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Autore: Fabio Brusa    15/07/2020    0 recensioni
"Fenrir Greyback è un mostro. Un assassino. Un selvaggio licantropo. Approcciare con cautela."
Quello che il mondo vede è solo il prodotto di ciò che mi è stato fatto.
La paura li ha portati a ritenerci delle bestie, dei pericolosi predatori da abbattere. E la vergogna per non averci aiutati li spinge a tentare di cancellare la mia stessa esistenza.
Forse finirò ad Azkaban. Più probabilmente, qualcuno riuscirà a uccidermi, prima o poi.
Non mi importa.
Non mi importa, fintanto che sopravvivrà la verità su come tutto è iniziato e sulla nostra gente.
Sui crimini del Ministero e sull'omertà di uomini come Albus Silente.
Su come il piccolo H. sia morto e, dalle sue ceneri, sia venuto al mondo Fenrir Greyback.
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GREYBACK segue la storia del famoso mago-licantropo. Attraverso vari stili narrativi, dai ricordi di bambino ad articoli di giornale, dagli avvenimenti post ritorno di Voldemort a memorie del mannaro a Hogwarts, in 50 capitoli le vicende dietro il mistero verranno finalmente portate alla luce.
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Fenrir Greyback
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Estratto da:
IL CANTO DEL DIRICAWL: COMPENDIO DEL SIMBOLISMO NON-UMANO
di MICHAEL BOLVER
1888
A lungo si è discusso se ci fosse un luogo, reale o spirituale, preposto all’accoglienza delle anime delle creature non umane. Che di un’anima siano dotati è cosa certa: alcuni dei più terribili incantesimi lo richiedono, per canalizzarne il potere o per pagarne lo scotto, ed è assodato come vampiri, lupi mannari, maridi e altri Esseri siano in grado di utilizzare tali mezzi, al modo dei maghi o a modo proprio.
Le usanze funebri differiscono grandemente da specie a specie, da regione a regione, da comunità a comunità. Nonostante ciò, è possibile estrapolare un filo conduttore che accomuna alcuni degli Esseri e delle Bestie Magiche dotate di intelligenza. Dopo lunghe ricerche bibliografiche e sul campo, è stato accertato quanto segue:
Centauri, di foresta come di steppa, alla morte di un membro della tribù si considerano tutti ugualmente consanguinei. I riti vengono […]
Maridi di lago, prima di consumare i cadaveri secondo le diffuse usanze cannibali, radunano i discendenti del defunto per […] Quelli di acque salate si distinguono fortemente se di zone calde o zone fredde. L’esperienza nel Baltico fu particolarmente significativa, nonostante la perdita di metà dell’equipaggio […]
Dei Vampiri molto si è detto e molto è stato travisato. Il loro rapporto con la morte è del tutto singolare: ogni volta che […]
Per quanto riguarda i Lupi Mannari, mi si impone una precisazione. Mancando, per quanto è dato sapere, l’esistenza di una qualsiasi comunità più larga dei confini del branco, il comportamento di questi Esseri è strettamente legato alla personalità di ognuno di loro e, in particolare, alle abitudini e modus vivendi del Capobranco. Due elementi sono, in ogni caso, comuni. L’evidenza impone che si tratti di caratteristiche che affondano le radici nella natura stessa della licantropia.
Il primo elemento è la coralità della partecipazione. L’assenza di un individuo all’estremo saluto di un suo legato è impensabile, al punto che gli stessi compagni di vita (il branco, ndr) considerano un simile comportamento come la volontà di allontanarsi dal vissuto comune. Le conseguenze di un simile gesto spaziano dall’ostracismo, per i casi più lievi, a una vera e propria Caccia di Sangue per l’affronto subito. (Nota: per la voce Caccia di Sangue, fare riferimento al capitolo 14 del presente compendio).
Il secondo elemento, forse il più difficile da comprendere per il lettore, si esplica nella totale assenza di volontà di preservare il corpo del defunto. Nella maggior parte dei casi un lupo mannaro che raggiunga la propria fine tra i suoi simili viene sepolto nella nuda terra, senza nemmeno un sudario. Sono documentati casi in cui il cadavere sia stato affidato alle acque di un lago (meno alla corrente del fiume) o anche offerto come sostentamento ai branchi di lupi o orsi selvatici. Questo atteggiamento, che a noi può apparire irrispettoso, ha un enorme significato spirituale tra tutti i licantropi con cui è stato possibile svolgere ricerca. Essi sentono come innato il bisogno di ricongiungersi al mondo, una volta terminato il proprio percorso, e non di preservare (isolandolo) il corpo dalla natura circostante. Sebbene nessuno abbia saputo spiegarne il motivo, ritengo che questo bisogno si basi sia sul mutamento costante delle cose naturali, che così intimamente caratterizza la vita di questi Esseri, sia sulla volontà di assimilare i valori che essi ritengono positivi e che il defunto lascia. Attraverso uno sforzo attivo di ricordo, i lupi mannari si sentono degni di aver vissuto al fianco di un compagno, di un amico o di un capo, i cui insegnamenti vengono condivisi con la comunità che non li limita ad un luogo di culto e memoria, ma li porta con sé in ogni istante della propria vita futura.
Un detto mi è stato riferito, durante i miei studi a Minsk. Lì la comunità magica ha una più stretta convivenza con i lupi mannari e usano dire “Lanciare pietre di lupo” per riferirsi a un gesto di estrema gratitudine per una lezione appresa a caro prezzo. Secondo la loro testimonianza, alcuni licantropi segnano luoghi di grande impatto emotivo con alcune pietre, lasciate come metafora del peso dell’esperienza e a imperitura (poiché naturale) memoria di ciò che ha influito con forza imprescindibile sul tipo di individuo che sentono di essere diventati.
 
