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Autore: BlackHawk    14/07/2020    1 recensioni
Non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo che qualcuno arrivò alle sue spalle, le tappò la bocca con una mano e la spinse contro il muro più vicino.
Caitlin provò a urlare, ma non ci riuscì.
Lo sconosciuto era decisamente più forte di lei e le stava facendo chiaramente segno di stare zitta.
-Non voglio farti del male, Caitlin. –le disse sottovoce l’uomo. –Ma devi stare zitta, altrimenti attirerai la loro attenzione.-
Caitlin sgranò gli occhi, sempre più impaurita. Quel tipo conosceva il suo nome.
-Promettimi che non ti metterai a urlare. – disse poi, allentando la presa su di lei.
Caitlin fece quello che avrebbero fatto tutti. Fissò lo sconosciuto negli occhi e annuì.
Lui la osservò per qualche secondo e poi la lasciò andare.
-Non ti muovere da lì.-
Lo vide sporgersi verso il vicolo in cui qualcuno aveva chiaramente usato una pistola e poi ritornare in fretta nel punto in cui si trovava prima.
-Se ne sono andati. – osservò, passandosi una mano nei capelli.
Scosse la testa e poi posò di nuovo il suo sguardo su di lei, fissandola intensamente. -Si può sapere che diavolo ci fai in giro da sola a quest’ora?-
Genere: Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Caitlin legò i suoi lunghi capelli biondi in una coda di cavallo e poi osservò a lungo la sua immagine riflessa nello specchio.
I suoi occhi azzurri erano rossi e gonfi per il pianto e il suo incarnato, spento e pallido, sembrava aver perso ogni traccia di vitalità quel giorno.
Aveva davvero una brutta cera, inutile negarlo, eppure nemmeno vedersi in quelle condizioni la spingeva a reagire.
Era ancora molto turbata da quello che era successo a casa di Jake e i suoi pensieri continuavano ad affollarsi confusi nella sua mente, uno dopo l’altro e soprattutto uno più fastidioso dell’altro.
Si sciacquò il viso con dell’acqua fresca e poi chiuse gli occhi, profondamente amareggiata da quello che aveva scoperto solo poche ore prima.
Come aveva fatto ad essere così stupida? Come aveva fatto a fidarsi ciecamente di Jake?
Lei, che a stento si fidava della sua migliore amica a volte?
Aveva trascorso le ultime due ore a chiedersi come avesse potuto commettere un errore del genere, eppure nemmeno dopo tutto quel tempo era riuscita a darsi una spiegazione vagamente plausibile e soprattutto credibile alle sue orecchie.
Una vocina fastidiosa nella sua testa le aveva suggerito che il motivo fosse più banale di quello che pensasse e che l’attrazione che provava per Jake le avesse temporaneamente annebbiato la mente, ma in cuor suo sapeva benissimo che le cose non stavano affatto così.
Jake le piaceva, questo non poteva negarlo, ma non si era fidata di lui solo per questo.
Si era fidata di lui perché il suo istinto l’aveva spinta a farlo, ma col senno di poi avrebbe fatto meglio a non dargli ascolto e a mantenere anche con lui quella barriera impenetrabile che ormai alzava con tutti.
Aveva commesso un errore, un errore imperdonabile, e adesso ne stava pagando le conseguenze.
Ma che cosa poteva fare? Con chi poteva parlare?
Le uniche persone di cui si era fidata negli ultimi tempi le avevano mentito e le uniche che avrebbe voluto al suo in fianco in quel momento non c’erano più o, nel caso di Matt, erano lontane.
Si sentiva sola, e dannatamente persa, e la cosa peggiore era che non poteva farci proprio nulla.
Alla fine prese diversi respiri profondi e poi riaprì gli occhi.
Non poteva rimanere in bagno a piangersi addosso. Non poteva e basta.
Doveva rimettere insieme tutti i pezzi della sua vita e scoprire cosa diavolo si nascondesse dietro alla morte improvvisa dei suoi genitori e del suo precedente datore di lavoro.
Sapeva di essere troppo coinvolta in quella storia e di non avere la lucidità sufficiente o quantomeno necessaria per far luce su quello che era successo, ma non poteva fare finta di niente.
Così si diresse a passi spediti verso la sua camera e poi si vestì con le prime cose che trovò. Un jeans chiaro e una maglia nera con le maniche a tre quarti e lo scollo a barchetta.
Non aveva nessuna intenzione di rimanere con le mani in mano, ad aspettare che qualcun altro le mentisse ancora su una parte così importante della sua vita.
Doveva mettere da parte quel senso di delusione che aveva provato quando aveva scoperto che Jake e il detective Allen le avevano mentito e scoprire finalmente la verità sui due omicidi che le avevano cambiato per sempre la vita.
Recuperò frettolosamente la borsa dal divano e poi uscì di casa.
Peccato che qualcuno non la pensasse come lei.
Non fece in tempo a chiudere la porta di casa, infatti, che una voce profonda alle sue spalle la chiamò, facendola trasalire.
-Caitlin.-
Cat serrò la mascella talmente forte che per un attimo rischiò di farsi male.
Che diavolo voleva ancora da lei quel dannato bugiardo?
Chiuse la porta a chiave e poi si girò.
Non doveva assolutamente perdere la calma.
Jake non significava nulla per lei e di sicuro non gli avrebbe dato nessuna possibilità di mentirle ancora.
-Che diavolo vuoi?- gli chiese, con il tono più freddo e distaccato che riuscì a tirare fuori.
Jake si irrigidì.
I suoi occhi scuri la stavano scrutando attentamente.
-Che succede?- le chiese, come se non avesse idea di quello che lei aveva scoperto quella mattina. –Sono passato a casa prima e non solo non ho trovato te, ma non ho trovato neanche nessuna delle tue cose. Perché te ne sei andata?-
-Mi prendi in giro?- sbottò Cat, arrabbiata.
Lo scansò e poi iniziò a scendere le scale, con una tale rabbia in corpo da non rendersi conto che il suo non era una passo normale, ma una dannata corsa contro il tempo.
Jake ovviamente la seguì, ripetendole più volte di fermarsi.
Cat non gli diede minimamente ascolto e tirò dritto, fino a quando non si ritrovò fuori dal palazzo in cui abitava ormai da quasi tre anni.
Era una bella giornata, nonostante tutto.
Il sole splendeva sulla città e il clima era stranamente mite.
L’estate stava arrivando.
-Ti vuoi fermare?- sbottò Jake a un certo punto, arrivando alle sue spalle e afferrandole un braccio.
L’aveva seguita fino a giù, ma lei non si era minimamente resa conto di quanto fosse insistente e testardo.
Cat si divincolò dalla sua stretta e poi lo affrontò a viso aperto.
