta marroncina della posta. Era gonfia, grossa e
pesante. E
dove di solito c’era il nome del mittente, era indicata una
delle scuole più
prestigiose degli stati uniti.
“Yale?”
Helios era quasi
impressionato. No. Lo era veramente molto. La busta conteneva ben
più della
sottilissima lettera in cui la scuola si dichiarava dispiaciuta di non
ammetterti alla facoltà con le più svariate
scuse. “Hai poi fatto domanda a
Yale?” chiese, quindi, sorridendo. Era contento
perché era stato lui a suggerirle
il corso di giurisprudenza e quando, all’inizio
dell’ultimo anno, avevano
iniziato a mandare le domande per i vari college, lui le aveva indicato
Yale
come uno dei corsi più validi.
H
in verità non avrebbe mai
pensato di farlo davvero. Aveva compilato la domanda per Yale, aveva
allegato
tutto quello che volevano sapere e poi l’aveva lasciata
lì sulla scrivania in
camera sua per almeno una settimana. Poi sua madre l’aveva
trovata e l’aveva
spedita senza dirle niente. Ora però era agitata. Se sua
madre non l’avesse
spedita, lei non sarebbe andata a Yale di sicuro, ma non avrebbe potuto
neanche
essere rifiutata. Era così nervosa che, senza la sigaretta a
tenergliele
impegnate, le sue mani iniziarono a tremare.
“Dai,
aprila.” H scosse la testa.
“Fidati di me, aprila” disse ancora lui, posando
una mano sulla sua. La ragazza
annuì e ruppe il sigillo. Rovesciò la busta a
testa in giù e una gran quantità
di fogli si sparpagliarono a gran velocità sul tavolo della
biblioteca. Alcuni
volarono e, prendendo strade diverse, finirono sotto al tavolo.
“Calma,
calma…” disse Helios
sorridendo, cercando di arginare i danni, ma lei stava già
leggendo.
“Siamo
lieti di comunicarle…
Oddio… Oddio! ODDIO! Mi hanno preso! Mi hanno
preso!” H saltò su dalla sedia e
gridò troppo per essere in una biblioteca, dove il silenzio
e la tranquillità
dovevano regnare sovrane. Helios però sorrise e rise con
lei: era troppo
contagiosa. H si sporse sulla sedia e lo abbracciò. Helios,
forse per la prima
volta, era imbarazzato dalla sua esuberanza.
“Ragazzi!”
La strega, come
chiamavano Mrs. Root la bibliotecaria, li stava guardando con
disapprovazione e
li aveva richiamati.
“Scusi,
scusi…” ridacchiò H,
mentre Helios l’aiutava a raccogliere i fogli sparsi per il
locale.
“Vieni,
usciamo” la richiamò lui.
“Arrivederci
Mrs. Root!” gridò H
mentre attraversava la porta della biblioteca; ridacchiava ancora
isterica.
“Oddio,
pensavo volesse
fulminarci!” disse Helios, non riuscendo a trattenere una
risatina, quando
arrivarono fuori nel cortile e si appoggiò al muretto del
parcheggio.
“Ma
va… Quella è la regina di
ghiaccio!” H non riusciva a stare ferma. L’idea di
essere stata ammessa a Yale
le rendeva impossibile calmarsi. Si accese un’altra sigaretta
e, dopo due
boccate, come se fossero state necessarie per ammettere che stava
succedendo
davvero, la passò al ragazzo senza dire niente.
“È
merito tuo, lo sai, vero?”
disse tutto d’un fiato.
“Mio?”
“Sì.
Il giorno del disegno in
aula di chimica… Quando è successo
che… Uff! Quando abbiamo discusso e poi mi
hai detto di venire al corso di dibattito, dai!” H
sbuffò, un po’ imbarazzata. “Se
non fossi venuta con voi, non avrei mai scoperto di essere in grado di
fare
quelle cose, le cose che fate voi, così… bene. Tu
hai visto qualcosa che
nessuno aveva mai visto. Neanche io…” ammise alla
fine, mentre la sua voce si
assottigliava.
Helios
sorrise: era contento di
averla aiutata. Ma non voleva che lei si buttasse giù.