***
 
 
Data ignota
La radura e la casetta di lamiera

Il branco era ammutolito. Alcuni avevano perso la voce, rinchiusi in un disperato dolore, artigliati dalla sensazione di abbandono. Il violino, appoggiato con l’archetto al muro ondulato della baracca, taceva in attesa del proprio momento. Bisognava prendere commiato, ma nessuno osava dare il via a quello che sarebbe stato l’ultimo incontro con Fenrir Greyback.
Entro lo scoccare di mezzogiorno, Calcifer, che aveva cercato di spingere Skoll a non perdere tempo, per la loro stessa incolumità, i lupi mannari giunti alla radura erano più di venti. Alcuni si erano trovati dalle parti opposte sul campo di battaglia, altri era la prima volta che incontravano la figlia del lupo che li aveva maledetti da bambini.
Erano giunti da ogni parte dell’Inghilterra, della Scozia e del Galles. Che avessero udito la chiamata di Lord Voldemort molti anni prima, che avessero preso parte alla rivolta di Hati o semplicemente avessero rifiutato ogni tipo di coinvolgimento nell’esistenza dei maghi, conservavano un innaturale silenzio di fronte alle fosse già piene. Xatu e Corvinus, con la pala in mano, schiacciavano la terra sopra l’ultimo riposo del Grande Alpha. A destra e a sinistra, la bacchetta di Megan faceva crescere erba e fiori selvatici per Charlie Burke e Najata.
Skoll li lasciò terminare anche con la tomba centrale. Terra e erba, nient’altro a ricoprire lo stanco corpo di suo padre. Nessun canto, nessuna parola venne spesa prima che la radura tornasse al suo aspetto di campo abbandonato.
Poi, con un gesto muto, fece nascere due campanule, che sbocciarono in altrettanti fiori blu e bianchi. Si attorcigliarono, si appoggiarono l’una all’altra, e rimasero ad osservare il sole sopra le loro teste, affondando le radici nel buio che cullava il vecchio Burke. Per un istante sorrise, pensando a come sarebbero dovuti sembrare dei fiori ubriachi. In realtà, era sicura che un simile destino, per loro, riuniti, non si sarebbe più ripetuto.
I lupi, in forma di uomini, donne e giovani ancora alla soglia della maturità, cominciarono a intonare un canto a bocca chiusa. Il suono vibrante nelle gole si sparse lentamente, come un fuoco pervicace, fino a inondare il bosco. La baracca di lamiera (a Megan sembrò così) si unì al canto funebre come tutti gli altri. Anche lei, in qualche modo, ricordava.
Fu in quel momento che tre maghi giunsero a volo di scopa.
A volto scoperto, Hati, Mandor e Nora attraversarono la folla. Non un solo sguardo gli fu risparmiato, ma il canto non cessò. Tagliarono dritti verso Skoll, con occhi determinati.
Una volta di fronte a sua sorella (e al resto del branco, che le si affiancò senza esitazione), Hati le gettò lo sguardo oltre la spalla. Le tombe erano ormai nascoste e tornate alla natura.
Voleva parlare. Voleva dire qualcosa, qualsiasi cosa che potesse mostrare come si sentiva dentro, ma nella testa ogni pensiero suonava stupido o ipocrita. Skoll lo fissava con durezza, anche se non con rabbia, come facevano i suoi compagni. L’ultima volta che si erano incontrati aveva fatto ammazzare loro amici, partner, membri del branco… e lo stesso Fenrir. Impattò improvvisamente con la consapevolezza che il corpo che giaceva nella nuda terra era quello dell’uomo che gli aveva dato la vita e che aveva sacrificato la propria, con un gesto d’amore, per salvarlo.
Hati scoprì, alla fine, che non conosceva parole adatte a un’occasione simile. Respirava a fondo, riempiendo e svuotando l’imponente cassa toracica. Il fiato era sempre più pesante. Fino a quando Nora, a labbra strette, si unì ai canti.
L’istinto si impossessò di Hati. Smise di pensare, di disperarsi, di alimentare l’insicurezza e la colpa dentro di sé. Percepì il vento fra i fili d’erba e il frusciare delle foglie, così come l’ondeggiare dei capelli e i moscerini che ronzavano nel campo. Vide un piccolo mondo antico dispiegarsi sotto i propri scarponi, lì dove suo padre aveva trascorso l’infanzia, dove suo nonno si era tolto la vita, dove sua nonna era caduta sotto gli artigli della Furia.
E dove ora i lupi mannari seppellivano l’unico Grande Alpha di cui la loro memoria avesse notizia.
