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Autore: time_wings    13/07/2020    2 recensioni
[In revisione]
Da… un capitolo:
“Ci siamo trovati sotto un cielo – certo, era simulato, ma questo conta poco – e ti avrei raccontato la storia più bella del mondo, quella che nessuno si prende mai la briga di raccontare perché la tranquillità e la pace forse non fanno la fama. Peccato che, al crescere della gioia, cresceva la più complessa e particolare delle emozioni: la fiducia.
Questa storia è tragica e il mio più grande rimpianto resta quello di averci creduto.
Forse, semplicemente, per noi non c’era speranza."

Questa storia, come molte altre, parla di una grande amicizia, di un amore nascosto, di un fratello abbandonato, di difficili addii. Certe cose nascono alla stazione di un treno, altre finiscono nello stesso posto. Dove ci porteranno? Be', avanti.
O… la storia di come “alla fiera dell'angst per due soldi un malandrino mio padre comprò”.
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Marlene McKinnon, Regulus Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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3. (Bianco) Natale

 





Dicembre, 1980
 
La neve cadeva a fiocchi argentati, poggiandosi silente sul davanzale della finestra. Un bagliore caldo inondava la stanza e le luci sull’albero si accendevano a intermittenza, in una danza rilassante e che sapeva di casa.
L’odore di torta alle carote aveva ormai invaso il soggiorno e, con ogni probabilità, qualcuna delle stanze confinanti.
Lily si soffiò un ciuffo rosso via dal viso e infilò i guanti per recuperare la teglia dal forno. Un’ondata di fumo la travolse e alzò un gomito per scostarsi quell’unico ciuffo che continuava a ricaderle in faccia. Accompagnò l’anta del forno con un piede, si diresse verso il tavolo e vi poggiò il ruoto al centro. Poi osservò la tavola per qualche attimo, inclinando il viso di lato e assottigliando gli occhi alla vista della torta. Dannazione, aveva davvero un buon aspetto.
Incrociò le braccia al petto e lasciò vagare lo sguardo per la stanza.
“James,” chiamò. Un mugugno proveniente dalla poltrona le fece alzare gli occhi al cielo, “James,” tentò ancora, un angolo della bocca che si alzava in un sorriso divertito.
Puntò gli occhi sulla torta, poi su James, poi ancora sulla torta. Si avvicinò al dolce e lasciò scivolare un dito sull’orlo esterno, dove dei ciuffi di crema al formaggio si alzavano in una maniera irritantemente precisa, poi si recò davanti alla poltrona, si prese un attimo per contemplare il volto di James rilassato dal sonno e, infine, prese fiato: “Mi hai sentita?”
“Sì, Lily, ti ho sentita,” biascicò il ragazzo, affondando la testa nello schienale della poltrona e schiudendo un occhio per squadrare velocemente sua moglie.
Lily non aggiunse altro: si chinò appena in avanti e spalmò la crema al formaggio sul naso di James prima che potesse fermarla. Non riuscì a trattenersi dal ridere, quando lui tentò invano di divincolarsi dalla sua presa e scostare veloce la faccia, lamentandosi con versi indistinguibili.
Lily non demorse, continuò a imbrattarlo come meglio poté finché James non grugnì infastidito e le bloccò il polso con una mano. Gli occhi scuri ancora appannati dal sonno, ma illuminati da una nuova luce. James alzò un sopracciglio e si portò il dito di Lily alle labbra, leccando via la crema rimasta con un mugugno soddisfatto e chinandosi in avanti per rubarle un bacio.
“Non possiamo,” ridacchiò lei, quando intuì le intenzioni di James. Si allontanò appena, guardandolo con lo stesso desiderio che vedeva riflesso nei suoi occhi. Lily occhieggiò verso il grembo del marito, dove Harry riposava ancora sereno, immune a quel baccano.
“Lo molliamo a Sirius e Remus per qualche minuto, più tardi?” la pregò lui, alzandosi con ancora Harry in braccio e dirigendosi come su un binario verso la tavola imbandita.
“Secondo me ce lo meritiamo,” convenne lei, in quel tono per metà ironico e per metà serio tipico di Lily e che lasciava James confuso ogni santa volta.
“Concordo,” rispose lui, tagliando una fetta della torta di carote e cacciandosela in bocca. “Ci so proprio fare con i dolci.”
“James,” Lily si voltò per guardare suo marito: in una mano reggeva la torta, nell’altra Harry, mentre ruminava un boccone. Doveva ammettere che ce la stava mettendo tutta per risultare ridicolo.
“Che c’è?”
Era davvero buffo, con quello sguardo spaesato. Sembrava finalmente avere la sua età, la rilassatezza di un ragazzo.
“Niente,” Lily alzò gli occhi al cielo, liberandolo dal peso di Harry, “ma forse dovresti aspettare gli ospiti.”
James sospirò, il tipico sorriso di quando stava per dire qualcosa di stupido gli tagliò le labbra. “Al mio tredicesimo compleanno non mi hanno aspettato per mangiare la torta.”
“Be’…”
“La mia torta,” ripeté James, come a sottolineare la gravità del tradimento. Si avvicinò veloce a Lily e, complice Harry e la scarsa mobilità che dava a chi lo teneva, fu in grado di ricambiare il favore e cospargerle la faccia di crema con più risultati di quelli che aveva ottenuto lei.
“No.” una nuova voce si intromise nella conversazione e James sobbalzò solo per un attimo, il terrore dipinto negli occhi, prima di scuotere la testa e riprendersi. Si voltò seccato, ma con il solito principio di sorriso diverso che gli spuntava sulle labbra ogni volta che era quella voce a parlare. “Io non permetterò che quel povero ragazzo assista ai vostri strani giochi di ruolo.”
Sirius, che aveva appena fatto irruzione nella casa di James e Lily tramite il camino, alzò un dito con fare deciso. Sulle labbra lo stesso sorriso diverso che aveva solo quando era con James. Si avvicinò determinato alla coppia e James gli andò incontro, lo sguardo minaccioso che si addolciva a ogni passo, finché i due non si trovarono faccia a faccia e si scambiarono un lungo abbraccio.
“È passato un po’,” considerò Sirius, l’ironia nella voce alterata appena da un tremolio. James annuì nella sua spalla, ma non disse nulla.
Quando sciolsero l’abbraccio si studiarono per qualche secondo, annuendo consapevoli e sollevati nel constatare che non ci fossero nuove cicatrici.
“Fai i figli e cucini, Potter? Devo pensare che lei abbia rovinato il diamante che ho forgiato per anni.” Sirius spezzò il contatto teso e un sorriso furbo gli alzò un sopracciglio. Si diresse verso la tavola, osservando la torta e ponderando qualcosa che Lily non riuscì a decifrare. Allungò la mano verso la teglia e rubò un pezzo che James aveva lasciato tagliato. Lily sgranò gli occhi e li puntò offesi in quelli di Sirius, attirando la sua attenzione.
“Che c’è?”
“Prego, serviti pure,” Lily alzò un sopracciglio e Sirius era sicuro che avrebbe incrociato le braccia al petto, se non avesse avuto un bambino in braccio.
“Grazie.”
“Non ti è passato neanche per la testa di aspettare Peter? O Remus?”
“Sa cacciare il cibo da solo, Evans,” Sirius le strizzò l’occhio e sorrise. “E poi… Ottima, James,” si interruppe, preoccupandosi di servirsi con un’altra fetta, “e poi al terzo anno non abbiamo aspettato James per mangiare la sua torta di compleanno.” Sirius si leccò un dito e annuì soddisfatto.
“Te l’ho detto,” James le passò davanti e si poggiò con la schiena sulla sedia del soggiorno, accanto a Sirius, come a schierarsi. Lily li guardò entrambi per un attimo, accettando la sfida silente di quei due, poi scosse la testa e si allungò verso il tavolo, afferrando un pezzo di torta dalla teglia e sperando che non fosse davvero così ottima come sembrava.
“Ma quando hai imparato?”
“Quindi non sei stata tu a costringerlo?” Sirius sgranò gli occhi e le puntò un dito contro. Lily scosse la testa sorpresa quanto lui e a James venne voglia di prostrarsi ai piedi di Remus quando lo sentì arrivare dal camino. Finalmente.
“Ci mette un po’ a far passare un’altra persona,” constatò il nuovo arrivato, spazzolandosi i vestiti scuri per liberarsi della fuliggine e adocchiando il camino. Alzò gli occhi su James ed esitò solo per un attimo, quando lui lo coinvolse in un abbraccio. Incrociò lo sguardo di Sirius. Gli stava sorridendo vivace e con una luce negli occhi che non gli vedeva mai per così tanti minuti consecutivi. Gli venne naturale mimare quello sguardo e stringere a sua volta l'amico.
“Vuoi della torta?” Sirius gliela offrì mentre ne masticava un boccone e Remus scosse piano la testa.
“Aspetto Peter.”
Lily sospirò soddisfatta e alzò gli occhi al cielo, mentre James e Sirius scoppiavano a ridere per la sua reazione. “Tu sei sempre stato il mio preferito.”
“Come scusa?” domandò James, mentre guardava ferito Lily e Remus che si abbracciavano stretti, a sottolineare il tradimento.
 