“Sarebbe il tuo modo per
ringraziarmi? Dire quanto sei brava? Dovresti comprarmi un regalo,
invece!” Il
ragazzo fece una smorfia divertita per toglierla
dall’imbarazzo e le diede una
gomitata.
“Certo
che sei bravissimo a
rovinare tutto. Non so se voglio ringraziarti, adesso!”
sbottò lei,
strabuzzando gli occhi. Helios rise forte.
“Riesci
sempre a rigirare tutto!
Adesso è colpa mia se non mi ringrazi…”
“Certo.
Me lo hai insegnato tu.”
“Io?”
“Sì.
Ormai sono veramente brava
anche in questo” disse, arricciando il naso.
“E
modesta!” Helios rise ancora,
prendendola in giro.
“Non
ti dirò quello che penso di
te in questo momento!” esclamò lei, un
po’ infastidita e un po’ no.
“Allora
ti dirò io quello che
penso io di te!” La voce di Helios era un po’ roca,
perché la sua doveva essere
una battuta, ma non gli era venuta benissimo a causa del fatto che
pensava
veramente ciò che aveva detto: voleva dirle quello che
pensava di lei. Tutto.
Aspirò dalla sigaretta e poi la guardò: H
sorrideva.
“No,
passo”. H rise, mentre si
sedeva vicino a lui.
“E
cosa vuoi che ti dica, allora?”
Helios si sentiva nervoso. Sperava che fosse il momento giusto. Eppure,
da
quando la conosceva, lei non aveva mai fatto un passo verso di lui, non
in quel
senso.
“Tu
dove andrai l’anno prossimo?”
gli chiese, mordendosi un labbro.
“Columbia.”
H
fischiò. Un fischio lungo e
forte, degno di uno dei muratori giù al pub del dopolavoro.
“Giornalismo?”
domandò solamente, quando ebbe finito. Helios
annuì. “Cazzo. Complimenti!” Il
ragazzo alzò le spalle e H sbuffò, facendo volare
la frangia, pensando che lui
volesse tirarsela. “E Bettany è contenta? Non
siete molto lontani, no? Lei è
a…” si fermò perché
effettivamente non si ricordava in quale college fosse la
ragazza di Helios. Lei, essendo un anno avanti a loro, era
già al primo anno di
università.
“Non
sto più con Bettany” ammise lui.
Fece l’ultimo tiro dalla sigaretta e la spense sotto la
scarpa.
“No?
Perché?”
Alzò
di nuovo le spalle.
“Lontananza, nuove esperienze, solite
cose…” Quello che lui non disse era che
Bettany aveva capito che i sentimenti romantici di Helios non erano
solo per la
sua ragazza. Lei lo aveva messo alle strette e quando gli aveva chiesto
se
fosse interessato a H, lui non era riuscito a mentire.
“Oh.
Capisco. Deve essere dura
effettivamente…” H non sapeva cosa dire. Ma non
era la prima volta che
capitava. Lui, però, non sembrava che stesse soffrendo
particolarmente. “Mia
madre me lo dice sempre: non partire per il college
fidanzata”.
Helios
alzò un sopracciglio.
“Davvero?” H annuì.
“Quindi
mollerai Blackwall prima
di andare a Yale?”
Blackwall,
il soprannome del
capitano della squadra di football, era il suo ragazzo da due mesi. H
non era
neanche sicura che sarebbero stati insieme fino alla fine della scuola.
“Forse.”
“O
forse lo lascerai prima?” H
rise delle parole del ragazzo, perché sembrava che potesse
leggerle nella mente.
“Forse.”
“Di
cosa parlate quando siete
insieme?”
“Come?”
“Fate
conversazioni
interessanti?” la stuzzicò. H arrossì.
Lei e Blackwall non parlavano tanto e probabilmente
lo sapevano tutti, visto che il giocatore non brillava certo per il suo
cervello. Le loro conversazioni erano fatte solo di infortuni, di
schemi e di
football. E quando finivano, ricominciavano a parlare di infortuni.
Effettivamente, spesso si chiedeva cosa ci facesse con lui.
Probabilmente
Helios e Bettany facevano discussioni interessanti e battibeccavano
amichevolmente
finendo a far l’amore per fare pace.