Si piegò a terra, di fronte a Skoll, che per un attimo credette che il fratello si stesse inginocchiando per chiedere scusa. Invece Hati si rialzò quasi subito. Aveva raccolto una pietra, scheggiata e irregolare ma grande come il palmo della mano.
Coprì la distanza che lo separava dalle tombe. Da vicino, poteva ancora riconoscerne la forma. Erano tre: su quella di sinistra, due fiori di colori diversi si intrecciavano in un abbraccio nuovo. Su quella di destra, qualcuno aveva richiamato un piccolo pettirosso. O forse si era posato da solo, felice di zampettare a caccia di cibo per il nido.
Hati posò la pietra su quella centrale. Lasciò cadere il sasso, in realtà, un lancio impossibile da sbagliare, che picchiò forte contro il terreno senza rimbalzi. Poi tornò fra le fila dei licantropi.
Uno dopo l’altro, continuando a intonare il requiem, raccolsero delle pietre e le ammonticchiarono, disordinatamente, attorno a quella posata da Hati. Quando, per ultima, anche Skoll lanciò la sua pietra, un monumento rozzo e sincero era cresciuto fino all’altezza degli stivali.
I lupi, che nessuno aveva organizzato o istruito, sentivano con precisione il senso di ciò che facevano.
Più di tutti lo sentiva Hati, quando trovò il coraggio di parlare a sua sorella. – Lui era… –
– Era uno stronzo – lo interruppe Skoll immediatamente. – Era crudele. Era duro ed era cattivo. Ha fatto del male a tanta gente. – Fece una pausa, come se avesse bisogno di radunare le forze per ciò che sarebbe venuto dopo. – Era nostro padre. Era il padre di tutti noi. Era l’istinto di sopravvivenza e la volontà di giustizia. Quello che ha passato lui, noi non riusciamo neanche a immaginarlo. –
Le parole, per Hati, non si erano mai mostrate così perfette. – Possiamo sentirlo. Ora lo sento. Quello che ha fatto e quello che io ho fatto. Ho ucciso nostra madre in nome di un’idea. –
Skoll non sembrò affatto disturbata. – Hai fatto quello che sentivi giusto, come lui. Fai sempre quello che ritieni giusto, Hati. Nessun rimpianto. Nessun compromesso con te stesso. Questa è la strada per essere padroni del nostro destino. –
– Ma alla fine, questa strada ha portato solo dolore. –
– Può darsi di sì – rispose lei. Poi guardò Megan far crescere un rampicante spinoso sulla casetta di lamiera. Rapidamente dalla pianta spuntarono una pioggia di piccoli fiori bianchi. – Può darsi di no. –
Hati scorse il gesto di Skoll e comprese. Istintivamente, quasi vergognandosene poco dopo, cercò Nora con gli stessi occhi. Sì, avrebbe avuto dei figli da quella donna. Lo desiderava ardentemente. Per lei aveva ucciso. Per lei aveva morso la mano che lo aveva nutrito. Per la sua famiglia e per nessun'altro.
Avrebbe ripopolato il branco, così come la vita cresceva sulle spoglie dei loro predecessori. Fiori nati dal dolore, ma pur sempre fiori.
– Fenrir Greyback è morto – ringhiò a bassa voce. – Il mostro non c’è più. Forse i maghi impareranno a lasciarci perdere nei nostri stessi errori. Nei nostri istinti sanguinari. Forse dovremmo allontanarci per sempre dalla civiltà. –
Skoll, senza remore, lo schiaffeggiò. Il colpo risuonò in tutta la radura, facendo girare ogni lupo mannaro presente.
Infine gli sorrise, snudando i denti nel più inquietante ghigno ereditato da Fenrir.
– Sei libero, Hati. Siamo tutti liberi. Nella mia libertà scelgo la lotta. So che a Rolf Scamander abbiamo fatto venire gli incubi, ma Luna Lovegood vorrebbe parlarci. Uno dei suoi figli è stato morso. –
– Dovremmo occuparcene noi? – alzò la voce Mandor, affiancandosi al suo Capobranco. Era scettico e confuso. Come gli altri, però, aveva lanciato la sua pietra di lupo.
– Siamo una famiglia – rispose Hati, mentre la guancia si arrossava. – Seguiremo il nuovo Grande Alpha e la sua compagna. – Chinò il capo e stiracchiò le labbra. Si sentì leggero come se si fosse tolto la gobba dalle spalle, trovando per la prima volta la propria dimensione.
Il cielo coperto di nubi lasciava filtrare raggi di sole ribelli. Fuggivano in ogni direzione, cercando di raggiungere la terra.
Quella sera, sulla radura ci sarebbe stata una splendida luna piena.

 
--- FINE ---
   
 
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