Peter arrivò non molto tempo dopo, borbottando anche lui qualche miglioria da apportare al camino che filtrava gli ospiti.
Fu estremamente strano sedersi tutti e cinque a tavola e festeggiare il Natale. Aveva un che di domestico che nessuno di loro si sarebbe potuto spiegare. Fuori si gelava, era buio, la neve continuava a piovere e a posarsi su altri suoi strati già spessi. Un vento irriverente sbatteva di tanto in tanto contro i vetri.
Al contrario, però, la casa era calda e illuminata e così accogliente. Il contrasto tra quei due mondi era strabiliante. Tutto ciò che per quella sera restò fuori da quella casa sembrava lontanissimo, innocuo. Non li avrebbe colpiti, non li avrebbe interrotti, non li avrebbe spezzati. Era strano da pensare, ma appigliarsi a quelle sensazioni era tutto ciò che gli veniva concesso, in quegli anni.
Una finestra chiusa, davanti a loro, e nient’altro a minacciarli. Sarebbe bastato affacciarsi per vedere che fuori il mondo era ancora tempesta, però, a volte, nel vetro della finestra si riflettevano le luci dell’albero di Natale e la tavola imbandita e James non riusciva a vederci altro che i sorrisi delle persone che amava.
“Si muore di caldo,” Peter, che aveva assunto un po’ troppo Whisky Incendiario, si alzò ridendo per qualcosa che aveva detto Remus e si avvicinò alla finestra, aprendo uno spiraglio sottilissimo che lasciò passare un po’ d’aria.
“Vado?”
“Sirius, combinerai un pasticcio.”
“Allora vado,” e, detto ciò, la sagoma umana di Sirius si tramutò veloce in un grosso cane nero, che trotterellò scodinzolando furiosamente in direzione di Harry. Spinse affettuoso la testa contro il suo piccolo corpo e si lasciò accarezzare dalle mani goffe del bambino.
 