“Certo!”
mentì. Helios lo capì ma
non disse niente. Non le chiese se lei si divertisse con il suo ragazzo
come
quando chiacchierava con lui. Sospirò e basta. “E
andiamo sempre d’accordo, non
è mica come te che mi contraddici sempre!”
esagerò lei. H alzò un sopracciglio.
“Ma
va là, che ti piace discutere
con me!” H non rispose e guardò da
un’altra parte, senza confermare né
sminuire. Helios si fece più vicino. Forse doveva essere lui
a fare il primo
passo. “Sai perché discutiamo sempre io e
te?”
“Perché
sei un pignolo
rompiballe?”
“Perché
l’idrogeno e l’elio
insieme creano una fusione nucleare che…”
“…che
genera un’energia potente”
rispose H interrompendolo. Helios sorrise e i suoi occhi brillarono per
quello
che aveva detto. Lei se ne accorse e guardò di nuovo da
un’altra parte, alzando
le spalle. “Ho studiato”. Il ragazzo
annuì. “Io brucio subito…”
“Sì. Ed
è fantastico”. Helios allungò una mano
verso di lei per toccarle una guancia, ma poi non lo fece e rimase con
la mano
in aria prima di riportarla lungo il fianco.
“Lo
avevi fatto sembrare molto meno fantastico,
nell’aula di
chimica” brontolò lei.
Lui
sorrise e alzò le spalle. “Il
tuo disegno era troppo bello, dovevo farlo per ribattere”.
“Hai
ragione era proprio bello.
Se avessi saputo che ti piaceva così tanto, ne avrei fatto
una copia da farti appendere
in camera.”
“Fallo.
Lo appendo davvero.”
H
rise e si alzò. Proprio mentre
si stava alzando, Helios decise di giocare il tutto per tutto. Si
alzò anche
lui e le andò vicino mentre lei si chinava per raccogliere
lo zaino.
In
quel momento il suono di un
clacson dal parcheggio della scuola, li fece voltare tutti e due: la
Camaro
decappottabile di Blackwall sgasava in mezzo al parcheggio. E fra un
colpo di
acceleratore e uno di clacson, il ragazzo gridò a H di darsi
una mossa.
“Saluta
Milord da parte mia” disse
Helios con ironia, indicando la
decappottabile del capitano, capendo che aveva perso il momento giusto.
Lei
fece una smorfia. “Sei acido come
una donna frigida”.
“Io
sono freddo. Quella calda sei
tu…” Alzò le spalle e il suono di un
altro clacson riempì il cortile. “Adesso
fischierà, per chiamarti?”
H,
che era infastidita dalle
parole di Helios soltanto perché anche lei stava odiando il
comportamento
dell’atleta, gli rispose: “Non siamo tutti
intellettuali, Helios. C’è anche gente
brava in altre cose”.
Helios si domandò in cosa mai avrebbe potuto essere bravo BlackWall, ma quando lei ammiccò voltandosi poi verso l’auto, si scoprì imbarazzato. Anche se era un’idiota, quel ragazzo aveva muscoli che facevano girare le ragazze e impaurire i ragazzi. Helios stesso aveva avuto paura di prenderle da lui una volta o due. Era quello che le ragazze chiamavano 'un gran figo'. Probabilmente fisicamente era un portento.
Mise
le mani in tasca e sospirò. Non
voleva che lei se ne andasse così. Doveva assolutamente
dirle qualcosa che
potesse fare colpo. Non aveva muscoli e non era capace di sbancare il
pungiball, ma forse anche lui era bravo in qualcosa. Poteva colpirla.
Poteva
sorprenderla e dirle qualcosa che BlackWall non avrebbe mai potuto
dirle.
“Siamo
fatti della stessa materia
di cui sono fatte le stelle!” esclamò, poco dopo,
alla schiena della ragazza.
H
si girò, ancora camminando, e
disse ridacchiando: “Se lo avessi detto anche alla tua
ragazza, non ti avrebbe
mollato!”
Helios
non riuscì a replicare.
Era molto difficile tenerle testa da quando aveva iniziato a pensare a
lei in
quel modo. Non capiva se lei lo facesse apposta o meno. Se lei lo
stesse
relegando nei meandri dell’amicizia o cos’altro. La
guardò buttare lo zaino sul
sedile posteriore della Camaro rossa e saltare davanti senza aprire lo
sportello.
Forse erano davvero troppo diversi davvero. Forse…
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