-Non hai fatto altro che mentirmi.- lo accusò, guardandolo dritto negli occhi. –Perché non mi hai detto la verità sulla morte dei miei genitori?-
Jake trasalì, spiazzato dalle sue parole. –Di che stai...-
Cat lo interruppe con un cenno della mano. –So tutto.- disse, in tono amaro. –Basta mentire.-
Lo vide passarsi una mano nei capelli e poi sospirare.
Indossava i suoi soliti jeans scuri e una maglia grigia, ma quel giorno non le sembrava così affascinante come al solito.
Forse perché per lei la fiducia era tutto e sapere che lui l’aveva tradita in quel modo così meschino le aveva fatto perdere all’improvviso qualsiasi interesse nei suoi confronti.
Come si può anche solo immaginare di stare con una persona che non fa altro che mentirti?
Per lei era davvero inimmaginabile e sarebbe sempre stato così.
-Perché non saliamo a casa?- le chiese a un certo punto lui, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
-Così puoi dirmi altre bugie?- lo schernì Caitlin, arrabbiata.
Jake distolse lo sguardo.
-Perché è questo che fai, no? Dire balle su balle, sperando che gli altri ti credano.- continuò Cat, in tono amaro.
Il figlio di Abigail scosse la testa. –Ti sbagli.-
-Davvero?- lo provocò Cat, scuotendo la testa. –Era tutta una menzogna, vero? Non c’era nulla di reale in questi giorni che abbiamo trascorso insieme.-
Jake le afferrò il viso all’improvviso e poi la fissò negli occhi. –Era tutto vero.-
Lei fece un passo indietro e poi si lasciò sfuggire un sorriso amaro. –Chi ha ucciso i miei genitori?-
-Io questo non lo so, Cat.- rispose Jake. –Ma ti giuro che troverò il loro assassino e mi assicurerò che trascorra il resto della sua vita dietro alle sbarre di una maledetta prigione.-
-E dovrei crederti?-
-Saliamo a casa tua.- la supplicò Jake, con uno sguardo che non gli aveva mai visto.
Sembrava addolorato, ma lei non riusciva a provare nessuna pena per lui.
Le aveva mentito e questo per lei era più che sufficiente per chiudere i battenti ed eliminarlo dalla sua vita.
-Ti dirò tutto.- continuò Jake, senza abbassare mai lo sguardo da lei.
-Io non mi fido più di te.-
-Lo so.- replicò Jake, in tono amaro. –Volevo solo proteggerti.-
-Dicendomi bugie?-
Jake scosse la testa. –Aspettando il momento giusto per dirti tutta la verità.- rispose. –Ma quel momento a quanto pare è arrivato e se me ne dai la possibilità, ti dirò tutto quello che vuoi sapere.-
Cat esitò. E se le avesse detto altre bugie? Come poteva fidarsi ancora di lui?
Per un attimo pensò di girare i tacchi e andarsene.
Solo pochi minuti prima aveva promesso a se stessa che non avrebbe permesso più a nessuno di dirle altre bugie.
Ma andarsene significava perdere l’unica possibilità di sapere qualcosa in più e lei questo non poteva permetterselo.
Combatté a lungo con la sua coscienza e alla fine fece l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare.
Annuì suo malgrado e rientrò di nuovo nel palazzo.
 
Pochi attimi dopo, Cat aprì la porta di casa e si disse che stavolta non avrebbe ceduto.
Se avesse avuto la minima sensazione che Jake le stesse mentendo, lo avrebbe sbattuto immediatamente fuori di casa e lo avrebbe eliminato per sempre dalla sua vita.
Questa volta le cose sarebbero andate diversamente, cascasse il mondo.
Jake la seguì dentro casa e poi sospirò.
Cat non poté fare a meno di scuotere la testa.
Cosa c’era da sospirare?
In quella storia la vittima era lei. Possibile che nessuno se ne rendesse conto?
-Adoravo questa casa.- le disse a un certo punto Jake, attirando la sua attenzione.
Cat si chiuse la porta di casa alle spalle e poi lo fissò. Che diavolo intendeva?
-Cosa?- chiese infatti, confusa.
Jake fece un sorriso amaro, di quelli che non ti scordi facilmente.
Lo sentì schiarirsi la voce e poi sospirare un’altra volta.
-Ti ricordi cosa ti dissi a proposito di quel mazzo di chiavi che usai la prima sera che ci siamo conosciuti?- le chiese, incrociando il suo sguardo. –La sera in cui è stato ucciso mio zio?-
Cat ricordava benissimo quella sera, eppure non capiva. Ma di che diavolo stava parlando?
Posò le sue, di chiavi, e poi si avvicinò a lui.
-Mi hai detto che un tempo abitavi qui.- rispose, continuando a non capire.
Jake fece un altro sorriso amaro.
-Io non abitavo semplicemente qui.- le disse, alludendo al palazzo in cui si trovavano. –Io abitavo proprio qui, in questo appartamento.-
Caitlin non riuscì a mascherare un’espressione sorpresa. –Che significa?-
Jake si andò a sedere sul divano e poi si guardò intorno.
Il suo soggiorno non era nulla di che.
Era un ambiente abbastanza piccolo e arredato in modo semplice e moderno, eppure Jake osservava tutto con una strana luce negli occhi, come se adorasse quel posto.
-Perché non ti siedi?- la invitò, schiarendosi la voce.
Cat per qualche strano motivo lo assecondò, sedendosi accanto a lui, e poi attese in silenzio che lui riprendesse le fila del discorso.
-Questa casa è mia.- le disse all’improvviso, cogliendola alla sprovvista.
-Cosa?- mormorò Cat, confusa.
Lei era in affitto lì, era vero, ma conosceva perfettamente il proprietario di quella casa e di sicuro non era lui.
-Stai mentendo.- osservò, in tono secco. –Di nuovo.-
-Non è così.-
-Tu non sei il proprietario di questo appartamento.- replicò Cat, sicura di quello che stava dicendo. –Io lo conosco.-
-Tu conosci Steven.- la corresse Jake. –Il mio migliore amico.-
Cat stava per replicare di nuovo quando si rese conto che il ragazzo che lei conosceva come il proprietario dell’appartamento in cui abitava da quasi tre anni si chiamava proprio Steven.
È solo una coincidenza, pensò. Una coincidenza davvero strana, però.
-Sarà meglio che cominci dall’inizio.- mormorò Jake, in tono triste.
Cat non disse nulla.
Si limitò a fissarlo in silenzio, sempre più confusa da quello che stava succedendo.
-Ho conosciuto tuo padre tre anni e mezzo fa.- iniziò a dire, lasciandosi sfuggire più di un sospiro. –Quando Allen mi ha assegnato diversi casi di omicidio che apparentemente non avevano nulla in comune, ma che in realtà avevano un unico e terribile denominatore.-
Cat fece due più due. –Il Parenol.-
Jake annuì.