***
 
Remus Lupin non era mai stato così stanco dopo una luna piena. Davvero, mai. Era ancora nervoso, continuamente irritabile e tutti i muscoli gli gridavano di fermarsi ogni volta che provava anche solo ad alzare la testa dal cuscino. In più le nuove cicatrici sulla schiena non erano ancora guarite e gli veniva voglia di mettersi a strillare ogni volta che qualunque strato di cotone lo sfiorava, il che sembrava succedere… ogni volta che indossava una maglietta.
Madama Chips l’aveva dimesso solo quella mattina, un occhio critico che gli intimava come al solito di riposarsi ed evitare le scorribande per il castello durante la notte.
Era passato più di un anno da quando poteva dire ad alta voce di avere degli amici e sospettava che fosse esattamente la voglia di sentirsi normale e la tendenza a voler passare più tempo possibile con loro ad aver reso le ultime lune sempre più terribili. James gli lanciava occhiate preoccupate, di tanto in tanto, Peter si mordeva il labbro nervoso quando capitava che Remus sibilasse per il dolore e Sirius si lasciava sfuggire domande apparentemente disinvolte, spesso e volentieri, e Remus sapeva benissimo dove mirasse ogni volta.
Rischiava di esplodere, questo era certo.
Si lasciò cadere senza fiatare sul letto del dormitorio e fissò il pannello di legno all’estremità superiore per qualche secondo, poi lasciò andare un sospiro profondo e pregò che nessuno facesse domande – che Sirius non facesse domande.
“Pete, hai preso le Caccabombe per lo scherzo di Natale?” James si aggirava indaffarato per la stanza, reggendo un pezzo strappato di pergamena sul quale aveva probabilmente appuntato la ‘lista della spesa’ del loro ultimo scherzo.
“Sì, James, sono lassù.”
Remus si voltò per un attimo in direzione dei due ragazzi e James puntò immediatamente lo sguardo nel suo. Quella solita luce preoccupata gli brillò negli occhi. “Sirius, alza il culo da quel letto e vieni a darmi una mano,” James puntò la bacchetta in direzione di una massa indistinta poggiata sul letto e una scintilla di luce blu volò dalla punta alla matassa nera che era Sirius, costringendolo a muoversi.
Il ragazzo si massaggiò la schiena nel punto in cui James l’aveva colpito e bisbigliò un ‘bastardo’ fra i denti. Tuttavia, prima che potesse alzarsi per ricambiare il favore e dare inizio a uno dei loro soliti duelli da dormitorio, James alzò un sopracciglio e fissò lo sguardo in un punto imprecisato del letto del suo amico.
“Che c’è?” Sirius alzò un angolo della bocca, come seccato.
“Che cos’è quella?” James non aspettò una risposta e adocchiò un angolo di una pergamena nascosta tra le lenzuola, sottraendola al cuscino sotto cui era poggiata con una velocità che gli avrebbe fatto facilmente guadagnare la posizione di Cercatore.
“Ma che… James,” Sirius registrò con un attimo di ritardo quello che era avvenuto e si alzò di scatto per fiondarsi sul ragazzo, che si voltò prontamente a dargli le spalle.
“Oooh, una lettera,” James alzò un sopracciglio allusivo, voltandosi a guardare Peter e Remus con un sorrisetto. I due ragazzi osservavano la scena in attesa. Era riuscito a divertire anche Remus.
“Non sto scherzando.”
“Chi ha detto che scherzi? È una ragazza?”
“Ridammela,” ribatté Sirius, tentando in tutti i modi di rimpossessarsi della lettera.
James riuscì finalmente a scartarla e si schiarì la gola con un colpo di tosse, continuando a evitare tutti gli attacchi di Sirius. Quando finalmente si riuscì a liberare di lui con una spallata, Sirius si passò una mano tra i capelli nervoso. “Madre,” lesse poi e qualunque risata gli morì in gola, mentre lasciava scorrere gli occhi sulle parole della lettera.
Prima ancora di aprir bocca alzò lo sguardo a incontrare quello di Sirius. Era deciso, non particolarmente ferito, sembrava solo all’erta. Gli occhi grigi lampeggiavano come prima di un acquazzone. “Sirius, questa è…”
La conversazione aveva ormai la completa attenzione anche di Remus e Peter.
“Questo è…”  ritentò James, esitando di nuovo con lo sguardo in quello di Sirius, “è quello che vuoi?”
Il ragazzo si leccò le labbra e abbassò lo sguardo solo per un istante. Un istante brevissimo in cui sembrava avere solo dodici anni e chili di paure che aveva ancor più paura di confessare. Dopo quell’istante, però, alzò la testa e scrollò le spalle, un sorriso irriverente che gli giocava sulle labbra e un luccichio amaro nello sguardo: “Penso di sì.”
“E Regulus?”
“Regulus che?” Sirius continuava a sorridere, ma un velo di dispiacere gli sporcava lo sguardo.
James lo fissò con pazienza. Lo detestava quando faceva finta di non capire, ma quella volta non sarebbe scappato.
“Gli parlerò,” fece pratico Sirius, “capirà.”
Ancora una volta James non fiatò, annuì soltanto e aggrottò la fronte, poco convinto.
“Senti,” riprese Sirius, improvvisamente conscio del silenzio attento che era sceso nel dormitorio, “lui ci sa stare, in mezzo a loro, anzi senza di me ci sa stare anche meglio, credimi, non sentirà…” si interruppe, serrando la mascella e scuotendo veloce la testa. “Non capisco perché tu mi voglia convincere a non mandarla.”
“Io non ho detto niente, ti ho solo chiesto di Regulus,” James alzò la lettera, porgendogliela con una scrollata di spalle. Sirius la afferrò e si affrettò alla porta, “sei sicuro che quando tornerai andrà tutto bene?”
Sirius fece scattare il pomello con un po’ troppo nervosismo, ma si lasciò sfuggire una risata ironica. “Sono curioso di scoprire come si supereranno.” E, senza aggiungere altro, uscì per raggiungere la Guferia, lasciandoli soli.
 
“Che c’era scritto?” Peter sembrava essersi spaventato troppo all’idea di far scoppiare Sirius per chiederlo quando era ancora lì.
“Resta qui per le vacanze di Natale, vero?” Remus si alzò a sedere con un sospiro, passandosi una mano tra i capelli, per mascherare il dolore che cambiare posizione gli stava procurando.
James annuì, continuando a fissare la porta oltre la quale era scomparso Sirius qualche secondo prima, poi aggrottò la fronte per un attimo e si voltò verso Remus. “Hai risolto la tua faccenda a casa?”
“Sì, per un po’ credo sia a posto,” rispose il ragazzo, evasivo. James annuì di nuovo, senza staccare gli occhi dai suoi, come se la cosa lo stesse aiutando a pesare le sue idee. Remus ricambiò, iniziando a intuire i pensieri dell’altro.
L’ombra di un sorriso si disegnò sul volto di entrambi, quando si voltarono all’unisono in direzione di Peter. Il giovane spalancò gli occhi. “Che succede?”
“Hai da fare a Natale?”
“Eh?”
“Quello che James sta cercando di dire,” iniziò Remus, sorridendo, “è che potremmo restare tutti a scuola, per quest’anno.”
“Che ne dici?”
Peter sembrò pensarci su per un attimo, ma poi il suo volto si illuminò con un sorriso e accettò l’offerta di buon grado.
“Benissimo, miei cari,” James si diresse al suo comodino e ne tirò fuori tre pergamene pulite e qualche piuma, “all’opera,” comandò lanciandogliele e i tre ragazzi si misero a scrivere alle loro famiglie.
 
