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Autore: babykit87l    14/07/2020    1 recensioni
Martino e Niccolò stanno insieme ormai da sette anni, finché un evento traumatico non cambia le loro vite stravolgendole. Sarà dura tornare alla vecchia vita o forse l'unica soluzione è considerare la possibilità di iniziarne una nuova.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6  

 

 

La visita di Sana era andata bene, la bambina era in salute e lei sembrava impaziente di conoscerla e stringerla tra le braccia. Martino sorrise nel vederla così felice ed emozionata di diventare mamma anche se lui, personalmente, sapeva già che sarebbe diventata una madre incredibile. In fondo era sempre stata un po’ la chioccia del gruppo, un punto di riferimento e tutti si affidavano alla sua saggezza.   

Avevano pranzato insieme, poi Martino era riuscito a convincerla a parlare a Ibra a cuore aperto e spiegargli la sua posizione, cercando di comprendersi entrambi a vicenda.   

Aveva poi lavorato per tutto il pomeriggio e alla fine la sera arrivò prima di quanto potesse rendersi conto.  

Di lì a poco finalmente avrebbe rivisto Nico, dopo un'intera giornata senza di lui. Si sentiva emozionato, mentre aspettava che Niccolò scendesse, quasi fosse un primo appuntamento e fosse tornato indietro di sette anni. Magari pure Nico si sentiva così, sbalzato in avanti nel tempo ma ancora con le emozioni e le sensazioni di quando si hanno 18 anni e si è alle prime esperienze.   

Lo vide uscire dal portone e salire in macchina, poi Nico si avvicinò e lo salutò con un bacio sulla guancia. Si sentì formicolare nel punto in cui le labbra del ragazzo avevano toccato la pelle morbida, o forse era solo l’emozione di sentire di nuovo Niccolò più vicino, di avere un contatto fisico con lui.  

“Allora dove andiamo?” Chiese Niccolò.  

“Dove vuoi tu...”  

Niccolò fece per pensarci, poi prese il telefono e digitò su Google Maps un indirizzo. “Ce l’ho. Segui le indicazioni.”  

Martino annuì e per un pezzo di strada non riconobbe nulla, finché la voce metallica del navigatore non lo fece girare su una strada un po’ nascosta e una valanga di ricordi lo attraversò come un fiume in piena.  

Perché lo aveva portato qui? Cosa aveva in mente?  

“Okay siamo arrivati.” Niccolò era palesemente entusiasta di aver portato Martino in un posto così poco frequentato, anzi assolutamente non frequentato, perlomeno di notte.  

“Sì, so dove siamo.”  

“Davvero?”  

“Mi ci hai già portato una volta. Era Halloween e... volevi farmi paura probabilmente.”  

Niccolò sorrise e scese dalla macchina. “Aveva funzionato?”  

Martino lo imitò e chiuse la macchina, seguendolo poi davanti alle grate dell’entrata. Erano alla piscina. La piscina del loro primo bacio.   

“No, non proprio...”   

Niccolò rise e scosse la testa, facendogli poi cenno con la testa di avvicinarsi. Entrarono nello stabile, cercando di non farsi scoprire e Martino poté notare come negli anni quel posto non fosse cambiato affatto. Aveva ancora l’aspetto di una centrale nucleare abbandonata. Risalirono le scale ed eccoli lì di nuovo davanti a quella piscina dove per la prima volta si erano baciati. Quanto aveva sperato in quel bacio. Non era più riuscito a smettere di sorridere per l'intera serata, dopo che era successo. Ricordava ancora come si fosse sentito libero e finalmente sé stesso quella notte, libero da tutte le maschere in cui si sentiva costretto.  

“Questo era uno dei miei posti preferiti quando ero più piccolo. Ci venivo tutti i giorni qui.”  

“Davvero?”  

Niccolò lo fissò e annuì, con quel sorriso un po’ furbetto che gli faceva assottigliare le labbra, prima di sedersi sul bordo della piscina, togliendosi le scarpe per potersi bagnare i piedi. Anche Martino decise di sedersi accanto al ragazzo, ma tenne le gambe incrociate, senza togliersi le scarpe.   