-Tu hai conosciuto mio padre?- gli chiese poi Cat, sconvolta da quella rivelazione. –Perché non me lo hai mai detto?-
Jake si strinse nelle spalle. –Sempre per lo stesso motivo, Caitlin.- rispose, in tono affranto. –Volevo tenerti al sicuro, ma non ci sono riuscito. Il caso ha voluto che ti trovassi nei paraggi quando mio zio è stato ucciso e da quel giorno, in un modo o nell’altro, tutti i miei tentativi di tenerti al sicuro sono miseramente falliti.-
-Tutti i tuoi tentavi?-
Jake la fissò. –Vuoi sapere o no la verità?-
-Certo.-
-E allora dovresti smetterla di fare tutte queste domande e lasciarmi raccontare quello che so.-
Touché.
Cat si schiarì la voce e poi annuì, come a voler dire che non lo avrebbe più interrotto.
-Quando ho cominciato ad indagare su tutti quegli omicidi, mi sono reso conto che le vittime avevano la stessa malattia che poi ha colpito anche mio zio. Così ho parlato con Allen e lui mi ha messo in contatto con tuo padre, che all’epoca non sapeva molto di quel farmaco. Si è messo a fare delle ricerche, però, e piano piano siamo risaliti a una lunga lista di persone a cui era stato prescritto, quanto meno tra i pazienti dell’ospedale in cui lavorava lui.-
-Quindi sapevi tutto di quell’appunto?- gli chiese Cat, alludendo alla nota che aveva trovato nel libro che le aveva regalato suo padre.
Jake annuì. –Io e tuo padre collaboravamo insieme da mesi, quando lui e tua madre sono stati uccisi.-
Cat rimase senza parole.
Ecco perché lui sapeva tutte quelle cose su di lei.
Suo padre collaborava con la giustizia per far luce sulle morti misteriosi di cui le aveva parlato Jake tempo prima e questo era costato caro sia a lui che a sua madre.
Si sforzò di non lasciarsi sopraffare dalla rabbia e continuò invece ad ascoltare Jake.
-Passavamo molto tempo insieme per via delle indagini e quando ho saputo della sua morte, per me è stato davvero un duro colpo.- le confidò, con gli occhi lucidi.
Cat lo osservò con attenzione.
Jake sembrava davvero dispiaciuto per la morte dei suoi e lei non riusciva davvero a capire il perché.
Aveva collaborato con suo padre, questo lo aveva capito, ma perché dispiacersi così tanto?
Non si era forse abituato all’idea della morte, con il lavoro che faceva?
Lo sguardo di Jake le fece capire che l’espressione del suo viso tradiva quelle domande che aveva osato formulare solo nella sua testa.
-È colpa mia.- si limitò a dire Jake. –È colpa mia se sono morti.-
Caitlin non riuscì ad aprire bocca. Che diavolo intendeva?
-Tuo padre mi ha aiutato in tutti i modi possibili e immaginabili e io invece non sono riuscito a proteggere né lui né tua madre.-
Cat stavolta non riuscì ad rimanere in silenzio. –Che significa?-
-Che non mi sono accorto che le sue ricerche hanno attirato l’attenzione di qualcuno che voleva che lui tenesse la bocca chiusa e questo lo ha portato alla morte.- rispose.- Alla sua e a quella di tua madre, in realtà.-
Caitlin non era d’accordo.
Per quanto odiasse il fatto che lui le avesse mentito o quanto meno omesso alcune cose importanti sulla sua vita, lei non gli avrebbe mai e poi mai addossato la colpa per la morte dei suoi genitori.
Non era colpa sua. Questo era poco, ma sicuro.
-Ti sbagli.- si ritrovò a dire infatti, sorpresa dalle sue stesse parole.
Jake alzò la testa di scatto, incrociando di nuovo il suo sguardo.
-Non è colpa tua.- mormorò, schiarendosi la voce. –È colpa di chi li ha uccisi.-
Jake scosse la testa. -È anche colpa mia, però.-
-Ti ritieni davvero colpevole?- gli chiese, scioccata. –Come ti ritieni colpevole della morte di tuo zio?-
Lui la fissò in modo strano.
-Vi ho sentito.- gli spiegò Cat, riferendosi a lui e sua madre. –Vi ho sentito quella volta in libreria.-
Jake scosse la testa. –Non avresti dovuto.-
-Non avrei dovuto fare tante cose, Jake.- gli disse lei, con un sorriso amaro. –Ma se non le avessi fatte non avrei mai scoperto la verità sui miei. Ho passato tanto di quel tempo ad odiare un incidente stradale che non è mai esistito da non accorgermi che il vero assassino era ancora a piede libero. Come è possibile questo?-
-Lo prenderemo.- la rassicurò Jake, avvicinandosi a lei. –Devi credermi almeno su questo.-
Cat distolse lo sguardo. –Mi avete mentito entrambi, però.- gli disse lei, riferendosi anche al detective Allen.
-Lo abbiamo fatto per il tuo bene.- replicò Jake. –Tutto quello che ho fatto da quando sono morti i tuoi è stato fatto per proteggerti. Il lavoro, questa casa, tutto...-
Cat trasalì. –Cosa?-
Jake scrollò le spalle. –Ho chiesto io a mio zio di darti quel lavoro e l’appartamento in cui ti ho detto di aver abitato per tanto tempo è proprio questo, quello in cui abitate tu e tuo fratello dalla morte dei tuoi.-
-Non capisco...-
-Non sono riuscito a proteggere i tuoi, ma dovevo almeno proteggere te e Matt e quindi...-
Caitlin era sconvolta, talmente sconvolta che non sapeva nemmeno cosa dire.
Jake era stato il suo dannato angelo custode per tutto quel tempo?
Impossibile.
-Non guardarmi così, Caitlin.- la supplicò lui. –Volevo solo proteggervi.-
E lei che aveva scambiato il suo dannato atteggiamento per pietà! Quanto era stata stupida!
Dannazione. Lui voleva proteggerla sul serio.
Poi però le venne un dubbio.
-E quel bacio?- gli chiese, senza specificare a quale si riferisse.
-Mi piaci.- rispose Jake, con un tono così diretto che la fece arrossire. –Mi sembra di essere stato abbastanza chiaro sul punto.-
Caitlin si schiarì la voce. –Hai anche detto che non possiamo stare insieme, però.-
E adesso capiva anche il perché.
Aveva così tante domande in testa, eppure in quel momento il suo cervello non riusciva a concentrarsi su nessuna di esse.
Perché Jake aveva cercato di proteggere lei e Matt così disperatamente? Solo perché si sentiva in colpa per la morte dei suoi? E i suoi sentimenti per lei erano reali o dettati dal senso di protezione che aveva sviluppato nei suoi confronti?
Si lasciò sfuggire un sospiro e poi si mise a giocare con il bordo della maglietta.