***
 
Sirius arricciò il naso e aggrottò le sopracciglia infastidito. Dopo qualche secondo, però, la sua fronte si era già distesa.
Non passò molto prima che il naso tornasse a pizzicargli di nuovo. Esalò un mormorio sconclusionato e si passò il retro della mano sulla faccia, tornando ad aggrottare le sopracciglia. Dei sussurri al suo fianco lo costrinsero a sospirare e schiudere un occhio, nervoso. Ci mise più del previsto a realizzare dove fosse, che giorno era e, soprattutto, che aveva un opossum imbrattato di dentifricio che gli stava imbrattando il naso. Saltò all’indietro, mettendosi a sedere e prendendosi un attimo ancora per capire che quello non era un opossum, ma un pellicciotto bruttissimo e che a governarlo era James, con uno sguardo fin troppo divertito. Peter, intanto, gli dava dritte su dove colpire.
“Ma che cazzo è?!”
“Dentifricio,” risposero Peter e James in coro, scrollando le spalle, mentre continuavano ad avvicinargli quell’obbrobrio in faccia.
“Sì, lo vedo ma perché è su quel… coso?”
“Sembrava il posto più divertente su cui spalmare del dentifricio.”
Sirius assottigliò lo sguardo confuso, mordendosi la lingua e avvicinandosi solo di qualche millimetro alla mano di James, perché sembrasse un movimento impercettibile. “Non dovreste preparare i vostri bauli?” domandò poi, guadagnando una discreta quantità di centimetri, mentre James alzava lo sguardo come in riflessione.
“Sai, il fatto è che…”
James non ebbe modo di finire quella frase. Il pellicciotto gli fu sottratto con uno scatto davvero impressionante di Sirius e, prima che potesse solo pensare di continuare il discorso, si ritrovò costretto a difendersi dal contrattacco, piazzando le mani davanti alla faccia e temendo il peggio quando si trovò bloccato sul letto di Sirius e sotto il suo peso.
“Pete!” gridò James. “Pete, ritirata! Hanno invaso la nave!”
“Non credere che per te sia finita qui, Peter,” lo mise in guardia Sirius, mentre lottava contro le mani di James, che tentavano di allontanare il finto-opossum dalla sua faccia. “Finisco con lui e dopo tocca a te.”
Sirius scoprì una falla nella sua difesa e James vide il pellicciotto cremoso avvicinarsi ogni attimo di più come in slow motion. Proprio quando il dentifricio era tanto vicino da aver riempito il suo campo visivo Sirius si bloccò, alzando lo sguardo di scatto come un animale sotto attacco verso la porta del dormitorio appena aperta.
“Ho notato uno strano…” Remus si interruppe, osservando in profonda contemplazione la scena che gli si era appena parata davanti. James era disteso sul letto con gli occhi spalancati, mentre Sirius era seduto su di lui; con una mano lo teneva fermo e con l’altra reggeva un opossum coperto di dentifricio. Peter osservava la scena assorto come a chiedersi per chi fare il tifo. 
“Ho notato uno strano quadro,” annunciò invece, perché quel genere di cose erano all’ordine del giorno, nel loro dormitorio. James colse quel momento di distrazione per liberarsi dalla presa di Sirius e alzarsi a sedere.
“Che intendi?”
“Non lo so, era l’unico che non si muoveva,” spiegò Remus, recuperando un libro dal baule sotto al suo letto e iniziando a sfogliarlo.
“E quindi?”
“Ma dov’è?” fece invece Sirius, pratico.
“C’è una porta, accanto alla Sala Grande, che conduce a delle scale. C’è un corridoio con una serie di quadri e questo… era l’unico che non si muoveva,” continuò Remus, inclinando la testa su un lato e non smettendo di sfogliare pagine di un libro che ai tre ragazzi non sembrava dire nulla.
Sirius e James si scambiarono una rapida occhiata. “Oooh, capisco,” insinuò Sirius, il sorriso di chi la sapeva lunga piantato in faccia. Remus alzò gli occhi su di lui e inarcò un sopracciglio.
“Pare che il buon vecchio signor Lupin se ne vada in giro a cercare passaggi segreti,” gli diede corda James, abbozzando lo stesso sorriso di Sirius, ma con un effetto in qualche modo… diverso. “Lo studente bravo e diligente corrotto dai suoi amici delinquenti.”
“E io, allora?”
“Zitto, Peter.”
Remus rise piano e alzò di nuovo lo sguardo su di loro. “Cercavo un modo per accedere alle cucine, se il quadro è quello che penso ci dovrebbe essere una stanza esattamente sotto la Sala Grande…” esitò con lo sguardo su una pagina, poi un sorriso vittorioso gli spuntò sulle labbra, “e pare che i quadri che non si muovono nascondano un segreto.”
“Tu sei un grande,” scandì James e gli occhi gli si illuminarono.
“Quindi festa di Natale e festa privata, tra una settimana?” propose Remus e Peter e James annuirono energici.
“Aspetta, che?” Sirius alzò un sopracciglio, totalmente confuso e registrò appena lo sguardo di Remus sciogliersi in un sorriso, prima che parlasse ancora.
“Non gliel’avete detto?”
“Detto cosa?”
“Credevi davvero che ti avremmo lasciato qui da solo a Natale?” James rise e, prima che Sirius potesse difendersi, gli trascinò la sua stessa mano, ancora provvista di opossum, sulla faccia, imbrattandolo di dentifricio. Remus e Peter scoppiarono a ridire e, suo malgrado, anche Sirius.
 
***
 
Alohomora.
James alzò gli occhi al cielo: “Davvero? Ti sembra una porta, Sirius?”
“Ehi, io ci ho provato,” il ragazzo scrollò le spalle e si fece da parte, “tu che hai in mente, Potter, apriti sesamo?”
James lo ignorò e inspirò a fondo, prendendo il posto di Sirius davanti al quadro. Per un attimo Peter pensò che l’immagine di quattro ragazzi che fissano intensamente un quadro di una natura morta dovesse sembrare parecchio stupida, ma era un lavoro che andava fatto. Era una questione importante. James si concentrò solo sulla sua bacchetta, chiuse gli occhi e la alzò, puntandola verso il quadro. “Revelio,” scandì e un suono sordo, oltre il muro, gli raggiunse le orecchie.
“Quindi c’è davvero un passaggio,” considerò Sirius, tastando il muro accanto al quadro e riflettendo. “’Revelio’? Impressionante,” aggiunse poi, data la difficoltà dell’incantesimo. Solo che quando li faceva Sirius, anche i complimenti sembravano una presa in giro.
“Resta il fatto che non sappiamo come accedervi,” mormorò Remus, inclinando il viso di lato e studiando intensamente il quadro come se la risposta fosse sempre stata lì.
Peter si avvicinò esitando. Non era del tutto convinto di poter dare una mano a quelli che si stavano rivelando tre degli studenti migliori di Hogwarts, ma l’idea di restare lì, fermo, ad aspettare che trovassero la soluzione, lo faceva sentire incredibilmente stupido. Quindi pensò che fingere di cercare anche lui una risposta all’enigma fosse lo stratagemma migliore per non sentirsi a disagio. In più una parte di lui voleva davvero rendersi utile e l’idea di un mistero come quello lo allettava a tutti gli effetti.
James, intanto, si era voltato a dar loro le spalle, mormorando incantesimi a mezza voce come a passarli in rassegna per trovarne uno che suonasse tanto come ‘apriti, passaggio segreto’. Remus e Sirius, invece, avevano iniziato una discussione per nulla interessante su quanto fosse utile continuare a tastare il muro in cerca di indizi. Non sembravano trovarsi d’accordo.
“Almeno io non resto fermo a guardarlo, Lupin.”
“Almeno io non sembro un cretino.”
Peter si avvicinò timidamente al quadro e lasciò vagare un dito sulla frutta congelata sulla tela. Forse, pensò, visto che è l’unico quadro immobile devo invogliarlo a muoversi.
Non seppe bene perché e, soprattutto, cosa l’avesse spinto a fare qualcosa di molto simile a una carezza alla pera in primo piano, ma, e di questo Peter era sicuro, all’improvviso il battibecco tra Sirius e Remus cessò e il mormorio di James si sciolse in un verso di stupore.
Peter si voltò velocemente verso il quadro che aveva appena solleticato e notò, con lo stesso stupore dei suoi amici negli occhi, che al posto della pera c’era adesso una maniglia.
“Pete…” Sirius si avvicinò al quadro con una mano tesa, sfiorò il pomello dorato e gli fece fare uno scatto su un lato. La tela del quadro si fece da parte e la sua cornice a quel punto inquadrò una serie di elfi affaccendati. Quattro lunghi tavoli erano disposti all’interno della cucina a mimare la geometria della Sala Grande. Sirius li osservò rapito, con la bocca semiaperta e un sorriso appena accennato.
“Entriamo?” sussurrò James, decisamente più vispo, dando di gomito a Sirius e cercando il suo sguardo.
Il ragazzo si riscosse e un vero sorriso furbo gli incurvò le labbra. “Puoi dirlo forte” e si tuffarono nella cornice.
A Remus e Peter non restò altro da fare che seguirli.
 