“Mi è sempre piaciuta l’idea che dentro l’acqua, in assenza di gravità, siamo completamente liberi. Senza nessuno che rompe...”   

Gli ricordo così tanto il discorso che gli aveva fatto sul letto la mattina dopo, che gli venne naturale avvicinarsi un po’ di più con il braccio e sfiorargli leggero la guancia con la mano, in una carezza appena accennata.  

Rimasero in silenzio per un po’, ognuno perso nei suoi pensieri, finché Martino si voltò verso Niccolò e sospirò piano.  

“Perché hai voluto vedermi?”  

Nico lo fissò per un momento, poi volse lo sguardo verso l’acqua, mossa dai suoi piedi immersi, come se rispondere a quella domanda gli costasse più fatica e coraggio di quanto ne avesse.  

“Quando sono arrivato a casa ieri, mi sono guardato intorno nella stanza e non ho riconosciuto niente di quello che c’era lì dentro. Mi sono... mi sono sentito un estraneo nella mia stessa camera. E invece quando ero a casa...” Tentennò per un momento.  

“... nostra?” Suggerì Martino, vedendolo in difficoltà.  

“Sì... ecco, c’era l’ukulele, i miei disegni... quelle foto. Ho davvero avuto l’impressione di... viverci. E non lo so, ho pensato... cavolo, forse dovrei cercare di conoscerlo un po’ questo ragazzo con cui a quanto pare sto condividendo la vita. Per questo ti ho chiesto di vederci. Raccontami un po’ di te. Non di noi, ma proprio te. Come persona, cosa ti piace fare, cosa non sopporti. Chi sei.”  

Martino sorrise e si morse il labbro inferiore, visibilmente emozionato. “Okay. Allora vediamo...” Niccolò lo vide pensare per qualche secondo. Di certo non si aspettava quella domanda.  

“Aspetta mi è venuta un’idea. Ti racconterò di me, ma non quello che sono adesso. Il me di quando mi hai conosciuto. Tu sei rimasto a sette anni fa, quindi ti racconterò com’ero sette anni fa, quando ci siamo conosciuti e... innamorati. Che dici?”  

Niccolò sorrise e annuì. “Mi sembra giusto. Allora com’eri sette anni fa, nel lontano 2018?”  

Martino si morse il labbro e stette in silenzio qualche secondo per raccogliere le idee, poi iniziò a descrivere quella che era la sua vita prima di conoscerlo. Gli raccontò della cotta per Giovanni e di quello che lo aveva portato a fare, di cui ancora si pentiva quando ci pensava. Gli raccontò di tutta la confusione che lo aveva logorato, il senso di colpa nel provare quelle cose per qualcuno che non avrebbe mai corrisposto, di come questo lo avesse portato a chiudersi in sé stesso, lasciando fuori tutti, persino i suoi migliori amici. Di come usasse il sarcasmo come arma di difesa, cosa che faceva ancora oggi quando si sentiva attaccato. Del fatto che quando lo conobbe per la prima volta, bastò un suo sorriso aldilà di quel vetro, per spazzare via tutti i dubbi e le domande che si era posto fino a quel momento su chi fosse davvero.   

Rimasero in quella piscina per un tempo indefinito, Niccolò lo ascoltò incantato mentre Martino parlava e alla fine del racconto, quest’ultimo si rese conto che il ragazzo aveva perso il sorriso, aveva la testa abbassata e gli occhi erano un po’ più tristi.  

“Che c’hai?”  

“Niente, m’è preso un po’ a male tutto sto discorso...”  

“Su com’ero nel 2018?”  

“Un po’ sì...”  

“Perché? Me l’hai chiesto tu...”  

“Lo so... è che... da quello che mi hai raccontato sembri una bella persona, con tutti i difetti. E vorrei davvero ricordarti.”  

Martino si accostò un po’ di più con tutto il corpo e gli prese il volto tra le mani. “Ci arriverai. Ci vuole tempo. Però apprezzo tantissimo che tu voglia ricordarti di me.  Ne sono davvero felice."   

Niccolò chiuse gli occhi e poggiò la fronte a quella dell’altro. “Mi sembra di vivere la vita di qualcun’altro e non so che fare...”  