Non sapeva che dire e questa cosa la sconcertava parecchio.
-Non farlo.- la rimproverò Jake, attirando la sua attenzione.
-Cosa?-
-Pensare che mi piaci solo perché non sono riuscito a proteggere i tuoi.-
Cat non gli chiese come avesse fatto a intuire i suoi pensieri. Si limitò a guardarlo per un istante e poi riabbassò lo sguardo, imbarazzata.
Jake si avvicinò a lei e poi le prese una mano.
-Mi piaci per ben altri motivi, alcuni dei quali sono molto meno nobili...-
Cat arrossì di nuovo e poi gli fece una domanda che le stava a cuore. –Mi hai dato una mano con il lavoro e mi hai aperto la porta di casa tua.- gli disse. –Perché mentirmi allora?-
Jake sospirò. –Perché era il modo migliore per tenerti al sicuro.- rispose, sincero. –Ti seguivo tutte le sere, sai? Per accertarmi che rientrassi a casa sana e salva, dopo il lavoro.  E poi è bastato un dannato attimo per mandare tutto all’aria.-
-Mi seguivi?- gli chiese Cat, sconvolta.
Possibile che fosse lui l’uomo che l’aveva seguita una sera di tanto tempo prima, facendole spaventare a morte?
-Dovevo accertarmi che il tragitto verso casa fosse il più sicuro possibile per te.-
Cat sentì una stretta al cuore.
Jake aveva fatto di tutto per tenerla al sicuro ed aiutarla.
Le aveva dato un lavoro, le aveva trovato una casa e si era accertato per tanto tempo che lei e suo fratello fossero al sicuro e lei non riusciva minimamente a capire il perché.
Era terribilmente confusa e tutto quello che aveva scoperto in quella mattina non aveva fatto altro che confonderla ancora di più.
Aveva un disperato bisogno di sapere cosa fosse successo ai suoi genitori e perché Jake si fosse dato tanta pena per tenere al sicuro lei e Matt, ma in quel momento non riusciva a pensare ad altro che al motivo per cui il suo istinto le avesse detto di fidarsi di lui sin da subito.
Cosa c’era in lui che le infondeva tutta quella sicurezza?
-Stai bene?- le chiese Jake, vedendola esitare.
-Io...-
-Non volevo mentirti, Cat.- mormorò lui, sinceramente dispiaciuto. –Scusami, davvero, ma credevo fosse il modo migliore per proteggerti. Evidentemente mi sbagliavo.-
Cat non disse nulla.
Non era ancora pronta a perdonarlo e le sue rivelazioni l’avevano turbata nel profondo, perciò fece quello che sapeva fare meglio.
Chiudersi in se stessa e tenere le distanze.
-Ci sono novità?- gli chiese alla fine, spostando la conversazione su un tema meno complicato, se così si poteva dire.
Lo vide scuotere la testa. –Nulla di nuovo.-
Cat annuì e pochi secondi dopo Jake si alzò.
-Torniamo a casa.- le disse, incrociando il suo sguardo.
Questa volta fu Cat a scuotere la testa. –Ho bisogno di stare un po’ da sola.- mormorò, abbassando la testa.
-E come faccio a proteggerti?-
-Io...-
Jake si inginocchiò davanti a lei e poi le prese il viso fra le mani. –Non posso perderti di vista, Caitlin.- le disse, senza mai abbassare lo sguardo. -Non ora.-
Cat si perse per un attimo nei occhi e poi si tirò indietro, fino a quando lui non mollò la presa dal suo viso.
-Non posso.- gli disse, quasi in un sussurro.
Lo sguardo di Jake si indurì. –Bene, vorrà dire che rimarrò qui, fino a quando non si saranno calmate le acque.-
Caitlin scosse la testa. –Ho bisogno di tempo per riflettere e la tua presenza renderebbe tutto più complicato...-
-Cat, quella gente non scherza.- l’avvisò lui. –Hanno provato a rubare l’appunto di tuo padre mentre tu eri in casa e se sapessero che tu sai più di quello che credono, non ci penserebbero due volte prima di farti fuori.-
Caitlin questo lo sapeva bene, ma non voleva stare a casa sua, con lui.
Voleva starsene un po’ da sola, fino a quando il suo cuore e la sua testa non si fossero messi d’accordo sul da farsi.
Era rischioso rimanere lì da sola, di questo se ne rendeva conto, ma Jake la confondeva e in quel momento lei aveva bisogno di chiarezza, non di confusione.
Si schiarì la voce e poi lo guardò.
-Potrei andare da Lauren.- suggerì, cauta.
Jake fece una risata amara.–Così rischiamo che Ryan ti metta di nuovo le mani addosso?-
Cat si irrigidì. In quel momento Ryan le sembrava l’ultimo dei suoi problemi.
Quell’episodio però le riportò alla mente il bacio che lui le aveva dato nel guardino di Lauren.
Il bacio che le aveva fatto provare sensazioni che non credeva di poter provare in un momento del genere e soprattutto per una persona del genere. Uno sconosciuto che le aveva salvato la vita in più di un’occasione e che l’aveva tenuta al sicuro per più di due anni.
Si sforzò di scacciare quei pensieri dalla testa e poi sospirò.
-Facciamo così.- le propose Jake, attirando la sua attenzione. –Ti concedo tutta la giornata per pensare o fare quello di cui hai più bisogno in questo momento, però stasera vengo a prenderti e ti porto a casa con me.-
Cat stava per protestare quando lui la fulminò con lo sguardo. –Senza se e senza ma, Caitlin. Prendere o lasciare.-
Cat avrebbe voluto dire che no, non sarebbe andata con lui, ma che chance aveva di rimanere al sicuro senza il suo aiuto? E che chance aveva di scoprire la verità sulla morte dei suoi senza le notizie che lui e Allen avrebbero potuto darle di volta in volta in via informale?
Conosceva già la risposta a quelle domande, eppure non aveva il coraggio di ammetterlo ad alta voce.
Osservò Jake alzarsi e uscire di casa in silenzio dopo averle lanciato un’ultima occhiata.
Il suo atteggiamento era abbastanza eloquente.
Silenzio, assenso.
Lei non si era più opposta alla sua proposta e Jake aveva dato per scontato che tutta quell’organizzazione a lei stesse bene.
Che nervi, pensò.
Abbandonò la testa contro lo schienale del divano e poi represse la voglia di mettersi a urlare coprendosi la faccia con un cuscino.
Jake l’avrebbe mandata al manicomio prima o poi. Sempre che l’assassino dei suoi genitori non l’avesse fatta fuori prima, si ritrovò a pensare ironicamente.
Quel pensiero la riportò alle sue indagini.
Dov’era rimasta?
Fece un breve punto della situazione e poi sbuffò.