***
 
“Credimi, Severus, sono sempre insopportabili. Non succede solo quando ci sei tu. Anche se sembrano avere una particolare preferenza per te.”
Lily Evans alzò gli occhi al cielo e si lasciò cadere sul sedile del treno. Piton aggrottò la fronte e spostò lo sguardo veloce verso la porta dello scompartimento, poi tornò a prestare attenzione alla sua amica. “Mi sorprende la quantità di volte in cui non vengono puniti per quelle loro presuntuose uscite,” ribatté poi con sdegno, rischiando uno sguardo di sottecchi in direzione di Lily.
La ragazza si strinse nelle spalle e annuì. “Peter però non mi sembra troppo colpevole e Remus non è male.”
Severus gettò un altro sguardo alla porta e replicò atono: “Ha qualcosa di strano.”
“Credo abbia dei problemi a casa, ci torna spesso,” commentò Lily, guardando il profilo di Severus che si voltava di nuovo verso la porta dello scompartimento. “Aspetti qualcuno?”
Severus parve riscuotersi e scosse la testa. “No,” rispose semplicemente e Lily pensò che sembrasse sincero. Da un po’ aveva notato che il suo amico pareva quasi all’erta, continuamente. Non l’aveva mai sentito propriamente distante, neanche distratto, a dire il vero, sembrava solo un po’ a disagio, rigido.
“Lily?”
“Mh?” Lily si riscosse e incrociò lo sguardo di Severus.
Le sopracciglia erano distese, ma una patina preoccupata gli rivestiva lo sguardo. “Ti ho chiesto se sei tesa.”
La ragazza sembrò pensarci su.
“Posso essere sincera?” Severus aprì la bocca per rispondere, ma lei lo anticipò. “Sì,” confessò, “non vedo Petunia da mesi, non ci scriviamo mai e so che qualunque cosa dirò, troverà un modo per fraintenderla e interpretarla come un insulto o un modo per pavoneggiarmi,” Severus annuiva, ma non la guardava dritto negli occhi, il suo sguardo era spostato di poco sui suoi capelli rossi. “Non lo so, più siamo lontane, poi, più la cosa peggiora. Sento che la sto perdendo ogni giorno un po’ di più.”
“Lily,” Severus sospirò, poi puntò finalmente lo sguardo dritto nei suoi occhi, con decisione, “lei non ti…”
“Non mi merita, lo dici sempre,” lo intercettò lei. Un sorriso triste le si formò sulle labbra e scosse la testa, “ma è mia sorella, Severus. Non posso…” sollevò lo sguardo sul soffitto dello scompartimento con un sospiro. “Non posso lasciarla andare così.”
Severus non ribatté. Strinse solo le labbra, come a trattenersi dall'esprimere il suo dissenso.
 
***
 
L’atmosfera, nel castello, sembrava vibrare di eccitazione. Il fatto che fosse per lo più vuoto non aveva quasi per nulla intaccato la sua solita aria accogliente e ospitale e aveva dato a James, Sirius, Peter e Remus tutto il tempo – e lo spazio – di progettare scherzi e comportarsi nella Sala Comune come se fosse stata la loro. Sirius era stato il primo ad accomodarsi. Aveva questa particolare capacità, in realtà, di far sembrare che certe cose gli fossero naturalmente concesse, per qualche speciale autorizzazione innata. Non era una questione di educazione o di rango, era più legata al fatto che quando c’era non si poteva non sentirlo. Remus notava spesso come fosse una caratteristica che addirittura James non arrivava a conquistare con tale disinvoltura.
Due giorni prima di quella che James e Sirius amavano chiamare ‘la divina scoperta’, erano proprio in Sala Comune.
“Ne ha chiesto uno, messere?” Sirius si inchinò profondamente, risultando buffo, con la cravatta rosso e oro allacciata alla testa e un piatto con un soufflé al cioccolato in una mano.
Remus ridacchiò, ma non si lasciò scappare l'offerta. “Dove l’hai preso?” domandò dopo un po’, tra un boccone e l’altro. Sirius sorrise furbo e Remus non fu più tanto sicuro di voler conoscere la risposta.
“Neanche gli elfi resistono al mio fascino.”
James rese chiaro a tutti che la cosa lo faceva ridere particolarmente, perché finse di strozzarsi con una Cioccorana e Sirius si limitò ad afferrare la bacchetta dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni e lanciare un veloce incantesimo nella sua direzione.
James lo schivò con facilità.
“Dovresti procurartene altre,” pronunciò, poi, staccando un morso della rana di cioccolato e osservando annoiato la carta che aveva vinto.
“Che cosa hai detto?” Remus alzò di scatto lo sguardo su di lui, costringendolo a ricambiare. Sirius gli mimò di tagliare corto piuttosto platealmente, ma Remus si accorse anche di questo, “James, dove hai preso quella cioccolata?”
“Allora,” il ragazzo alzò entrambe le mani, l’istinto di ‘non fare movimenti affrettati’ come davanti a un orso superò la sua razionalità, “c’è da dire che…”
“Avete davvero rovistato nel mio comodino?”
“O-oh, attenti al lupo,” Sirius si intromise, allargando le mani divertito. “Tu hai una scorta, amico!” aggiunse, poi, voltandosi solo a quel punto nella sua direzione. Era un ragazzo davvero tranquillo e mai drammatico, ma in effetti non l’avevano mai visto… così. Così all’erta, gli occhi che lampeggiavano. Non riusciva a capire se Sirius non percepisse il pericolo o se fosse solo così pazzo da aver deciso di sfidarlo. Remus ricambiò il suo sguardo, avvicinandosi lentamente e puntando gli occhi nei suoi. Sirius contrasse le sopracciglia per un attimo, uno solo, confuso, poi ricambiò lo sguardo e alzò un angolo della bocca.
Lo stava davvero sfidando.
Qualcosa di impreciso cambiò negli occhi di Remus e, per la prima volta in un anno, Sirius notò che erano inusuali. Qualcosa di disumano gli danzava nelle pupille. Alzò un sopracciglio, la confusione ebbe la meglio e gli rivolse uno sguardo che poteva essere interpretato solo come una muta richiesta di spiegazioni.
Durò un attimo.
Remus indietreggiò di scatto e impallidì. La frase ‘attenti al lupo’ che continuava a ripetersi sempre più terrificante nella sua testa e l’improvvisa consapevolezza di aver reagito in maniera troppo evidente, troppo affrettata. Era stata una coincidenza? O un’altra delle affermazioni insidiose di Sirius?
“Ehi, ne prendiamo altre, davvero, io e James abbiamo trovato un passaggio per Hogsmeade,” Sirius si avvicinò a Remus, tendendo una mano per toccargli una spalla.
“No, no, non è quello,” mormorò Remus, scuotendo la testa e scostandosi. Un principio di sorriso amaro gli accartocciò le labbra. “No, non importa, però… ditemelo, se la prendete,” riuscì a dire infine, perché fingere di essersela presa per la cioccolata gli sembrava la mossa più astuta.
James aveva guardato la scena con attenzione. Non seppe bene per quale ragione, ma si sentì portato a proteggere Remus. C’era una strana aria nella stanza e sapeva di essere il solo a poterla diradare. “Sì, scusaci, noi…”
“Però, ecco, è solo cibo e neanche vitale,” lo interruppe Sirius. Il suo tono era calmo, quasi distaccato mentre lo fissava attento.
Remus giurò di essere riuscito a sentire lo sguardo del suo amico trasformarsi in spilli nello spazio tra di loro. Per una volta mantenne alto lo sguardo. “Che vuoi dire?”
“Basta,” James non gridò, fu semplicemente molto deciso. Era un discorso in cui erano caduti più volte e finiva sempre alla stessa maniera: Sirius si innervosiva perché non riusciva a ottenere quello che voleva e Remus alzava un muro inattaccabile e parlava a stento. Il Natale era vicino, erano rimasti tutti insieme e avevano scottanti novità da comunicare; l’ennesimo e inutile scontro era l’ultima delle cose che voleva sentire.
“Quando volevate dirci del passaggio per Hogsmeade?” Peter si intromise con un entusiasmo a dir poco patetico e platealmente costruito, ma James sentì un’ondata d’affetto dirigersi verso di lui per aver cercato di riportare, anche goffamente, un po’ di leggerezza.
Sirius sospirò. Non era stupido, ma lasciò correre e si passò una mano tra i capelli, inspirando tra i denti. “È vero ed è stato geniale,” sorrise, lanciando un veloce sguardo complice in direzione di James. Il ragazzo annuì a sua volta, “crediamo che porti direttamente a Mielandia,”
“Non ci credo,” replicò Peter, questa volta davvero entusiasta, “Remus non avrà di che preoccuparsi!”
I due ragazzi si lanciarono in un racconto che riguardava una fuga da Gazza, una statua provvista di un occhio solo e un corridoio che non doveva vedere la luce da ‘qualunque età abbia adesso Silente moltiplicata per cinquanta’, a detta di Sirius.
Remus ascoltò per lo più e diede suggerimenti, ma lasciò parlare principalmente Peter. Un attimo prima era stato sicuramente goffo, forse addirittura imbarazzante, ma il suo lavoro non si era fermato lì. L’unico modo che aveva per distrarre Sirius e James era esattamente quello: farli sentire spettacolari.
Che avessero un’immensa sicurezza e tutte le carte in regola per ostentarla era indubbio, ma senza nessuno a lodarli sarebbero probabilmente stati come tutti quelli che prendevano di mira. Remus non sapeva se la tattica di Peter fosse paradossalmente pericolosa, ma in quel momento non se la sentì di condannarlo. 
 