Anche Martino chiuse gli occhi e sospirò, perché vedere Niccolò così perso faceva male al cuore. “Vuoi fare una cosa che hai già fatto, proprio qui?”  

Il ragazzo annuì e aprì di nuovo gli occhi. Martino si alzò e si tolse le scarpe, poi lo fece alzare e lo spinse in acqua, esattamente nello stesso modo in cui sette anni prima si erano buttati, dopo la provocazione di Niccolò.  

Quando entrambi riemersero, Niccolò stava sorridendo. “Ma mi volevi affogare?”  

“No, ma è quello che è avvenuto quando venimmo qui e io mi accorsi per la prima volta di quanto tu fossi una pippa a trattenere il respiro. Un po’ come adesso.”  

“Ah una pippa? Beh ho un polmone che è collassato pochi giorni fa...”  

“E questa immagino sarà la tua scusa da qui all’eternità... ma ti informo che eri una pippa anche sette anni fa. E c’è stata una gara di apnea a dimostrarlo.”  

“Addirittura? E io come faccio a sapere che avevi vinto tu, scusa?”  

Martino nuotò nella sua direzione, tenendo la mano al bordo della piscina e sorrise. “In effetti la prima sfida l’hai vinta tu, ma barando.”  

“Barando? E come?”  

“Mi hai baciato e io non me l’aspettavo, così mi è uscita tutta l’aria e sono dovuto risalire.”  

“E poi?”  

“E poi alla rivincita, quando siamo andati sott’acqua, ti ho baciato io. Tu hai ricambiato e siamo risaliti insieme.”  

“Quindi è qui che ci siamo dati il primo bacio...” Sembrò più una constatazione che una domanda.  

Martino annuì comunque e abbassò lo sguardo, prima di decidere che quell’immersione nei ricordi – tra i suoi ricordi più belli, tra l’altro - dovesse finire lì, così si issò sul bordo della piscina e fece cenno a Niccolò di uscire dall’acqua.   

“Dai andiamo prima che il custode ci becchi. Di nuovo.”  

Arrivarono alla macchina ancora completamente zuppi d’acqua, ma fortunatamente Martino aveva nel portabagagli un paio di asciugamani della palestra che usarono per tamponarsi un po’ e come coprisedile così da non rovinare gli interni dell’auto.   

Il resto del viaggio passò in silenzio. Non si poteva certo definirlo un silenzio rilassato ma nessuno dei due aveva voglia di romperlo e rovinare ulteriormente quella quiete apparente che si era creata. Seppur tesa.  

                                  ****  

Fortunatamente, non ci volle molto per tornare sotto casa dei genitori di Nico. Il ragazzo diede uno sguardo veloce allo stabile e poi si voltò verso Martino con un sorriso appena pronunciato.  

“Grazie per questa serata...”  

“Grazie a te. Mi hai invitato tu, no?” Martino sembrava sereno, nonostante la tensione del ritorno. Forse quel viaggio nei ricordi di quella notte di Halloween era stato troppo doloroso per lui. Niccolò si rese conto che forse spingere così tanto per sapere poteva essere deleterio per ricostruire il loro rapporto.   

Si salutarono velocemente, poi Niccolò salì in casa e si spogliò dai vestiti ancora umidi. Rimase sul letto ancora in boxer e prese il telefono riaprendo per l’ennesima volta la galleria. Quante volte lo aveva fatto, da quando Martino gli aveva dato il telefono. Cercava attraverso le foto e i video di ricostruire quella che era stata la sua vita, ma c’erano troppi buchi neri in mezzo per riuscire a fare un quadro completo.  

Scorse con il dito sulla galleria, verso le foto più vecchie finché una in particolare attirò la sua attenzione. Non ci aveva fatto caso nei giorni scorsi, ma l’aprì e rimase stupito: nella foto c’era lui girato di spalle che guardava dietro e un piccolo segno alla base del collo. Ma era un tatuaggio? Si alzò di scatto e si mise davanti allo specchio cercando di guardare se fosse ancora lì. Ed era ancora lì, anche se era un disegno molto piccolo e stilizzato che non riusciva a capire. Provò persino a ingrandire la foto, ma si sgranava e finiva per essere troppo pixellata. Forse avrebbe dovuto chiedere, per sapere davvero cosa avesse tatuato sulla pelle. Permanentemente. E se fosse stato il risultato di un attacco psicotico? Chissà che cazziatone gli avevano fatto i suoi, quando lo avevano visto. Era pur vero però che dalla foto sembrava stare bene ed essere anche piuttosto soddisfatto della cosa. No, okay, doveva assolutamente capire.  