Sapeva che i suoi genitori erano stati uccisi perché suo padre stava facendo delle indagini su un medicinale potenzialmente tossico, o quanto meno questa era l’idea che si era fatta lei, e che Thomas, a cui era stato prescritto quel medicinale per via della sua malattia, molto probabilmente era incappato nelle stesse conclusioni.
Il figlio del detective Allen e il padre di Stella lavoravano per la casa farmaceutica che lo produceva e probabilmente solo uno dei due era in buona fede.
Cat non ci mise molto a capire quale dei due fosse.
Eppure c’era qualcosa che le sfuggiva. Ma cosa?
Decise che rimanere chiusa dentro casa a logorarsi con quei pensieri non sarebbe servito a nulla e decise invece di uscire e di prendersi del tempo per lei.
Non poteva passare tutte le sue giornate a scervellarsi su questioni che nemmeno la polizia era riuscita a dirimere.
Chiamò Lauren e le chiese se le andava di fare un giro per negozi.
Lauren non se lo fece ripetere due volte.
Le disse che sarebbe venuta a prenderla nel giro di un quarto d’ora perché quel giorno aveva la macchina a disposizione e per fortuna era già in zona.
 
Venti minuti dopo, Lauren venne a prenderla come promesso.
Cat la trovò seduta nella suo Ford Fiesta blu elettrico, intenta ad armeggiare con il telefono.
Non appena i loro sguardi si incrociarono, Lauren tolse la sicura agli sportelli e le fece cenno di entrare.
-Ciao, Cat.- la salutò subito, allegra.
Cat si sforzò di non far trapelare le sue emozioni e la salutò con lo stesso tono gioviale.
Notò che Lauren aveva lasciato i capelli rossi sciolti e che indossava una gonna molto corta nera e un top verde brillante con un ampia scollatura.
-Ma dove vai vestita così?- la prese in giro Cat, divertita.
Lauren scrollò le spalle. –Veramente sono andata al supermercato, ma non ho trovato quello che cercavo.- rispose, facendo una smorfia.
-Vestita così?-
Lauren la guardò storta. –Perché?-
-Sembri una modella di Vogue.-
Lauren alzò di nuovo le spalle. –Il pubblico mi ama.-
Cat rise. –Non ho dubbi.-
-Allora.- disse Lauren, mettendo in moto. –Dove si va?-
-Vie delle shopping?-
Lauren fece una smorfia. –Oggi fa caldo.- rispose, con un tono che Cat riconobbe subito.
-Ok.- le disse, sapendo già cosa aveva in mente. –Va bene.-
-Davvero?-
-Perché ti stupisci?- le chiese Cat, ironica.
Vinceva sempre lei in quella battaglia invisibile. Cat voleva andare per negozi nelle vie del centro e Lauren al centro commerciale, per sfruttare il fresco prodotto dall’impianto dell’aria condizionata.
Era una storia che si ripeteva da anni, ormai. Quantomeno quanto arrivava la bella stagione e di conseguenza anche il caldo afoso.
-Perché tu odi andare per centri commerciali.- le rispose la sua migliore amica, stupita dal suo atteggiamento accomodante.
Cat annuì. –Già, ma ho bisogno di rilassarmi e credo che qualsiasi posto possa fare al caso mio oggi.-
Lauren alzò le spalle e poi mise in moto.
-È tutto ok?- le chiese poco dopo, partendo.
Cat si schiarì la voce e poi si sforzò di annuire.
Non poteva dirle nulla di quello che aveva scoperto quella mattina e sinceramente, anche se avesse potuto, non ne avrebbe avuto nessuna voglia in quel momento.
Voleva solo distrarsi e passare qualche ora con la sua migliore amica a fare quello che facevano tutte le sue coetanee.
Perciò si stampò un sorriso in faccia e poi chiese a Lauren in quale centro commerciale volesse andare.
 
Mezzora dopo Lauren parcheggiò la macchina vicino all’ingresso del suo centro commerciale preferito e in pochi minuti lei e Cat si ritrovarono sulle scale mobili che collegavano il parcheggio sotterraneo al piano terra del centro.
Cat notò che c’erano pochissime persone a quell’ora del mattino e questo pensiero in un qualche modo la rincuorò.
Odiava i luoghi affollati, soprattutto i centri commerciali, dove le luci e i rumori tendevano sempre a disorientarla dopo pochi minuti.
Sapere invece che c’era poca gente quel giorno le dava un senso di tranquillità che non avrebbe mai sperato di trovare in un posto del genere.
-Vorrei prendere un vestitino rosa cipria.- le disse a un certo punto Lauren, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Cat aspettò di scendere dalle scale mobili per chiederle per quale occasione le servisse.
-Devo dirti una cosa.- rispose a quel punto Lauren, su di giri.
Cat non fece in tempo a dire nulla perché lei le afferrò un braccio e la portò in un angolo più tranquillo del piano per poter parlare.
-Che succede?- le chiese allora, perplessa.
Non aveva mai visto Lauren così gasata.
La sua migliore amica prese un respiro profondo e poi sorrise. –Alex mi ha chiesto di sposarlo.- rispose la sua migliore amica, eccitata.
-Cosa?- strillò Cat, a metà tra lo stupore e la gioia per quella notizia inaspettata.
Lauren annuì. –Ieri sera.- le spiegò, emozionata. –Mi sono messa a piangere come una bambina dopo che me lo ha chiesto.-
Cat sorrise, un sorriso vero, di sincera felicità per quello che stava accadendo alla sua migliore amica.
Le buttò le braccia al collo e l’abbracciò come se provasse anche lei la stessa gioia che vedeva riflessa negli occhi di Lauren.
La sua migliore amica ricambiò l’abbraccio con decisione e poi si schiarì la voce, come se dovesse chiederle qualcosa di importante.
-Mi faresti l’onore di essere la mia damigella d’onore?- le chiese infatti, con gli occhi lucidi.
A quel punto anche Cat sentì qualcosa cedere dentro di sé. Annuì, sopraffatta dal nodo in gola che aveva, e ricacciò indietro le lacrime che le erano spuntate agli angoli degli occhi.
Non riusciva a crederci. Lauren si sarebbe sposata! E lei sarebbe stata la sua damigella d’onore!
Era così contenta per lei da non riuscire a proferire parola.
-Stai piangendo?- le chiese Lauren, abbracciandola un’altra volta.
Cat scosse la testa. –Sono così felice per te.- le confidò, sinceramente emozionata.
Lauren sorrise e poi le strinse la mano. –Ti voglio bene, Cat.-
-Anche io, Lauren.-
-Però adesso basta piangere.- le disse la sua migliore amica, ricomponendosi. –Abbiamo un vestito da comprare.-
Cat annuì e poi le chiese a cosa le servisse il vestito.
-Voglio dare una festa di addio al nubilato.- le spiegò. –E voglio un vestitino carino da mettermi.-
Cat alzò gli occhi al cielo, divertita.