***
 
“Fate piano,” sussurrò James, prima di scoprire tutti e quattro dal mantello dell’invisibilità.
Era la sera prima della vigilia di Natale e tutto ciò che ai ragazzi restava da fare era una scorpacciata di dolci da Mielandia. Sirius e James non avevano mentito quando avevano accennato a un passaggio segreto per Hogsmeade, ma pareva che fossero riusciti solo ad aprirlo, prima che un miagolio in avvicinamento li avesse costretti a scappare.
Dissendium,” pronunciò James e Remus si accigliò.
“È una password?”
Sirius annuì orgoglioso, ma non disse nulla.
“Come fate a conoscerla?”
Sirius sospirò, lasciando scivolare un braccio sulle spalle di Remus con l’aria di chi la sapeva lunga. “Un mago non rivela mai i suoi trucchi.”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e osservò un passaggio aprirsi al di sotto di quella statua vagamente raccapricciante.
“Salutate Gunhilda di Gorsemoor,” li invitò James con un cenno di una mano, mentre lo stesso sorriso orgoglioso di Sirius gli invadeva la faccia.
“C-chi è?” domandò Peter, passando sotto le sue mani con il terrore che potesse prender vita e attaccarlo. L’unico occhio della strega di pietra sembrava minacciarlo e seguirlo.
“Mangi troppe poche Cioccorane, Peter,” rispose Sirius, passandogli accanto per dare un primo sguardo al corridoio nero e stretto che si era aperto loro davanti, “e la cosa mi sorprende.”
“Idiota,” mormorò Peter, lanciandogli un incantesimo fiacco, che il ragazzo schivò senza fatica.
“La sua carta mi manca,” mormorò James, avvicinandosi all’obiettivo.
La luce della sua bacchetta, però, penetrò nel passaggio, illuminandolo per un attimo. Qualcosa si mosse nelle tenebre e Sirius fece qualche passo indietro, studiando quel buio come se gli avesse potuto dire qualcosa.
“L’avete visto?” intervenne James, avvicinandosi a Sirius per dare un’occhiata.
Remus rimpianse i secondi successivi a quell’avvenimento per i mesi a seguire e, qualche volta, addirittura per anni. Mosse un passo incuriosito in avanti, perché stare con loro lo rendeva stranamente sicuro e coraggioso. In più, la probabilità che le loro teste calde unite li cacciassero in qualche guaio, era straordinariamente alta e si sentiva in dovere di mostrarsi responsabile. Peter rimase in disparte e attese un responso, ma Remus si avvicinò alla bocca del passaggio anche più di Sirius e James. Era inutile provare a spiegarglielo, ma se c’era qualcuno capace di sentire i rumori più inudibili e di notare i dettagli più sottili, quello era lui. Faceva parte del pacchetto che la sua condizione gli donava non tanto gentilmente.
Accadde tutto in un attimo.
Un fruscio sinistro echeggiò nel passaggio e fu il motivo per cui Remus non fu in grado di localizzare immediatamente la creatura che a quanto pareva si era avvicinata velocemente a loro. Prima che potesse allontanarsi, addirittura schermarsi con… qualunque altro dei suoi amici, qualcosa volò verso l’alto e Remus riuscì solo a registrare lontanamente la voce di James che diceva: “un molliccio?” prima che questo prendesse la forma di un grande disco luminoso. Una luna piena.
Remus lo fissò per qualche attimo, non seriamente intimorito dal molliccio – e come avrebbe potuto? –, mentre un sapore amaro gli invadeva la bocca. Alle sue spalle calò il silenzio e una parte di lui sperò irrazionalmente che fosse solo, che Peter, James e soprattutto Sirius non stessero guardando, che fossero scappati, rinnegando una delle qualità più famose della loro stessa casa.
La sfera se ne stava in silenzio, torreggiando sulla sua testa come a sbeffeggiarlo.
Sentì la mano di James poggiarsi sulla sua spalla: “’Riddikulus’, dovrebbe funzionare,” suggerì e Remus rischiò uno sguardo verso di lui. James guardava in alto, visibilmente confuso.
Abbassò lo sguardo, raggiunse la sua bacchetta nella tasca del mantello e la puntò in su. “Riddikulus,” pronunciò e una palla da volley bianca ricadde ai suoi piedi, rimbalzando e perdendo quota. James puntò la bacchetta contro di lei e la spedì lontano.
Nessuno parlò per qualche secondo.
“Be’, c’era da aspettarselo, nessuno fa visita alla vecchia Gunhilda da un po’,” Sirius ruppe il silenzio e si avviò verso il corridoio segreto, con la disinvoltura di chi non aveva appena visto la paura più intima di un suo amico. Remus lo guardò titubante e rimase fermo dov’era. “Andiamo? Sei tu che ti lamenti del fatto che ti rubiamo la cioccolata,” Sirius si voltò verso di lui, un sorriso divertito giocava sulle sue labbra.
“Dovrei esserne felice?” riuscì a ribattere Remus, mentre un po’ di leggerezza tornava a riscaldargli il cuore.
“Dovresti esserne onorato,” ribatté lui, dandogli le spalle, con un piede già oltre l’orlo del passaggio segreto. James era dietro di lui, “ma ormai sappiamo che sei un po’ lunatico,” la voce divertita di Sirius rimbalzò tra le pareti del corridoio prima di raggiungere Remus. Il ragazzo scosse la testa, ma sorrise.
James gli rivolse un solo, impercettibile sguardo criptico, prima di invitarlo a seguirli con un cenno del capo.
Remus era sollevato, ma l’impronta dello sguardo scuro del suo amico gli percorse la schiena in un brivido di terrore per le ore successive.
 