“Dimmi tutto. Che succede?”  Chiese Martino non appena rispose al telefono.  

“Ecco... ho visto una foto e... ho un tatuaggio?”  

Sentì Martino sorridere attraverso la cornetta, prima di rispondere.  “In effetti sì. Dietro il collo.”  

“Okay. Ma cos’è? Perché dalla foto non capisco e non riesco a vedermi bene dallo specchio.”  

“È una giraffa stilizzata. Tra l’altro disegnata da te.”  

“Da me?”  

“Sì, qualche anno fa volevo farmi un tatuaggio. Ne ho tipo cinque in tutto. E ti sei proposto di disegnarmelo tu. Poi alla fine era così bello e così  nostro  che ce lo siamo fatto insieme.”  

“Quindi anche tu ce l’hai?”  

“Sì, nell’interno coscia. Volevo fosse in un posto meno visibile...”  

“Ma perché una giraffa?”  

“È una cosa nostra... poi te ne parlerò.”  

“Okay... comunque è fico, mi piace. Avevo paura fosse stato un momento di follia.”  

“No, è stata una decisione ponderata. Volevamo fare qualcosa che ci legasse per sempre in qualche modo. Anche se la nostra filosofia di vita è minuto per minuto.”  

“Minuto per minuto?”  

“Sì, soprattutto quando le cose vanno male, prendiamo un respiro profondo e poi pensiamo solo al minuto successivo.”  

“È un bel modo di pensare...”  

“Siamo noi. Dal primo minuto che ci siamo messi insieme. Senza farsi paranoie sul futuro e quello che potrebbe accadere.”  

“Wow! Mi piace.” Disse, poco prima di sbadigliare. “Okay, ora credo che proverò a dormire un po’.”  

“Sì anche io, domani devo lavorare.”  

Si diedero la buonanotte e quando chiuse la chiamata, Niccolò restò con lo sguardo fisso al soffitto per qualche minuto. In realtà di dormire non ne aveva voglia, si sentiva solo tanto stanco. Aveva la testa piena di pensieri e soprattutto si chiedeva se mai sarebbe riuscito a ricordare. Si rigirò nel letto per un po’, sospirando piano, poi si alzò e si avvicinò alla scrivania dove era poggiato il suo computer. Lo aprì e subito apparve la schermata per inserire la password. E ora? Quale poteva essere? Si guardò intorno e proprio accanto al vecchio giradischi impolverato – lasciato lì da chissà quanto tempo - notò un’incisione, piccola e incerta ma molto chiara.   

Elio del mio <3  

Chi diamine era Elio?   

A quest’ennesima dimostrazione che l’amnesia lo aveva privato di una parte, a quanto pareva fondamentale, della sua vita, chiuse di scatto il computer e si ributtò sul letto. Non avrebbe dormito, già lo sapeva, ma almeno avrebbe avuto modo di calmare i nervi, di nuovo in tensione. E magari avrebbe evitato di avere ancora quell’incubo maledetto. Da quando si era risvegliato, ogni notte sognava sempre la stessa cosa e a questo punto iniziava a pensare che fosse un ricordo, ma era così confuso e buio che non riusciva a focalizzare le immagini per dare loro un senso. L'unica cosa certa era il fatto che si svegliasse con un senso di soffocamento che lo faceva tremare e piangere. Ogni dannata notte. Forse avrebbe dovuto parlarne con lo psichiatra. O con qualcuno in generale. Eppure non ci riusciva. Se quell’incubo era effettivamente un ricordo dell’aggressione ne era terrorizzato, anche se a un certo punto avrebbe dovuto per forza ricordare, fosse anche solo per la testimonianza ai carabinieri e relativa denuncia.   

La notte passò così, tra un pensiero e un desiderio – di cosa, di preciso, non lo sapeva ancora – ma a un certo punto il sonno prese il sopravvento e Niccolò finì per addormentarsi.  