Lauren era sempre la solita.
Adorava le feste e anche prima del suo matrimonio ne avrebbe data una.
-Alex lo sa?- le chiese, sorridendo.
Lauren alzò le spalle, con aria birichina. –Lo saprà presto.-
Cat scoppiò a ridere e poi scosse la testa. –Sei veramente terribile.-
-Lo so, ma mi ama anche per questo.-
Cat ne era certa, ma rise lo stesso. Chissà come l’avrebbe presa Alex.
Lauren le indicò un paio di negozi di vestiti che piacevano anche a lei e poi iniziarono i loro giri, godendosi la tranquillità che solo una mattinata infrasettimanale poteva garantire in un posto simile.
 
Due ore dopo Cat guardò Lauren e le fecce il segno del time out.
Avevano girato quasi tutti i negozi di vestiti del piano terra, ma la sua migliore amica non aveva trovato nulla di suo gradimento.
Cat le aveva detto che molti di quelli che aveva provato le stavano bene, ma lei, non convinta, aveva finito col dire tutte le volte che ancora non aveva trovato quello giusto.
Cat sapeva quanto avesse gusti difficili in materia di abbigliamento, ma non si sarebbe mai immaginata che in due ore di prove nessuno potesse andarle bene
Ne aveva provati trenta, forse anche di più, ma nessuno di loro l’aveva convinta fino in fondo.
Così, tra una cosa e un’altra, si era fatta l’una e mezza e loro ancora dovevano pranzare.
-Ho fame.- dichiarò, stremata.
Lauren guardò l’orologio e poi sgranò gli occhi.
-Cavolo, è tardissimo.-
Cat annuì, quasi a voler sottolineare la cosa.
Aveva una fame tremenda e nessuno vestito al mondo l’avrebbe allontanata dal adorato pranzo.
-Che mangiamo?- le chiese Lauren, guardandosi intorno.
Cat ci pensò su. –Andiamo da Mc?-
Lauren storse il naso e poi la trascinò in uno dei posti che lei odiava di più al mondo.
Oltre ad essere un tipo molto puntiglioso in fatto di vestiti, la sua migliore amica era anche una delle poche persone al mondo della sua età che odiava a morte i fast food.
Era esageratamente attenta alla linea e quel cibo spazzatura che piace alla maggior parte della gente, parole sue, non si era mai avvicinato al suo piattto, nemmeno una volta, e, soprattutto, nemmeno per sbaglio.
E così lei non si stupì quando, un quarto d’ora dopo, invece di mangiare hamburger e patatine fritte, che lei adorava, si ritrovò davanti al piatto un panino vegano, dall’aspetto ambiguo, circondato da altre verdure di tutti i tipi e ancora più ambigue del panino.
Era la sagra delle verdure in quel posto e lei non poteva farci assolutissimamente nulla.
Lauren la fissò in silenzio e poi inarcò un sopracciglio, perplessa. –Che c’è?-
Cat non lo aveva nemmeno fatto lo sforzo di guardare il menu e scegliere qualcosa che potesse vagamente allietare il suo palato, aveva fatto scegliere tutto a lei, perché in fondo sapeva benissimo che in quel posto non c’era nulla di buono per una persona che non fosse vegana.
Lei adorava la carne e un pranzo solo a base di verdure per lei era come un matrimonio con decine di portate in cui si mangiava solo il contorno.
Può riempirti, certo, ma non ricavi nessun piacere dal pasto e questo per lei era inconcepibile.
Cat si schiarì la voce e poi abbozzò un sorriso. –Niente.- rispose, mentendo spudoratamente. –Ho solo fame.-
Lauren non le credette affatto, ma fece finta di niente.
Cat non le aveva mai detto che lei odiava quel ristorante vegano, per una serie di motivi, e non si sarebbe di certo tradita proprio quel giorno.
Che poi il locale, in sé per sé, era anche carino, molto spazioso e luminoso, arredato in modo semplice, ma accogliente, però il cibo non incontrava i suoi gusti e questo purtroppo lo aveva fatto uscire subito dalla playlist dei posti in cui preferiva andare a mangiare.
In ogni caso, finì in fretta il suo piatto per la fame e poi bevve tanta acqua.
Era stranamente disidratata e non capiva bene il perché.
-A quando il matrimonio?- chiese a Lauren, curiosa.
-Credo a dicembre, o al massimo a gennaio.-
-Wow.- si lasciò sfuggire Cat, sorpresa. –E ce la fate a organizzare tutto entro la fine dell’anno?-
Lauren la guardò come se stesse facendo una domanda ovvia. –Con chi ti credi di parlare?- la prese in giro.
-Con la regina dell’organizzazione.- rispose Cat, ridendo.
-Esatto.-
-Mi sa che ho bevuto troppo.- le disse poi Cat, sentendo il bisogno di andare in bagno.
Lauren sorrise. –Ti sei scolata mezza bottiglia.- osservò, accennando al litro e mezzo che avevano ordinato solo pochi minuti prima.
-Vado in bagno e torno.- le disse Cat, alzandosi.
Si diresse in fretta verso la toilette e poi, una volta fatto, si sbrigò a tornare da Lauren.
Non fece in tempo però ad aprire la porta dell’antibagno che qualcuno l’aprì al posto suo, facendola sobbalzare.
Era talmente sovrappensiero da non ricordarsi che quella porta era comune sia al bagno degli uomini che a quello delle donne.
Un uomo sulla quarantina le sorrise. –Caitlin.- la salutò, in tono allegro. –Ti sei spaventata?-
Cat scosse la testa, riconoscendo immediatamente l’uomo di fronte a lei. –Ciao Chris.- rispose, ricambiando il sorriso. –Come stai?-
L’uomo lasciò che lei uscisse e poi si misero a parlare a pochi metri dall’ingresso delle toilette.
-Abbastanza bene, Cat.- le rispose, incrociando le braccia al petto. –E tu come stai? Come vanno le cose?-
Cat si schiarì la voce. Non vedeva Chris dal funerale dei suoi genitori e la sua presenza le evocava purtroppo spiacevoli ricordi.
-Me la cavo.- disse, in tono neutro.
Poi si ricordò di quello che gli aveva detto suo fratello Matt.
Non avevano mai avuto una grande confidenza loro due, ma il fatto che suo padre gli avesse fatto da tutor e che le loro età non fossero così lontane, li aveva portati a fare più di qualche chiacchiera in passato.
Da adolescente si era presa pure una bella cotta per lui, ma era stata una cosa temporanea, di cui nessuno aveva mai saputo un bel niente.
In fondo era sempre stato un bel ragazzo, alto, muscoloso e con due occhi azzurri ancora più accesi dei suoi, ma era molto più grande di lei e questo aveva sedato ogni forma di sentimento che potesse mai nascere.