***
 
“Ehi.”
Silenzio. Si chiese se l’avesse almeno sentito.
“Ehi,” James alzò una mano per colpirlo, ma Remus alzò la sua, come a invitarlo a dargli un’altra chance.
“Sirius.” Remus poggiò delicatamente una mano sulla sua. James diede una rapida occhiata e inarcò un sopracciglio, sorpreso dal fatto che esistesse la delicatezza come metodo di persuasione.
Non ebbe troppo tempo per pensare nient’altro, però, perché Sirius sobbalzò come se l’avessero caricato a molla e respinse, più o meno senza registrarlo, qualunque contatto fisico. “Che c’è?”
James lo guardò come si guardava uno scemo. “Che c’è? Non lo so, dimmelo tu, non sapevo di avere un morto come amico.”
Sirius lo liquidò con un gesto della mano e tornò alla sua cena di Natale, come se niente fosse.
James, Remus e Peter colsero l’occasione per scambiarsi un’occhiata d’intesa.
 
Non passò molto prima che tornassero nel loro dormitorio: avevano optato per tenere lì la loro festa privata. D’altro canto, non erano gli unici Grifondoro rimasti a scuola per le vacanze natalizie e la sala comune non era un posto sicuro per tirar fuori leccornie dalla provenienza sospetta.
In più, non volevano davvero rischiare di imbattersi in qualcuno… di più specifico. Era evidente che ci fosse qualcosa di strano in Sirius da qualche giorno. Nessuno di loro capiva esattamente cosa, non poteva certamente essere triste all’idea di non trovarsi a casa per Natale, quindi la teoria silenziosa che si era diffusa nel resto dei ragazzi girava unicamente attorno a Regulus.
Qualunque fosse il motivo, James si era impegnato per tenerlo occupato, perché non serviva una conoscenza del soggetto troppo profonda per sapere che Sirius, con troppo tempo libero, era un problema.
“James, Sirius,” Remus assottigliò lo sguardo e lo puntò sui due, la testa inclinata su un lato, mentre ignorava con qualche difficoltà il cioccolato fondente finissimo che Sirius gli stava sventolando sotto il naso, “avete visto niente di strano?”
Peter ridacchiò tra sé.
“Sì, una volta un polpo con i guanti,” rispose distratto James, cacciandosi in bocca l’ennesima Cioccorana e tendendo una carta a Peter con aria fiacca. Dannati doppioni! Il ragazzo l’accettò con un verso soddisfatto.
“No,” Remus cercò di attirare di nuovo l’attenzione dei ragazzi, “no, qui in giro, voglio dire,” ritentò, questa volta mordendosi la lingua in attesa, con aria di rimprovero.
“No, Remus,” Sirius alzò gli occhi al cielo, un sorriso obliquo iniziava già ad espandersi sul suo viso e una falsa aria di superiorità gli striava la voce. Era per metà sdraiato e si reggeva la testa con una mano, “vivono in mare, non qui in giro.”
James scoppiò a ridere e batté il cinque a Sirius. Peter, invece, per poco non lasciò cadere per il troppo ridere il bottino di patate al forno che aveva gentilmente sottratto agli elfi.
Remus alzò gli occhi al cielo e alzò una stampella che reggeva tre dei suoi maglioni. Maglioni che in quel momento erano rosa.
“Oh, quello,” James adocchiò i capi incriminati e, invece di spaventarsi, si mise più comodo sul letto. Remus si unì a loro, accomodandosi sullo spazio ancora vuoto che gli era stato lasciato.
“Tu non hai stile, abbiamo pensato di dartene un po’ del nostro...” Sirius scrollò le spalle, poi rivolse una veloce occhiata a James. “Cioè, del mio,” si corresse, quando constatò che fosse l’unico che potesse prendersi il diritto di rimodernare il guardaroba dei suoi amici.
“Ehi!”
“James, io ti voglio bene, ma li hai visti i tuoi capelli?”
“io gioco a quidditch, quindi...”
“Tu avresti stile?” Remus lo interruppe, alzando ironico un sopracciglio.
Sirius sembrò rifletterci un attimo, poi abbassò lo sguardo sulla sua camicia e sulla cravatta rossa mollemente allacciata al collo. “Decisamente.”
“Ah, davvero? Non sapevo che il look da spazzatura andasse di moda,” Remus sorrise con un’alzata di sopracciglia, ma il suo tono sembrava serio.
“Il punto non è la moda, ma come la si porta,” ribatté Sirius, mordendosi un labbro e strizzandogli l'occhio con fare seducente.
Remus grugnì vagamente disgustato e afferrò la prima Cioccorana che gli capitò sotto mano, lanciandogliela dritta sul naso.
“Aaah!” Peter si voltò confuso verso Sirius, accasciato sul suo letto proprio addosso a Remus. Si teneva la faccia dolorante e si lamentava come se gliel’avessero rotta. 
“Ma è serio?”
“È un esaltato,” ribatté James, scartando l’ennesima Cioccorana e passando deluso l’ennesimo doppione a Peter, che lo accettò, di nuovo, di buon grado.
“Tu dovresti aiutarmi!” ribatté Sirius, riavutosi dal mancamento con una velocità impressionante. Quando non ricevette risposta si limitò a scartare la sua, di Cioccorana, dato che ne aveva avuto pieno diritto quando gli era finita sul naso.
“Chi è?” domandò fiacco James, passando in rassegna le carte sfortunate di quella sera, ma non riuscendo comunque a nascondere una punta di speranza nella voce.
“Mhh,” Sirius mormorò qualcosa tra i denti, mentre masticava la sua cioccolata. “La vecchia Gunhilda è tornata a farti visita, signor Lupin!” 
“Che cosa?” James per poco non cadde dal letto, avvicinandosi a Sirius con le mani tese e pregandolo con gli occhi. “La sto cercando da mesi!”
Sirius sorrise furbo e alzò la testa con fare superiore. “Ah, sì? E quanto saresti disposto a pagarla?” Fece in tempo a scattare con la mano indietro, prima che l’amico potesse metterci sopra le mani.
James inarcò un sopracciglio. “Niente, visto che tu non le hai mai collezionate e hai già un cazzo di patrimonio.”
“Andiamo, James, questo è business, io che ci guadagno?”
“Ti prego, dagliela,” lo supplicò Peter, che già prevedeva la catastrofe che si sarebbe consumata di lì a poco. Remus, invece, sospirò rassegnato e si preparò all’ennesima lotta.
Le sue previsioni si avverarono praticamente subito, perché James si fiondò su Sirius con la velocità di un Cercatore e i due caddero rovinosamente dal letto, continuando a combattere con la drammaticità de Il Gladiatore. “Peter, il cappello!” gridò James, ma Remus era praticamente a due passi dal comodino e non si precluse la possibilità di testare la loro ultima creazione.
“No, quello è di Minnie!” gridò Sirius, ancora schiacciato sotto il peso di James, ma riuscendo in qualche modo a tenersi stretta la carta. “No, l’abbiamo prep…”
Un attimo dopo, un cappello natalizio rosso gli fu piantato in testa e una barba lunga e grigia gli si formò sulla faccia quasi immediatamente.
“Remus, traditore!” gridò il ragazzo, un tono gracchiante gli modulò la voce e i tre amici scoppiarono a ridere.
“L’idea della voce è stata geniale, Remus.”
“Be’, che posso dire? Adesso dagli quella dannata carta, Sirius.”
E il ragazzo ubbidì. Era in un posto lontano da Grimmauld Place, con una barba lunga e grigia che poco si addiceva alla sua età e aveva puntato tutto su una carta che infine aveva perso.
Eppure, nonostante la quantità assolutamente grande di cose che sembravano fuori posto, Sirius sorrise. Attorno a lui i ragazzi ridevano, ma Sirius si limitò a sorridere. Non esplose in una risata, ma nel suo petto.
Per la prima volta in vita sua Sirius si sentì a casa.
E una parte di sé gridò in protesta quando, in uno spigolo della sua mente, vide il volto ferito di Regulus.
 