Il vento sferza sul suo volto.   

È tutto buio.   

Nota un muro alla sua sinistra.   

Prova ad appoggiarsi ma scivola in avanti.   

Poi un dolore fortissimo al collo e il respiro si spezza.   

Cade a terra.   

Tenta di chiedere aiuto e sa che sta parlando, ma non esce nessun suono, non importa quanto ci provi.   

“Marti!”  

Il  silenzio fa da padrone e sente la paura farsi strada dal petto e nella testa.  

Alla fine una voce, appena sussurrata al suo orecchio.  

"Fai  schifo!”  

Si svegliò di soprassalto. Di nuovo. Si portò la mano alla gola e poi sulle tempie. Faticava a respirare e tremava. Iniziò a piangere, nel silenzio della stanza. Si accucciò sul letto e prese il telefono in mano, per controllare l’ora.  

Le sei e mezza.   

Aveva dormito solo un paio d’ore, ma avrebbe volentieri preferito non dormire affatto. Quell'incubo lo sfiniva ogni volta e si rese conto che ogni volta si aggiungevano dettagli, particolari. Se almeno riuscisse a ricostruire il tutto con chiarezza, probabilmente non gli farebbe questo effetto, non lo devasterebbe come invece succede.   

Cercò di mostrarsi sereno e solo stanco di fronte ai propri genitori. Si era sempre sentito in colpa nei loro confronti. Avevano dovuto affrontare una diagnosi devastante come il disturbo borderline e tutto quello che ne era conseguito e ora questo: un’aggressione e un’amnesia che sembrava irreversibile. Certo, erano passati solo pochi giorni, ma era deprimente per tutti rendersi conto che nulla finora gli avesse fatto scattare qualcosa nella memoria. Era sempre stata una persona impaziente e ora sapere che ci sarebbe voluto tempo perché ricordasse, lo innervosiva e rendeva ancora più irrequieto.   

Il telefono trillò l’arrivo di un messaggio e vide che si trattava di uno dei ragazzi che erano venuti a trovarlo in ospedale.  

Nel giro di pochi minuti Filippo fu sotto casa di Niccolò, che lo fece salire. Non sapeva bene come comportarsi con questo ragazzo che a quanto ricordava era stato presentato come il suo migliore amico. Sarà stato davvero così?   

“Allora come va? Ti sei un po’ ripreso?” Chiese Filippo, dopo che Niccolò lo aveva fatto accomodare e gli aveva offerto un caffè.  

“Un po’ sì... cioè è strano ritrovarsi avanti nel tempo, è come se vivessi un’altra vita.”  

“Però ti assicuro che, nonostante tutto, è una bella vita quella che stavi vivendo con Martino.”  

“Nonostante tutto... cosa?”  

“Beh, l’aggressione. Non dirmi che, anche se non te lo ricordi, non hai pensato che potesse essere un attacco omofobo?”  

“In realtà non so che pensare. Sono venuti anche i carabinieri a chiedermi qualche dettaglio, ma finché non recupero la memoria non saprei nemmeno che dire... e potrei non recuperarla mai.”  

Filippo annuì piano, sembrava stesse riflettendo sulle sue parole.   

“Ma tu vuoi ricordare? Dico sul serio, recuperare tutti questi sette anni?”  

“Sì, ovvio... è che ho così tanti buchi e non so come colmare tutto, come mettere insieme i pezzi...”  

“Se vuoi ti posso aiutare... sai, io c’ero quando vi siete messi insieme. Quando hai definitivamente mollato la tua ex per stare con Martino.”  

Niccolò lo guardò fisso in volto per un momento e sospirò piano “Ero davvero così felice con lui prima dell’aggressione?”  

“Schifosamente felice.” Rispose subito Filippo con un sorriso.  

Anche Niccolò sorrise e annuì. “Sai ieri sera siamo usciti e l’ho portato in un posto dove a quanto pare c’eravamo già stati insieme. Dove ci siamo dati il primo bacio.”  

“E...?” Filippo lo incoraggiò a continuare il racconto.  

“E... niente, abbiamo solo parlato. Sai, però ho capito com'è che mi sono innamorato di lui. È... è un po’ il mio tipo ideale.” Ammise con voce flebile. Sembrava stesse parlando più a sé stesso che all’altro.  