Mise temporaneamente da parte quei pensieri e poi lo affrontò a viso aperto. –Ti sei messo con mia zia?- gli chiese a bruciapelo.
Chris si schiarì la voce, imbarazzato. –Te lo ha detto Matt?-
Cat annuì. –È così?-
Chris incrociò le braccia al petto e poi annuì a sua volta.
-Come è possibile?- gli chiese Cat, sconvolta. –Tu non sei come lei.-
Chris scosse la testa. –Tua zia è una bravissima persona.-
-Certo.- lo assecondò lei, ironica. –Talmente brava che se n’è fregata quando mamma e papà sono morti.-
-Non dire così, Caitlin.- la rimproverò Chris. –Ha sofferto molto.-
-E tu che ne sai?-
Chris si passò una mano nei capelli scuri e poi sospirò.
A quel punto Cat inarcò un sopracciglio, cominciando a capire. –Oh mio Dio.- disse, sconvolta. –State insieme da allora?-
-Non esattamente.-
-E da quando allora?-
-Ci siamo conosciuto il giorno del funerale dei tuoi e poi abbiamo iniziato a parlare e...-
Cat scosse la testa.
Assurdo.
Chris e sua zia avevano iniziato a frequentarsi dopo la morte dei suoi? Perché le suonava così di cattivo gusto quella cosa? Forse perché mentre lei e Matt soffrivano come cani loro ci davano dentro come adolescenti?
Soffocò quella sensazione di ribrezzo che provava e poi si sforzò di non essere sgarbata. –Ora devo andare.- disse, in tono neutro.
Chris la guardò in modo strano. –Sei arrabbiata, Cat?-
-Non sono arrabbiata.- si affrettò a precisare lei. –Sono solo...-
Disgustata.
Quella era la parola giusta, ma non poteva certo dirla ad alta voce.
-Sorpresa.- disse invece, senza far trapelare le sue emozioni.
Chris annuì. –Me ne rendo conto e mi dispiace non averti detto nulla in questi due anni e mezzo.-
Cat scosse la testa. –Non ci vediamo da tanto tempo, Chris.- mormorò, con aria assente. –Non c’è stata l’occasione.-
Chris fece un sorriso triste e poi le chiese se era da sola o in compagnia di qualcuno.
-Sono con la mia migliore amica.- rispose.
Quella domanda le fece girare la testa, in cerca di Lauren.
La sua migliore amica la stava guardando in modo strano, ma appena si accorse che anche Chris si era girato verso di lei, la vide subito a distogliere lo sguardo.
-Vieni a trovarmi qualche volta.- le disse a un certo punto lui, attirando la sua attenzione.
Cat si voltò verso di nuovo e poi annuì distrattamente.
Stava per salutarlo e ritornare al suo tavolo quando una voce femminile alle sue spalle la chiamò.
-Ciao Cat.-
Cat si voltò, sorpresa. –Stella.-
La moglie di Thomas sorrise e poi salutò in modo molto formale Chris. –Buongiorno dottore.-
Chris ricambiò il saluto con un sorriso.
Cat guardò prima lei e poi lui. Quei due si conoscevano?
Stella notò la sua espressione perplessa e poi fece un sorriso triste. –Il dottor Cooper ha seguito Thomas fin dal primo stadio della malattia.-
Cat a quel punto capì. Chris era il medico che seguiva Thomas.
Per un attimo si chiese se lui potesse sapere qualcosa sulla morte, poi si ripromise di andare a studio da lui uno di questi giorni.
Non poteva mettersi a fare domande davanti a Stella e nel bel mezzo del ristorante.
-Devo andare.- ripeté quindi, sentendosi a disagio.
Era stata già una bella coincidenza incontrare Chris lì e ora che al gruppo si era unita anche Stella, qualcosa la spingeva ad andarsene e anche in fretta.
Non sapeva bene cosa, ma sapeva che era ora di alzare le tende e tornare da Lauren.
Salutò entrambi e poi tornò al suo tavolo con una strana sensazione addosso.
Lauren guardò oltre le sue spalle e poi si concentrò su di lei. –Quella era la moglie di Thomas?-
Cat annuì.
-E quello era Christopher Cooper?-
Cat annuì un’altra volta. –Perché?-
-Non lo so... sembravano conoscersi.-
-Era il medico curante di Thomas.-
-Ah ok.-
Il tono di Lauren non la convinse affatto. –Che c’è?-
Lauren incrociò le braccia sopra al tavolo e poi scosse la testa. –Vedi quel tipo?- le chiese, alludendo a un tizio che era seduto a pochi tavoli dal loro.
Cat si girò con discrezione e poi annuì.
Era un uomo di mezza età che lei non aveva mai visto in vita sua. –Sta con Chris.-
-E allora?-
Lauren alzò le spalle. –Mi pare di averlo già visto da qualche parte.-
Stavolta fu Cat a scrollare le spalle. –Non lo conosco.-
Lauren prese un sorso d’acqua e poi disse che forse si stava sbagliando.
A quel punto ordinarono il conto e poi uscirono dal locale.
-Sei pronta per un’altra sessione?- le chiese Lauren, riferendosi ai negozi di abbigliamento.
Cat alzò gli occhi al cielo. –Posso dire di no?-
Lauren rise. –No.-
-E allora sì, sono pronta.- mentì, ridendo.
La sua migliore amica sorrise e poi la trascinò in tutti i negozi in cui credeva di poter trovare qualcosa che le piacesse.
Girarono per altre due ore, fino a quando Cat non disse che era stanca morta e che voleva tornare a casa.
A quel punto Lauren cedette e la riaccompagnò fin sotto al portone di casa.
Cat si congratulò di nuovo con lei per l’imminente matrimonio e poi salì a casa, esausta.
Per poco non le venne un colpo quando trovò Jake nella sua camera da letto, intento ad osservare i suoi libri dell’università.
-Che ci fai qui?- gli chiese, lievemente seccata. –E come sei entrato?-
Jake la fissò, come se la risposta a quella domanda fosse ovvia.
Giusto. Quella era casa sua e sicuramente aveva ancora le chiavi dell’appartamento.
-Come stai?- le chiese lui, scrutandola attentamente.
Cat posò la borsa sulla scrivania e poi andò in bagno a lavarsi le mani.
Jake ovviamente la seguì.
-Hai riflettuto in santa pace oggi?- la schernì.
Cat lo guardò di traverso.
Per qualche strano motivo aveva voglia di litigare e non si sarebbe persa questa occasione.
-Dici sul serio?- chiese, seccata.
Lo scansò e poi andò in cucina per prendersi un bicchiere d’acqua.
-Sei ancora arrabbiata quindi.-
-Io non sono arrabbiata.- sbottò. –Sono solo delusa, perché le persone di cui mi fidavo non hanno fatto altro che mentirmi.-
Jake sospirò. –Ti ho spiegato il perché, però.-
Cat alzò le spalle. –E che differenza fa?- gli chiese. –Si chiama comunque mentire, anche se lo fai per una buona causa.-
Jake si avvicinò a lei costringendola ad arretrare.