***
 
Dicembre, 1980
 
“Credo dorma.”
A James per poco non venne un colpo quando Sirius gli poggiò una mano su una spalla. “E credo dovresti farlo anche tu o stanotte non riceverai regali.”
James rise e si sfilò gli occhiali, massaggiandosi le tempie. “Grazie,” mormorò, accennando col capo alle scale che portavano alla stanza di Harry, che dormiva beato. Non importava quante persone ci fossero in una stanza, quanto Harry fosse entusiasta e curioso e nemmeno quante voci parlassero una sull’altra, Sirius riusciva a farlo addormentare sempre.
“Figurati, devo avere una specie di superpotere,” sussurrò lui, sedendosi sul divano accanto a James e non lasciandogli alcuno spazio personale. “Se continua così non riuscirò mai a parlare con lui senza farlo crollare, pensa quando lo porterò per bar!”
“Tu non lo porterai per nessun bar,” ribatté James, scuotendo la testa e fissandolo negli occhi. Non era cambiato poi molto dall’ultima volta, quel luccichio d’intesa sembrava voler brillare per sempre.
“Sai che sono un’ottima spalla.”
“Proprio per questo.” James alzò un braccio stanco e lo lasciò passare sulle spalle di Sirius. C’era un silenzio confortevole e il fuoco che crepitava nel camino regalava alla stanza una sensazione di innaturale rilassatezza.
James prese fiato come per iniziare a parlare, ma Sirius alzò la testa di scatto e lo guardò dritto negli occhi. “Stai zitto. Lo so già,” mormorò, tornando a rilassarsi sul divano. “Tu parli troppo.”
James sbuffò divertito, ma non fiatò. In effetti non c’era bisogno di sottolineare quanto surreale fosse stata quella serata, quanto sembrasse essere stata strappata a un futuro che avevano sempre solo sognato, ma che non avevano mai avuto la possibilità di vedere realizzato.
Cercò di imprimere ogni sensazione nella sua testa, perché gli sembrava che uno spiffero fosse penetrato nella stanza a ricordargli che, lì fuori, la neve era rimasta più fredda che mai.





 

 


NotediElciao bbbelli (con la voce delle tartarughe di Nemo). Anche se lunedì è agli sgoccioli ci tenevo a non farvi pensare che fossi triste *civette in sottofondo*.
Vabbè, comunque il ritardo è dovuto al fatto che questo capitolo FACEVA SCHIFO, signori. Cioè, dico davvero, l'ho praticamente riscritto. Vabbè, questa roba giustamente non vi interessa. Allora, che dovevo dire? Ah, siamo entrati nell'era dei capitoli lunghi. Mi scuso immensamente, questa sarà la lunghezza media dei capitoli, so che sono dei cosi allucinanti, ma per far parlare quattro persone ci metto metà pagina minimo e... quattro persone è il numero medio di persone per scena, quindi ciccia. Poi cioè, tranquilli, siamo già al secondo anno ma non faccio durare ogni anno due capitoli, è una cosa più graduale yu-huu.
Mi sono fatta attendere con la questione famiglia-di-Sirius, però questo era il momento giusto. Diamo i crediti a chi li deve avere. C'è una fanart che un giorno riuscirò a mettere nel capitolo di Alessia Trunfio (bravissima, seguitela) in cui ci sono loro quattro nel dormitorio che mangiano e ridono a natale. E niente, l'ho vista dopo aver ideato il capitolo e ho visto che avevamo lo stesso headcanon, quindi mentre lo scrivevo pensavo a quella fanart :D
Io sono una pazza malata per James che seda gli animi e ancor di più per Peter che lavora nell'ombra e ristabilisce l'equilibrio. Gioisco per l'esistenza dei mollicci perché sono stati una manna dal cielo (spoiler prossimo capitolo?) e, sì, è possibile che si trovino in luoghi bui e chiusi da tempo. La carta di Gunhilda pare esista davvero, wow.
Vabb, ci vediamo domenica con il capitolo (volevo dire il nome, ma ho realizzato che non ce l'ha ancora) QUATTRO!
Adieu,

El.

   
 
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