“E che non lo so? Cioè, sono sette anni che mi sorbisco te che me parli de quanto è bello, dolce, perfetto Martino che manco Madre Teresa de Calcutta potrebbe regge il confronto per come ne parli.”  

Niccolò rise di fronte all’espressione mezza esaurita di Filippo. Era bello parlare con lui, perché dava la sensazione di essere davvero con un amico. Filippo non gli faceva pesare il fatto di non ricordare nulla, né lo trattava con i guanti bianchi e questo Niccolò non poté che apprezzarlo. Anche di fronte al suo disturbo aveva sempre odiato chi lo guardava diversamente una volta saputo che era “malato” e lo trattava come tale. Filippo non era così. Forse non lo era nemmeno Martino, ma doveva ammettere che non gli aveva dato modo di dimostrarlo.   

“Senti ma... la piscina è stata una tua idea?”  

“Sì, non so perché, ma quando mi ha detto che potevamo andare ovunque volessi, mi è venuto in mente quello.”  

“Secondo me a livello inconscio, tu ricordi tutto, ma devi solo sbloccarti. Non è un caso che tu abbia scelto il posto dove vi siete dati il primo bacio. O pensi che sia una coincidenza?”  

“Forse no... non lo so...”   

“Beh ricordati...” Disse Filippo mentre si alzava e si metteva il telefono nella tasca dei jeans. “La pazienza è la virtù dei forti. E tu lo sei. Forte intendo.”  

Niccolò annuì con un sospiro profondo e si alzò anche lui dal tavolo della cucina per accompagnarlo alla porta.   

“Ora devo andare, ma guarda tesoro che non te liberi de me così facilmente eh... ci vediamo nei prossimi giorni.”  

“Okay. Grazie Filo.”  

Filippo lo fissò con un sorriso e scosse la testa. “Lo vedi che i ricordi sono ancora lì? Mi chiami così da quando ci conosciamo.”  

Poi si voltò e sparì dietro le scale, salutandolo con la mano. Niccolò chiuse la porta e si sentì un po’ più leggero dopo la chiacchierata con Filippo. Prese il telefono e aprì la chat con Martino. Voleva sapere come era il loro rapporto, senza i filtri dei loro “amici” o dal punto di vista di Martino stesso. Voleva farsi un’idea per conto suo. Andò indietro nel tempo a qualche mese prima e subito ebbe un’illuminazione.  

Ecco chi era Elio.... Ma perché Elio? Merda! C'erano così tante cose che non sapeva nemmeno come collegare tra loro e quel quadro che era la sua vita sembrava un’opera di Picasso, tutta scomposta, senza senso, con pezzi messi a caso qua e là. E di nuovo avrebbe voluto spaccare tutto. Sentì la rabbia montare sempre di più e alla fine non riuscì a controllarsi, buttò a terra il telefono e con esso una lampada e alcune foto su uno dei mobili della casa. Cadde in ginocchio e iniziò a piangere. Perché non riusciva a ricordare? Che aveva la sua testa?  

Ringraziò solo che i suoi non ci fossero in quel momento, aveva davvero bisogno di stare solo e sfogare tutta la frustrazione che la situazione stava portando con sé.  

Riprese il telefono, fortunatamente non si era fatto nulla nell’urto con il pavimento. Riaprì la chat e provò a andare più indietro nel tempo, a più di anno prima.   

Erano felici... aveva ragione Filippo. C'era una tale serenità in quei messaggi che invidiò il sé stesso di quel momento,  perché il tormento che sentiva adesso lo stava mangiando vivo.   

Decise che per quella giornata poteva fermarsi lì nel farsi del male, cercando invano di ricordare qualcosa. Ripose al loro posto le foto e la lampada e si preparò per uscire. Aveva bisogno di prendere aria e magari farsi trasportare dall’istinto verso i posti che conosceva.   

Quando uscì all’aria aperta, fuori dal portone trovò Luai che stava salendo i gradini esterni. Subito il sorriso si affacciò sul suo volto e richiamò la sua attenzione.  

“Che ci fai qui?”  

“Ti avevo promesso che sarei venuto a trovarti. Quindi eccomi qui.”  