Cat sbuffò mentalmente quando si ritrovò con la schiena appoggiata al ripiano del lavello, in pratica con le spalle al muro.
-Perché sei così astiosa?- le chiese, fissandola negli occhi. –La passeggiata al centro commerciale non è andata bene?-
Cat scattò. –Mi hai seguito?-
Questa storia cominciava a seccarla. All’improvviso si sentiva in gabbia e non era più disposta ad accettare quella sensazione.
-Mi sono solo accertato che fosse tutto apposto.-
-Scherzi?-
Jake scosse la testa. Le accarezzò una guancia con la mano e poi sospirò. –Non faresti lo stesso a parte invertite?-
Cat stava per replicare quando il suo telefono iniziò a squillare.
Bypassò Jake e lo recuperò dalla borsa nella sua camera.
Cavolo, pensò. Era il detective Allen.
Guardò prima Jake e poi il cellulare.
Non aveva voglia di parlare con lui.
Rifiutò la chiamata e poi tornò a concentrarsi su Jake, che non perse occasione per dire che il detective Allen le voleva bene e che le aveva mentito per tenerla al sicuro.
All’improvviso le sembrava che lui lo difendesse un po’ troppo, come a voler tirare acqua anche al suo mulino.
Poi ripensò a quello che le aveva detto.  Non faresti lo stesso a parte invertite?
Lei non lo sapeva cosa avrebbe fatto se si fosse trovata al posto suo, ma di sicuro non avrebbe mentito, mai e poi mai.
-Devi smetterla di seguirmi e di... di prenderti cura di me.- gli disse, quasi farfugliando.
Jake si lasciò sfuggire un sorriso. –Non lo farò mai, Caitlin.-
Cat si irrigidì.
La stava guardando in quel modo che lei detestava, come se fosse la cosa più preziosa al mondo. Per quale diavolo si comportava in quel modo con lei? E perché lei rimaneva sempre turbata dal suo atteggiamento?
-Io non sono niente per te.- mormorò, distogliendo lo sguardo.
Jake scosse la testa. –Io ti proteggerò sempre, Caitlin.-
Cat lo guardò negli occhi e poi si fece coraggio. -Perché ti faccio pena?-
Lo vide scuotere la testa. –Perché pensi una cosa del genere?-
Cat alzò le spalle. –Perché collaboravi con mio padre e perché i miei genitori sono stati uccisi.-
-Ma questo spiegherebbe solo una grande determinazione nel risolvere il caso.- la corresse, in tono dolce.
Caitlin sbuffò. Lui la mandava sempre in confusione e lei odiava sentirsi così, confusa e allo stesso tempo lusingata dalle sue attenzioni.
-Perché tua madre insisteva tanto sul fatto di non poter stare insieme?-
Jake sorrise. –Ancora non lo hai capito?-
Cat arrossì. In realtà lo aveva capito eccome.
Jake aveva collaborato con suo padre e si stava occupando dell’omicidio dei suoi e di quello di suo zio Thomas.
Se il detective Allen avesse saputo che tra loro due c’era qualcosa, sicuramente lo avrebbero rimosso dal caso e lui non voleva essere rimosso, di questo ne era certa.
-Per questo il detective Allen era arrabbiato con te il giorno in cui mi hai accompagnato a casa sua?-
Jake annuì. –Cominci a capire.-
-Non capisco però il comportamento di tua madre.- replicò Cat, perplessa.
Capiva il motivo per cui non poteva stare con lei, ma non capiva perché Abigail si fosse così alterata quando aveva scoperto che lei stava a casa del figlio.
-Crede che non vada bene per te.- si limitò a dire Jake, in tono evasivo.
Questo chiaramente acuì la sua curiosità. –Che significa?-
Jake si adombrò e poi cambiò discorso. –Vieni con me?- le chiese, puntando lo sguardo sul borse che ancora non aveva disfatto da quella mattina.
Cat prese un respiro profondo.
Era agitata e non sapeva nemmeno lei il perché.
Aveva come la sensazione che dipendesse tutto da quello che avrebbe deciso quella sera.
Cosa doveva fare?
Odiava il fatto che Jake le avesse mentito, ma dopo quello che lui le aveva raccontato, era come se una parte di lei fosse tornata a fidarsi di lui e questa cosa la sconcertava.
Come era possibile?
A un certo punto si rese conto che testa e cuore si erano messi finalmente d’accordo.
Caitlin si fidava di lui, per motivi che neanche lei riusciva a capire, e non poteva far altro che andare a casa con lui e cercare di capire cosa fosse successo ai suoi genitori e a Thomas.
Quel pensiero le riportò alla mente il fatto che Thomas fosse un paziente di Chris.
E se uno di quei giorni fosse andata da lui per cercare di capire se sapesse qualcosa?
Decise di tenere per sé quelle riflessioni e poi guardò Jake negli occhi.
Per quanto si fosse convinta quella mattina che lui fosse un bugiardo e una persona in mala fede, tutte le volte che i lo sguardi si incrociavano scattava qualcosa in lei, qualcosa che le diceva di stare tranquilla.
Non avrebbe saputo dire cosa, ma sapeva che poteva fidarsi di lui.
Se lo aveva fatto suo padre, di sicuro lo avrebbe fatto anche lei.
-E va bene.- cedette alla fine, schiarendosi la voce. –Niente più bugie però.-
Jake annuì. –Questo vale anche per te.-
Cat annuì, ma lui la guardò in modo strano.
-Chi era il tipo che hai salutato al ristorante?- le chiese poco dopo, incrociando le braccia al petto.
Cat sospirò. Era impossibile tenergli nascosto qualcosa.
-Era un collega di papà.- gli spiegò. –Papà gli ha fatto da tutor per molto tempo.-
Jake annuì, ma continuò a guardarla, come se si aspettasse che lei gli dicesse altro.
-Cosa?- gli chiese, facendo finta di niente.
-Conosce mia zia.-
Cat sbuffò dentro alla sua testa.
E va bene. Non poteva nascondergli proprio un bel niente.
-Era il medico curante di tuo zio.-
Jake non riuscì a mascherare un’espressione sorpresa. –Davvero?-
-Già.-
-Non sapevo che fosse lui.-
-Perché, lo avevi già incontrato?-
Jake scrollò le spalle. –Una volta, al ristorante di mio zio.-
Cat non ne era sorpresa. In fondo era il medico di Thomas. Non era poi così strana la cosa.
-Vogliamo andare?- le chiese poi Jake, prendendo il borsone.
Caitlin annuì e poi lo seguì.
In cuor suo sperò di non aver sbagliato un’altra volta. 
   
 
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