Niccolò sorrise ancora e decisero di sedersi lì, sui gradini esterni nel cortile interno del palazzo. Stettero uno accanto all’altro per qualche secondo, in silenzio, godendosi la presenza dell’altro.   

“Non pensavo saresti tornato a casa dei tuoi...” Spezzò la quiete Luai, voltandosi verso il ragazzo.  

“Volevo riprendermi e stare in un ambiente più familiare.”  

“Nico...” Lo ammonì subito Luai. “Questa casa non è mai stata un ambiente familiare per te. Non dirmi cazzate, dai. Avevi paura di stare solo con Martino. Vero?”  

“Forse... è che non lo conosco. Non come te.”  

Niccolò provò ad avvicinarsi a Luai che sospirò e scosse la testa, allontanandosi. “Nico, io non so cosa ti sei messo in testa, però-”  

“Però cosa? Hai detto tu che non stai con nessuno...”   

“Sì, ma non voglio neanche stare con te.”   

Fu come ricevere una doccia gelata in pieno inverno. “Perché no?” La sua voce tremò appena e il sorriso si spense, rimanendo solo una linea sottile tra le labbra.  

“Nico, io lo so che i tuoi ricordi sono rimasti a sette anni fa, ma io no. Ti voglio bene, davvero tanto, ma niente di più. E dovresti renderti conto che invece hai accanto un ragazzo meraviglioso che ti ama come non ho mai visto nessuno amare. Avremo potuto avere una chance di stare insieme se le cose fossero andate diversamente, se... se questa cosa fosse successa sette anni fa, non adesso.”  

Niccolò chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore. “Che idiota che sono.” Si era palesemente illuso che quella potesse essere la loro occasione.  

“No, non sei un idiota. Hai solo tanta confusione e ci sta, va bene. Però devi iniziare a pensare che siamo nel 2025 e che quello che ricordi è solo una parte della tua vita, una parte che tra l’altro non esiste più.”  

Iniziava a rendersene conto. Tutto quello che ricordava non esisteva, c’erano persone diverse accanto a lui, faceva cose diverse, nemmeno la casa era più la stessa. Nulla era più come nella sua memoria. E prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con tutto quello.   

“Okay.” Niccolò si alzò e fece per tornare indietro, risalendo i gradini.   

“Dove vai?”   

“Torno su casa, ho delle cose da fare.” Riuscì a mostrare un sorriso spento, mentre apriva il portone a vetri.  

“Mi dispiace, Nico, però-”  

“No, tranquillo. Grazie per la tua sincerità. Davvero.”  

Poi senza aspettare la risposta di Luai, varcò il portone di casa e salì al piano.   

                               *****  

Poche ore dopo  

“Vabbè, dai. Niente pollo di Samir... No, riesco a cucinarmi qualcosa Ma’, te prego... Okay... Okay... Sì, dai, domani vengo lì. Dai. Ciao, ciao, ciao...”   

Martino chiuse la chiamata con la madre, proprio mentre saliva l’ultima rampa di scale – dannato ascensore rotto – e si trovò davanti Niccolò.   

“Ciao! Scusa se piombo qui senza preavviso.” Subito Niccolò si alzò da terra, dove era seduto, e Martino notò subito la mini valigia che gli aveva preparato qualche giorno prima.   

“Figurati. Che ci fai qui?” Chiese, avvicinandosi con le chiavi in mano e il sorriso che proprio non riuscì a mascherare.  

Niccolò sospirò e puntò i suoi occhi in quelli dell’altro. “Sono pronto a vivere qui e a cercare di recuperare i ricordi con te.”   

Il cuore di Martino perse un battito e gli occhi si inumidirono dall’emozione. “Davvero? Cioè, sei sicuro?”  

Niccolò sorrise e prese in mano la mini valigia.  “Assolutamente sì!”  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Notes:

Ero indecisa se pubblicare oggi perché non è una giornata facile, ma ho pensato che almeno mi sarei distratta... perciò spero che apprezziate e da qui le cose prenderanno una certa piega ;)
Grazie come sempre alla mia fantastica beta e a tutte le persone che leggono e commentano la storia <3
A presto
Babykit

   
 
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